giovedì 2 luglio 2015

STORIA VENETA – 54: 1372 - LA SCONFITTTA DEGLI UNGHERI A PIOVE DI SACCO. GRAZIE ALL’ESERCITO GUIDATO DAL CORREGGIO



Dal testo di Francesco Zanotto


"Il da Correggio invece dispose i suoi in due falangi; nella prima delle quali pose i cavalieri, e nell'altra i fanti, co' quali ultimi mescolò eziandio mille balestrieri ed oltre quattromila arcieri 'Turchi; e retro a questi fe' seguire la gente d'armi coi vessilli. Il Vaivoda iratamente corse a percuotere quella gente, molti di loro stendendo sul campo; ma la moltitudine de' Turchi feriva ne' cavalli e negli uomini con numero immenso di dardi, attalchè, narra lo storico ricordato, l'aria ne fu oscurata. La battaglia era durissima, e il Vaivoda operò grandi prove di valore: ma da ultimo, non potendo gli Ungheri sostenere il saettamento de' barbari, sgominaronsi ... "


ANNO 1372


Giuseppe Gatteri


Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.


Forze padovane sostenute da un'armata ungherese inflissero pesanti sconfitte ai veneziani prima di essere affrontate e messe in fuga dagli eserciti della repubblica a Piove di Sacco, anche grazie all'apporto di arcieri turchi, assoldati per l'occasione ...


LA SCHEDA STORICA  - 54


A muoversi per primo contro Venezia fu il signore padovano Francesco da Carrara. Già da tempo i padovani andavano costruendo numerose fortezze lungo il confine col territorio veneziano e fra queste quelle di Castellaro e di Oriago che vennero dichiarate zone franche con un mercato settimanale privo di dazi che andava a costituire una seria minaccia commerciale per il mercato lagunare.
Ma ancora non bastava. I timori di un atto di forza contro Venezia che andavano da tempo diffondendosi nella città stavano infatti pericolosamente prendendo corpo. Dopo le minacce e le intimidazioni, si arrivò infine alla guerra.
Francesco da Carrara si era preventivamente assicurato l'aiuto militare del re d'Ungheria Luigi d'Angiò che inviò alla corte carrarese, in data 26 febbraio 1372, il documento nel quale rendeva nota la sua totale disponibilità in tal senso. L'eventuale sconfitta di Venezia infatti, avrebbe facilmente e finalmente aperte le porte della Dalmazia al sovrano ungherese che avrebbe così ottenuto il tanto sospirato sbocco sull'Adriatico.
Avuta conferma dell' appoggio da parte del re, Francesco da Carrara preparò il suo esercito affidandone il comando al Conte Rizzardo di S. Bonifacio e ben presto alle sue truppe si unirono quelle  inviate dal re Luigi d'Ungheria.
 Inizialmente più che in una vera e propria guerra lo scontro tra Padova e Venezia si risolse in una serie di piccole battaglie circoscritte che andarono ad allungare con i loro alterni esiti i tempi dello scontro risolutore.
Le cose presero invece a mutare proprio con l'arrivo di un esercito ungherese guidato da Stefano di Transilvania, nipote del re Luigi. Forte di ben 2.500 uomini il suo esercito si congiunse quindi con quello del signore padovano infliggendo ai veneziani le prime, preoccupanti sconfitte di una certa entità come quella di Nervesa sul Piave. In quell'occasione con il capitano veneziano cadde nelle mani dei padovani anche il gonfalone di S. Marco che venne appeso quale trofeo nella Basilica di S. Antonio.


Si ricorre ai mercenari turchi


Gilberto da Correggio, il nuovo capitano delle truppe veneziane, si era intanto portato con il suo esercito a  Lova, nel tentativo di riorganizzare le fila dei veneziani che vennero invece nuovamente e duramente sconfitti il 14 maggio dagli eserciti congiunti dei padovani e dei cavalieri ungheresi. A Venezia, giunta la notizia dell'ennesima sconfitta, l'atmosfera si fece a dir poco pesante. C'era bisogno di nuovi rinforzi, di soldati freschi e determinati per ribaltare le sorti della guerra. Si dice che fu allora, in quel disperato momento, che il doge Contarini si decise di chiamare in aiuto delle sue truppe ben 5.000 guerrieri turchi armati di tutto punto, d'archi e scimitarre. Questi contingenti si diressero immediatamente in aiuto del Correggio che si trovava chiuso nel castello di Lova da dove, tuttavia, era riuscito con una fortunosa sortita a far tagliare gli argini dell'Adige a Borgoforte provocando l'allagamento di molte ville nel territorio padovano.
Giunti i rinforzi il comandante veneziano riguadagnò la speranza perduta dopo la sconfitta e decise di puntare su Pieve di Sacco, centro nevralgico dei padovani. Giunto sotto le mura del piccolo centro, iniziò a farvi scavare una gran fossa ed erigere un bastione provocando l'immediata reazione del carrarese. Questi riunì il suo esercito dividendolo in tre distinti gruppi. Il primo comandato da Stefano di Transilvania, il secondo guidato dallo stesso Francesco da Carrara, l'ultimo, invece, capeggiato da un gruppo di cavalieri padovani.
Il  Correggio dal canto suo, dispose invece i suoi uomini in sole due falangi: nella prima i cavalieri nella seconda i fanti tra i quali si trovavano circa 1000 balestrieri e oltre 4.000 arcieri turchi.
L'esercito padovano si trovava da un pò impegnato nell'assedio di una fortezza veneziana quando si vide improvvisamente piombare addosso l'esercito veneziano guidato dal Correggio. Inutilmente le truppe ungheresi contrattaccarono, dato che il loro tentativo venne clamorosamente respinto dai veneziani. Era solo l'inizio di una durissima battaglia fra i due eserciti che si scontrarono infatti senza esclusione di colpi per molte ore ancora. La probabile superiorità numerica dei veneziani, la loro determinazione - era in gioco la libertà della loro patria- e la ferocia dei guerrieri turchi, ebbero alla fine la meglio sulle truppe ungheresi. La loro rotta trascinò inevitabilmente anche l'intero esercito padovano che abbandonò, sconfitto, il campo di battaglia. I veneziani potevano ritenersi comunque più che soddisfatti. Le precedenti sconfitte erano state vendicate e Venezia era salva. Si poteva finalmente farvi ritorno.
In città, l'esercito vittorioso, portava con sè anche un prigioniero di tutto riguardo: Stefano di Transilvania, comandante delle truppe nemiche e niente meno che nipote del re d'Ungheria, Luigi. La cattura del prezioso personaggio, procurò a Venezia l'immediata pace. Luigi infatti, non appena avuta notizia della cattura del nipote si ritirò prontamente dal conflitto per ottenerne la liberazione, lasciando solo in tal modo il signore padovano che si vide così costretto a chiedere la pace al governo veneziano.


Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,  volume  2, SCRIPTA EDIZIONI




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