lunedì 4 aprile 2011

Il difetto fondamentale della donna non è l’ingiustizia, ma la sete di potere.




Per Schopenhauer, autore di un libello in diciassette capitoli su «L’arte di trattare le donne», il difetto fondamentale delle donne è l’ingiustizia, poiché esse, essendo più deboli dell’uomo, per prevalere non possono ricorrere alla forza, ma all’astuzia.

Ci sembra una tesi alquanto debole, per almeno due ragioni.

La prima è che, in qualsiasi contesa, ciascuno lotta come può e con le armi che ha; altra cosa, e molto più interessante, sarebbe domandarsi perché mai il rapporto fra uomo e donna debba degenerare pressoché sistematicamente in una contesa, da cui deve emergere un vincitore e uno sconfitto: domanda scomoda, ma che varrebbe la pena di farsi, invece di deprecare che la donna si serva di una strategia basata sull’astuzia.

Sarebbe inoltre interessante domandarsi se anche il rapporto della donna con le altre donne sia basato essenzialmente su uno spirito di competizione; perché, se così fosse - come noi crediamo e abbiamo sostenuto altre volte - allora bisognerebbe riflettere sulla radicata tendenza aggressiva e prevaricatrice della donna, indipendentemente se ella si trovi alle prese con un uomo, oppure con una persona del proprio sesso.

La seconda ragione è che la mancanza di senso della giustizia non è, a nostro parere, una conseguenza dell’uso dei mezzi subdoli nella lotta, ma, semmai, ne è la causa: il senso della giustizia o lo si possiede, o non lo si possiede: nel primo caso, si tende ad agire sempre lealmente con il prossimo e anche con l’avversario; nel secondo caso, si tende ad agire in modo subdolo e sleale, pur di raggiungere il fine prefissato.

Dunque, se la donna è priva o carente di senso della giustizia, ciò non deriva da una sua supposta “debolezza” nei confronti del sesso maschile: e chi lo dice, poi, che la donna è più debole?

Sul piano fisico? Niente affatto: è stato più volte osservato, ad esempio quando una carovana di emigranti doveva svernare nel cuore delle montagne, senza provviste e senza possibilità di alimentare il fuoco (come avvenne con la tragica spedizione Donner, decimata dal gelo sulla Sierra Nevada nel 1846-47), che le donne riuscivano a sopravvivere più degli uomini, dimostrando di possedere un fisico più robusto e adattabile - anche se, generalmente, meno muscoloso: ma la muscolatura non è sinonimo di forza complessiva.

Sul piano morale? Anche qui, si potrebbero fare molti esempi per mostrare che, in fatto di risolutezza d’animo e capacità di affrontare le più dure avversità della vita, la donna, generalmente parlando, è molto più dotata dell’uomo e se la sa cavare molto meglio: è lei il sesso forte, non quello maschile.

Bisognerebbe dunque capovolgere il ragionamento di Schopenhauer (che, in verità, in questo libretto non si può certo dire che abbia dato il meglio di sé come pensatore; anche se è puerile accusarlo di misoginia, solo perché parlava delle donne senza timore reverenziale o, peggio, come dicono gli psicanalisti, solo perché ebbe un rapporto difficile con la madre): la donna essendo il sesso forte, non teme affatto di misurarsi con l’uomo: sa che, a parità di condizioni, molto probabilmente l’avrà vinta, anche perché l’uomo, nella sua immensa ingenuità, ritiene poco decoroso voler prevalere su di una creatura debole e indifesa, e spesso cede le armi e si rassegna alla sconfitta per pura cavalleria.

Quanto alla mancanza di senso della giustizia, può darsi che Schopenhauer, nonostante la illogicità del suo ragionamento, abbia visto giusto, circa le conclusioni; può darsi che alla donna esso faccia difetto più che all’uomo, vista l’estrema disinvoltura con cui la donna passa sopra alle promesse più appassionate e ricostruisce la propria vita dopo le separazioni più dolorose, con una mancanza di scrupoli e di rimorsi che lasciano sbalorditi molti uomini (inutile dire che anche alcuni uomini mostrano la stessa attitudine, tuttavia siamo convinti che ciò non sia tipicamente maschile, mentre è tipicamente femminile).

Se conservare la fede alle promesse fatte o ritenere sacro un giuramento è indice di senso della giustizia; se aborrire dal commettere una cattiva azione, come lo è quella di conquistare la fiducia di un altro essere umano e poi usarlo a proprio piacimento, lasciandolo quando più non serve, allora questo difetto è certamente più tipico della donna che dell’uomo: e lo si osserva sia nei rapporti della donna con l’uomo, sia in quelli della donna con le altre donne, e particolarmente con quelle che sembravano le sue amiche più care.

Lo ripetiamo: vi sono anche degli uomini che agiscono così con le proprie amanti, con le proprie amiche e con i propri amici, senza provare rimorso né vergogna: ma tale non è la norma, almeno per un vero uomo; per un vero uomo, comportarsi così è inconcepibile. Quando un uomo agisce in tal modo, magari dopo aver brigato con pettegolezzi, calunnie e insinuazioni per colpire i propri avversari, allora significa che in lui è presente una fortissima componente femminile: e, come appare evidente, non certo la componente migliore e più degna di ammirazione.

Ad ogni modo, non ci sembra che l’ingiustizia sia il difetto essenziale delle donne, pur essendo, certamente, uno dei loro difetti più marcati - e sempre con le debite eccezioni, come è dimostrato dal caso dell’Antigone di Sofocle, che rischia la vita per sfidare una legge moralmente ingiusta e dare degne onoranze funebri al corpo del fratello Polinice; ma Antigone, appunto, è l’eccezione che conferma la regola.

No: il difetto essenziale delle donne è, a nostro avviso, la ferma, tenace, anche se generalmente ben dissimulata, volontà di dominio, di esercitare un controllo sugli altri, di imporre loro il passo ed il ritmo che esse decidono, mettendo in opera tutte le strategie possibili per raggiungere questo fine. La dissimulazione, il nascondimento, la menzogna, il tradimento della parola data, sono da esse utilizzati - senza alcuno scrupolo e con rarissime manifestazioni di pentimento - nella misura in cui possono condurle ad ottenere un tale risultato.

La donna, più dell’uomo, è divorata da una bruciante sete di potere: espressione che va presa nel significato più ampio e generale e non solo e non tanto nel campo della politica,  sebbene gli esempi di Zenobia, di Marozia, di Elisabetta d’Inghilterra, di Golda Meir e di Indira Gandhi, solo per fare qualche nome, mostrano a sufficienza quanto siano lontano dal vero coloro i quali affermano che il genio della donna non è essenzialmente politico o, comunque, che lo è in misura infinitamente minore di quello dell’uomo.

Il potere politico è solo un aspetto, certo il più appariscente, ma, secondo noi, non il più pervasivo, del potere in quanto tale. Se ci si domanda chi detenga il potere in moltissime coppie, in moltissime famiglie, in moltissimi uffici, in moltissime istituzioni, sia pubbliche che private, si finirà per constatare come la donna, agendo in maniera meno appariscente, ma molto più sottile e determinata dell’uomo, è riuscita a conquistare delle posizioni di assoluta prevalenza, che risultano sovente pressoché inespugnabili.

La stragrande maggioranza delle donne non amano un rapporto alla pari: desiderano prevalere; ma sono abbastanza furbe da non lasciarlo trasparire, per cui agiscono con estrema abilità per dissimulare il loro scopo, che è quello di conquistare una posizione di potere, generalmente affettivo, dall’alto della quale imporre alla controparte - figli, mariti, amici, amiche, colleghi, colleghe, amanti, eccetera - la linea di condotta più vantaggiosa per loro; in particolare, riservandosi la possibilità di concedersi o negarsi quando e come lo vogliano e senza che alla controparte sia riconosciuto un analogo diritto.

Così, ciò che esse non concedono né perdonano negli altri, lo riservano a se medesime con tutta semplicità e quasi, si direbbe, con tutta innocenza, se fosse possibile usare senza arrossire questa parola in un siffatto contesto; esse considerano naturale e perfino dovuto che gli altri assecondino pazientemente tutti i loro umori, il loro farsi avanti e il loro tirarsi indietro; ma non accetterebbero mai, quanto a loro, di doversi adattare a simili comportamenti da parte degli altri.

La maggior parte delle donne sono abituate a non concedere nulla, neppure un sorriso, se non dietro un calcolo preciso e sempre curando di far sì che ogni sia pur minima concessione appaia come un dono generoso, che gli altri, quanto a loro, non avrebbero meritato; parimenti sono propense a ritirare in qualsiasi momento tutti quei gesti o quei comportamenti che hanno acceso speranze o aspettative negli altri, e sempre al medesimo scopo: evitare di mettersi nella posizione di “dovere” qualcosa a qualcuno, evitare di lasciarsi imprigionare entro schemi che gli altri possano prevedere o addirittura dare per scontati.

Insomma, la donna vuole sempre essere lei a dirigere il gioco, qualunque gioco, anche quello cui abbia deciso di non partecipare: perché raramente sarà così diretta da dire “no” e basta; molto più probabilmente, terrà deliberatamente gli altri nell’incertezza, lasciando socchiusa la porta dietro di sé, senza dire in modo categorico né sì né no. Quello che negli altri, e specialmente nell’uomo, ella giudicherebbe una intollerabile scortesia, da parte sua lo fa tranquillamente e si stupirebbe molto se qualcuno le facesse notare quanto assordanti siano le sue improvvise scomparse e quanto invadenti i suoi ingressi, magari altrettanto repentini.

Non c’è niente di perfido, di diabolico, in tutto questo; e non c’è proprio niente di misogino nel dire simili cose. Le donne non sono perfide o diaboliche perché perseguono il potere: probabilmente lo fanno per un istinto ancestrale, che ha a che fare con la maternità e con la responsabilità di proteggere i figli e di assicurarsi la collaborazione del loro padre.

Certo, come tutti gli istinti, anche questo andrebbe tenuto alla briglia dalla ragione e dalla volontà, per evitare che si spinga molto al di là del necessario e del giusto e finisca per diventare distruttivo, nel senso di collidere con gli scopi medesimi verso i quali è indirizzato.

Ad esempio, una madre eccessivamente gelosa e possessiva finirà per indurre i figli ad allontanarsi da lei: ma non nel modo che è giusto e naturale, come gli aquilotti che, a un certo punto, spiccano il volo fuori dal nido; bensì in modo negativo, con amarezza e con aspre recriminazioni da entrambe le parti.

La stessa cosa vale a proposito dell’istinto della donna a trattenere presso di sé il proprio uomo, il padre dei suoi figli: se il suo gioco si fa troppo scoperto, l’uomo si sente soffocare, si sente manipolato e chiuso in gabbia e finisce, presto tardi, per scappare da un rapporto che finirà per sembrargli una autentica prigione.

La vera abilità della donna sta, appunto, nel perseguire i suoi fini di potere senza darlo troppo a vedere, anzi, senza darlo a vedere affatto; di una donna del genere si dice che ha stile, che ha classe, e così via.

È quasi inutile osservare che la vera donna di classe non è semplicemente quella che riesce a dissimulare i propri giochi di potere, siano essi nella coppia, nella famiglia e nell’ambiente di lavoro; ma quella che riesce a mantenere il proprio istinto di potere entro limiti ragionevoli e a costruire con le altre persone dei rapporti basati il più possibile sulla fiducia, sulla giustizia, sulla verità dei sentimenti.

Solo una donna del genere riuscirà a trovare rispondenza in persone di qualità, siano i figli o i mariti o le amiche o chiunque altro: perché il simile attrae il simile e la tendenza alla manipolazione funge da catalizzatore di altre tendenze, non propriamente nobili, dell’animo umano: la tendenza ad agire in maniera subdola, a manipolare, a ingannare, a strumentalizzare l’altro.

In breve, si raccoglie quello che si è seminato; e il voler esercitare un controllo egoistico sull’altro non può che produrre i frutti amari della disarmonia e dell’infelicità, che lasciano dietro a sé lungi strascichi di delusione, rancore e perfino desiderio di vendetta.

Il tipo femminile migliore non è, pertanto, quello che non conosce l’istinto del dominio e della manipolazione dell’altro, ma quello che lotta vittoriosamente contro i suoi eccessi e che riesce a trasformare in virtù ammirevoli quelli che, altrimenti, apparirebbero inevitabilmente come dei difetti piuttosto gravi.

Solo questo tipo femminile “superiore” riesce ad essere una madre amorevole, senza divenire soffocante; una figlia affettuosa, senza essere sottomessa; una collega di lavoro disponibile e generosa, senza divenire succube; e una compagna leale e appassionata dell’uomo.



Fonte: srs di Francesco Lamendola, da Arianna Editrice del 28 marzo 2011


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