domenica 3 luglio 2011

VERONA: L’UMANITA' DI PIAZZA ERBE


di DINO MONICELLI

Penso a un dramma di Thorton Wilder: al « Lungo pranzo di Natale ».
Protagonista è un tavola attorno alla quale le generazioni si succedono: gente che va, gente che viene, che nasce, che muore; un dramma che non ha principio, che non ha fine: una famiglia è seduta attorno alla tavola per un pranzo: i personaggi si trasformano; da bambini, diventano grandi, poi giovani, poi maturi, poi anziani, poi vecchi, poi scompaiono, poi diventano ricordi. Cosi per generazioni. Anche le cose attorno nascono, vivono, finiscono. La tavola rimane. È la tavola attorno la quale la famiglia celebra la natività.

Cosi la Piazza Erbe. È la protagonista della città. È umana: passare di generazioni, gioie  di generazioni, pianti di generazioni, nascite di generazioni, morte di generazioni l'hanno resa umana con la sua ininterrotta, immutabile, continua vita. Ed ho scritto tre sinonimi per sottolineare tre volte il fatto che è viva, che è la nostra vita.

Come nacque questo che è spazio, l'aria che vi è sopra albe e tramonti, cielo e nuvole e costellazioni?
Come nacque questo che è cuore perché noi se potessimo camminare nel tempo vi ritroveremo nostro padre, nostra madre, i nostri nonni, gli avi e tutti quelli che ci precedettero e nel futuro tutti quelli che ci seguiranno?
Come nacque?

Forse è bene pensare a manipoli che si accampano per la prima volta, a fuochi accesi per il bivacco, a soldati odorosi di cuoio, di aglio, di sudore; a tende rizzate per gli ufficiali, a belle prede discinte: donne rapite a tribù incontrate; un bivacco sicuro perché più in là c'è il fiume, perché più in là c'è la collina, perché il grosso dell'armata è alle spalle.

Piazza Erbe centro della città: Decumano Massimo: Corso Porta Borsari; decumano primo destrato: Via Pellicciai; secondo destrato: Via Mazzini. Cardo Massimo: Via Cappello. Templi, Basiliche sparse, scalee di marmo: cosi al tempo dei Romani.

Poi i barbari: gente vestita di pelli e ornati di collane di conchiglie, gente che si ciba di carne cruda e di pomi acerbi; gente che ricalca orme antiche che calpesta suolo e idoli immortali; gente che va, viene, rimane.  Heine: Verona rifugio di popoli.

Gente che alterna l'imbandigione sanguinolenta al vino trincato in crateri ampi.
Hans Bart: Verona, cantina dei popoli. Eruli Ostrogoti, Longobardi, Franchi, Ungari. Sulle macerie di vecchi edifici si sovrappongono altri fabbricati.

L'Adige che straripa e inonda vi pone la ghiaia, la sabbia, fa scomparire e livella. Re antichi:  Pipino, Berengario, Teodorico, Alboino.
Mi rifaccio a Poeti, al « Ritmo Pipiniano » che descrive la città; a cartograti antichi, all’'« Inconografia Rateriana ».

Cosi la Piazza nasce, muore, e rinasce, e si eterna: infinite forme, infinite creature; creature viventi sotto uno stesso cielo e respiranti una stessa aria e nutrite di un unico cibo: cielo, aria, nutrimento di dimensioni cosi vaste, di risorse cosi inesauribili.

Epoca romana, poi buio, poi immaginazione, poi documenti:
Ecco il secolo XII: il podestà Guglielmo Dall'Ossa fa erigere il « palatium comunis Veronae ». È quello che sorge all'angolo della Piazza con Via Gallina, che ora appare come una torre mozza; eretto, fu distrutto da un incendio, fu poi riedificato; fu tribunale e carcere e nel I227 qui fu rogato e firmato il patto che rinnovava la Lega Lombarda, il giuramento di Pontida.         

Dopo la Torre un « pontesel » e sotto di esso appesa « la Costa» che destò, e desta, curiosità ai nostrani ed ai forestieri. La strada che passa sotto al « pontesel » per andare in Piazza dei Signori si chiamava « viam sogarium » e più tardi anche « bina sogeriorum » dai botteghini e mercanti di funi e di pellicce che erano ivi allogati. Più in là, vi è la casa dei Giudici dove si adunavano i Consigli degli Anziani, dei Gastoldoni, dei Sapienti ad Utilia.

Il 1300 fu il secolo della lana, cosi come questo è il secolo della nafta e della gomma, cosi come quello scorso fu quello del carbone.
A portar l'arte della lana a Verona furono dei frati che odoravano di eresia: gli Umiliati. A quell'epoca il Lori e il Fibbio, i figli minori dell'Adige, erano rumorosi di « Folli» e di « Gualcherie », ma qui nella Piazza Erbe era il mercato dei panni. E i panni andavano ovunque per l'Europa, cosi che i mercanti di lana e di panni erano una corporazione importante e per loro fu costruito, prima in legno e poi in cotto, quel Palazzo che per le sue bifore, per il suo porticato, per la sua scalea, per i suoi « quarei » rossi più di ogni altro ci parla del « Medioevo»: la Casa dei Mercanti, oggi Camera del Commercio.
Chi tradusse in pietra la prima costruzione fu Bartolomeo della Scala che con grande solennità pose, con le sue mani, la prima pietra. Una volta le pareti esterne erano tempestate di stemmi che ricordavano vicari, giudici, podestà e consoli delle Arti. Ora da un lato è rimasta sola una bellissima Madonna. La merlatura in alto ci parla ancora di Medioevo, di guelfi, di ghibellini, di partiti e di fazioni e della fede politica della città che accolse esule Dante.

Ecco il « volto barbaro» dovuto alla magnificenza del Capitano veneto Zaccaria Barbaro; il « volto barbaro» è carico di leggende: storie di sangue, di assassini, di attese, di pugnali lucenti nel buio,· di gente mascherata, di mantelli neri e cieli di tenebre.

Ecco la Casa dei Mazzanti che ci conduce fino al Corso che porta a S. Anastasia: « la bina degli orefici» dove Romeo comperò l'anello nuziale per Giulietta, dove le bellissime dame comperavano i monili lucenti per adornare il collo candido e le braccia tornite. Girando attorno alla Casa dei Mazzanti si trovano le botteghe di mercerie - Via Pignolatarum: sete, nastri, trine, panni forestieri e panni nostrani.
Il palazzo verso la Piazza fu dipinto a fresco da Alberto Cavalli per commissione di Matteo Mazzanti. Famiglia questa ricca e importante che fini per un fallimento causato dalle tasse e dai balzelli del « dazio della stadera » al quale erano sottoposti pesi misure e stoffe a garanzia di equità e di perfezione.

Il Palazzo Maffei: Barocco, Arcadia, statue di numi a corona. Chi fece il progetto?
La Torre del Gardello, negli atti pubblici è spesso chiamata Torre dell'Orologio.
Piazzetta 14 Novembre, prima guerra mondiale: scoppi, incendi, stragi; una domenica di sole e di lutti: la città è affranta.
L'ultimo tratto di case per arrivare a via Mazzini faceva parte del « Ghetto ». Gli ebrei vennero a Verona a ondate e l'ultima fu quella di ebrei spagnuoli, sefarditi, condotti da Mosé Goran e da Jacobbe Navarra alla metà del '400.

Ma la piazza è un altare civico e i monumenti come il capitello che sta al centro, come Madonna Verona, come la colonna del Leone, come la colonnina Viscontea, come l'antenna del Gonfalone furono testimoni e protagonisti degli eventi che segnarono per la città date ed epoche: vennero i Visconti che rizzarono la colonnina ritorta con la sua edicola consacrata a Santi protettori, vennero i Veneti che da essa scalpellarono le insegne del Biscione; i Gonfaloni e le chiavi della città furono consegnati, davanti al capitello, ai rappresentanti della Serenissima.
Stando ad alcuni versi del poeta Francesco Corna, sotto al capitello doveva esservi una « sedia di marmo lavorata »; qui, davanti al capitello, dopo aver suonato la tromba, si leggevano bandi e grida; qui i podestà ricevevano le insegne della loro carica; secondo uno statuto di Cangrande i bestemmiatori dovevano essere immersi tre volte nel lavello ove oggi le erbivendole lavano l'insalata; alle colonne dovevano essere legati i mercanti che commettevano frodi, al capitello si esponevano le teste dei giustiziati.

L'Antenna del gonfalone e il Leone di San Marco ci ricordano le furie del 1799 quando i giacobini nostrani e forestieri distrussero le insegne della Signoria morente.

Ma ecco Madonna Verona, il cuore del cuore.
Si dice che la statua fosse stata fatta erigere nel Foro ancora nel quarto secolo da Valerio Palladio e nella Piazza Erbe fu poi adattata ad una fontana eretta dai fratelli Comacini, da questi misteriosi lapicidi che giravano per l'Europa portando la loro arte e i misteri della loro confraternita. Le teste di pietra dalle cui bocche escono gli zampilli sono quelle di Verona, dell'imperatore Vero, che si dice fondatore della città, del re Alboino, del re Berengario.
Cosi la storia della Piazza che vide, vede, vedrà le fortune della città e nostre, ma il colore, ma l'aria che circola, ma il popolo che qui vive, ma le ombre, nessuno può dirle.


Fonte: Da srs di Dino Monicelli, a cura della  COM.TUR. ACI  (fine millennio)

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