Riporto la lettera di una lettrice che pubblico, con il suo previo consenso, includendo la mia risposta:
"Buonasera, sono Sharon Mantin, una studentessa della facoltà di psicologia di Roma che sta scrivendo la tesi sul ruolo del padre nella tradizione ebraica.
Ho avuto spesso modo di leggere i suoi articoli pubblicati sul web e sono rimasta colpita da alcuni aspetti... mi chiedevo come mai parlando di Dio, siano sempre evidenziate le sue caratteristiche di padre mentre non vengono menzionate le sue caratteristiche materne.
Soprattutto nei libri dei profeti, spesso Dio è paragonato ad una mamma che allatta i suoi piccoli, oppure ci si riferisce a lui chiamandolo il misericordioso, la cui radice "rachem" si riferisce all'utero.
Un' altra cosa che mi ha molto colpita è stata l'analisi del quinto comandamento in cui si impone l'onore e il timore di ambedue i genitori. Alcuni commentatori, tra i quali Rambam, sostiene che questo comandamento sia cosi' importante da fungere da garante degli altri nove comandamenti. Se il ruolo di garante della legge è un ruolo esclusivamente paterno, non basterebbe un comandamento che demandi unicamente il rispetto del padre...
Mi scusi se probabilmente non sono stata molto chiara, ma non ho ancora una visione chiara dell'argomento.
La ringrazio anticipatamente della sua attenzione, sperando che lei possa aiutarmi a chiarire le idee."
Sharon Mantin
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Gentile Sharon Mantin,
Nelle religioni monoteistiche, ebraismo e islam, la figura materna è stata ferocemente rimossa. Tuttavia, quando un contenuto carico di energie emotive viene rimosso, continua a premere per un riconoscimento da dietro le quinte.
In entrambi le religioni, il dio padre intransigente e severo assume quindi anche parte di quelle peculiarità che sono materne per definizione. Infatti, come da lei evidenziato, Jahveh, ma anche Allah, diventa Rahum, misericordioso (in arabo Rahim).
Prima dell'esilio babilonese, Jahveh era esclusivamente un dio guerriero e sanguinario, simbolo fallico dei clan della tribù di Giuda, che lo portavano in battaglia affinché li guidasse e li conducesse alla vittoria. Il termine "Dio degli eserciti" non va interpretato infatti in senso astratto, ma molto concreto. Prima dell'esilio babilonese, gli ebrei adoravano, insieme a Jahveh, anche le dee madri per eccellenza Astarte e Asherah. Quindi, dio ricopriva esclusivamente un ruolo maschile e paterno, poiché il ruolo materno veniva affidato ad Astarte e Asherah.
Con il ritorno dall'esilio, la figura materna venne rimossa e gli ebrei si asserragliarono in un monoteismo intransigente.
Quando un bambino perde la madre, si attacca ancora di più al padre, e vede in lui anche una seconda madre. Lo stesso accadde agli ebrei.
Ho discusso dettagliatamente il meccanismo di questo processo in Trauma della nascita, esilio e monoteismo e in The Exile and its Consequences for Jewish Monotheism.
Non è un caso che, proprio nei libri dei profeti, Jahveh venga definito anche con quelle peculiarità materne da Lei menzionate. Infatti i profeti erano coloro che si opponevano ai culti predominanti di Astarte e Asherah, e premevano affinché gli ebrei rimuovessero le istanze psichiche materne. Se volevano imporre una rinuncia pulsionale verso il corpo della Madre, dovevano necessariamente offrire una compensazione, almeno parziale, proponendo un’istanza paterna che contenesse almeno alcune delle peculiarità materne, soprattutto quelle che più sarebbero mancate, tra cui Rahamim (la misericordia), la cui radice viene da Rehem (utero), come da Lei menzionato. Siamo alla vigilia dell'esilio e ad esilio inoltrato. I giudei avevano appena perso quelli che erano i simboli della Madre: la terra e il Tempio, e, come descritto in Geremia, rimanevano ancora ferocemente attaccati ai culti della "Regina del cielo":
“Quanto all'ordine che ci hai comunicato in nome del Signore, noi non ti vogliamo dare ascolto; anzi decisamente eseguiremo tutto ciò che abbiamo promesso, cioè bruceremo incenso alla Regina del cielo e le offriremo libagioni come abbiamo già fatto noi, i nostri padri, i nostri re e i nostri capi nelle città di Giuda e per le strade di Gerusalemme. Allora avevamo pane in abbondanza, eravamo felici e non vedemmo alcuna sventura; ma da quando abbiamo cessato di bruciare incenso alla Regina del cielo e di offrirle libazioni, abbiamo sofferto carestia di tutto e siamo stati sterminati dalla spada e dalla fame” (Geremia, 44, 16-18).
"La Regina del cielo", l'Ishtar babilonese (Inanna sumera), equivalente all'Astarte cananea, era dunque una Mater Matuta e Nutrix misericordiosa, che proteggeva il suo popolo dalla fame e la spada. Quando fu rimossa dalla psiche ebraica, Jahveh ne assunse le peculiarità, e diventò lui il Rahum.
Tuttavia, fu molto faticoso per gli ebrei rimuovere dalla loro psiche la figura materna, e questa riemerse come Torah.
Ho discusso la figura della Torah in Sapere e conoscenza. Dai riti iniziatici alla filosofia platonica e in On Trees and on Birds
Per l'Islam fu più facile rimuovere la figura materna, poiché non possedevano nel loro archivio mentale un passato filogenetico di politeismo così articolato come ebrei e cananei, per non parlare dei greci. Ho trattato l'argomento in Il monoteismo come regressione psicosessuale.
In molte cose mimarono gli ebrei, ma il Corano non assunse mai gli stessi contenuti densi di energie ed emotività, come la Torah per gli ebrei, che la studiano e commentano con l'intensità peculiare della nevrosi ossessiva, sublimando in penetrazione intellettuale quella che è una pulsione genitale eterosessuale. Penetrazione intellettuale e penetrazione genitale diventarono psichicamente equivalenti.
A questo proposito è importante ricordare che Freud, in "Simbolismo nei sogni" ci ha mostrato che il libro è un simbolo femminile. Quindi "il popolo del libro" significa "il popolo della madre".
Tuttavia, anche per l'Islam, la figura materna, anche se rimossa con più successo che per gli ebrei, emerge in alcune figure femminili di "sante", come Fatima e Maria stessa.
Come riporta Erodoto, mille anni prima che l'Islam venisse implementato dagli arabi, questi adoravano un dio e una dea principali, Padre e Madre:
Dioniso è, con Urania, il solo dio del quale ammettono l'esistenza [...]. Dioniso è da loro chiamato Orotalt, Urania Alilat (Hist. III,8)
Alcuni traducono "Urania" con Afrodite Celestiale. "Alilat" non è altro che la traslitterazione al femminile del dio ebraico - cananeo El, che nel giudaismo post - esilico si condensò con Jahveh in un'unica figura. Abbiamo discusso l'equivalenza tra Dioniso e Jahveh in Occidente e Oriente nello specchio di Dioniso e di Apollo
Fino all'implementazione dell'islam, gli arabi avevano adorato "Dioniso" e "Urania", come gli ebrei, fino al primo esilio (587 a.C), avevano adorato Jahveh e Asherah. In entrambi i casi, rimossa la Madre, rimase solo il Padre.
Per quello che riguarda la seconda parte della sua domanda:
"Un' altra cosa che mi ha molto colpita è stata l'analisi del quinto comandamento in cui si impone l'onore e il timore di ambedue i genitori. Alcuni commentatori, tra i quali Rambam, sostiene che questo comandamento sia cosi' importante da fungere da garante degli altri nove comandamenti. Se il ruolo di garante della legge è un ruolo esclusivamente paterno, non basterebbe un comandamento che demandi unicamente il rispetto del padre...", bisogna capire il significato latente e inconscio del comandamento.
"Onora il padre e la madre" intende proibire la scarica libidica su quelli che sono gli oggetti originali della libido infantile: il padre e la madre.
La legge, la Torah, essendo la madre, e inconsciamente viene dal Padre, rappresenta una sua estensione e gli appartiene, deve essere tutelata dalla scarica libidica di cui è naturalmente l'oggetto. Se penetriamo l'intenzione latente del testo, ci diviene chiara anche l'interpretazione del Rambam. Infatti, se si onorano il Padre e la sua Legge (la Madre), l'ordine sociale viene tutelato contro quelle pulsioni erotico aggressive che ne minano la stabilità. La funzione della madre, almeno nel giudaismo, viene dunque interpretata come l'articolazione del volere del Padre: "Ascolta, figlio mio, l'istruzione di tuo padre e non disprezzare la Torà di tua madre" (Prv. 1,8 e 6,20). Rappresentando ella stessa un oggetto erotico, per sè, ed appartenendo al padre, va doppiamente tutelata ed "onorata".
Al suddetto livello, se ne condensa un altro, latente, che risucchia dagli strati primari dello psichismo infantile e dei popoli.
Come evidenziato da Freud, all'inizio vi fu una dea madre, poi un dio figlio, e solo per ultimo apparve nel pantheon dei popoli il dio - padre: il ritorno dalla rimozione del padre primigenio dell'orda (Psicologia delle masse e analisi dell'Io, 1921, Complementi XII B).
Ebraismo e islam portarono a compimento il suddetto processo, rimuovendo l’istanza materna e filiale, e lasciando il campo a un solo dio – padre onnipotente. Il cristianesimo mise un atto un compromesso, nel quale però il dio - figlio e la dea - madre continuarono ad avere la preminenza, come lo era stato nei culti del mondo greco – romano nel quale fu implementato.
Tuttavia, il processo di quello che potremmo definire un tentativo di attribuire al padre la fonte di tutto, come avviene in un certo stadio dell'evoluzione psichica infantile, era già cominciato in embryo nella mitologia greca.
In una delle versioni sulla nascita di Afrodite, la dea donna per eccellenza, associata alla sessualità come le sue controparti orientali Inanna - Ishtar - Astarte, e Asherah, si racconta che la dea nacque dal pene evirato di Urano, gettato da Crono nel mare.
Quindi, anche i Greci albergavano la percezione endopsichica che la donna, oggetto di desiderio sessuale, sia il pene del Padre, sia una sua trasformazione, e quindi gli appartenga in quanto parte del suo stesso corpo. Il desiderio sessuale verso la donna diventa, così, un'infrazione contro la sacralità e l'icolumità del pene paterno. Questo infatti rappresenta il tabù originale, dal quale derivano tutti gli altri.
Come dimostrato da Theodor Reik in Myth and Guilt, il peccato originale non era l'atto sessuale, ma l'aggressione cannibalistica verso il pene - corpo del dio. Dal momento che la causa dell'aggressività filiale va ricercata nell'inibizione che il padre esercita verso i bisogni pulsionali dei figli, le due cose, incesto e parricidio, sono indirettamente associate, ma gli antichi limitavano il tabù al corpo del dio, e non lo estendevano al desiderio eterosessuale per sé.
L'ebraismo, implementando il monoteismo, dopo il ritorno dall'esilio babilonese, incrementò le restrizioni dirette alla sessualità, che presso tutti i popoli semiti erano molto blande e quasi non esistenti, ma il tabù rimase legato al corpo paterno, allargandone il concetto alla "donna d'altri" (in quanto d'altri inconsciamente significa "del padre", o anche semplicemente del tuo vicino), ma non solo la sessualità per sé non fu mai considerata peccato, bensì il rapporto sessuale è considerato obbligatorio.
Il rapporto sessuale rimase precetto, ricalcando i culti della fertilità in voga presso tutti i popoli semiti, e il tabù rimase limitato alla madre = pene del padre + "donna d'altri" = pene "d'altri".
Ovvero, l'adulterio è proibito in quanto la donna d'altri è il loro pene, e diventa un peccato di aggressività sociale. Non guasta ricordare che nell'ebraismo l'adulterio è solo quello commesso da un uomo con una donna fidanzata o sposata ad altri, e non riguarda il rapporto sessuale per sé. Se la donna è libera, anche se il perpetratore è già sposato, non vi è adulterio alcuno.
Solo con il cristianesimo il peso del peccato fu spostato al rapporto sessuale, e quello che era stato un peccato di aggressività parricida diventò un peccato "della carne", conservando solo una tenue traccia mnestica, che "la carne" era stata quella del Padre primigenio divorato.
Il parricidio venne negato (denial), ma il senso di colpa non sparì, bensì fu spostato sulla sessualità. E' un classico caso di rimozione e spostamento.
Ed ecco che ci diventa più chiara l'importanza del comandamento "Onora il padre e la madre". Sono entrambi due aspetti della stessa cosa: Il Padre e il suo pene, pene che si trasfigura in Madre e Torah.
Cordiali saluti
Iakov Levi
Fonte: srs di Iakov Levi, da http://psychohistory2001.com/index.html del
22 dicembre 2004
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