Il nostro giro delle isole si arricchisce di un viaggio davvero unico, quello narrato da Andrea Di Robilant nel suo libro Irresistibile Nord, che mi ha raccontato un pomeriggio in un bar di Monteverde. Un viaggio che comincia nel 1300, anzi ancora prima nell’anno Mille, e in cui c’è una mappa misteriosa, degli indigeni cannibali, delle isole che non esistono e, tra l’altro, l’inconsapevole scoperta dell’America.
Intervista ad Andrea
Di Robilant
Stavo nella Biblioteca Marciana, a Venezia, quando è entrato
un turista americano in calzoni corti, maglietta e cappellino che era sceso da
una delle navi crociera che solcano il canale della Giudecca. Si aggirava con
un foglietto di carta, perciò mi sono alzato per aiutarlo. Lui mi ha dato il
foglietto con su scritti due nomi “Nicolò e Antonio Zen” che a me non mi
significavano niente. Lui allora mi ha detto: “Sa, nel paesino da cui provengo,
nel Connecticut, lo sappiamo tutti
che Nicolò e Antonio Zen hanno scoperto l’America nel 1390”. Io l’ho guardato
strano e ho pensato: “Certo da queste navi crociera scende di tutto”. Ho tirato
fuori un libro dagli scaffali, ho trovato un palazzo Zen, perché lui voleva
farsi fotografare davanti al Palazzo Zen prima di tornare al suo paese. Così
l’ho mandato a palazzo Zen.
Sennonché qualche giorno più tardi, mentre camminavo in
tutt’altra zona della città, passo davanti a un palazzo e vedo una lapide dove
c’è scritto: “Qui vissero Nicolò e
Antonio Zen, navigatori arditi che solcarono il nord Atlantico eccetera,
eccetera”. Allora mi sono detto: “Porca miseria, l’ho mandato nel posto
sbagliato!”
Ma chi sono questi due di cui io non ho mai sentito parlare
e che a quanto pare hanno fatto queste imprese? Allora il giorno dopo sono
andato in biblioteca, ho messo da parte il mio lavoro e mi sono messo a
cercare. E si dà il caso che proprio alla Marciana c’è la copia originale del
libricino pubblicato nel 1558 dal pronipote Nicolò il Giovane, che
racconta le gesta di questi due mercanti navigatori. Con grande emozione mi
metto a leggere questo libricino, stampato meravigliosamente bene, in cui c’è
il racconto dei loro viaggi. La cosa straordinaria è che alla fine del
libretto, incollata all’ultima pagina, c’è una mappa, quella che a Venezia
chiamano una carta da navegar, cioè un’antica mappa nautica. Questa
mappa mi ha ipnotizzato, sembrava una di quelle vecchie mappe del tesoro che
c’erano nei libri d’avventura di quando eravamo ragazzi. Ho riconosciuto alcuni
luoghi come la costa della Scandinavia, l’Islanda, la Groenlandia (per la prima
volta disegnata con tanta precisione). Poi però c’erano anche delle cose
strane, come un’enorme isola che si chiama Frislanda,
un’altra che si chiama Icaria, che
non combaciano con la realtà.
Questo misto di mondo riconoscibile e mondo misterioso
comincia ad appassionarmi per cui mi avventuro nelle storie dei due navigatori.
Fratelli del celebre Carlo
Zen, il salvatore della patria che aveva guidato i veneziani alla
vittoria contro i genovesi in una lunghissima guerra durata più di cento anni,
dei due il maggiore era Nicolò
Zen. Alla fine della guerra contro i genovesi, questo messer Nicolò
armò una cocca, ovvero una di quelle
navi tondeggianti, per andare nei mari del nord. Ora uno si chiede: perché i
mari del nord, visto che i mercati dei veneziani erano nel Mediterraneo da
secoli?
Perché, già a partire dal 1300 i veneziani si resero conto
che se non cercavano di entrare anche loro in questi nuovi e importanti mercati
dei mari del nord, dominati dalla Lega Anseatica e da gruppi molto potenti di
mercanti del nord Europa, rischiavano di perdere posizioni. Per cui bisognava
diversificare, diremmo oggi. Tant’è che già all’inizio del Trecento, la
Repubblica di Venezia mandava convogli di galee – cioè navi che non erano
affatto disegnate per l’Atlantico – oltre le Colonne d’Ercole, su
nell’Atlantico per esplorare queste rotte. E c’erano dei convogli statali di
otto, nove navi, scortate che ogni anno partivano per il nord. Durante la
guerra contro Genova quei convogli vennero interrotti.
Nicolò Zen ritratto da Tiziano
Alla fine della guerra messer Nicolò non vuole aspettare la
ripresa dei convogli statali e decide: “Ci vado io con la mia barca!” Così
parte nel 1383 e fa un lunghissimo viaggio che io descrivo, fino a che viene
investito da una bufera tremenda in cui perde il controllo della barca e viene
spinto sempre più a nord, sempre più a nord, sempre più a nord… finché fa
naufragio in un arcipelago che molto probabilmente è quello delle Fær Øer.
Ormai è praticamente nell’Atlantico, non più nel mare del
nord e lì fa un incontro straordinario con Henry
Sinclair, un personaggio molto importante nella storia di quella
regione alla fine del Trecento. Lo scozzese-norvegese Sinclair (madre norvegese
e padre scozzese) era il conte delle Orcadi. L’arcipelago delle Orcadi faceva
parte del Regno di Norvegia e ne era il fulcro e la parte più ricca. Perciò il
conte delle Orcadi all’epoca era una figura chiave in quella regione.
Messer Nicolò, che è un uomo colto e un veneziano, si
intende subito con Sinclair. I due si mettono a parlare latino. Sembra un
incontro inventato, tanto ci può sembrare irreale, ma anche Henry Sinclair era
un uomo colto e conosceva Venezia, sapeva della guerra contro i Genovesi e
probabilmente conosceva anche gli Zen: la Repubblica veneziana era la grande
potenza dell’epoca per cui le figure storiche di Venezia erano conosciute.
Sicuramente conosceva Carlo Zen, il fratello di messer Nicolò. Comunque i due
dialogavano tranquillamente in latino, quindi non c’erano problemi di lingua, o
di comunicazione.
Henry Sinclair capisce che messer Nicolò era un grandissimo
navigatore per cui lo mette a capo della sua piccola flotta. Così messer Nicolò
guerreggia con Henry Sinclair e guida la flotta nei vari arcipelaghi della
regione per assicurarsi che vengano pagate le tasse. Poi compie anche lui dei
viaggi a nord: abbiamo detto le Fær Øer, poi si spinge fino all’Islanda e alla
Groenlandia, prima di fare ritorno all’Arcipelago delle Orcadi e da lì a
Venezia.
Tutto questo è raccontato nelle lettere che lui scrive alla
famiglia perché – questa è una cosa che magari ci può sorprendere oggi – le
lettere circolavano normalmente con le navi dei mercanti. Forse non arrivavano
sempre, non arrivavano tutte, comunque la comunicazione era abbastanza regolare
ancorché, ovviamente, abbastanza lenta.
Mappa originale dei fratelli Zen.
Messer Nicolò fa delle straordinarie descrizioni
dell’Islanda e anche della Groenlandia. Particolarmente dell’Islanda. Io stesso
sono andato sulle orme di questi veneziani per cercare di capire che cosa
avevano visto, per cercare dei riscontri. Ho rifatto quasi tutta la rotta,
dalle Orcadi alle Fær Øer, l’Islanda, la Groenlandia, più o meno tutto.
Nicolò Zen descrive l’Islanda dei monasteri. Ne descrive uno
con grande dettaglio e precisione. Descrive come costruivano le case, cosa
mercanteggiavano, come erano organizzati, come cuocevano il pane, come creavano
giardini grazie all’energia geotermale. Nelle sue lettere ci sono tutta una
serie di dettagli che solo un mercante poteva notare. Lui infatti, non solo
stava lì e osservava, ma si chiedeva: “Io da questi che posso imparare?”, “Come
posso trarre vantaggio dalla situazione?”, “Che cosa posso vendergli in cambio
di…” Per questo le lettere sono affascinanti, perché rivelano una mentalità che
nel Rinascimento non troviamo più: la mentalità del mercante. Sono molto più
affascinanti dei testi del Rinascimento perché nel Rinascimento scrivevano i
grandi sistemi, invece nel Trecento erano molto più precisi nelle loro
descrizioni.
La questione mi incuriosiva perché in Islanda non esistono
monasteri e per questo motivo messer Nicolò è stato accusato di essere un
racconta balle. Ma in verità i monasteri c’erano. Otto grandi monasteri che
erano un po’ il fulcro dell’attività economica, culturale e religiosa
dell’Islanda. Solo che dopo la Riforma sono stati distrutti e poi le eruzioni
vulcaniche e le intemperie hanno pian piano distrutto tutto quello che c’era in
superficie, per cui i resti sono tutti sotto terra. Di questo gli Islandesi se
ne fregano, non è che vanno a scavare come faremo noi per tirare fuori il
passato.
Ecco perché per me è stato molto difficile identificare il
luogo di questo monastero e l’ho fatto grazie a un’archeologa di Reykjavík che
è stata l’unica che ha voluto aiutarmi. Abbiamo identificato il luogo e nel
paesino a pochi chilometri da lì ancora oggi coltivano le piante e le verdure
con l’energia geotermale come facevo i frati nel Trecento. Cucinano il pane in
forni senza fuoco che è esattamente quello che descrive messer Nicolò e che
l’ha lasciato allibito. Io ho raccontato questa cosa all’archeologa che era con
me e lei senza dirmi niente mi ha portato nel paesino, in un panificio, ha
preso un pane, me l’ha dato e mi ha detto: “Questo si cucina senza fuoco”. Il
calore dell’attività geotermale è tale, che il pane lievita senza necessità di
accendere il fuoco. Se io non fossi andato in Islanda non sarei mai riuscito a
trovare questi riscontri.
Poi messer Nicolò tornò a Venezia, riprese la sua carriera
statale, assunse varie cariche etc. Il fratello più piccolo, Antonio Zen, che
lo aveva raggiunto nelle Isole Orcadi e anche lui si era messo al servizio di
Henry Sinclair, rimase lì per altri dieci anni e lo sostituì al comando della
flotta. Alla fine di questi dieci anni decisero di tentare una navigazione
attraverso l’Atlantico per andare a vedere le terre di cui i pescatori
naufraghi continuavano a parlare. Bisogna rendersi conto che in quegli anni
c’era un grandissimo traffico attraverso l’Atlantico. Un traffico tra la costa
norvegese e la Groenlandia e tutto questo faceva parte del Regno di Norvegia.
Si tratta di una rotta documentata, sappiamo anche il numero delle navi. Stiamo
parlando dell’anno Mille, Millecento. Quindi nel Trecento, i due veneziani
finirono nel solco di quel traffico.
Tra il Mille e il Millecento delle colonie di Vichinghi si
sono insediate in Nord America. Hanno creato i primi insediamenti a Terranova e
in Nuova Scozia. Di questi insediamenti abbiamo i resti, cioè questa è storia.
E c’era anche la Chiesa. In Groenlandia nel 1100 c’era la cattedrale con il
vescovo che veniva mandato da Roma. Queste cose mi hanno lasciato di stucco. Ad
esempio c’è un episodio per cui il vescovo della Groenlandia deve risolvere il
problema della consanguineità delle colonie in Nord America perché, non essendo
in molti, si accoppiavano tra parenti. Perciò il vescovo è andato in Nord
America nel 1150, è tornato in Groenlandia e ha scritto al Papa, dicendo: qui
che dobbiamo fare? E il Papa, che era sotto assedio a Castel Sant’Angelo, ha
preso carta e penna e ha risposto: quarto grado sì, quinto grado no… tutto
questo è documentato. Insomma da quelle parti c’era un’attività e un traffico
sorprendente.
L’America è stata
scoperta dai fratelli Zen, veneziani, nel 1390 parte 2
Esistono rotte che già dal 1000, 1100, portano i navigatori
nell’Atlantico e in nord America. Queste rotte verranno percorse alla fine del
Trecento dai fratelli Zen, veneziani, che arrivarono in America un secolo prima
di Colombo, pur non sapendo di aver raggiunto un altro continente. Andrea Di
Robilant ha compiuto un viaggio seguendo le loro tracce.
Perciò Antonio Zen e Henry Sinclair alla fine
del Trecento hanno fatto la traversata dell’Atlantico, sono arrivati in Nord
America, a Terranova, e lì sono stati respinti dagli indigeni, armati fino ai
denti. Non dai vichinghi perché ormai la colonia vichinga non c’era più, ma
dagli indigeni. Non sono riusciti a creare una base sul continente americano e
infatti loro non hanno mai detto di aver scoperto niente. Si sono limitati a
dire che sono arrivati a Terranova, hanno fatto il giro, ma non sono riusciti
ad attraccare. I veneziani non avevano l’idea che dall’altra parte c’era il
nuovo mondo, per loro era un continuo: dall’Islanda si passava in Groenlandia e
si andava in Nord America.
Per fare che? Ma per prendere la legna. Per costruire le
loro città e le loro navi, dalle colonie groenlandesi ogni estate andavano in
Nord America a prendere la legna e a cacciare perché in Groenlandia non c’erano
alberi. Quelle colonie, dal 1100 al 1400, erano molto importanti per il
commercio europeo perché mandavano in Europa merci di lusso: pelli rare, avori
e tutta una serie di prodotti di lusso, molto ambiti dai principi arabi.
Dunque questi navigatori non riuscirono a fare una colonia
nel nuovo territorio per cui tornarono in Groenlandia e poi dalla Groenlandia fecero
ritorno alle Orcadi. Antonio a quel punto tornò a casa, solo che morì nel
tragitto e non fece mai ritorno a Venezia.
Questa è per sommi capi la storia dei due che è raccontata
nel volumetto che avevo trovato alla Marciana. Le loro storie erano finite
nella biblioteca di casa Zen e lì sarebbero rimaste se non fosse che cento anni
dopo – nel frattempo Venezia era diventata la capitale
dell’editoria e della cartografia – il loro pronipote, Nicolò il Giovane,
figura importante nella storia di Venezia – statista e storico – si disse:
“Facciamone un libro”.
Erano rimaste cinque relazioni di viaggio, ovvero cinque
lunghe lettere. Di queste lui fece un’unica narrazione, fece un editing e alla
fine mise la mappa. La narrazione è collegata da brani che ha scritto lui. Per
i filologi è abbastanza semplice riconoscere il linguaggio cinquecentesco
perché l’originale del Trecento è molto diverso: come dicevo quella trecentesca
era una scrittura molto più precisa e funzionale, più pratica.
Il libro esce nel 1558 ed ha un grande successo. Ha anche un
enorme impatto per due motivi: uno è che finisce nelle mani di Gerardo Mercatore,
il più grande cartografo del Cinquecento. Mercatore stava completando il nuovo
mappamondo e quindi teneva conto di tutte le scoperte fatte dai navigatori. Lì
però aveva un buco. Così quando arrivò il libro con la carta lui disse:
“Eureka! Ora posso completare la mia mappa” e praticamente prese la carta da
navegar e la schiaffò nella sua mappa, con tutti gli errori inclusi. Perché la
mappa conteneva anche tanti errori e c’erano isole che non esistono come la
Frislanda. Però lui aveva una tale fiducia nella reputazione di Nicolò il
Giovane che la mise dentro.
Il mappamondo Mercatore venne completato nel 1569 e
costituisce la base della geografia moderna. Questo naturalmente assicurò
longevità alla carta de navegar, infatti le isole zeniane continuarono ad
essere disegnate in tutte le mappe nei secoli successivi, fino all’Ottocento.
Se guardate le mappe del Settecento trovate ancora l’isola di Frislanda,
trovate ancora Estotilandia. C’è una mappa di fine Seicento dove c’è il Canada
e sopra c’è scritto: “Estotilandia, scoperta da Antonio Zen nel 1390”. Pare evidente
che all’epoca i fratelli Zen erano famosissimi.
L’altra cosa importante è che il libro e la mappa sono
finiti in mano a un amico di Mercatore che si chiamava John Dee, era un
inglese e si erano conosciuti all’università a Lovagno quando studiavano matematica. Poi John
Dee era tornato a Londa: lui era uno storico, un geografo, un geopolitico, un
matematico, era astrologo e astronomo, ma soprattutto era il consigliere più
ascoltato della regina Elisabetta.
John Dee già da un po’ di tempo ragionava sul fatto
che Spagna e Portogallo stavano arraffando tutto quello che c’era da arraffare
nel Nuovo Mondo e pensava: “Se qui non ci diamo una mossa…” quando legge il
libro (la sua copia esiste ancora alla British Library con tutte le
annotazioni) e dice: “Questa sarà la nostra guida dall’altra parte!” Allora
corre dalla regina e le dice: “Guardi, questa mappa dei due veneziani. Con
questa noi andiamo dall’altra parte e ci prendiamo la nostra fetta”. La regina
un po’ nicchia ma poi gli dice: “Vai a casa e preparami quattro documenti
ufficiali che possano servire da base legale per un’azione del genere”. John
Dee torna a casa e prepara questi quattro documenti che a leggerli oggi è
impressionante perché lui praticamente ha fatto un “copia e incolla” del libro
degli Zen. Poi li ha portati alla regina che ha detto: “Va bene, partiamo”.
E così nascono le tre spedizioni britanniche guidate da Martin Frobisher
che porteranno gli inglesi nel Nuovo Mondo. Naturalmente usando il testo e la
cartina degli Zen, ne succedono di tutti i colori. Per esempio, dopo settimane
di navigazione loro arrivano in un’isola in mezzo all’Atlantico che sono
convinti che sia la Frislanda, scendono, mettono il vessillo e annunciano:
“Abbiamo conquistato la Frislanda”. Invece erano arrivati in Groenlandia perché
la Frislanda non esiste. Poi Frobisher, sempre secondo la mappa, arriva in
Estotilandia, sale su montarozzo in un isolotto in mezzo alla Baia – che era la
Baia di Hudson – vede la terra dall’altra parte e dice: “E’ la Cina!”
Allora torna dalla regina Elisabetta dicendo: “Ho
conquistato la Frislanda e ha trovato la via per la Cina”. Tutto questo grazie
agli Zen eppure il ruolo dei viaggi degli Zen nella prima espansione imperiale
della Gran Bretagna è del tutto ignorato perché i quattro documenti erano
scomparsi dalla circolazione. Sono ricomparsi negli anni Settanta in alcuni
mercatini e poi sono stati acquistati dalla British Library, dove adesso sono
custoditi. Ma nei diari di bordo di tutte le spedizioni in Nord America non
fanno che parlare dei fratelli Zen.
Allora perché noi li
abbiamo completamente rimossi e dimenticati?
Perché all’inizio del 1800, nel 1830, c’è stato un
ammiraglio danese, un tale Zahrtmann, che venne cooptato nel Royal
Geographical Society di Londra – il tempio della cultura geografica
dell’Ottocento – e fece un discorso che era una bomba. Dichiarò che i fratelli
Zen non erano mai esistiti, che era tutta una bufala e che Nicolò Zen, che
aveva stampato quel libro nel Cinquecento, era il più grande falsificatore
della storia. Ciò provocò un grande sgomento anche perché i “viaggi Zen” erano
il canone. Forse Zahrtmann non era in cattiva fede, comunque la Royal
Geographical Society avviò un’inchiesta che durò quarant’anni e alla fine dei
quarant’anni, la commissione presieduta da Henry Major,
il più importante geografo dell’epoca vittoriana, emise il suo verdetto: “Non
solo questa storia è tutta vera, ma noi a questi due gli dobbiamo fare un
monumento!”
Così fecero un’edizione di lusso dei diari, con le cartine
antiche e quelle aggiornate. Un’edizione di marocchino blu che venne donata
dalla Gran Bretagna a Venezia.
Qui si chiuderebbe il cerchio ma la verità è che quando
vieni accusato di un falso diventa praticamente impossibile dimostrare il
contrario. Che la storia sia autentica non ci sono dubbi, che poi ci siano
molte zone d’ombra e imprecisioni è ovvio. A me interessa questa storia in
tutti i suoi risvolti, anche le accuse di falso, perché comincia nel Trecento e
continua, cambia, evolve e ci racconta un po’ come la storia viene assimilata e
cambiata.
Il mio viaggio in quei luoghi mi ha dato dei riscontri di
fatti che solo chi era stato lì poteva descrivere con quella precisione.
Soprattutto era fondamentale ricostruire la vita di Nicolò Zen il Giovane,
colui che aveva redatto il libro, perché quelli che lo avevano attaccato come
falsario non sapevano chi fosse. Lui era uno statista di primo piano, un membro
del Consiglio dei Dieci, un ingegnere idraulico importantissimo e un uomo di
specchiata moralità. Bisognava ridare credibilità a questo personaggio chiave.
D’altronde io non volevo dimostrare nessuna tesi, volevo solo riportare alla
luce questa storia in cui ci sono anche cose che non hanno risposte per le
quali ho cercato di usare il metro della plausibilità.
Il turista americano l’ho incontrato più di dieci anni fa. Mentre stavo finendo il libro ho ricevuto una mail da uno che mi diceva che aveva saputo da internet che io stavo scrivendo un libro su questa storia: “Volevo dirle che una decina di anni fa ero a Venezia, stavo facendo una crociera e sono andato alla Biblioteca Marciana perché cercavo il palazzo dei fratelli Zen. Lì ho incontrato un signore, gli ho detto la storia dei fratelli Zen come la conosciamo noi in America, ma lui mi è sembrato molto scettico su tutta la vicenda”.
In seguito, l’ho pure incontrato il turista americano, ma
nel suo paese. Siamo andati a mangiarci un hamburger e io gli ho detto: “Guardi
sono desolato, l’ho mandata a farsi una foto davanti al palazzo sbagliato”.
Irresistibile
Nord, pubblicato in Italia nel 2012 con Corbaccio, è il libro in
cui Andrea Di Robilant ricostruisce
i viaggi dei fratelli Zen. Giornalista, scrittore e storico, il suo ultimo suo
libro, Sulle
tracce di una rosa perduta, è appena stato uscito, sempre con
Corbaccio.
Fonte: da http://cronacheletterarie.com
del 28 aprile 2014
Fonte: Irresistibile
Nord, pubblicato in Italia nel 2012 con Corbaccio, è il libro in cui Andrea Di Robilant
ricostruisce i viaggi dei fratelli Zen. Giornalista, scrittore e storico, il
suo ultimo suo libro, Sulle
tracce di una rosa perduta, è appena stato uscito, sempre con
Corbaccio.
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