sabato 30 luglio 2011

EUGENIO BENETAZZO. - NON UNO DI MENO

Molti lettori mi scrivono chiedendomi un mio pensiero sul tal partito politico, sul tal esponente politico o sulla tal proposta di riforma legislativa avanzata da questa o quella fazione politica. Perdono tempo, da anni ormai ho smesso di dedicare le mie energie alla critica o contestazione della politica italiana, tanto non serve a niente. Vi sono già abbastanza contenitori mediatici televisivi che dedicano interi palinsesti a questo tipo di intrattenimento: parlare o sparlare del personaggio politico cult del momento. Chi invece ha smesso di andare a votare perché ormai è disgustato dalla solita propaganda politica riscaldata (tanto a destra quanto a sinistra), sbaglia.

Chi si sente tradito dall'attuale legge elettorale che non consente più di specificare ed indicare nominativamente il candidato da cui ci vogliamo far rappresentare e per questo rinuncia alla lotta politica di resistenza e si lascia abbandonare a quel che sarà, anche lui sbaglia.
Non sono più di tanto la nostra classe politica (che rappresenta lo specchio della popolazione) o l'attuale legge elettorale i veri problemi dell'Italia.   Il nostro Paese (al pari di altri in Occidente) si trova in profonda difficoltà economica e sociale, in conseguenza del periodo di turbolenza finanziaria iniziata ormai quasi tre anni, eppure a livello politico abbiamo ascoltato sempre i soliti proclami senza mai aver visto proposte di rilancio realmente efficaci per l'economia.

La risposta a questo immobilismo politico non è conseguenza del grado di incompetenza e affarismo della nostra classe politica, né tanto meno conseguenza della eterna faida dialettica tra destra e sinistra (tanto entrambe sono le ali dello stesso avvoltoio). Il parlamento italiano è inefficace nella sua veste di organo legislativo a fronte della sua stessa composizione.
Da oltre vent'anni Camera e Senato sono composti per circa i 2/3 da liberi professionisti (soprattutto avvocati e medici). Che parte del Paese allora sono in grado di rappresentare ? Per caso ci sono nella fila di deputati e senatori anche altre figure professionali come insegnanti di scuola media, elettricisti, agricoltori, poliziotti, falegnami, interinali, autotrasportatori, macchinisti, tabaccai, ricercatori universitari, impiegati di banca, guardie forestali e aggiungete voi chi più vi sta a cuore.

Il nostro Paese non funziona proprio per questo motivo in quanto privo di una rappresentanza popolare delle professioni, dei mestieri e delle tipologie di lavoro che sono presenti massicciamente nel nostro territorio e che non sono in grado di essere assistite in quanto non vi è nessuno che può farsi portavoce delle loro problematiche in quanto chi siede in Parlamento è soggetto estraneo a quel mondo lavorativo. Non cambierà molto per l'Italia se venissero abolite le Province, accorpati amministrativamente i Comuni, congelate i vitalizi alla classe parlamentare o diminuito il numero dei deputati. Sicuramente ne beneficerà la spesa pubblica, ma il Paese non muterà il suo outlook.

Ho provato recentemente a farlo presente all'interno di una nota trasmissione televisiva, ma sono stato tosto fermato: quanto sopra rappresenta la vera chiave di svolta per un cambio epocale di governance politica ovvero l'istituzione delle Quote Professioni.  Dopo aggiungiamoci tutto il resto, sovranità monetaria nazionale, abolizione di tutti i privilegi politici, tassazione della prostituzione, detassazione degli utili reinvestiti, e tanto altro ancora (per accontentare molti sostenitori in passato scrissi il Manifesto Economico che ricevette anche notevole consenso), tuttavia senza Quote Professioni continueremmo ad avere un parlamento (magari meno costo al contribuente), ma non per questo efficiente ed eclettico, atto a soddisfare le esigenze di crescita e rilancio di un paese, come il nostro, ormai in via di sottosviluppo.

Fonte: srs di Eugenio Benetazzo, 5 luglio 2011

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