domenica 25 gennaio 2015

SCUOLA PUBBLICA, LA MACCHINA PER FABBRICARE MANSUETI ELETTORI




di DENIS DE ROUGEMONT

Io credo all’assurdità di fatto dell’istruzione pubblica. Credo anche che non si possa riformare l’assurdo. Chiedo soltanto che mi si spieghi perché trionfa e perpetua; con quale diritto ci schiaccia.

La risposta è semplice, terribilmente semplice: con il diritto della Democrazia.

L’istruzione pubblica e la Democrazia sono sorelle siamesi. Sono nate contemporaneamente. Sono cresciute e si sono abbellite all’interno di uno stesso movimento. Redarguire l’una significa far piangere l’altra. Ascoltare ciò che dice l’una significa sapere che cosa pensa l’altra. Esse non moriranno che insieme. Non vi sarà che un’orazione. Laica.

Voglio che non mi si contesti questa tesi. Essa è glorificata in tutti i banchetti ufficiali da oratori commossi e ci vorrebbe una solenne ipocrisia a fingere di non riconoscerla, una volta dissipato il fumo dei civet, dei sigari e delle ideologie inebriate. D’altronde, questa idea che ho l’onore di dividere con i miei avversari corrisponde a fatti semplici e evidenti; sarebbe veramente un peccato privare questi Signori di un colpo fortunato così raro.

Un semplice dato di fatto, ad esempio, è che senza l’istruzione pubblica la Democrazia è praticamente irrealizzabile. Qui, domanderei sommessamente al lettore di non voler fare troppo lo stupido, altrimenti mi vedrò costretto a spiegargli un certo numero di verità talmente evidenti che questo non succederebbe senza qualche indecenza. Innanzitutto, bisogna saper leggere, scrivere e far di conto per seguire la campagna elettorale, votare e truccare legalmente i voti. Poi occorrono un po’ di storia ed educazione civica per sapere con che cosa tutto questo s’accorda. Ci vuole inoltre una severa disciplina dell’infanzia per modellare contribuenti inoffensivi. È infine necessario un numero considerevole di lezioni, e per il maggior tempo possibile, affinché non si abbia il tempo di rendersi conto che tutto questo è assurdo.          

Affinché non si abbia il tempo di ascoltare la natura che ripete con tutte le sue voci, in un miliardo di modi, che è assurdo.

Affinché non si abbia il tempo di scoprire la Libertà, perché colui che ha abbracciato una fede, una sola volta, sa bene che tutto il resto è assurdo.

Questo per quanto riguarda le sorelle siamesi. Continuiamo. La democrazia deve alla Scuola il fatto di essere ancora in vita. Ma da parte della nostra Istitutrice non è che una resa. Perché nel mondo là fuori “tutto si paga”, come dicono con una soddisfazione sordida e mal dissimulata. Certo, non pretendo di sostenere che i creatori dell’istruzione pubblica abbiano avuto piena coscienza di ciò che facevano – e dunque li scuso. Dico semplicemente questo: la loro opera non è stata possibile se non perché era legata agli interessi della democrazia. Perché bisogna tenere ben presente che essa non era ancora, nel XVIII secolo, che un’utopia di partigiani. Non sarebbe molto più folle, al giorno d’oggi, proporre di diffondere universalmente l’arte del saxofono o della balalaika. State certi che non manca a questa bizzarria, per prendere corpo, che l’appoggio interessato di un raggruppamento politico-finanziario. E vi sarebbero ben presto deputati pronti a celebrare i benefici sociali, ma che dico, il valore altamente moralizzatore di questi striduli strumenti.




D’altronde questa complicità, così evidente alle origini dell’istituzione, si manifesta ancora ai nostri giorni, e in un modo non meno flagrante, nelle sue normali conseguenze. Non mi serve altra prova sulle condizioni grottescamente arretrate del nostro strumento di progresso per eccellenza. Sì, perché non vi è che una spiegazione verosimile di questa incuria: la scuola, nella sua forma attuale, adempie sufficientemente al suo ruolo politico e sociale, che è quello di fabbricare elettori (se possibile estremisti, in ogni caso democratici). Mi ricordo di un disegno umoristico pubblicato nel 1914, che rappresentava la macchina di Kitchener: un apparecchio che assorbiva gentleman e restituiva soldati inglesi. La macchina scolastica divora bambini vivi e restituisce cittadini dallo sguardo torvo. Durante l’operazione, tutti i cranî sono stati privati del cervello e dotati di un piccolo meccanismo da quattro soldi, ormai sufficiente a regolare l’automatismo della vita civica. Il cervello standard di tipo federale non fa temere alcun imprevisto nel suo funzionamento. Questo inestimabile vantaggio rispetto al cervello naturale spiega come le autorità competenti non abbiano avuto alcuna esitazione ad adottarlo, malgrado i suoi fallimenti assai frequenti. Ora vi domando: quale interesse ci sarebbe nel perfezionare lo strumento, nell’adattarlo alle peculiarità psicologiche, ovvero ai bisogni puramente sentimentali che possono manifestarsi nei bambini? Sarebbe l’art pour l’art. Non si può chiedere tanto al governo. La riforma scolastica, politicamente, non è redditizia.

È evidente che se il fine principale dell’istruzione pubblica fosse quello di educare il popolo in modo disinteressato, i governi sarebbero un poco più folli di quanto si osi immaginare per intraprendere immediatamente un’autentica rivoluzione scolastica: perché c’è proprio bisogno di una rivoluzione affinché la scuola si riadegui ai tempi… Ma i governi sanno quel che fanno.

Tutto si tiene, come dite voialtri, sicuramente per togliermi la voglia di urtare alcunché. Cascate male, dato che amo i terremoti.

Appartengo a quella categoria di persone che confidano nella propria sensibilità piuttosto che nelle idee altrui. Ora, è una rivolta della mia sensibilità che mi aizza contro la scuola. I miei argomenti non si mettono in moto che a cose fatte. E quando li aveste demoliti tutti, la mia rabbia non sarebbe meno legittima. Le do ragione per definizione.
Dopo tutto, m’importa poco delle ideologie politiche, e poco mi importerebbe che la Scuola sia una macchina per fabbricare la democrazia – se in questa avventura non sentissi minacciati valori dell’anima a cui tengo più di ogni altra cosa. Il mio odio per la democrazia è il risultato dell’evoluzione di cui ho descritto il percorso necessario. Non si mancherà di insinuare che all’origine di tutto questo c’è soprattutto animosità, piccoli dolori di giovane borghese. Cercate di venirmi a dire questo, vero, miei agnelli. È proprio nella misura in cui partecipavo dello scoraggiante ottimismo borghese che mi adattavo ad un regime nocivo per tutto ciò che vi è di autenticamente nobile in ciascun uomo. Se i figli del popolo soffrono meno di un tale regime, è perché non ne hanno di per sé una conoscenza così sensibile. Ma aspettate, se qualcuno si risvegliasse… Basta un poco di calore di spirito per iniziare il disgelo di questi principi, e potrebbe essere il segnale del grande disgelo di primavera. Non vi è autentica rivoluzione che non sia della sensibilità. (Il giorno in cui si faranno cadere questi Signori dalle loro sedie, comprenderanno il senso dell’immagine).





Fonte: visto su MIGLIOVERDE del  23 gennaio 2014


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