lunedì 8 aprile 2013

LA GUERRA GLOBALE DI SION


Soros

Già nel 2005 il giornalista Fulvio Grimaldi ci aveva informato dettagliatamente sul cambio di potere ai vertici del potere mondialista. (Ndr)

di: Red Sv – intervento del: MONDOCANE FUORILINEA

LA GUERRA  GLOBALE DI SION DA GERUSALEMME E BAGHDAD ALLA BANCA D’ITALIA.
CON L’UOMO DI SOROS E NEL PLAUSO BIPARTISAN (MA PIU’ DI SINISTRA) LA FINANZA EBRAICA BATTE IL VATICANO


31/12/05 di Fulvio Grimaldi

31 dicembre: nel plauso a denti stretti della destra e più  convinto della “sinistra” a Mario Draghi governatore della Banca d’Italia, si chiude l’annus horribilis berlusconian-dalemiano.bertinottiano 2005. Vince la finanza anglo-israeliana, massonica e laica (si fa per dire), perde la finanza cattolica e, in specie, la massoneria Opus Dei. Vincono anche coloro che 13 anni prima hanno avviato la bancarotta italiana, assassinato la politica e fatto trionfare un’economia in gran parte straniera di rapina e per il resto quella che impesta l’aria di questi tempi. La posta in gioco? Tra le altre il famigerato Partito Democratico filoclintoniano, filoisraeliano, filobilderberghiano, massonico, di Rutelli, Veltroni e aggregati vari.

Uomo di Soros, ma anche dei Rothschild,  dei briganti globali Goldman Sachs (la più grande banca d’affari del capitalismo con le zanne), dei Chicago Boys, delle organizzazioni mafioso-massoniche Bilderberg e Trilateral (alle cui conventicole insieme a Henry Kissinger non manca mai), cioè di tutta quella che a buon diritto si può chiamare la mafia economica ebraico-laica (con l’accento sul primo termine)  in contrapposizione – e a volte in combutta – con la mafia finanziaria cattolica, quella dei Mercinkus, Sindona, Calvi e, infine, di Fazio. Uomo con alle spalle uno dei più colossali tradimenti nazionali, tradimenti che sono essenzialmente quelli a danno dei lavoratori, quando nel 1992 fu complice di quell’assalto all’economia italiana, guidata dal più grande delinquente della speculazione filosionista, George Soros, che sfasciò per sempre il sistema produttivo del nostro paese. Le forze di cui Draghi fu l’operativo in Italia, sia con il sabotaggio del ’92, sia sovrintendendo ai successivi saccheggi nella qualità di presidente del Comitato per le privatizzazioni (dal 1993), sono le stesse che in Palestina fucilano o torturano pacifisti e oppositori,  rimuovono un popolo, con l’assassinio e il massacro sociale, dal primo lembo di un obiettivo strategico chiamato “Grande Israele”; le stesse che in Iraq hanno cercato, invano, di decapitare un polo antimperialista, nazionale e socialmente alternativo ai modelli del vampirismo capitalista e del nuovo colonialismo; le stesse che, a partire dai progetti di una masnada di nazisionisti covati da Reagan e Bush padre a Washington, si propongono il dominio e il saccheggio planetari. A volte si opera con il fosforo, a volte con le manifestazioni colorate, a volte con il terrorismo, a volte con la moneta. In ogni caso si opera come detta Mein Kampf.

Oggi la stampa di sinistra (di quella di destra, con i suoi automatismi dell’allineamento, non mette conto parlare) di tutto questo non fa menzione.  C’è questa intermittenza della memoria, ormai strutturale e, forse, condizione di sopravvivenza in un esistente considerato ineluttabile, che ha già consentito alla sinistra cosiddetta radicale di allinearsi su alcune questioni dirimenti per la nostra storia e il nostro futuro. Ne cito solo alcuni, ma cruciali: il terrorismo dalle Brigate Rosse ad Al Qa’ida, la demonizzazione dei “nemici” da Cuba alla Jugoslavia, dall’Algeria alla Corea del Nord , dall’Iraq alla Siria e all’Iran; e poi il cristianesimo papista e non, la non violenza, i diritti umani e la democrazia, tutti sussunti nei termini esatti che convenivano al potere capitalista nella sua fase finale dell’imperialismo economico e bellico con salmerie al seguito. Qualche accenno all’”uomo delle privatizzazioni” sul “Manifesto”, con Parlato da sempre affettuoso con la Banca d’Italia, perfino con suoi pontefici più maleodoranti, e, con più energia, su “Liberazione” dove, ricordando la svendita operata da Draghi dei cosiddetti “gioielli di famiglia”, Enel, Eni, Telecom, IMI, Comit, BNL, tutto il sistema bancario italiano, si parla del neo-governatore della Banca d’Italia come del responsabile del processo che “consegnò l’economia del paese in mano alla finanza e alle sue speculazioni, accompagnando e accelerando in modo vistoso il declino industriale del nostro paese; che ha segnato definitivamente il tramonto dell’etica, se mai ve n’è stata una, nell’economia di mercato; che ha precostituito il terreno per le scorrerie dei vari raiders di ogni colore…” E dici niente! Roba che, se un ciarlatano biscazziere non avesse disintegrato il sistema giudiziario e la sensibilità morale universale, dovrebbe imporre al personaggio una specie di Norimberga per crimini contro il pezzo italiano dell’umanità.

Ma la metastasi entrista del giornaletto del rampichino Bertinotti rimedia subito, aprendo le porte alla possibilità che il Dilapidatore Massimo della nostra storia si ravveda. Per cui “non vi è nulla di personale contro Mario Draghi. Anzi, la sua biografia intellettuale è di tutto rispetto, a cominciare dal suo essere stato uno degli allievi di Federico Caffè, uno degli economisti più innovativi e socialmente sensibili della storia del nostro paese…” E che vuol dire? Non è forse Fassino allievo di Togliatti e il Panzerpapa allievo di Gesù? Ma l’eulogia va avanti a vele spiegate visto che il Nostro “ha una notevole dimestichezza con il funzionamento degli organi dello Stato, maturata lungo un decennio nelle funzioni di direttore generale del Tesoro. La sua esperienza internazionale è fuori di dubbio, visti i suoi incarichi  nel G7 e nel G10, nonché la recentissima attività presso un’istituzione globale come la Goldman Sachs… E’ dunque una nomina di alto profilo, come è stato autorevolmente commentato…”  Insomma, un quasi santo. “Il Manifesto”, accennato anch’esso alle privatizzazioni, segue a ruota: “Nel lavoro però Draghi non ama la solitudine. Ama il dialogo, il lavoro di staff, la discussione, circondarsi di intelligenze (di quali è detto in apertura di questo scritto. N.d.r.). In questa ottica in Banca d’Italia si attendono molto”. Poi, detto correttamente delle sue sciagurate svendite degli organi vitali del paese, si sale addirittura al diapason: “Draghi non è uomo di sinistra, anche se certamente non è di destra. O almeno di questa destra. Credo che possa essere definito un liberal nell’accezione Usa”. Gore Vidal, Noam Chomsky, Luther King, Robert Redford, Gorge Clooney, Sean Penn, Norman Mailer si voltano dall’altra parte colpiti da spasmi.

La frase da lapide sulla magione dove Draghi è nato è sempre del “Manifesto”: “E’ stato un ottimo servitore dello Stato… e quando ha avuto in mano i conti pubblici, le cose andavano decisamente meglio di oggi”. Mancano solo la corona d’alloro e la banda dei granatieri. Vediamolo, allora, questo “ottimo servitore dello Stato” e colmiamo qualche vuoto che, certo inavvertitamente, i nostri controinformatori intestatari del termine “comunismo”, hanno lasciato nelle citate biografie (attingiamo in buona misura a quanto pubblicato e mai smentito nei siti telematici in calce). L’uomo che ha sconfitto il capofila della finanza cattolica (ma il Papa si è subito rifatto sull’embrione e sulle donne) e ha aggiunto sulle torrette di Palazzo Koch uno svettante vessillo a bande bianche e azzurre, emerge dal grigiore della burocrazia ministeriale poco dopo essere stato chiamato a dirigere il Tesoro. Era il 2 giugno del 1992, data assolutamente fatidica per rimuovere dal calendario simbolico d’Italia il 25 aprile e passare dalla per quanto menomata sovranità alla pressoché totale dipendenza coloniale. Al largo di Civitavecchia veleggia il panfilo più lussuoso e prestigioso del mondo: il “Britannia” della regina Elisabetta. Oltre che la sovrana Hannover-Windsor, la cui presenza a bordo rimase confinata nelle voci, tra i passeggeri figurano i rappresentanti delle banche più importanti e manovriere della finanza ebraico-massonica, Barings, Barclay’s e Warburg, lo speculatore internazionale Gorge Soros, titolare del Fondo Quantum collocato nelle Antille Olandesi e, secondo indagini statunitensi, sospettato di essere gonfio di dollari da riciclaggio nell’ambito del traffico di droga colombiana, e, per l’Italia, Mario Draghi, Beniamino Andreatta, collaboratore di Romano Prodi e, privo però di conferma, il ministro del Tesoro Barucci. Tutta gente che, se i procedimenti aperti dalle procure di Roma e Napoli non fossero svaporati nelle nebbie, avrebbe rischiato fino a quattro anni di carcere – e l’esclusione in perpetuo dal mondo finanziario e dall’ambito delle persone perbene – per aver provocato la svalutazione con mezzi illeciti della moneta nazionale e dei titoli di Stato, aprendo poi le porte alla cannibalizzazione dell’economia italiana da parte delle forze finanziarie ispirate dalla City di Londra e da Sion. I due massimi responsabili della lira erano in quel momento Carlo Azeglio Ciampi, governatore e Lamberto Dini, direttore generale della banca centrale, poi diventati presidenti del consiglio dei due governi tecnici responsabili delle privatizzazioni su tutto il fronte e di tagli micidiali alla spesa pubblica, come suggerito da Maastricht.

Dallo yacht regale, pronube Mario Draghi (che poi pigolerà flebili rincrescimenti, peraltro poco credibili visto il successivo accanimento svenditore), si sprigiona quella nube tossica che, nel successivo settembre, farà dell’economia italiana, soprattutto degli italiani altri dai connazionali speculatori, avanzi da rottamazione. Entra in scena George Soros, l’anfitrione del “Britannia”, punta di lancia delle guerre di sterminio contro paesi, piuttosto popoli, che si fanno gli affari loro, fuori dalla garrota imperialista-sionista, o che comunque offrono banchetti da consumare. Con svendite a rotta di collo e a vastissimo raggio della nostra valuta nazionale viene lanciato un attacco speculativo che porta a una svalutazione della lira del 30% ed al prosciugamento delle riserve della Banca d’Italia con Ciampi che, per arginare la catastrofe, arriva a bruciare 48 miliardi di dollari. Una crisi che portò anche alo scioglimento del Sistema Monetario Europeo (SME). Nell’incontro segreto sulla barca della regina si era complottata la completa privatizzazione delle partecipazioni statali – asse portante dell’economia italiana – a prezzi stracciati grazie alla svalutazione. Presidente del Consiglio e, dunque, principale di Draghi e di Andreatta, è Giuliano Amato, oggi candidato di punta per la presidenza della Repubblica italiana. Prodi governa lo smantellamento dell’IRI. Passano in mani straniere, oltre a buona parte del sistema bancario, i colossi dell’energia e delle comunicazioni, l’IRI, Buitoni, Invernizzi, Locatelli, Galbani, Neuroni, Ferrarelle, Peroni, Moretti, Perugina, Mira Lanza e molte altre aziende dei settori strategici. L’Italia diventa quella colonia buona per tutte le rapine, esterne e interne, che funsero da banco di prova per i gangsters delle scalate odierne, a partire dal dalemiano Colaninno a Gnutti, a Fiorani, a Consorte, con alle spalle, a tirarsi trabocchetti e inciuci, le opposte grandi coalizioni partitiche (vedi “L’anno dei complotti” di Fabio Andriola e Massimo Arcidiacono, per Baldini & Caastoldi).

Ci si mise anche, in bella combutta, l’agenzia di rating Moody’s, la stessa che declassò più tardi la Fiat da comprare. Si accanì contro l’Italia declassando i Bot e contribuendo così allo tsunami sorosiano sulla nostra moneta. Effetto collaterale della cospirazione: lo smantellamento dello SME e, quindi, una botta micidiale all’Europa che Bettino Craxi attribuì a “potenti interessi, avversari dell’Unione Europea, che pare si siano mossi allo scopo di spezzare le maglie dello SME”.  A seguito di questa sprangata sui denti all’Europa, utile sia agli angloamericani che alla loro quinta colonna israeliana, arriva in Italia, ambasciatore USA, Reginald Bartholomew che, a complotto riuscito, insisterà:”Continueremo a sottolineare ai nostri interlocutori italiani la necessità di privatizzare, di proseguire in modo spedito e di rimuovere qualsiasi barriera per gli investimenti esteri”. Cinque anni dopo Bartholomew diventerà presidente di Merryl Linch Italia, in parallelo con il compare Mario Draghi, sponda italiana dello sfascio nazionale, che arriverà addirittura a vicepresidente della più sionista di tutte le realtà finanziarie del mondo, la Goldman Sachs, instaurando un conflitto d’interessi da ridurre quello di Berlusconi a truffa da Monopoli, conflitto tra questa sua affiliazione (e  affiliazioni del genere, lo sappiamo, sono per sempre, come i diamanti) e quello che dovrebbe essere il suo ruolo di salvaguardia della nostra moneta e, dunque, della nostra economia. Non saranno certo gli oggi plaudenti D’Alema e Rutelli a farglielo pesare, visto come si precipitarono ad accreditarsi nei salottini intimi della City, proprio  quelli dell’assalto del 1992, proprio presso quella idra finanziaria che aveva rovinato il paese nel 1992 e seguenti.

Se Draghi era la sponda italiana della loggia orchestrata da George Soros, quest’ultimo ne era e tuttora lo stratega e l’operativo. Alla manovra sull’Italia, ne seguirono altre, su Tailandia, Malaisia (dove Soros fu processato e da cui fu cacciato a calci), Indonesia, Singapore e fu la fine, o almeno il ridimensionamento di quelle “tigri asiatiche” che tanto avevano disturbato il manovratore imperiale di Washington. Noi l’avevamo incrociato in Jugoslavia, nella parallela capacità di sovvertitore geopolitico, di destabilizzatore di paesi. E mentre “La Repubblica”, organo del filoisraeliano De Benedetti, per la penna di un Giorgio Ruffolo o di un Vargas Llosa, ne cantava le lodi di “filantropo” e vessillifero no-global contro le asprezze del capitalismo, Soros, infiltrandosi sotto le mentite spoglie di educatore con i suoi istituti “Open Society”, Società Aperta, e corrompendo a forza di miliardi i corruttibili dei paesi da destabilizzare, provocava via via i regime change indicatigli da USA-Sion, a volte con, a volte senza l’adolescente imperialismo europeo (non è nuovo, del resto, il foglio scandalistico di De Benedetti a fiancheggiamenti avventuristici degli squadroni della morte israelo-statunitensi; basta ricordare le oscene fandonie dell’allora suo Magdi Allam a promozione della guerra all’Iraq, o la recente campagna-canaglia contro il settore “nazionale” dei servizi, impersonato da Nicola Calipari e Nicolò Pollari). Tra i paesi da “democratizzare”, ovvero colonizzare: Jugoslavia (e nella presunta “democratizzazione” ci cascarono le Tute Bianche guidate da Luca Casarini), Ucraina, Georgia, Kirghizistan, Uzbekistan (dove gli è andata male), fino all’attuale “rivoluzione dei cedri” in Libano. Tutti paesi la cui ricchezza è stata fatta passare per il settaccio delle privatizzazioni e dei tagli sociali, con la crusca per il popolo e i grani per i ladroni. In Libano, dove la “rivoluzione colorata” cara a Israele e Francia, non è ancora conclusa, alla faccia degli osceni incoraggiamenti forniti da un cantore delle imprese israeliane contro il “terrorismo islamico”  come Guido Caldiron di “Liberazione”, la posta è l’ulteriore squartamento del mondo arabo, allargando il fronte dall’Iraq irriducibile e ormai vittorioso politicamente, se non militarmente, allo stesso Libano  e alla Siria.  Da queste operazioni lo speculatore ungherese non è mai lontano: fondi, fogli, radio, istituti della destabilizzazione sono sistematicamente cosa sua, “cosa nostra” se si guarda all’insieme.
Soros non lavora solo in proprio, anche se da un giochino fatto con Draghi, come quello dell’assalto alla lira, ha intascato la bella commissione di due milioni di dollari. Per esempio un anno dopo la vicenda del “Britannia”, scatenò un acquisto in massa di oro, dicendo che la Cina stava rimpinguando le sue riserve. Tutti dietro a comprare, con il risultato che il prezzo salì del 20%. A questo punto, insieme al compare sionista Jimmy Goldsmith, si disfece segretamente dei suoi acquisti realizzando delle plusvalenze stratosferiche (www.movisol.org/soros2.htm). Il suo Quantum Fund di Curacao, oggetto di tanti interventi legali per la vicinanza ai flussi del narcotraffico, è legato ai Rothschild, sovrani secolari della finanza ebraica, attraverso i Rothschild di Ginevra (direttore Karlweis), quelli d’Italia (già direttore Katz e dirigente del Quantum), quelli di Londra (direttore e consigliere del Quantum Fund, Taube). Questi legami risalgono a quando, negli anni ’70, Soros lavorava per il Bleichroeder Fund, finanziaria che opera in sintonia con i Rothschild. Oggi la Bleichroeder di New York è, insieme alla Citibank, la principale fiduciaria del Quantum Fund. Insieme a Soros, a organizzare il raduno sul “Britannia” si impegnò un gruppo di finanzieri anglo-israeliani chiamati British Invisibles. Uno dei massimi esponenti di questo gruppo è Sir Derek Thomas, ambasciatore britannico a Roma nel 1987-89 e dal 1990 direttore della Rothschild Italia e consigliere europeo per la N.M.Rothschield & Sons. Accanto a lui Richard Katz, già direttore di Ropthschild Italia, è consigliere del Quantum Fund. Va notato incidentalmente che nella direzione della Rothschild Bank AG di Zurigo troviamo Juergen Heer che, nel 1992, dichiarò di aver pagato ai killer mafiosi di Roberto Calvi 5 milioni di collari. Del resto, secondo la relazione di minoranza della commissione parlamentare P2, il 22 aprile del 1981 la banca Rothschild di Zurigo fondò a Monrovia (Liberia) una società di nome Zirka per conto dei piduisti Umberto Ortolani e Bruno Tassan Din. Otto giorni dopo il Banco Ambrosiano Overseas di Calvi erogò a favore della Zirka 95 milioni di dollari che vennero subito trasferiti a Zurigo presso la Rothschild . Di questi 95 milioni sembra che 45 siano scomparsi durante la detenzione di Calvi nella primavera-estate 1981 (Carlo Palermo, “Il quarto livello”). La P2 sembra aver costituito un momento di collusione nell’altalena dei rapporti tra finanze di opposto segno confessionale.

Ce n’è per concludere che all’ombra della finanza anglosassone-ebraica, rappresentata dai Rothschild, dalla City, da un Soros con amici come Draghi, l’Italia subì quell’attacco che finì, dopo tre lustri di banditesca e antipopolare politica condotta da indistintamente tutti gli schieramenti e tutti i protagonisti politici alternatisi alla guida del paese, nel verminaio attuale, con a capo, coerentemente, Mario Draghi. Un verminaio politico-economico dove il migliore ha la rogna e dove, al piano di sotto, si vive il day after delle classi escluse dal gioco. E’ un caso che, in concomitanza con l’ascesa del partner di Soros, nella coalizione che si presume vada a governare dopo l’estinzione dell’avanspettacolista d’annata, sia spuntata nientemeno che la “Sinistra per Israele”?  O è un caso anche che alla rimozione di Berlusconi contribuisca con cannoneggiamenti giudiziari in prima pagina il giornale in mano a due sodali di Israele del calibro di Paolo Mieli e Magdi Allam?

Siamo al punto che tutto si svolge sopra le nostre teste, appunto nel verminaio. Il conflitto è tra i padroni e noi, dal basso, osserviamo, non capiamo, applaudiamo o piangiamo in un angolo: “un volgo disperso che nome non ha”. Qualcuno cerca di anche di arrampicarsi. E pensare che una volta c’era la lotta di classe.   

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Ecco la faccia di chi pianificò la distruzione dell’Italia



LA MADRE DI TUTTE LE BUGIE: QUANDO, COME E PERCHÉ S’IMPENNÒ IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO



di Domenico Moro*

Nel 1981 la Banca d’Italia divorziò dal Tesoro e praticamente cessò di acquistare Titoli di Stato. Da allora essi vennero dati in pasto, con interessi crescenti, prima al mercato interno, e poi alla speculazione finanziaria mondiale. Perché questo avvenne? Quali le conseguenze?

In questi giorni la stampa tedesca ha attaccato con forza Draghi. Sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, Holger Steltzner, lo ha accusato di voler trasferire alla Bce i metodi della Banca d’Italia. Questa sarebbe al servizio dello Stato, di cui alimenterebbe le casse. Se ora la Bce finanziasse i debiti statali acquistandone i titoli, scatenerebbe l’inflazione e aggraverebbe la crisi dell’eurozona.

Come ha fatto notare anche il Sole 24ore, le critiche di Steltzner alla Banca d’Italia sono infondate. A partire dal 1981 la Banca d’Italia ( su decisione di Beniamino Andreatta  e Carlo Azeglio Ciampi) ha “divorziato” dal Tesoro e non è più intervenuta nell’acquisto di titoli di Stato. Ciò che non viene detto, però, è che quella lontana decisione contribuì a produrre non solo l’enorme debito pubblico ma anche il primo attacco ai salari.
L’attuale debito pubblico italiano si formò tra gli anni ’80 e ’90, passando dal 57,7% sul Pil nel 1980 al 124,3% nel 1994. Tale crescita, molto più consistente di quella degli altri Paesi europei, non fu dovuta ad una impennata della spesa dello Stato, che rimase sempre al di sotto della media della Ue e dell’eurozona e, tra 1991 e 2005, sempre al di sotto di quella tedesca.
Nel 1984 l’Italia spendeva – al netto degli interessi sul debito – il 42,1% del Pil, che nel 1994 era aumentato appena al 42,9%. Nello stesso periodo la media Ue (esclusa l’Italia) passò dal 45,5% al 46,6% e quella dell’eurozona passò dal 46,7% al 47,7%. Da dove derivava allora la maggiore crescita del debito italiano? Dalla spesa per interessi sul debito pubblico, che fu sempre molto più alta di quella degli altri Paesi. La spesa per interessi crebbe in Italia dall’8% del Pil nel 1984 all’11,4%, livello di gran lunga maggiore del resto d’Europa. Sempre nello stesso periodo la media Ue passò dal 4,1% al 4,4% e quella dell’eurozona dal 3,5% al 4,4%.

Nel 1993 il divario tra i tassi d’interesse fu addirittura triplo, il 13% in Italia contro il 4,4% della zona euro e il 4,3% della Ue. La crescita dei debiti pubblici dipende da molte cause, soprattutto dalla necessità di sostenere le crisi e la caduta dei profitti privati che, dal ’74-75, caratterizzano ciclicamente i Paesi più avanzati. Tuttavia, è evidente che politiche sbagliate di finanza pubblica possono rendere ingestibile la situazione del debito, come è avvenuto in Italia.  Visto che l’entità dei tassi d’interesse sui titoli di stato, ovvero quanto lo Stato paga per avere un prestito, dipende dalla domanda dei titoli stessi, l’eliminazione di una componente importante della domanda, quale è la Banca centrale, ha avuto l’effetto di far schizzare verso l’alto gli interessi e, quindi, di far esplodere il debito totale.
Inoltre, la mancanza del cordone protettivo della Banca d’Italia espose il nostro debito alle manovre speculative degli investitori internazionali. Fu quanto accadde nel 1992, quando gli attacchi speculativi alla lira costrinsero l’Italia ad uscire dal Sistema monetario europeo e a svalutare. Insomma, non solo Steltzner ha torto riguardo alla Banca d’Italia, ma è il principio stesso dell’“autonomia” della Banca centrale, da lui tanto tenacemente difeso, ad aver dato per trent’anni in Italia gli stessi risultati negativi che ora sta producendo nell’eurozona.

Ci si potrebbe chiedere a questo punto quale fu la ragione del divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro. Ce lo spiega il suo autore, l’allora ministro del Tesoro Beniamino Andreatta
Uno degli obiettivi era quello di abbattere i salari, imponendo una deflazione che desse la possibilità di annullare “il demenziale rafforzamento della scala mobile, prodotto dall’accordo tra Confindustria e sindacati”. Infatti, nel 1984 con gli accordi di San Valentino la scala mobile fu indebolita e nel 1992 definitivamente eliminata. Anche oggi, come allora, le presunte “necessità” di bilancio pubblico sono la leva attraverso cui ridurre il salario, in Italia e in Europa. Con la differenza che oggi l’attacco si estende al salario indiretto, cioè al welfare.



Fonte: visto su STAMPALIBERA del 5 aprile 2013-04-07

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