Dal testo di Francesco Zanotto
"Non
isgomentossi il vecchio a cotale annunzio; ma rispose pacatamente assentendo al
decreto: e il dì dopo deposte le insegne e gli ornamenti ducali, e ritenuta
solo la veste di velluto chermisino, volgarmente appellata dogatina, di buon
mattino con un bastoncello in mano per reggersi, dopo 35 anni circa di regno,
in età d'anni 84, infermo di corpo, benchè vegeto di spirito, si mosse dalle
sue stanze, assistito da Marco fratel suo ... "
ANNO 1457
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.
Alla notizia della morte del figlio l'anziano
doge non riesce a darsi pace e giorno dopo giorno abbandona la gestione dello
Stato. Più o meno costretto il Foscari infine decide di lasciar libero il trono
ducale.
LA SCHEDA STORICA - 79
Appresa la notizia della morte del figlio Jacopo esiliato a
Creta il doge Francesco Foscari ormai ultraottantenne andò progressivamente
disinteressandosi delle cure dello stato veneziano.
Caduto in un profondo stato di prostrazione il vecchio doge
non interveniva più in senato o al Consiglio, come la sua carica invece
obbligava. Questo stato di cose venne inizialmente tollerato benevolmente ma se
protratto rischiava di provocare una lenta corrosione di tutto l'apparato
statale veneziano. Si lasciò così passare l'estate, ma nell'autunno del 1457 la
cosa doveva in qualche modo venire risolta. Ancora una volta ad agire fu il
Consiglio dei Dieci.
Una delegazione si recò dal doge per chiedergli "da buon principe e vero padre della patria"
di dimettersi dall'alta carica. Il Foscari alla delegazione rispose che il
Consiglio non aveva alcun potere costituzionalmente sancito per chiedere le
dimissioni del doge, quindi, lui restava. Restava fin tantochè almeno la
richiesta non venisse legalmente formulata ed approvata dal Maggior Consiglio
nella sua maggioranza come la legge prescriveva.
Il doge in linea di principio aveva perfettamente ragione.
La legge veneziana in questo senso era molto chiara. Ma fu soltanto una
questione di principio? Forse o forse non solo. A capo della delegazione che
andò a presentare la richiesta c'era infatti Jacopo Loredan, figlio del più
famoso Pietro al quale il Foscari aveva soffiato il trono ducale trent'anni
prima.
L'attrito tra le due famiglie si aggravò poi in seguito alla
rottura del fidanzamento tra una figlia del doge e proprio Pietro Loredan,
matrimonio che avrebbe avuto lo scopo invece di riavvicinare le due famiglie.
L'attrito sfociò probabilmente in vero e proprio odio in occasione del primo
arresto di Jacopo Foscari del 1445. Uno dei tre capi del Consiglio dei Dieci
era proprio un esponente della famiglia Loredan, Francesco, anche se tuttavia
non esistono indizi che questi si sia comportato in modo particolarmente
parziale.
In una diversa circostanza un altro Loredan non perse l'occasione
per dar contro Jacopo Foscari. Quando questi venne accusato di trattenere
rapporti con Maometto II alcuni membri del Consiglio dei Dieci ne chiesero la
condanna capitale. Tra questi, e probabilmente colui che avanzò la proposta,
c'era appunto un esponente della famiglia Loredan e, anche se improbabile, non
è del tutto impossibile che il doge fosse stato informato di questo fatto.
Dati i precedenti dunque è possibile che Francesco Foscari
si sia irritato non poco quando si vide porgere la proposta di dimissioni
proprio da Jacopo Loredan, uno dei responsabili o comunque ritenuto tale del
rinnovato esilio del figlio. Resta che il vecchio doge aveva dalla sua parte la
stessa legge veneziana che garantiva infatti la sua inamovibilità.
Il Consiglio dei Dieci tuttavia, non aveva nessuna
intenzione di cedere. Si decise quindi di procedere con altre pressioni che ben
presto sfociarono in aperte e violente minacci e nei confronti del Foscari. Jacopo Loredan innanzitutto fece un durissimo
intervento in Consiglio denunciando l'inettitudine del doge e che se le cose
fossero continuate così ben presto sarebbero sorti dei gravissimi disordini
nello stato veneziano. Il Loredan era già riuscito a portare dalla sua parte
anche gli altri due capi del Consiglio e, forte delle sue ragioni e di questo
appoggio, chiese ufficialmente la deposizione del doge. La sua richiesta questa
volta venne accolta a maggioranza.
E così il 19 ottobre del 1457 venne decretata la deposizione
dell'ottuagenario Foscari.
Tuttavia deporre un doge in piena violazione della legge -
la cosa non era mai arrivata al Maggior Consiglio - rischiava di suscitare
violente reazioni in città e così il 21 di quello stesso mese una nuova
delegazione si recò nuovamente dal doge.
Questa volta con un secco ultimatum: dimettersi
immediatamente dalla carica, nel qual caso avrebbe ricevuto una pensione annua
di millecinquecento ducati; oppure in caso contrario sarebbe stato forzatamente
dimesso e tutti i suoi beni confiscati. Il doge di fronte ad un simile ultimatum
non si scompose, ma chiese un po' di tempo. La sua richiesta venne accolta e
gli fu concesso ancora un giorno, fino al pomeriggio del 22 ottobre quando la
solita delegazione gli si ripresentò per avere la risposta. Risposta che il
doge tuttavia, si guardò bene dal conferire.
A quel punto non
c'era altro da fare. Con un decreto ufficiale il Consiglio dei Dieci dichiarò
definitivamente decaduto il vecchio Foscari. Entro otto giorni da quella data
l'ex doge doveva lasciare il palazzo ducale venendogli tuttavia garantita la
rendita di millecinquecento ducati.
Il 23 ottobre del 1457 gli si presentarono davanti i
delegati del Consiglio e Jacopo Loredan lo mise al corrente della sua sorte.
Francesco Foscari non si scompose neppure questa volta. Gli venne così sfilato
l'anello ducale e tolto il como aureo dalla testa, simboli del potere ducale.
Il giorno dopo avrebbe lasciato anche il palazzo. Suo
fratello Marco lo venne a prendere e cosi dopo quasi trentacinque anni di
dogato, all'età di ottantaquattro anni Francesco Foscari lasciava le stanze
dello storico palazzo. Suo fratello per evitare la ressa della cittadinanza lo
voleva condurre alla barca attraverso una scala secondaria.
L'anziano doge rifiutò categoricamente l'invito: "lo voglio andar giù per quella scala per la
quale ascesi al dogato".
Arrivato così agli ultimi gradini sembra abbia ancora
mormorato: "L'altrui malignità mi fa
scendere da quel posto al quale i meriti miei mi avevano fatto salire".
Varcò quindi la porta detta della carta fatta
scolpire proprio da lui per mano di Bartolomeo Bon che ne fissò sulla sommità
anche il ritratto.
Venne infine accompagnato al suo palazzo sul Canal Grande
(Ca' Foscari) dove pochi giorni dopo sarebbe deceduto a seguito di un collasso.
La morte lo avrebbe colto nel momento stesso in cui udì suonare le campane a
festa per l'elezione del nuovo doge Pasquale Malipiero che accompagnò poi il
feretro di Francesco Foscari durante i solenni funerali di stato.
Fonte: srs di
Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura
Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,
volume 3, SCRIPTA EDIZIONI
Nessun commento:
Posta un commento