domenica 6 dicembre 2015

STORIA VENETA - 116: 1645 - IL DRAMMA FAMILIARE DI UN MILITARE VENEZIANO. A CANDIA NON C’E’ SCAMPO!


Dal testo di Francesco Zanotto


"Al primo assalire che fecero i Turchi di quel forte, per lo sterminato lor numero, non potè resistere il Giuliani; per cui osservando egli irrompere da tutte parti l'abborrito nemico, pensò sottrarsi, con atto magnanimo, alla servitù miserabile che lo attendeva; dare uno splendido esempio da imitare a' suoi compagni in quella guerra; e quindi rapidamente scendendo nella conserva della polvere di sua mano vi diede fuoco, facendo saltare in aria sè, la propria moglie, i figliuoli suoi, la fortezza e gli assalitori ad un tempo, sacrando per cotal guisa sull' altar della patria primo il suo sangue a testimoniar la sua fede ... ".


ANNO 1645


Giuseppe Gatteri
  

Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.


Nel giugno del 1645 i turchi mettono piede nell'isola, veneziana dal 1211 e conquistano il forte di S. Teodoro. Il suo comandante Biagio Giuliani si sacrifica con tutta la famiglia ...


LA SCHEDA STORICA


Nel  1645 Venezia era ancora in guerra con i turchi nella disperata difesa degli ultimi residui di quello che era stato il suo impero marittimo.  
La ripresa delle ostilità, dovuta principalmente alla sciagurata azione di pirateria dei Cavalieri di Malta, trovava ancora una volta un'Europa distratta e ben poco disponibile ad un ulteriore impegno bellico contro gli Ottomani.
A Venezia intanto l'atmosfera andava surriscaldando. Fremevano i preparativi per la nuova flotta da guerra, un impegno al quale l'intera popolazione era chiamata a partecipare.
I turchi avevano nel frattempo messo piede a Creta, ma la flotta cristiana fu costretta per ben due volte a rinunciare al tentativo di sbarco nell'isola. Alle sfavorevoli condizioni atmosferiche si aggiunsero anche le ritrosie degli uomini. Le 5 navi pontificie infatti, al comando di Niccolò Ludovisi, vista la situazione, non trovarono di meglio che fare dietro-front e abbandonare l'impresa. Venezia doveva contare ancora una volta solo sulle sue forze.
E così ogni giorno, praticamente, partivano dalla laguna le navi con i preziosi carichi di rifornimenti e munizioni dirette a Candia, anche se non solo a quest'ultima era diretta l'attenzione del governo ducale. Nella loro avanzata infatti i turchi potevano minacciare  anche Corfù e la Dalmazia dove vennero inviati preventivamente dei rinforzi.  
Malgrado i ferventi preparativi per lo scontro cruciale, mancava però alla flotta veneziana un uomo-guida, un comandante dal carisma e dalle capacità indiscutibili, sia umane che militari.


Senza guida, senza carisma, senza una strategia ...


Diversamente che per il passato, mancava insomma l'uomo chiave per affrontare al meglio la delicata  situazione. Il  Senato alla fine fu costretto ad affidare il gravoso compito all'ottantenne doge Francesco Erizzo. Questi, pur malfermo di salute e malgrado la veneranda età, accettò l'incarico in uno scatto d'orgoglio e d'amor patrio. Fu anche però la sua ultima generosa azione per il "suo" stato. Il 3 gennaio del 1646 infatti scendeva nella tomba.
Il  suo cuore, solo il suo cuore che si era dimostrato così generoso nell'estremo momento, venne tumulato sotto il pavimento della Basilica di S. Marco, a destra dell'Altar Maggiore.
Venezia così si trovava senza una valida ed esperta guida proprio in uno dei suoi momenti critici.
Il nuovo doge, Francesco Molin, infermo per problemi di gotta, lanciò a quel punto un disperato appello a tutti gli stati, dall'Inghilterra alla Danimarca, dalla Svezia alla Francia fino a raggiungere la Polonia e perfino la lontana Persia che, sebbene islamica, era ugualmente minacciata dall'avanzata turca. Nessuno rispose.
La Serenissima doveva organizzarsi da sola e al più presto.
Come prima cosa si doveva assolutamente arginare l'avanzata turca nell'isola. Lì, c'era poi da rinforzare nel contempo gli altri punti fortificati dove organizzare poi gli uomini per tentare la cacciata dei turchi dalla Canea.
Qualcosa tuttavia non funzionò e questa volta per colpa dei soli veneziani.
Girolamo Morosini, comandante della flotta inviata quale soccorso a quella di stanza a Candia, fece del suo meglio per preparare gli uomini mentre Tommaso Morosini, con le sue navi, bloccava la via dei rifornimenti ai turchi lungo lo stretto dei Dardanelli. Ma lo sbarramento resse ben poco e venne infine facilmente superato dal nemico che riuscì anche a raggiungere indisturbato l'arcipelago della Canea e penetrare nel porto medesimo.
La Serenissima aveva inviato intanto al Provveditore Generale Andrea Corner un esercito di 2.000 uomini oltre naturalmente a navi, tecnici militari e rifornimenti. Venne promessa anche una seconda flotta che però non arrivò mai a destinazione. Forse se anche questa seconda flotta fosse arrivata in tempo come preventivato, la Canea non sarebbe caduta così facilmente in mano nemica. Ma questo secondo troncone di navi, all'ultimo momento, dovette attraccare a Zante con l'ordine di attendere lì anche le altre 25 navi cristiane inviate da Malta, Papato e Regno di Napoli.
Tutti sembravano ignorare - fuorchè Venezia, naturalmente -, che le sorti dell'area dipendevano invece proprio' dalla celerità degli interventi, cosa che puntualmente mancò.
Penetrati così nell'arcipelago il 24 giugno, i turchi conquistarono poco a poco anche l'isola fortezza di S. Teodoro. Anche se qui ad attenderli c'era un'imprevista sorpresa.
Il comandante veneziano del forte infatti, Biagio Zuliani, con i suoi ultimi uomini, solo 75, non aveva nessuna intenzione di cedere senza prima aver fatto pagare un caro prezzo al nemico. Resosi presto conto di non poter più resistere ad un nemico superiore negli effettivi di terra e nelle armi da fuoco, Biagio Zuliani prese così la sua estrema decisione. Aveva solo due possibilità: o morire barbaramente per mano nemica, e con lui i suoi fedeli compagni, o morire dando un esempio altissimo di eroismo.
Il comandante non aveva dubbi, scelse la seconda via. Scese rapidamente nei sotterranei del forte dove venivano custodite le munizioni. Lo accompagnavano la moglie e i figlioli. A quel punto appiccò fuoco ad una miccia e nel giro di pochi istanti il forte si trasformò in una micidiale, gigantesca bomba. La spaventosa esplosione travolse e spezzò la vita non solo di Biagio Zuliani e dei suoi uomini, ma anche quella di numerosi soldati turchi penetrati nel forte che divenne una trappola mortale.
Altissimo ed eroico sacrificio quello dello Zuliani, ma del tutto inutile agli effetti pratici dal momento che il forte e l'isoletta vennero infine conquistati ugualmente mentre al resto della guarnigione fu consentito di raggiungere incolume Suda, ancora veneziana, anche se non per molto ...


Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,  volume  4,  SCRIPTA EDIZIONI



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