La benemerita collana italiana di “Sources Chrétiennes”
(vedi in questo post
la notizia del lancio) ha pubblicato la settima discussione tra l’imperatore
bizantino Manuele II Paleologo e un dotto musulmano di Persia: testo divenuto
famoso perché citato da Benedetto XVI nella sua lezione
di Ratisbona del 12 settembre 2006.
Nel brano riprodotto qui sotto trovi l’insieme del
ragionamento dell’imperatore bizantino dal quale il papa ha tratto le sue brevi
citazioni. In breve: quello che di buono c’è nella Legge musulmana Maometto
l’ha preso, prima ancora che da Mosé, da Abramo; così facendo non ha quindi
stabilito nulla di nuovo; ciò che invece Maometto ha introdotto di nuovo nella
Legge musulmana non è buono, in particolare l’uso della spada nel propagare la
fede; e non solo non è buono, è anche irrazionale e quindi “estraneo a Dio”.
La traduzione italiana, che nel volume ha l’originale greco
a fronte, è di Federica Artioli. Nel testo qui riportato c’è una nota a piè di
pagina, anch’essa citata dal papa a Ratisbona: la nota è del curatore originale
della pubblicazione, uscita in Francia nel 1966, l’islamologo Théodore Khoury.
Ecco dunque cosa dice Manuele II Paleologo al persiano, nei
punti 2c-3d della settima discussione:
“Ciò che impedisce che
la tua Legge sia detta propriamente Legge e che colui che l’ha stabilita sia
annoverato tra i legislatori, è il fatto che gli articoli più validi di questa
nuova Legge sono ancora più antichi della stessa Legge di Mosè. Per la loro
origine occorre risalire lontano nel tempo, non è Maometto che li ha stabiliti.
“Infatti, prescrizioni
come il distogliersi dall’inganno degli idoli, fuggire il politeismo, credere
all’unico Dio Creatore, ricevere la circoncisione quale segno di fede, e
quant’altro di simile, le ha stabilite Abramo senza scriverle, poi Mosè le ha consegnate
per iscritto, aggiungendovi ciò che Dio aveva ordinato a lui tramite oracoli.
Sicché questa Legge più recente, dipendendo dall’antica, riceve da essa, è
evidente, i fondamenti e i principi, non viceversa: infatti, come potrebbe ciò
che è più antico provenire da ciò che è più recente? Ora, quanta preminenza
derivi da questo fatto non ha bisogno di parole per dimostrarlo. Ma perché
parlare dei fondamenti e dei principi, quando anche ciò che sembra più
perfetto, e tutto ciò che si direbbe costituisca la tua Legge, ha
manifestamente ricevuto dall’antica, al punto che non vi si trova nulla di
nuovo, ma le stesse cose vi sono ripetute, o meglio, vi si trovano
impudententemente depredate?
“Mostrami infatti se
da Maometto sia stato istituito qualcosa di nuovo: non vi troverai altro che
decreti peggiori e disumani, come egli fa quando stabilisce di far progredire
tramite la spada la fede che egli predicava.
“Ma credo occorra
spiegare più chiaramente. Di tre fatti, doveva verificarsene per forza uno: o
gli uomini di tutta la terra si accostavano alla Legge, o pagavano tributi e in
qualche modo erano ridotti a schiavi, oppure, se niente di questo accadeva,
venivano senza riguardi recisi dal ferro.
“Ma questo è del tutto
assurdo. Perché? Perché Dio non può rallegrarsi del sangue, e agire senza
ragione è estraneo a Dio [1]. Mentre
ciò che tu dici oltrepassa, o quasi, i limiti dell’irrazionale. Prima di tutto,
infatti, come non sarà del tutto assurdo che quanti offrono denaro acquistino
la possibilità di vivere una vita cattiva e contraria alla Legge?
“Inoltre, la fede è
frutto dell’anima, non del corpo, e a chi vuole indurre alla fede è necessaria
lingua eloquente e mente retta, non violenza né minaccia, né alcunché capace di
ferire o intimorire. Poiché, mentre è necessaria la costrizione per una natura
irrazionale, e non si può usare la persuasione, invece l’anima razionale la si
persuade senza bisogno né di forza, né di flagelli, né di altro che minacci
morte.
“Non si può dunque
pretendere di fare il male, però contro la propria volontà, solo perché è un
comando di Dio. Poiché se fosse buona cosa irrompere con la spada contro tutti
quelli che sono del tutto non credenti, e questa fosse una legge di Dio discesa
dal cielo, come sosteneva Maometto, allora bisognerebbe uccidere tutti quelli
che non accedono a questa Legge e a questa predicazione”.
[1] Per un
bizantino, nutrito di filosofia greca, questo principio è evidente. Per la
dottrina musulmana, Dio è assolutamente trascendente, la sua volontà non è
legata da nessuna delle nostre categorie, nemmeno da quella del ragionevole. “Ibn Hazm arriverà fino a sostenere che Dio
non è legato nemmeno alla sua parola, e che niente l’obbliga a rivelarci la
verità: se lo volesse, l’uomo dovrebbe essere idolatra” (R. Arnaldez,
“Grammaire et théologie chez Ibn Hazm de Cordoue”, Paris 1956, p. 13).
Fin qui la citazione.
Quanto alla traduzione della frase che, ripresa dal papa a
Ratisbona, ha scatenato polemiche e violenze, vedi ancora, in questo post,
le osservazioni di Silvio Barbaglia.
Fonte: visto su L’ESPRESSO BLOG, del 25
aprile 2007
Link: http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2007/04/25/manuele-ii-paleologo-al-musulmano-che-cosa-gli-ha-detto-per-davvero/
SANTITÀ, IL PALEOLOGO
DICEVA DI MAOMETTO UN’ALTRA COSA…
Domanda tutt’altro che oziosa: l’imperatore bizantino
Manuele II Paleologo ha detto davvero quella frase che – citata da Benedetto
XVI a Ratisbona
– ha fatto da miccia all’incendio che si sa?
Ricapitoliamo. Questa è la frase così come il papa l’ha
riportata nella sua lezione, in tedesco:
“Zeig mir doch, was Mohammed Neues gebracht hat, und da
wirst du nur Schlechtes und Inhumanes finden wie dies, daß er vorgeschrieben
hat, den Glauben, den er predigte, durch das Schwert zu verbreiten”.
Nella versione italiana ufficiale diffusa dal Vaticano la
frase suona così:
“Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi
troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di
diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava”.
Entrambe le versioni, sia la tedesca che l’italiana,
ricalcano quella di Théodore Khoury, il curatore francese dei dialoghi di
Manuele II Paleologo con un dotto musulmano di Persia, pubblicati nella
collezione “Sources Chrétiennes”:
“Car montre-moi que Mahomet ait rien institué de neuf: tu ne
trouverais rien que de mauvais et d’inhumain, tel ce qu’il statue en décrétant
de faire progresser par l’épée la croyance qu’il prêchait”.
Il guaio è che l’originale greco della frase di Manuele II
Paleologo non dice esattamente così.
È quanto ha notato don Silvio Barbaglia, biblista della diocesi
di Novara. Il quale ha pensato bene di recapitare a Benedetto XVI una lettera
per avvertirlo dell’imprecisione.
Nella lettera don Barbaglia scrive tra l’altro:
“Santità, ritengo che vada segnalata una traduzione errata
dal testo greco in francese ad opera di Théodore Khoury e, conseguentemente, in
tutte le altre lingue moderne.
“Dal contesto che precede la frase in oggetto si evince che
Manuele II Paleologo stia procedendo entro una logica di confronto tra la Legge
di Mosè e Maometto: quest’ultimo difeso dal persiano come profeta e nuovo
legislatore, con una pretesa di ‘novità’ rispetto all’ebraismo e al
cristianesimo. Ovvero, ci troviamo nella tipica disputa per cogliere quale sia
la religione superiore, culmine della rivelazione dell’unico Dio.
“Se tale è il contesto, allora la traduzione dell’aggettivo
greco ‘cheiron’ – tradotto in francese da Khoury con ‘mauvais’, in tedesco con
‘Schlechtes’ e in italiano con ‘cose cattive’ – non è corretta. Osservando la
lingua greca questo è un aggettivo comparativo di ‘kakos’, ovvero si colloca in
una comparazione logica tra un insieme e un altro. Per questo, è certamente più
adeguata una traduzione che dia il senso di ‘peggiore di’ oppure di ‘minore
di’. Dire che Maometto ‘ha portato soltanto delle cose cattive e disumane’
significa fare un’affermazione assoluta, cioè slegata da ogni comparazione,
mentre qui il problema è esattamente quello di comprendere il rapporto tra
ebraismo, cristianesimo e islam. La tesi del Paleologo sarebbe quella secondo
cui Maometto non avrebbe portato nulla di nuovo rispetto a ciò che c’era e le
‘novità’ pretese dal persiano non erano che peggioramenti se paragonati a
quelli originari di Mosè e di Cristo.
“Inoltre, il secondo aggettivo ‘apanthropotaton’ appare in
una forma di superlativo che a sua volta può essere inteso come assoluto o come
relativo. Essendo in un contesto di comparazione andrebbe accolta la forma del
superlativo relativo. Il termine fa pensare a un ‘allontanamento’ (‘apo’) da
una immagine di uomo (‘anthropos’), quindi a un’azione ‘disumanizzante’ quale è
la violenza per imporre la fede: la cosa ‘più disumanizzante’ di tutte.
“Dunque la frase potrebbe essere tradotta così:
“‘Mostrami infatti quale novità è stata istituita da lui
(Maometto), ma non vi troverai se non cose peggiori e le più disumanizzanti,
come l’avere comandato di diffondere, per mezzo della spada, la fede che egli
predicava’.
“Credo che così impostata la traduzione renda maggior
ragione del pensiero di Manuele II Paleologo”.
Fonte: Visto su L’Espresso Blog del 6
dicembre 2013
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