Malga Selle è rimasta la sola a Giazza dove si pratica l’alpeggio. La donò alla comunità un sacerdote giudicato avaro in vita, ma che si mostrò generoso.
«Uomo piccolo, intelligente. Una giacchetta bruna gettata sulle spalle; ci rispondeva con la schiena rivolta al focolare. Lo pregai di scrivermi in cimbro sul mio libro il suo nome. Ma quello non scrisse Domenico Gugole, come gli altri lo chiamavano, bensì: “I pi gabest inz haus vum Priastar vum Gliezen un ist der earste un keume Pfafe Rountsch” (Sono stato nella casa del prete di Giazza ed è il primo, ed è chiamato il parroco storpio)».
Così Johann Andreas Schmeller, germanista dell’università di Monaco di Baviera scriveva sul suo diario di viaggio il 10 ottobre 1833.
Era stato il suo primo incontro con don Domenico Gugole, primo parroco di Giazza.
Lo incontrerà di nuovo 9 anni dopo, il 30 settembre 1844, quando il prete aveva già 85 anni (ne sopravvisse ancora 4). Sempre scorbutico:
«Non mi diede molta udienza perché doveva dire l’officio (il breviario) cioè pregare. Questo anziano signore prega e vive nella cucina della casa di sua proprietà. È diventato per via dei mulini, dei forni di calce, di un maglio e di altre simili attività, e poi con la speculazione sui titoli, uno dei più ricchi possidenti del Veronese; però cammina tutto curvo, ma va ancora a piedi, non solo fino a Tregnago, ma fino a Verona, raccoglie da terra ogni briciola e vive come uno dei più poveri del suo Comune».
È qui in sintesi la vita di don Gugole, primo parroco di Giaza, che per sua insistenza divenne autonoma, fino al 1837.
I compaesani per giustificare il suo straordinario fiuto per gli affari dicevano che nella Mineraltal di Giazza estraeva l’oro. In realtà don Domenico scavava barite, cristalli biancastri o di varie tonalità impiegati nell’industria ceramica, degli inchiostri e in varie preparazioni chimiche.
Partiva con il suo asino e scendeva lungo tutta la Val d’Illasi, fino a Verona, commerciando minerali, formaggio, burro, selvaggina, attrezzi di ferro realizzati con le fucine e i magli mossi dall’acqua dei torrenti Revolto e Fraselle.
Tornava a Giazza con zucchero, sale, tabacco: si dice che avesse praticato anche il contrabbando con Ala. Per sé non spendeva nulla e accumulava acquistando case e terreni: Le Selle coi suoi boschi, Malga Fraselle con tutte le sue proprietà, Malga Vazzo di Velo con le sue immense estensioni pascolive di ben 375 campi veronesi.
Era guardato con sospetto il prete che accumulava e teneva stretto, ma la gente imparò anche a volergli bene, perché difendeva i suoi parrocchiani.
In un processo alla Pretura di Tregnago del 1838 per quattro boscaioli abusivi di Giazza, il Comune scrisse al commissario ammettendo che gli episodi di taglio abusivo nei propri boschi si ripetevano perché
«l’intrigante don Domenico Gugole, ex parroco di Giazza, conosciuto per tale da tutti, è quello che suscitò sempre e continuamente suscita quel popolo alle rivoluzioni; e per sua cagione ebbe sempre il Comune delle molestie, dei disturbi e dei tanti inutili nauseati carteggi».
Usò la sua prerogativa di rilasciare certificati di «moralità» e «miserabilità» per proteggere i boscaioli di Giazza che venivano sorpresi a tagliare legna abusivamente nei boschi comunali.
Per questo il governo austriaco nel 1844 invitava Comuni e parroci «ad essere cauti e guardinghi nel rilasciare certificati di miserabilità ai contravventori forestali».
Negli ultimi anni di vita, come attesta la visita di Schmeller, don Domenico ha rivolto gli occhi più al cielo che ai beni terreni.
Mirabile il suo testamento, redatto il 21 gennaio 1847, un anno e mezzo prima della morte che lo colse il 19 agosto 1848, a 89 anni.
«Seriamente riflettendo sulla fragilità della presente vita e alla certezza della morte…a quiete della mia coscienza e ad evitare questioni fra pretendenti, dispongo»: alla parrocchia di Giazza la Montagna di Durlo (Fraselle di sopra); le proprietà di Malga Vazzo per mantenere in seminario uno o più giovani che aspirino a diventare sacerdoti; il ricavato delle rendite dei terreni delle Selle per metà in assistenza ai poveri infermi di Giazza e per metà ad aumentare la dote delle ragazze del paese che si vogliono sposare; le proprietà di contrada Gauli, dov’era nato, per l’olio e la cera destinati alla chiesa di Giazza, oltre a diversi capitali in ducati e lire austriache e la casa in paese, col mulino, distribuiti ai parenti.
I legati testamentari del «pfaffe runc’» sono ancora oggi in vita, secondo le sue volontà: circa 10mila euro all’anno arrivano dall’affitto di Malga Vazzo e si stima in 140mila euro il capitale liquido a disposizione, oltre al valore degli immobili passati nella proprietà della curia diocesana.
Fonte: srs di Vittorio Zambaldo; L’Arena di Verona di martedì 21 ottobre 2008 altro pag. 30
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