Una chimera pensare
che la religione di Allah è pluralismo possono coesistere: il cristianesimo
invece contiene una straordinaria apertura alla laicità
Quanti sono anche da noi quelli che osannarono le cosiddette
“primavere arabe” (la quasi totalità dei giornali) e pure quelli che hanno
alimentato illusioni sui “Fratelli musulmani”. Ma nessuno farà autocritica.
E come al solito, anche in Egitto, in questi giorni, sono i
cristiani che fanno le spese dello scontro. Pure se non c’entrano nulla, perché
questa guerra sanguinosa è fra islamici: da una parte i Fratelli musulmani e
dall’altra l’esercito di Al-Sisi, anch’egli musulmano convinto.
Decine e decine di chiese profanate, conventi e ospedali
cristiani bruciati… Troppo spesso i cristiani sono capri espiatori di violenti
scontri di potere altrui.
Del resto pure nell’Occidente che si vuole liberale spesso
il discorso pubblico ama criminalizzare a vanvera la Chiesa e i cristiani
facendoli bersaglio di disprezzo pregiudiziale e di una certa intolleranza.
“Capri espiatori”, si diceva, nel senso spiegato dal grande
filosofo René Girard: cioè come l’ “agnello sacrificale” per eccellenza, Gesù
Cristo. La Vittima che mette d’accordo i diversi poteri mondani.
L’ESEMPIO TURCO
Un altro Girard, quasi omonimo del filosofo (si chiama di
nome Renaud), ieri è stato intervistato dal “Corriere della sera” sulla tragedia
egiziana.
Renaud Girard per
anni è stato inviato di guerra del “Figaro”, poi saggista, autore di libri
importanti sulle guerre mediorentali, ha spiegato: “non esiste alcun problema di incompatibilità della democrazia con il
mondo arabo. Ma esiste invece, eccome, con l’Islam”.
E ha fatto l’esempio di paesi non arabi, però islamici come
il Pakistan o l’Iran dove infatti la democrazia e il rispetto dei diritti umani
sono chimere. Oppure c’è il caso della Turchia di Erdogan che “è rimasto profondamente intollerante con chi
non la pensa come lui” e, con le recenti repressioni di piazza Taksim, ha
mostrato quanto è stato “ridicolo” averlo paragonato, in Occidente, “a statisti
e cristiano-democratici del calibro di Adenauer e De Gasperi”.
Al contrario – spiega Girard – il Libano, l’unico paese
mediorentale a fortissima presenza cristiana, mostra come si può “coabitare,
ascoltarsi e dibattere”.
Il motivo è semplice: “Perché
non esiste nella civilizzazione musulmana una separazione fra la sfera
religiosa e la sfera politica. Non c’è mai stata, dal VII secolo in poi, quella
separazione fra potere religioso e potere politico che invece è alla base della
civiltà occidentale. E fin dal principio del Cristianesimo”.
Girard richiama qui le fondamentali parole di Gesù nel Vangelo:
“Date a Cesare quel che è di Cesare e a
Dio quel che è di Dio”.
In effetti qui si tocca un tema che è stato uno degli
insegnamenti più formidabili di Joseph
Ratzinger: la demolizione della cosiddetta teologia politica.
Il mondo non si è reso conto della voce provvidenziale che
quest’uomo ha rappresentato per il nostro tempo. E non lo ha ascoltato.
Perdendo una grande opportunità.
LEZIONE RATZINGER
In una sua famosa pagina Ratzinger scriveva: “Il cristianesimo, in contrasto con le sue
deformazioni, non ha fissato il messianismo nel politico. Si è sempre invece
impegnato, fin dall’inizio, a lasciare il politico nella sfera della
razionalità e dell’etica. Ha insegnato l’accettazione dell’imperfetto e l’ha
resa possibile. In altri termini il Nuovo Testamento conosce un ethos politico,
ma nessuna teologia politica”.
E’ appunto “Critica della teologia politica”, il recente
libro di Massimo Borghesi (il
maggiore intellettuale cattolico del nostro Paese), che spiega, con dovizia di
ragioni e sorprendenti intuizioni, questa caratteristica originaria del
cristianesimo, tanto ricca di conseguenze per l’Occidente e così genialmente
illustrata, nei tempi moderni, da Ratzinger.
“Nel teologo Ratzinger
la lettura ‘liberale’ di sant’Agostino, mediata da Peterson” – scrive
Borghesi – “consente il dialogo con la
modernità, un dialogo il cui frutto più maturo, secondo il Papa, è il Concilio
Vaticano II, vera sintesi tra cattolicesimo e libertà moderne”.
DA RADISBONA IN POI
Borghesi mostra che Ratzinger spesso è stato radicalmente
frainteso. Il caso più clamoroso è quello del celebre discorso di Ratisbona che
i media rilanciarono come un esplosivo invito allo scontro di civiltà e di
religioni.
Invece era esattamente il contrario: voleva stabilire per
tutti (anche per i cristiani e per i laici occidentali) i confini fra momento
teologico e cose della politica, riconoscendo alla ragione – anziché alla forza
e al potere – il metodo di comunicazione fra i due campi e fra le diverse
religioni.
Ma quel Benedetto XVI che, perfetto interprete del Concilio,
fonda una vera laicità, come spiega Borghesi, è una voce che mette in crisi non
solo i cristiani (chiamandoli a una revisione autocritica di certe deformazioni
del passato), non solo i musulmani (esortandoli a riconoscere la ragione cioè
il “logos”, come degno di Dio, e non la violenza), ma anche i laici
occidentali.
Infatti con Ratzinger il pensiero cristiano che incontra il
pensiero liberale promuove il “relativismo” in politica, quindi l’accettazione
della politica come regno dell’imperfetto, esaltando la moralità del
compromesso.
E Ratzinger – con Popper – indica il rischio dei messianismi
religiosi, ma anche dei messianismi laici come sono state le ideologie
totalitarie del Novecento. E come sono anche tutte le nuove ideologie che
portano l’”assoluto” nella politica, con nefasti utopismi, con pretese
perfettiste che esigono di “raddrizzare il legno storto dell’umanità” tramite
lo Stato o di cambiare la Natura tramite la legge.
FONDAMENTALISMI
Ad aver bisogno di questa lezione di laicità che viene dalle
origini cristiane e che, in questi anni, è stata diffusa nel mondo dal grande
magistero di papa Benedetto, non sono solo i musulmani. Sono anche i cristiani
(si pensi a diverse forme di clericalismo o a certi fondamentalismi, magari di
oltreoceano e fomentati da presidenti Usa).
Ma pure a tanti laici d’occidente sarebbe necessario un
ratzingeriano bagno di vera laicità e di razionalità.
Si pensi a certi giacobinismi (anche d’oltralpe); al
manicheismo di chi vive la politica come teatro dello scontro fra Bene e Male
assoluti; alle mitologie che si creano attorno a questo o quel Capo; al
dogmatismo e al fanatismo di chi alimenta la fobia del Nemico apocalittico, ai
dottrinari che soffiano sul fuoco dell’odio o illudono la gente con speranze di
palingenesi totale (una laica redenzione messianica) e di felicità tramite la
politica.
Ancora una volta potremmo dire con Ratzinger che “il primo
servizio che la fede fa alla politica è la liberazione dell’uomo
dall’irrazionalità dei miti politici che sono il vero rischio del nostro
tempo”.
Questa è uno dei grandi compiti dei cristiani. Non solo in
Egitto.
Antonio Socci
Fonte: srs di Antonio Socci, da “Libero”, del 18 agosto 2013,
pag. 17
LA PERSECUZIONE DEI COPTI: GIÀ 49 CHIESE DATE ALLE FIAMME
La chiesa copta, la minoranza cristiana egiziana (il l 0%
circa degli 84 milioni di abitanti), appoggia il governo ad interim nella lotta
contro i gruppi armati e il terrorismo e paga questo sostegno con 49 chiese
(anche cattoliche e protestanti) date alle me o attaccate. lo riferisce il portavoce
della chiesa copta Rafic Greiche secondo il quale tutti gli edifici in qualche
modo collegati ai cristiani, scuole, monasteri, da Suez a Minya, da Sohag ad
Assuit sono stati colpiti. Il vescovo di Giza, Antonius Aziz Muna, ha denunciato a Radio Vaticanache gli autori di
questi attacchi sono Fratelli Musulmanì, legati - precisa il presule - ad al Qaeda e ad
Hamas. Per il vescovo l'obiettivo della
Fratellanza è coinvolgere «i cristiani nel conflitto con il governo e l'esercito per propagare i disordini in tutto
il Paese».
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