lunedì 26 agosto 2013

È ARRIVATO IL MOMENTO DI ROTTAMARE I SESSANTOTTINI: I DATI MOSTRANO CHE LA GENERAZIONE DEL ’68 HA AVUTO PIÙ DI TUTTE LE ALTRE SENZA LASCIARE NULLA


Dalle Okkupazioni ai posti di potere


Ad interrogarli per bene, i grafici dicono molte cose interessanti: ad esempio la figura qui sotto, tratta dall’indagine di Bankitalia sui bilanci delle famiglie italiane nel 2010, mostra come il reddito medio di coloro che hanno tra i 55 e i 64 anni è cresciuto sensibilmente di più rispetto a quello delle altre generazioni, e in particolare delle generazioni più giovani.

Reddito equivalente per classe di eta: valori medi e prezzi costanti


Un po’ di matematica spicciola ci dice che nel 2010 gli appartenenti a questa generazione fortunata sono gli italiani nati tra il 1946 e il 1955. Adesso vi mischio la statistica con la storia: chi è nato tra il 1946 e il 1955 nel fatidico 1968 delle contestazioni studentesche aveva tra i 13 e i 22 anni. Peccato che i dati storici messi insieme da Bankitalia non mostrino direttamente la porzione del PIL detenuto da questa generazione, che rappresenta all’incirca il 12% della popolazione italiana.

Le generalizzazioni sono tipicamente imprecise ma talora aiutano a individuare tendenze importanti: la generazione che occupava le università (e le scuole) per ottenere il “18 politico” (e il “6 politico”) sembra cavarsela piuttosto bene ai giorni nostri dal punto di vista del reddito, anzi sempre meglio. Per chi non lo sapesse, nel 1968 gli studenti e attivisti politici che protestavano contro l’autoritarismo e il classismo dell’università italiana per qualche mese ottennero in alcune facoltà gli esami collettivi (uno studente rispondeva alle domande del professore ottenendo un voto valido per tutto il gruppo) e il 18 politico, cioè la garanzia di un voto sufficiente per motivi politici. Non esattamente il massimo della meritocrazia, diciamocelo (detto con la voce di un noto leader del PD).

Non sono l’unico a ritenere molto dannose queste idee di egualitarismo dei punti di arrivo, in quanto uccidono sul nascere ogni spinta allo sforzo e al miglioramento individuale. Dalla lotta a fenomeni di classismo e autoritarismo all’interno della scuola e dell’università alla de-responsabilizzazione completa di chi le dovrebbe frequentare con il fine di apprendere il confine si è ahinoi dimostrato labilissimo. Datemi pure del cinico, ma credo che livelli di reddito elevato – perlomeno in società caratterizzate da un livello basso di concorrenza, cioè da alte barriere all’entrata in molti settori – sono “comprati” dal fatto di detenere posizioni di potere all’interno di questi settori.

Sono partito dai dati sul reddito, ma voglio per l’appunto andare a monte della questione, cioè soffermarmi sulla straordinaria capacità delle élite del movimento sessantottino di raggiungere velocemente posizioni di potere in ambienti che spaziano da quello accademico a quello giornalistico e quello politico. Chiaramente questa scalata delle gerarchie è avvenuta con metodi sostanzialmente diversi dalla cooptazione e/o dalla selezione intelligente: l’idea era esattamente quella di prendersi il potere per creare un “mondo migliore”. E non credo di essere molto lontano dal vero nell’affermare che il meccanismo di selezione di questa nuova élite era dato dal fatto stesso di trovarsi all’avanguardia di movimenti extraparlamentari nati a ridosso del 1968 (e fioriti negli anni ’70) come i marxisti-leninisti di Servire il Popolo, Lotta Continua e Potere Operaio.

E chi militava o guidava questi movimenti che non disprezzavano l’idea di una rivoluzione comunista in Italia? Nomi non ignoti. Tra i marxisti-leninisti militavano Aldo Brandirali, Renato Mannheimer, Antonio Pennacchi, Antonio Polito, Barbara Pollastrini, Linda Lanzillotta e Michele Santoro. Dentro Lotta Continua potevi trovare Adriano Sofri, Marco Boato, Enrico Deaglio, Paolo Liguori, Luigi Manconi, Gad Lerner, Toni Capuozzo e Giampiero Mughini. Infine, Potere Operaio annoverava tra le sue file Toni Negri, Massimo Cacciari, Francesco “Pancho” Pardi, Gaetano Pecorella, Paolo Mieli e Ritanna Armeni.

Nel novero dei militanti le fonti più facilmente accessibili naturalmente riportano i nomi di personaggi noti (chiaro esempio di selezione sistematica), ma il messaggio che si desume da queste tre liste non esaustive è che molti di questi militanti (che hanno partecipato alle proteste del ’68 e/o a quelle successive negli anni ’70) detengono a tutt’oggi importanti spicchi del potere in Italia. E non si schiodano!

Una domanda sorge spontanea, e spero che sia lo stesso per chi appartiene alle generazioni successive, cioè è nato/a negli anni ’60, ’70, ’80 e ’90: come si può chiedere di implementare la meritocrazia a chi era più o meno a favore degli esami collettivi e dell’uguaglianza a favore dell’uguaglianza dei punti di arrivo? Esiste un metodo intelligente per rimpiazzare – qualcuno direbbe: per rottamare – questa generazione? Il punto nevralgico è che le generazioni successive, spesso caratterizzate da idee più meritocratiche, si sentono a disagio rispetto a metodi “decisi” per ottenere il potere come quelli implementati nel ’68 e nel decennio successivo.

Quello che mi lascia l’amaro in bocca è la sostanziale ipocrisia della generazione precedente, nata negli anni ’40 e ’50: alla maniera del Principe di Salina, si potrebbe dire che questo stratagemma di usare belle idee rivoluzionarie per prendere il potere -e una quota sostanziosa del reddito nazionale- ha tolto alle generazioni successive il fascino della politica come strumento per realizzare cose buone e concrete.

Cara generazione dei padri e delle madri, è ora di fare un po’ di conti con noi: non è solo questione di spesa pubblica generosa, che ha contribuito a renderti ricca negli anni delle vacche grasse, e ad accumulare debito pubblico. Anche l’entusiasmo per la politica l’avete comprato facendo debiti. Che dobbiamo pagare noi.

Twitter: @ricpuglisi


Fonte: visto su LINKIESTA del 19 agosto 2013

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