martedì 19 luglio 2011

Verona. Piazza Erbe fine ottocento

Popolani davanti alla fontana di Madonna Verona,  dipinto di Angelo Dall'Oca Bianca

Accanto ad una colonna di marmo rosa, sulla quale il sole si arrampica con l'ora, come su un albero di cuccagna, una immensa facciata di casa, interamente dipinta a fresco, e che rappresenta scalate al cielo da parte di Antei e Enceladi, e terribili mischie di corpi giganti, affreschi, che paiono la tela michelangiolesca d'una arena di lottatori colossali, e nei quali, finestre abitate da teste viventi, fanno, qua e là, un buco in una anatomia del muro.
Abbasso, sotto ombrelloni di tela bianca, attraversati dalla luce prorompe il caleidoscopio degli scialleti e delle cuffie delle erbivendole, come fiordalisi e papaveri, sui campi verdi delle lattughe, dei porri, dei cavoli, distesi ai loro piedi. Sono erbivendole brune, con i capelli arrotolati sulle tempie, in volute che somigliano a quelle con cui la Jonin ha fatto i capitelli delle sue colonne, e sono, alcune, venditrici bionde, i cui capelli crespi e feste voli mettono intorno al loro ovale come una irradiazione piena di sole.
Molte di queste venditrici sono vecchie donne di campagna, che portano un cappello di paglia piccolo, di dove sfuggono, frammezzo a enormi pendenti d'oro attaccati alle orecchie, ciuffi liberi di capelli, i quali battono con i loro ricci grigiastri i gialli profili scultorei, che si direbbero scolpiti nel bosso.
E nel bel mezzo di questa verzura d'ortaggi, si vedono e quarti di bue sanguinanti, posati sui primi gradini di scale di palazzi in rovina; e trippaglia in vendita, sotto cui cani, senza colore e irsuti, lappano bricciole di polmone; e mostre di picchiverdi: un cibo di cui qui si è ghiotti, uccelli gialli con le teste rosse.
A parte, si vendono mazzolini di fiori, montati su grandi steli, e cose di ogni sorta e d'ogni colore, fra le quali cercano di passare asinelli carichi di fagotti, perduti nella boscaglia del loro carico.
Là, per tutta la mattina, passeggiano e errano, a fianco di vecchi italiani, dal naso rubicondo, facendo le loro spese in una sporta, nascosta sotto il mantello, le piccole borghesi di Verona, dall’ andatura languida, la testa velata dentro un pizzo bianco, la fronte convessa, gli occhi ravvicinati al naso, la bocca dalle linee tormentate: donne delicate, affascinanti di quella grazia sofferente dei Botticelli e dei Gozzoli, e che paiono, in questo nord dell'Italia, modelli, serbati viventi, dei quadri primitivi.

Fonte: srs di  Edmond e Jules de Goncourt;  da “Piazza delle Erbe”, Commissione  Turistica   ACI,  (fine millennio)

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