Dal testo di Francesco Zanotto
"Già penetravano
i Barbari sulle mura oltre il fosso di fascine colmato, già piantavano sul
bastione della gran porta il vessillo; già festeggiava Maometto il
conquistamento della città: quando gli assediati, operando prodigi di valore,
l'occupato bastione ricuperarono e ne scacciarono i Turchi. Comandò allora
Maometto il secondo assalto contro la gran porta ... accorse allora il rinforzo
de' giovani valorosi collocati nella piazza: gettaronsi essi quai leoni ...
"
ANNO 1478
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.
L'importante e
strategica città albanese assediata dai Turchi resiste sorprendentemente ai
numerosi assalti e cannoneggiamenti nemici. Una simile e cocciuta resistenza fa
esplodere infine l'ira dello stesso Sultano che dette l'ordine di far sparare i
cannoni in un unico punto col bel risultato di colpire i suoi soldati ...
LA SCHEDA STORICA – 85
Quando Pietro Mocenigo nel 1474 lasciò l'isola di Cipro dopo
la morte del re Giacomo II di Lusignano e dopo aver assistito brevemente la
regina veneziana Caterina Cornaro, se ne tornò a Venezia. Nella città risuonava ancora
l'eco dell'eroica e vittoriosa resistenza di Scutari quando il doge Niccolò
Marcello moriva lasciando nuovamente vacante il trono ducale.
La coincidenza del ritorno del Mocenigo dopo quattro anni
consecutivi di servizio in mare - il più lungo periodo nella storia dei
capitani veneziani e le sue note doti militari, contribuirono a far sì che la
scelta del nuovo doge cadesse proprio sul valoroso comandante. La sua ascesa
coincise tuttavia con un fatto imprevisto.
Nei primi giorni di gennaio del 1475 giunse a Venezia una
proposta di pace da parte di Maometto II.
Quale mediatrice della proposta eccezionalmente c'era la madre
stessa del potente Sultano. Ma perchè mai Maometto II all'apice delle sue
conquiste chiedeva la pace? Era forse bastata la sola vittoria di Scutari a
indurlo a tanto? Resta significativo il fatto che la richiesta giunse proprio a
colui che più di chiunque altro in quegli ultimi anni aveva combattuto contro i
turchi e poteva dire di conoscerli molto bene.
Quando la proposta giunse in senato, molte furono le voci che si levarono affinchè si rifiutasse
l'offerta del Sultano, dovuta, si disse, alle difficoltà che Maometto stava
incontrando in casa propria.
Il capo turcomanno Hasan, infatti, rivale e acerrimo nemico
del Sultano, si stava preparando per sferrargli contro il suo potente esercito
mentre polacchi e ungheresi lo avrebbero nel contempo "disturbato" ad
occidente. Il Papa infine, stava tessendo i fili per una nuova, generale
iniziativa contro i turchi. Date queste premesse non si doveva far altro che
aspettare. Maometto, prima o poi, sarebbe stato travolto.
Non era di questa opinione il nuovo doge, l'astuto Mocenigo.
Sulla base della propria e diretta esperienza, il doge poteva ben affermare che
la potenza e la capacità offensiva dell'esercito turco non sarebbe venuta meno
tanto facilmente. Si doveva invece approfittare dell'offerta di pace.
Fortunatamente fu questa linea alla fine a prevalere. Una delegazione venne
così inviata prontamente a Costantinopoli.
Le trattative di pace, tuttavia, si dovevano interrompere poco
dopo anche in seguito dell'improvvisa morte del doge Mocenigo nel 1476. Purtroppo, proprio in un delicato momento nel
suo confronto con i turchi, Venezia non potè vantare una continuità politica.
Sul trono ducale saliva dopo poco più di un anno e mezzo un
nuovo doge, Andrea Vendramin, destinato anch'egli ad un breve dogato di neppure
tre anni venendo infatti colpito mortalmente dalla peste.
Durante quei tre anni, intanto, erano riprese a pieno ritmo
da parte dei turchi gli attacchi contro
i possedimenti veneziani nel mediterraneo orientale. Nel 1477-78, Maometto II
infatti, aveva strappato ai veneziani l'isola di Lemno e la fortezza di Croja
in Albania attaccando anche se inutilmente anche l'isola di Lepanto.
Ma ad essere minacciati non erano soltanto i domìni
veneziani d'oltremare. Il pericolo e la minaccia turca, infatti, si spinsero
fin dentro le pianure friulane. Bande irregolari a cavallo saccheggiarono e
devastarono le campagne di quella regione spingendosi fino al corso del
Livenza. Erano talmente vicini che dal campanile di S. Marco si poteva
addirittura scorgere in lontananza le fiamme e il fumo dei villaggi distrutti.
Per ben due volte in due anni la regione subì tremende devastazioni mentre
intanto a Venezia scendeva nella tomba anche il doge Vendramin (maggio 1478).
Ancora una volta Scutari la testarda
Salì allora sul trono Giovanni Mocenigo, fratello di Pietro
che si convinse ben presto che Venezia non poteva più proseguire nella guerra contro i
turchi che continuavano nella loro inesorabile corrosione dei possedimenti
veneziani. Dopo Lemno e Croja infatti, l'esercito di Maometto II tornava a
porre l'assedio alla città di Scutari dopo essere stato costretto alla ritirata
quattro anni prima.
I turchi questa volta eressero un castello di legno
sull'altura di fronte alla città riempiendo le quattro alte torri con centinaia
di grosse pietre che lanciate avrebbero dovuto difendere le artiglierie e le
altre macchine d'assedio trasportate fin lassù da ben 10.000 cammelli. Maometto
poteva contare su circa 300.000 uomini e su un cannone fatto costruire fondendo
ben undici pezzi d'artiglieria.
Iniziò così il nuovo assedio della città; Il 22 luglio,
squarciate ormai le mura dalla martellante artiglieria, i turchi riuscirono a
penetrare nella città occupandone quasi interamente il primo, importante
bastione. Ma a sorpresa, da lì, i turchi vennero ricacciati dagli abitanti e
dalle forze veneziane che tuttavia dovettero poco dopo ripiegare nuovamente.
Il 27 luglio Maometto comandò il secondo assalto generale.
La difesa della città, intanto, veniva sostenuta da frà Bartolomeo, predicatore
e guerriero e da Niccolò Moneta capitano della cavalleria, con l'impiego di
qualunque mezzo utile per danneggiare gli assalitori turchi: sassi, arnesi di
ogni genere, oggetti, olio e acqua bollente venivano fatti rotolare dalla
sommità della montagna dove si trovava la città, giù verso valle. L'assalto
durò per tutto il giorno ma non sembrava risolversi in alcun modo. Maometto
ormai furioso e in preda alla collera di fronte a tanta coriacea resistenza,
ordinò allora che tutti e tredici i cannoni venissero puntati
contemporaneamente sulla porta principale della città, non considerando di
colpire in quel modo anche i suoi uomini impegnati nell'assedio che infatti,
travolti e sorpresi dal bombardamento voltarono ben presto le spalle alla città
per fuggire.
Fu a quel punto che Maometto, si dice, esclamò: "Non
avessi io giammai udito il nome di Scutari: inutili sono le mie fatiche!".
Fonte: srs di
Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura
Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,
volume 3, SCRIPTA EDIZIONI