Ci fu un tempo in cui Largo di Palazzo, l’attuale piazza
Plebiscito, era sorvegliata da una immensa statua di Giove proveniente dalla
rube euboica di Cuma, la prima città della Magna Grecia e anello di
congiunzione tra Napoli e l’Ellade.
Il Gigante del Largo di Palazzo, così come venne chiamato
dai napoletani, fu collocato nel 1668 sul margine meridionale della piazza dal
viceré don Pedro Antonio d’Aragona, e rappresentò per ben 138 anni il veicolo
attraverso il quale i napoletani, con la propria straripante ironia, si
prendevano gioco dei potenti.
Da simbolo del potere autoritario, dal forte impatto
evocativo, la statua del Giove Cumano divenne per il popolo il Gigante
parlante, l’improbabile portavoce di lazzari e intellettuali che con sberleffi
e componimenti satirici schernivano le cariche istituzionali che si succedevano
nell’adiacente Palazzo Reale. Un’usanza dilagante e profondamente oltraggiosa
capace di mandare su tutte le furie i governati di Napoli, che a più riprese
tentarono di estirpare questa umiliante condanna con ogni mezzo.
Si racconta che il viceré Luis de la Cerda, duca di
Medinaceli, sul finire del XVII secolo provò a scoraggiare i napoletani
promettendo una taglia di 8.000 scudi d’oro a chiunque fosse stato capace di
cogliere sul fatto gli irriverenti burloni. Un tentativo che, ahilui, si
dissolse nell’inquietante controproposta dei lazzari napoletani, che nella
notte affissero sulla base della statua una taglia di 80.000 Ducati d’oro per
chiunque fosse stato in grado di decollare l’ardito governante ed esporre la
testa mozzata in piazza Mercato.
Durate i burrascosi moti rivoluzionari del 1799, il popolo
fasciò il Gigante cumano con i colori della Repubblica Napoletana, e sul capo
riccioluto di Giove fu riposto il simbolo della rivoluzione francese, un enorme
berretto frigio che fu poi strappato via qualche tempo dopo dai sanfedisti
Napolitani capeggiati dal Cardinale Ruffo.
Ma che fine ha fatto questa colossale statua classica,
ignara protagonista della nostra storia millenaria? Ebbene, l’acròlito di Giove
fu destinato all’oblio da Giuseppe Bonaparte, sul trono di Napoli dal
1806 al 1808. Il re di Napoli, stanco dell’intemperanze dialettiche del Gigante
cumano, ordinò che fosse smantellato e condotto nelle scuderie reali, fino a
quando, agli inizi del XIX secolo, entrò a far parte della collezione esposta
nel Real Museo Borbonico di Napoli.
Da quel momento sul Gigante “parlante” calò il freddo
sipario dell’indifferenza. Uno dei simboli più importanti della città di
Napoli, capace di attraversare più o meno indenne oltre due millenni di storia ,
si trova oggi relegato in compagnia di altri marmi in un anonimo cortile del
Museo Archeologico di Napoli, a due passi dalla porta d’uscita. Un tronco di
marmo malandato e storpio che passa quasi inosservato, ma che in passato, con i
suoi pungenti sberleffi, fu capace di irridere e umiliare i potenti della
città.
Si narra che il giorno destinato al trasloco imposto da re
francese, sulla base del Gigante apparve una frase che diceva: “Lascio la testa
al Consiglio di Stato, le braccia ai Ministri, lo stomaco ai Ciambellani, le
gambe ai Generali e tutto il resto a re Giuseppe…” Un’allusione, quest’ultima,
fin troppo eloquente, e che di certo non necessita di ulteriori spiegazioni…
Fonte: srs Di Antonio Corradini, da facebook Tamburino Meridionale, del 28 aprile
2017
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