Antonio Gramsci
Ma è vera o falsa la leggenda dell’egemonia culturale di sinistra? Cos’era e cosa resta oggi di quel disegno di conquista e dominio culturale? In principio l’egemonia culturale fu un progetto e una teoria che tracciò Gramsci sulla base di due lezioni: di Lenin e di Mussolini, via Gentile e Bottai.
La tesi di fondo è nota: la conquista del consenso
politico e sociale passa attraverso la conquista culturale della società. Poi
fu Togliatti che, alla caduta del fascismo, provò su strada il disegno
gramsciano e conquistò gruppi di intellettuali, spesso ex fascisti, case
editrici e luoghi cruciali della cultura. Ma il suo progetto non bucò nella
società che aveva ancora contrappesi forti, dalle parrocchie all’influenza
americana, dai grandi mezzi di comunicazione come la Rai in mano al potere
democristiano ai media in cui prevaleva l’evasione.
La vera svolta avviene col ’68: l’egemonia culturale
non si identifica più col Pci, che pure resta il maggiore impresario, ma si
sparge nell’arcipelago radicale di sinistra. Quell’egemonia si fa pervasiva,
conquista linguaggi e profili, raggiunge la scuola e l’università, il cinema e
il teatro, pervade le arti, i media e le redazioni.
In che consiste oggi l’egemonia culturale? In
una mentalità dominante che eredita dal comunismo la pretesa di Verità
Ineluttabile (quello è il Progresso, non potete sottrarvi al suo esito). Quella
mentalità s’è fatta codice ideologico e galateo sociale, noto come politically
correct, intolleranza permissiva e bigottismo progressista.
Chi ne è fuori deve sentirsi in torto, deve
giustificarsi, viene considerato fuori posto e fuori tempo, ridotto a residuo
del passato o anomalia patologica. Ma lasciamo da parte le denunce e le
condanne e poniamoci la domanda di fondo: ma questa egemonia culturale cosa ha
prodotto in termini di opere e di intelligenze, che impronta ha lasciato sulla
cultura, la società e i singoli?
Ho difficoltà a ricordare opere davvero memorabili e
significative di quel segno che hanno inciso nella cultura e nella
società. E il giudizio diventa ancor più stridente se confrontiamo gli autori e
le opere a torto o ragione identificate con l’egemonia culturale e gli autori e
le opere che hanno caratterizzato il secolo.
Tutte le eccellenze in ogni campo, dalla filosofia
alle arti, dalla scienza alla letteratura, non rientrano nell’egemonia
culturale e spesso vi si oppongono. Potrei fare un lungo e dettagliato elenco
di autori e opere al di fuori dell’ideologia radical, un tempo
marxista-progressista, se non contro.
L’egemonia culturale ha funzionato come dominazione e
ostracismo ma non ha prodotto e promosso grandi idee, grandi opere,
grandi autori. Anzi sorge il fondato sospetto che ci sia un nesso tra il
degrado culturale della nostra società e l’egemonia culturale radical. I
circoli culturali, le lobbies e le sette intellettuali dominanti hanno lasciato
la società in balia dell’egemonia sottoculturale e del volgare.
E l’intellettuale organico e collettivo ha
prodotto come reazione ed effetto l’intellettuale individualista e autistico
che non incide nella realtà ma si rifugia nel suo narcisismo depresso. Ma
perché è avvenuto questo, forse perché ha prevalso un clero intellettuale di
mediocri funzionari, anche se accademici?
Ci è estraneo il razzismo culturale, peraltro assai
praticato a sinistra, non crediamo perciò che sia una questione «etnica» che
riguarda la razza padrona della cultura. Il problema è di contenuti: l’egemonia
culturale non ha veicolato idee, valori e modelli positivi ma è riuscita a
dissolvere idee, valori e modelli positivi su cui si fonda la civiltà.
Non ha funzionato sul piano costruttivo, sono
naufragate le sue utopie, a partire dal comunismo; ma ha funzionato sul piano
distruttivo. Se l’emancipazione è stata il suo valore fondante e la liberazione
il suo criterio principe, il risultato è stato una formidabile, quotidiana
demolizione di culture e modelli legati alla famiglia, alla natura, alla vita e
alla nascita, al senso religioso e alla percezione mitica e simbolica della
realtà, al legame comunitario, alle identità e alle radici, ai meriti e alle
capacità personali.
È riuscita a dissolvere un mondo, a deprimere ed
emarginare culture antagoniste ma non è riuscita a generare mondi nuovi.
Il risultato di questa desertificazione è che
non ci sono opere, idee, autori che siano modelli di riferimento, punti di
partenza e fonti di nascita e rinascita. L’egemonia culturale ha funzionato
come dissoluzione, non come soluzione.
Oggi il comunismo non c’è più, la sinistra appare
sparita ma sussiste quella cappa asfissiante anche se è un guscio vuoto di
idee, valori, opere e autori.
Il risultato finale è che l’egemonia culturale è un
potere forte con un pensiero debole (e non nel senso di Vattimo e
Rovatti); mentre l’albero della nostra civiltà, con le sue radici, il suo
tronco millenario e le sue ramificazioni nella vita reale, è un pensiero forte
ma con poteri deboli in sua difesa. La prima è una chiesa con un episcopato in
carica e un vasto clero ma senza più una dottrina e una religione; viceversa la
seconda è un pensiero forte, con una tradizione millenaria, ma senza diocesi e
senza parrocchie…
Così viviamo una guerra asimmetrica tra un
potere forte ma dissolutivo e una civiltà non ancora decaduta sul piano
spirituale ma inerme e soccombente sul piano pratico e mediatico. La prevalenza
odierna della barbarie di ritorno deriva in buona parte da questo squilibrio
tra una cultura egemone ma nichilista e una civiltà perdente o forse già
perduta.
La rinascita ha due avversari: la cultura nichilista
egemone e il nichilismo senza cultura della volgarità di massa.
(MV, Il Giornale 8 febbraio 2015)
Fonte: da Marcello Veneziani
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