Dalle Okkupazioni ai
posti di potere
Ad interrogarli per bene, i grafici dicono molte cose
interessanti: ad esempio la figura qui sotto, tratta dall’indagine di
Bankitalia sui bilanci delle famiglie italiane nel 2010, mostra come il reddito
medio di coloro che hanno tra i 55 e i 64 anni è cresciuto sensibilmente di più
rispetto a quello delle altre generazioni, e in particolare delle generazioni più
giovani.
Reddito equivalente per classe di eta: valori medi e prezzi costanti
Un po’ di matematica spicciola ci dice che nel 2010 gli
appartenenti a questa generazione fortunata sono gli italiani nati tra il 1946
e il 1955. Adesso vi mischio la statistica con la storia: chi è nato tra il
1946 e il 1955 nel fatidico 1968 delle contestazioni studentesche aveva tra i
13 e i 22 anni. Peccato che i dati storici messi insieme da Bankitalia non
mostrino direttamente la porzione del PIL detenuto da questa generazione, che
rappresenta all’incirca il 12% della popolazione italiana.
Le generalizzazioni sono tipicamente imprecise ma talora
aiutano a individuare tendenze importanti: la generazione che occupava le
università (e le scuole) per ottenere il “18 politico” (e il “6 politico”)
sembra cavarsela piuttosto bene ai giorni nostri dal punto di vista del
reddito, anzi sempre meglio. Per chi non lo sapesse, nel 1968 gli studenti e
attivisti politici che protestavano contro l’autoritarismo e il classismo
dell’università italiana per qualche mese ottennero in alcune facoltà gli esami
collettivi (uno studente rispondeva alle domande del professore ottenendo un
voto valido per tutto il gruppo) e il 18 politico, cioè la garanzia di un voto
sufficiente per motivi politici. Non esattamente il massimo della meritocrazia,
diciamocelo (detto con la voce di un noto leader del PD).
Non sono l’unico a ritenere molto dannose queste idee di
egualitarismo dei punti di arrivo, in quanto uccidono sul nascere ogni
spinta allo sforzo e al miglioramento individuale. Dalla lotta a fenomeni di
classismo e autoritarismo all’interno della scuola e dell’università alla
de-responsabilizzazione completa di chi le dovrebbe frequentare con il fine di
apprendere il confine si è ahinoi dimostrato labilissimo. Datemi pure del
cinico, ma credo che livelli di reddito elevato – perlomeno in società
caratterizzate da un livello basso di concorrenza, cioè da alte barriere
all’entrata in molti settori – sono “comprati” dal fatto di detenere posizioni
di potere all’interno di questi settori.
Sono partito dai dati sul reddito, ma voglio per
l’appunto andare a monte della questione, cioè soffermarmi sulla straordinaria
capacità delle élite del movimento sessantottino di raggiungere
velocemente posizioni di potere in ambienti che spaziano da quello accademico a
quello giornalistico e quello politico. Chiaramente questa scalata delle
gerarchie è avvenuta con metodi sostanzialmente diversi dalla cooptazione e/o
dalla selezione intelligente: l’idea era esattamente quella di prendersi il
potere per creare un “mondo migliore”. E non credo di essere molto lontano dal
vero nell’affermare che il meccanismo di selezione di questa nuova élite
era dato dal fatto stesso di trovarsi all’avanguardia di movimenti
extraparlamentari nati a ridosso del 1968 (e fioriti negli anni ’70) come i
marxisti-leninisti di Servire il Popolo, Lotta Continua e Potere Operaio.
E chi militava o guidava questi movimenti che non
disprezzavano l’idea di una rivoluzione comunista in Italia? Nomi non ignoti.
Tra i marxisti-leninisti militavano Aldo
Brandirali, Renato Mannheimer, Antonio Pennacchi, Antonio Polito, Barbara
Pollastrini, Linda Lanzillotta e
Michele Santoro. Dentro Lotta
Continua potevi trovare Adriano Sofri,
Marco Boato, Enrico Deaglio, Paolo
Liguori, Luigi Manconi, Gad Lerner, Toni Capuozzo e Giampiero
Mughini. Infine, Potere Operaio annoverava tra le sue file Toni Negri, Massimo Cacciari, Francesco
“Pancho” Pardi, Gaetano Pecorella,
Paolo Mieli e Ritanna Armeni.
Nel novero dei militanti le fonti più facilmente
accessibili naturalmente riportano i nomi di personaggi noti (chiaro esempio di
selezione sistematica), ma il messaggio che si desume da queste tre liste
non esaustive è che molti di questi militanti (che hanno partecipato alle
proteste del ’68 e/o a quelle successive negli anni ’70) detengono a tutt’oggi
importanti spicchi del potere in Italia. E non si schiodano!
Una domanda sorge spontanea, e spero che sia lo stesso
per chi appartiene alle generazioni successive, cioè è nato/a negli anni ’60,
’70, ’80 e ’90: come si può chiedere di implementare la meritocrazia a chi
era più o meno a favore degli esami collettivi e dell’uguaglianza a favore
dell’uguaglianza dei punti di arrivo? Esiste un metodo intelligente per
rimpiazzare – qualcuno direbbe: per rottamare – questa generazione? Il punto
nevralgico è che le generazioni successive, spesso caratterizzate da idee più meritocratiche,
si sentono a disagio rispetto a metodi “decisi” per ottenere il potere come
quelli implementati nel ’68 e nel decennio successivo.
Quello che mi lascia l’amaro in bocca è la sostanziale
ipocrisia della generazione precedente, nata negli anni ’40 e ’50: alla
maniera del Principe di Salina, si potrebbe dire che questo stratagemma di
usare belle idee rivoluzionarie per prendere il potere -e una quota sostanziosa
del reddito nazionale- ha tolto alle generazioni successive il fascino della
politica come strumento per realizzare cose buone e concrete.
Cara generazione dei padri e delle madri, è ora di fare
un po’ di conti con noi: non è solo questione di spesa pubblica generosa,
che ha contribuito a renderti ricca negli anni delle vacche grasse, e ad
accumulare debito pubblico. Anche l’entusiasmo per la politica l’avete comprato
facendo debiti. Che dobbiamo pagare noi.
Twitter: @ricpuglisi
Fonte: visto su LINKIESTA del 19 agosto 2013
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