È probabilmente la persona più conosciuta al mondo. Parliamo di Gesù. Ma chi era davvero Gesù? Su di lui si pensa di sapere molto. Ma qual era la sua vera identità? Era un visionario?, un personaggio mitico non esistito veramente?, solo un uomo?, un profeta?, un rivoluzionario?, era Dio fattosi uomo?, era una potente creatura spirituale con una esistenza preumana?
La Bibbia ci dice chi fu veramente questo
“Gesù”. C’è molto da scoprire, ma occorre mettere da parte le nozioni religiose date
per certe e indagare invece le Sacre Scritture. Si faranno allora scoperte
sorprendenti. Si scoprirà – tanto per cominciare – che “Gesù” non è il suo vero
nome.
Il nome Gesù è la
traslitterazione in italiano del nome greco Ỉησοῦς [Iesùs].
Il cosiddetto Nuovo Testamento fu
scritto in greco (meglio sarebbe chiamare questa parte della Bibbia Scritture
Greche). Il nome Iesùs è quindi la traduzione greca del
suo vero nome ebraico, dato che egli era un
ebreo. Sappiamo il suo nome ebraico? Sì.
Abbiamo, per così dire, un eccezionale
dizionario biblico ebraico-greco. Si tratta della versione greca del cosiddetto
Vecchio testamento (meglio sarebbe chiamarlo Scritture Ebraiche)
chiamata Settanta (LXX). Questa traduzione delle
Scritture Ebraiche fu iniziata nel terzo secolo prima della nostra èra da una
settantina di dotti ebrei; fu terminata nel secondo secolo prima della nostra
èra, forse verso il 150 a. E .V.. Le citazioni che le Scritture Greche fanno
delle Scritture Ebraiche sono tratte proprio da questa versione della Settanta.
Gli apostoli e i discepoli del primo secolo usarono questa versione della
Bibbia.
Il nome greco Iesùs (Ỉησοῦς)
si trova nella Settanta? Sì.
Ad esempio, lo troviamo nel libro del profeta
Giosuè, capitolo 1, verso 1. Il versetto dice: “Dopo la morte di Mosè, servo
dell’Eterno, avvenne che l’Eterno parlò a Giosuè, figlio di Nun” (ND).
“Giosuè” è la traduzione italiana del nome ebraico che
la Settanta traduce in greco come Ỉησοῦς (Iesùs).
E quale era il nome originale ebraico che i traduttori della Settanta tradussero
con Ỉησοῦς (Iesùs)? Il nome è
יהושע (Yehoshùa)
Abbiamo quindi Yehoshùa tradotto
in greco Iesùs e in italiano Giosuè. Ma allora
come si arrivò a Gesù?
L’errore fu quello di tradurre la traduzione:
invece di tradurre dall’ebraico, si tradusse dal greco (tradotto a sua volta
dall’ebraico) attraverso il tardo latino Iesus. Si vennero così a creare
delle incoerenze: lo stesso nome (Yehoshùa) è reso in italiano sia
con Giosuè che con Gesù.
Così, ad esempio, in Ebrei 4:8 (TNM)
si legge: “Se Giosuè [nel testo originale greco: Ỉησοῦς, Iesùs]
li avesse condotti in un luogo di riposo”, mentre – poco dopo, nello stesso
capitolo! – in Ebrei 4:14 (TNM) si legge: “Gesù [nel
testo originale greco: Ỉησοῦν, Iesùn, qui al caso accusativo], il
figlio di Dio”. Parrebbe trattarsi di due persone con nomi diversi,
ma in verità sono due persone diverse con lo stesso nome.
È una vera e propria incoerenza: lo stesso identico nome viene
tradotto “Giosuè” e, poco dopo – nello stesso capitolo -, “Gesù”.
Yehoshùa (Iesùs, in
greco) non era un nome particolare. Questo nome non era affatto
insolito al tempo dei fatti evangelici. Lo storico ebreo Giuseppe Flavio (1°
secolo della nostra era), menziona una dozzina di personaggi (non biblici) con
questo nome. Il nome ricorre anche nei libri apocrifi (chiamati deuterocanonici
dalla Chiesa Cattolica) ovvero quegli scritti ebraici che non entrarono a far
parte del canone delle ispirate Sacre Scritture.
Nella Bibbia, il nome greco Iesùs compare,
oltre che in Eb 4:8 già considerato, in Atti 7:45
riferito ancora a Giosuè, il condottiero del popolo di Israele dopo la morte di
Mosè. Anche un collaboratore dell’apostolo Paolo si chiamava Iesùs (Col 4:11).
C’è anche un Iesùs antenato di Cristo (Lc3:27). E altri
ancora. Iesùs, dunque, è la traduzione greca di Yehoshùa.
In ebraico il nome è perciò Yehoshùa.
Se parliamo in greco lo traduciamo Iesùs, ma se parliamo in
italiano lo traduciamo Giosuè.
C’è da dire però che l’uso di tradurre i
nomi propri fu una pratica che non viene più attuata ai nostri giorni.
Ad esempio, decenni fa si diceva Nuova York, ma ora si usa il
nome originale: New York. Così, diciamo William Shakespeare e
non Guglielmo. Diciamo Victor Hugo e non Vittorio.
Diciamo James Joyce e non Giacomo. D’altra parte, se una persona
si chiama Francesca, si volterebbe se sentisse chiamare Françoise?
Allo stesso modo, una donna francese di nome Françoise non si volterebbe di
certo se fosse chiamata Francesca. Meglio sarebbe chiamare ciascuno
con il suo nome, quello in cui si riconosce. Comunque, in caso
di traduzione, occorre tradurre dall’originale e non da una traduzione.
Il
Cristo si chiamava allora Yehoshùa?
Non esattamente. Alla sua epoca (primo secolo della nostra
èra), il nome era abbreviato e pronunciato Yeshùa. Anche nelle
Scritture Ebraiche troviamo il nome Yeshùa (יֵשׁוּעַ),
ad esempio in Esd 2:2, dove stranamente è tradotto “Iesua”. È
proprio sotto questa forma che la letteratura ebraica del suo tempo parla di
lui. In questa letteratura ebraica egli è chiamato a volte anche Yeshu,
che era quasi sicuramente la pronuncia galilaica del suo nome (è infatti dalla
pronuncia galilaica che Pietro viene riconosciuto al momento dell’arresto di
Cristo, come notato in Mt 26:73).
Il suo nome proprio, quello vero, era dunque Yeshùa (ישוע).
Il suo nome proprio, quello vero, era dunque Yeshùa (ישוע).
“E tu lo chiamerai Iesùn [testo
originale greco: Ỉησοῦν, Iesùn, qui al caso accusativo], poiché
egli salverà il suo popolo” (Mt 1:21, testo greco). Nei
testi ebraici J1-14,16-18,22 di Matteo compare
ישוע (Yeshùa).
Da notare è la motivazione che
l’angelo di Dio adduce perché gli sia messo quel nome: “E tu
lo chiamerai Yeshùa poiché egli salverà il suo popolo”
(Dia). Perché quel bambino non avrebbe potuto chiamarsi – ad esempio –
Beniamino o Simone o con un altro nome e salvare ugualmente il suo popolo?
Doveva essere chiamato proprio Yeshùa e così salvare il suo
popolo. Questo fatto, incomprensibile nella versione greca o nelle traduzioni
in altre lingue, assume il suo valore pieno nel gioco di parole tutto musicale
del testo ebraico:
וקראת את־שמו ישוע כי
הוא יושיע את־עמו
vekarata et-shmò yeshùa ki yoshia et-amò
lo chiamerai Yèshùa poiché egli salverà il suo popolo
Ecco allora che la seconda parte della frase
(“poiché egli salverà il suo popolo”) diventa l’effettiva interpretazione del
nome. Yeshùa significa infatti “Yah salverà”, essendo Yah l’abbreviazione
del nome di Dio (abbreviazione che compare per la prima volta nella Bibbia
in Es 15:2: “Yah [יה]
è mia forza”) e shùa, derivazione di yeshuàh (ישועה) che significa “salvezza”.
Va evidenziato qui il significato che i nomi
avevano nella mentalità semitica e quindi nella Bibbia. Non è lo stesso
significato che noi attribuiamo ad un nome.
Per gli ebrei il nome
costituiva la realtà della persona, il suo carattere, il suo
destino.
Cambiare nome ad una persona significava cambiare il suo programma di vita (così riguardo a Simone, il cui nome Yeshùa cambia in Pietro – Gv 1:42).
Cambiare nome ad una persona significava cambiare il suo programma di vita (così riguardo a Simone, il cui nome Yeshùa cambia in Pietro – Gv 1:42).
Questo simbolismo legato al nome si trova continuamente
nella Bibbia, e ne viene data la motivazione introducendola con un “poiché” o
un “perché” o un “perciò” o espressioni simili.
Ad esempio, quando Dio cambia nome ad Abramo, capostipite
degli ebrei, attribuendogli il nuovo nome di Abraamo, gli viene detto: “Perché di
sicuro ti farò padre [in ebraico אב, ab, padre]
di una folla di nazioni [in ebraico עם, am, popolo]”
(Gn 17:5, TNM).
Così in Genesi 30:6, quando Rachele dice
che Dio le ha fatto giustizia concedendole un figlio, è detto: “Perciò ella
lo chiamò Dan [che significa giudice]”.
E così per Lia che, concependo un figlio, dice: “Questa
volta ringrazierò il Signore”; e il testo spiega: “Per questo lo
chiamò Giuda [Yehudàh, che significa egli sia ringraziato]”.
– Gn 29:35.
Il nome del Cristo, il Messia, fu dunque Yeshùa.
Nel nostro linguaggio moderno potremmo dire: un nome che era tutto un
programma. Esso significa infatti “Yah [Dio] è salvezza”.
Il “Gesù” che ci è stato trasmesso dalle
religioni cosiddette “cristiane” ha ben poco a che vedere con l’ebreo Yeshùa.
Occorre riscoprire tutta la sua vera identità, iniziando a
chiamarlo col suo vero nome: Yeshùa.
Nel caso di Yeshùa la traduzione italiana
corretta sarebbe Giosuè, tuttavia questo genererebbe confusione
(data l’ormai universale accettazione del nome inesatto “Gesù”); ripristinare
il nome originale ebraico pare quindi la scelta corretta, tanto più che Yeshùa è
proprio il nome con cui suoi contemporanei lo chiamavano.
Per una mente che ha l’orecchio abituato a nomi come Gesù, Pietro, Giovanni, Saulo, Matteo, Luca, Maria,
eccetera, può sembrare surrealistico udire i nomi veri corrispondenti:
Yeshùa, Kefa, Yokhanàn, Shaùl, Matài, Lukàs, Miryàm. Eppure, a ben pensarci,
non è invece surrealistico evocare personaggi storici le cui
vere identità sono state falsate dalle figure religiose dipinte
dalla religione?
Per una mente che ha l’orecchio abituato a nomi come
Gesù, Pietro, Giovanni, Saulo, Matteo, Luca, Maria,
eccetera, può sembrare surrealistico udire i nomi veri corrispondenti:
Yeshùa, Kefa, Yokhanàn, Shaùl, Matài, Lukàs, Miryàm. Eppure, a ben pensarci,
non è invece surrealistico evocare personaggi storici le cui
vere identità sono state falsate dalle figure religiose dipinte
dalla religione?
Fonte: da Biblistica.it
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