mercoledì 14 gennaio 2015

MARIA GIULIA SERGIO, ALIAS FATIMA: "GRAZIE AL CORANO HO CAPITO COSA VUOL DIRE SENTIRSI UNA DONNA". INCONTRO CON LADY JIHAD




Micol Sarfatti

“Sono felice di poter parlare dell’Islam con una coetanea interessata. È bello condividere quello che riempie la mia vita”. Cinque anni fa, Maria Giulia Sergio, alias Fatma Az Zahara mi accolse così. Maria Giulia è colei che è stata ribattezzata Lady Jihad.
Oggi risulta tra gli italiani foreign fighters che sarebbero partiti per unirsi all’Isis L’ho riconosciuta dopo la pubblicazione di una sua foto a volto scoperto. La incontrai l’11 aprile del 2010. Frequentavo il Master di Giornalismo dell’Università degli Studi di Milano e per il giornale del corso stavo lavorando a un servizio sulle donne cattoliche che si convertono all’Islam.

Presi un appuntamento con l’imam della moschea di Segrate, alle porte di Milano. Mi ricevette in una domenica di sole, mi diede qualche dato sulle conversioni femminili e poi mi accompagnò in una sala dove alcune donne stavano leggendo il Corano. Spiegò loro, in arabo, chi ero e perché ero lì e chiese se qualcuna fosse interessata a raccontarmi la sua storia. Tutte scossero il capo, solo una si fece avanti. Era una ragazza sorridente, il viso pieno, occhi castani vispi con poco trucco. Indossava un velo azzurro, un trench nero, dei mocassini, come annotai sul mio taccuino.

“Ciao sono Maria Giulia, anzi Fatima”, disse tendendomi la mano. Lei aveva 22 anni, io 26. La vicinanza di età creò subito empatia. Maria Giulia-Fatima viveva a Inzago, un comune di 10.000 abitanti nell’hinterland milanese. Si era trasferita lì da qualche anno, prima viveva in provincia di Napoli. “Non voglio parlare di conversione- precisò subito- piuttosto di reversione. È come stato come ritrovare una strada persa. Per me l’Islam è un percorso intimo e personale".

"È come se avessi avuto una chiamata, Dio mi ha dato qualche cosa da dentro”. Raccontò di essere rimasta folgorata da un servizio al telegiornale su La Mecca. Da lì aveva cominciato a studiare libri sull’Islam. “Leggendo il Corano mi batteva forte il cuore, ho indossato il velo–raccontava-qualche amico della piazza di Inzago mi prende in giro, dicono che metto il Burqa, non capiscono niente”. Mi disse di aver fatto da sola la prima Shahāda, la testimonianza con cui i musulmani in unico Dio e nella missione profetica di Maometto, poi aveva iniziato seriamente a frequentare la moschea, non precisò quale, e il 29 settembre 2009 aveva fatto la Shahāda ufficiale, davanti all’Imam.

L’idea della conversione per folgorazione non mi convinceva. Le chiesi qualche cosa di più. Mi parlò di “amore” generico, di essere poi stata guidata nel suo percorso, ma, nonostante la mia insistenza, restò vaga. Aveva avuto una formazione “molto cattolica” e inizialmente i genitori avevano osteggiato la sua scelta “Tutta colpa dei media che distorcono la percezione dell’Islam. Il nostro è un messaggio d’amore. Non è stato facile all’inizio, ho pensato di andarmene via dall’Italia. Poi mamma ha capito la bellezza di questa religione e si è convertita, sta per farlo anche mia sorella”. Oggi tutta la famiglia Sergio è musulmana. Maria Giulia studiava medicina, voleva diventare neurochirurgo. Per mantenersi agli studi aveva cercato un lavoretto, ma in tanti non l’avevano voluta assumere per via del velo. Aveva trovato un posto da segretaria, ma raccontava che il capo aveva tentato di strapparle lo Hijab. Alla fine era stata presa in un call center e lì si trovava bene.

I colleghi e i compagni di università continuavano a chiamarla Giulia, le facevano “tante domande” e persino i professori “erano incuriositi”. Non negava che la sua vita fosse cambiata. “Ora non ci sono più trasgressioni, feste, discoteche. Ma non mi manca nulla, anzi, ho qualcosa che prima non avevo e sono più consapevole.
La religione musulmana rende liberi dal dominio dell’uomo sull’uomo. È un antidoto al mondo di oggi, voi ormai siete schiavizzati dalla società”. Le chiesi se aveva gli stessi amici .“Qualcuno sì, qualcuno no-rispose-Non tutti capiscono”. Ai tempo a Milano c’era grande dibattito sull’integrazione per via della contestata moschea di Viale Jenner e della scuola islamica di via Quaranta. Gliene chiesi conto e si affrettò a prenderne le distanze “Credo nel dialogo e nella comunicazione, se vuoi che gli altri ti seguano devi mostrarti in maniera positiva”.

Ricordo che verso la fine della chiacchierata si interruppe e mi guardò attentamente, quasi squadrandomi. “Mi fa piacere, tu sei vestita in modo serio. Certe ragazze oggi si conciano come prostitute. Forse perché hanno delle vite vuote. Io, grazie al Corano, mi sento importante e ho capito cosa vuol dire sentirsi davvero una donna”.

Mi chiese se volevo fermarmi per il corso. Declinai l’invito perché avevo altri appuntamenti per il mio servizio. Le chiesi se potevo farle una foto, precisando anche che il giornale veniva stampato ma era ad uso interno del Master. Mi rispose che comunque preferiva di no. Mi lasciò però l’indirizzo mail. Il suo nickname era come quello di tante ventenni con l’anno di nascita e le y al posto delle i, c’era anche la parola muslima. Le chiesi se aveva anche un blog, così avrei potuto seguirla. Si irrigidì “Non mi piacciono quelle cose. La comunicazione è faccia a faccia”.

Ci salutammo con grandi sorrisi sulla porta della Moschea. L’incontro era stato lungo e per me molto interessante, la ringraziai del tempo dedicatomi. Notai che con sguardo sognante guardava un quadretto de La Mecca. “Vorrei tanto vederla”. Le dissi che non c’ero stata nemmeno io, ma avevo fatto diversi viaggi in Medio Oriente ed erano effettivamente luoghi molti belli. “Che fortuna-rispose-voglio andarci presto anche io. È il mio sogno”.


Fonte: visto su  http://www.huffingtonpost.it del  13 gennaio 2015


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