domenica 12 luglio 2015

STORIA VENETA - 59: 1379 - IL DOGE CONTARINI INCORAGGIA I VENEZIANI. LA REPUBBLICA SI SALVA E CONTRATTACCA



Dal testo di Francesco Zanotto


"IL  dì 14 settembre 1379 però, secondo narra il Sanuto, corse un grido nella piazza di S. Marco: i nemici si partono. E subitamente quella voce volando perveniva nel cortile del Palazzo Ducale, e sentitala il Doge disse: E' forza ora che tutti montiamo in galea, poichè Dio sarà per noi, sendo la giustizia dal lato nostro. Ciò detto di buon  animo, quantunque grave d'anni, scese il Contarini nella piazza col gonfalone ducale, a confortare il popolo abbattuto, ad eccitarlo in difesa della patria pericolante; nè guardando alla senile età, a proferirsi egli stesso siccome capitano; volendo dare solenne esempio a' cittadini di seguirlo tutti ... "


ANNO 1379


Giuseppe Gatteri


Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.


C'è qualcosa di grandioso nei momenti di pericolo, è lì che vengono messi a dura prova gli uomini e a Venezia, assediata dai genovesi, si ebbe la fortuna di trovarne molti che dettero prova di grande valore e dedizione alla repubblica ...


LA SCHEDA STORICA  - 59


Così narrano le cronache: "Alla fè di Dio, Signori Veneziani, non havrete mai pace dal Signore di Padova nè dal nostro Comune di Genova, si primamente non mettemo le briglie a quelli vostri cavalli sfrenati che sono su la Reza del vostr'Evangelista S. Marco".
Questa fu la tremenda ed impietosa risposta dell' ammiraglio genovese Pietro Doria alla richiesta del governo veneziano di trattare la pace. L'obbiettivo, ormai evidente, era la conquista di Venezia. Chioggia, dunque, era solo il primo passo di un piano che avrebbe portato i gonfaloni di Genova a sventolare in Piazza S. Marco.
Il  doge Contarini, in quella disperata situazione e ormai certo di dove puntassero i genovesi, aveva fatto il suo estremo tentativo di salvare la patria chiedendo di aprire dopo la caduta di Chioggia, le trattative per siglare la pace.
La pace, al contrario, doveva rivelarsi ancora molto lontana per Venezia che affannosamente si preparava all'ultimo, disperato tentativo per fermare l'ondata nemica. Non c'erano purtroppo ancora notizie di Carlo Zeno e della sua flotta, ma nel frattempo si era ripristinato nelle sue funzioni di comandante Vittor Pisani. La decisione, che trovava concorde il popolo ed il governo veneziani, fu presa tuttavia dal Senato con una certa riluttanza dato che il suo candidato Taddeo Giustinian era stato clamorosamente respinto. Le circostanze tuttavia, erano di una tale gravità che non lasciavano certo il tempo per inutili e controproducenti discussioni. Si doveva al contrario e prontamente agire e così Vittor Pisani si ritrovò riabilitato nel suo ruolo in un momento estremamente delicato per l'intera città.
Il  Pisani dichiarò di non portare alcun rancore verso la Repubblica - aveva in fondo subìto ingiustamente l'umiliazione del carcere -, e di essere pronto invece, a sacrificare la propria vita per la salvezza della  patria.


Vittor Pisani dimentica i torti subìti


Il  comandante ora c'era, mancavano però ancora le navi. E così, nell'Arsenale si lavorò giorno e notte a  ritmi massacranti per costruire nuove imbarcazioni tanto che nel giro di pochi giorni ben 40 galee erano pronte a prendere il largo.
In sole due settimane venne eretto, inoltre, un muro difensivo lungo il Lido, mentre una barriera fatta di tronchi d'albero venne stesa all'estremità  partire dalla chiesa di S. Nicolò di Lido e fatta passare attraverso la laguna dietro le isole di S. Servolo e della Giudecca giungendo fino alla terraferma.
Tutto questo febbrile lavorio era segno di una mutata atmosfera nella città che, dalla paura e dall'incredulità iniziali, stava riacquistando progressivamente la fiducia e la speranza. Tutto questo fu in gran parte merito di Vittor Pisani e dei suoi uomini che seppero infondere coraggio alla popolazione atterrita correndo anche di quà e di là nella laguna per sorvegliare, controllare e incrementare le difese poste alla città.
Anche il vecchio doge Andrea Contarini tuttavia, svolse un ruolo importante e determinante in quei giorni terribili.  I genovesi erano sbarcati ormai a Malamocco, l'altra grande isola della Venezia mettendo praticamente piede nel cuore della laguna. La situazione a quel punto era ormai a dir poco disperata. Non restava che attendere l'attacco finale del nemico. Eppure qualcosa nelle fila genovesi provvidenzialmente si era inceppato. Il comandante Pietro Doria temporeggiava invece di attaccare la città, suscitando le ire di Francesco da Carrara favorevole invece ad un attacco immediato, oltre che dei suoi uomini costretti a guardare ancora da lontano le leggendarie e favolose ricchezze di Venezia.
Questa incertezza, o forse la semplice volontà di voler evitare lo scontro diretto coi veneziani puntando a prendere la città per fame, costò comunque cara al comandante genovese consentendo invece alla comunità lagunare d'organizzarsi ed approntare le necessarie difese.
E così, ad attaccare per primi, furono paradossalmente proprio i veneziani. Giovanni Barbarigo era piombato su tre navi genovesi incendiandole mentre Jacopo de Cavalli avanzando verso sud lungo i lidi era riuscito a recuperare Malamocco. Era l'inizio della riscossa veneziana.
L'inverno, poi, si stava avvicinando e questo significava per Pietro Doria ritirarsi inevitabilmente con le navi a Chioggia per svernare con la pesante situazione di dover mantenere tante navi coi relativi equipaggi molti mesi lontano da Genova. I rifornimenti inoltre potevano passare solo attraverso tre canali: Pellestrina e i due ingressi al porto di Brondolo che portavano direttamente in laguna, facilmente ostruibili con dei massi data la loro relativa profondità. Gli altri due accessi alla laguna, quelli da nord, potevano essere invece pattugliati da delle milizie. E così venne allestita la squadra destinata ad andare ad ostruire i canali vicino a Chioggia.
Il doge Andrea Contarini nella Piazza del gonfalone ducale incoraggiò calorosamente il popolo veneziano incitandolo a reagire in difesa della patria. Alle parole seguì presto anche l'esempio.
Il doge infatti, malgrado la veneranda età di oltre 80 anni, scelse d'imbarcarsi con le milizie comandate da Vittor Pisani salendo sulla nave di Luca Contarini. La piccola flotta di tre, forse quattro imbarcazioni, salpò da Venezia il 21 dicembre del 1379 portando con sè a rimorchio due carichi di pietrame. All'alba la squadra era già in prossimità di Chioggia scatenando l'immediato allarme delle vedette genovesi. Malgrado l'inevitabile scontro presso Brondolo, le carcasse con le pietre erano state affondate nei punti prestabiliti. In poche ore tutte le uscite da Chioggia venivano in tal modo ostruite. I genovesi con la loro flotta si ritrovavano improvvisamente chiusi in trappola!


Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,  volume  2, SCRIPTA EDIZIONI




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