La balaustra di Palazzo Maffei in Piazza Erbe
La Piazza Erbe non poteva avere uno sfondo più fastoso ed elegante di palazzo Maffei.
E fu esattamente trecent'anni fa, nel 1668, che i più facoltosi banchieri veronesi, i Maffei, decisero di sostituire ai vecchi edifici dei loro « Cambio », una unica grande e sontuosa costruzione « su disegno venuto da Roma» come ci assicura il famoso Scipione.
La più curiosa particolarità del palazzo è costituita dall'alta balaustrata adorna di statue pagane, tutte scolpite, meno una, alla maniera barocca e che rappresentano Ercole, Giove, Venere, Mercurio, Apollo e Minerva. La prima di queste, quella immediatamente a lato della Torre del Gardello, è di uno straordinario candore, perché ricavata in blocco di marmo pario, pietra notoriamente pregiata e rinvenuta gettando le fondamenta della costruzione la quale - come già accennammo - sorse su ruderi di preesistenti monumenti romani.
L'Ercole evirato di Palazzo Maffei
Ma a proposito di questo pittoresco Ercole veronese correvano, fino a tutto lo scorso secolo, curiose e piccanti storielle. Le autorità anzi, pensarono - bene o male che fosse - mutilare l'Ercole stesso di una sua vistosa parte anatomica la quale soprattutto era tema salace e spregiudicato dell'erbivendole montebaldine. Prima azione ... moralizzatrice inutilmente tentata assai più tardi con ... i cavalli non meno famosi del ponte della Vittoria!
Ma ecco come proprio il Maffei, mirando la piazza stupenda da uno dei balconi del suo palazzo, nel 1732, descrive le merci prelibate al turista che - di buon mattino - si reca a zonzo tra i « casoti » non ancora allietati dai pittoreschi ombrelloni bianchi, ma pur tanto allietati dalla frutta più succosa e dalla verdura più rugiadosa:
« ... gioconda veduta gli si presenterà tale da non potersi per avventura di leggeri sperare altrove. I nostri persici (detti pesche dai fiorentini) sono famosi dappertutto, e ricercati da lontane parti, e di varie specie: ma il sapore e dolcezza di tutte le frutta, quando siano mature, è tanto particolare che le regioni più calde dell'Italia, nonché gli altri paesi, troverebbero da invidiare: singolarmente fichi rari, melloni (poponi dei toscani), fraghe, marostiche, verdacchi, pomi di varie specie, asparagi, carciofi di strana grandezza, marroni, tartufi d'eccellente odore, ed altre molte. Più specie abbiamo ancora, e quali altrove non si vedono, come olive da mangiare, delle quali fin Parigi annualmente si provvede ... le pere di madama e la delicata uva garganica e la marzemina, che non è altrove sì dolce, e che senza dubbio è la nerissima che si soleva conservare fin dai tempi di Catullo! ».
Circa quarant'anni più tardi anche il non meno noto poeta e filosofo tedesco Volfango Goethe visitando la piazza dirà:
« Nei giorni di mercato, specie verso le ore avanti il meriggio, la folla sulla piazza è grandissima, e l'occhio si può rallegrare alla vita di vere montagne di frutta e di legumi. Tutti gridano, cantano e scherzano per tutta la giornata: si spingono, si urtano, fanno strepito e ridono continuamente. Il clima temperato e il tenue prezzo delle derrate rendono la vita facile; e tutto ciò succede all'aria libera ».
Oggi il « tenue prezzo delle derrate» è un sogno e tutto vi è - purtroppo! - caro quanto a quei tempi le « naranze ».
Infatti, gli aranci - secondo le cronache del tempo - erano una rarità e la ragione di questo fatto curioso è appunto da ricercarsi nella scarsità e difficoltà delle comunicazioni che la nostra regione aveva con l’Italia meridionale, specie con la Sicilia che (non conoscendo ancora la concorrenza ... americana!) era la produttrice maggiore di questo caratteristico prodotto italiano.
Fonte: srs di Giovanni Solinas da “Piazza delle Erbe” a cura della Commissione Turistica ACI (fine millennio)
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