sabato 17 dicembre 2011

QUALE NAZIONE PER UNO STATO?

 Passo delle Fittanze:  raduno alpini (15 luglio 2007)

La Seconda Guerra Mondiale sconvolse gli equilibri dell’Italia intera, mettendo a repentaglio la vita di un’intera generazione e lo stesso ideale di nazione, prima fervido, poi sbiadito.

Verona
Cara mamma e cara zia Maria, voglio usufruire di queste ultime ore  durante le quali  sono in libertà. Questa sera  o domani “dovrò prendere una grande decisione: o dura prigionia all’estero, non so dove, o vita alla macchia.  Spero che Iddio mi ispiri per il meglio. Se rimarrò [...] certamente avrò molte difficoltà a far vi pervenire mie notizie. In ogni modo farò sempre del mio meglio perché una parola vi dia segno della mia presenza in questo mondo. Se dovessi perdere la vita, cosa probabile nelle attuali condizioni, vi sia di grande consolazione il sapermi in grazia di Dio. Ci vediamo in cielo. [...] Siate serene”.

Era il 16 settembre del 1943, nel cuore di quella guerra che per la seconda volta coinvolse il mondo intero. Tre anni prima, il 17 maggio 1940, al Comune di Grezzana, così come in tutte le realtà locali dell’Italia, era giunto un telegramma urgente, e quanto mai drammatico, dal prefetto Letta:
“A partire dalle ore diciassette di oggi altoparlanti e campane siano pronte all’ordine.  Adunata seguirà subito dopo [...] secondo disposizioni già note”.

 L’Italia era in guerra. L’Italia di Mussolini, l’Italia dei Fascisti, e anche di chi fascista non era. Il 17 novembre 1941 il soldato Gaetano Brunaldi scriveva al parroco:
“Il morale è sempre buono per quanto il freddo si faccia sentire molto forte [...] Però confido sempre nel Signore e nelle preghiere dei buoni perché presto abbia a ritornare fra i miei cari orgoglioso di avere anch’io contribuito alla meta da raggiungere”.

Più infiammate risultano invece le parole di Domenico Cipriani, che nel ‘42 manifestava “onore e orgoglio” di appartenere al reggimento che il nemico ha sempre battuto e sempre batterà.   “A Roma e alla sua sacra bandiera di guerra ripeterò dal mio posto di combattimento il solenne giuramento di Obbedire, Combattere e Vincere, per la nostra adorata Patria, per il nostro Re Imperatore. Nel bacio che vi invio sentirete anche la certezza comune nella immancabile Vittoria. Vinceremo!”.

Ma altri confidavano, in toni più rassegnati, la speranza di un ritorno “sani e salvi”.  Il parroco, don Michele Garonzi, da poco arrivato in questa comunità, da buon pastore si prese cura dei suoi fedeli, qualunque fosse la loro credenza politica. Benediceva i giovani soldati e nascondeva i partigiani. Era il mediatore tra centro e periferia.  A lui, anzitutto, giungevano le lettere dal fronte.
Grezzana aveva consegnato molti suoi paesani alla guerra. E le famiglie, già stravolte dalla partenza dei loro cari, vivevano nell’angoscia del futuro incerto. Dopo tre lunghi anni di guerra la situazione si aggravò ulteriormente. Mentre gli americani intervenivano nelle penisola e la Repubblica di Salò veniva costituita sulle sponde del Lago di Garda, i soldati tedeschi si facevano sempre più minacciosi e violenti nelle realtà locali.  
Sarebbe stato grazie a don Garonzi e, come molti credono, per intercessione della Madonna che il paese scampò all’incendio e alla totale distruzione, per un po’ di carbone asportato da alcune persone dalle Scuole di Grezzana.  
Ma la lotta civile che dilagò negli ultimi due anni di guerra non risparmiò il destino di alcuni giovani: Rita Rosani e Dino Degani furono tra le sue vittime, sulle alture del Monte Comun. Martiri, eroi o traditori?  Questa volta le facce tendono a confondersi.  Soldati, fascisti, partigiani...di chi era la “patria”? Di chi era quell’idea di nazione sbandierata con tanta enfasi per decenni?

La nazione era diventata la fede dei fascisti. Eppure gli antifascisti lottavano ancora per una nazione italiana. Il Fascismo aveva fatto della nazione una fede, una passione, una spiritualità. Aveva portato agli esiti più estremi i valori risorgimentali. Aveva fatto sua l’idea di patria e di nazione. Ciò era servito al Fascismo ad allontanare la propria immagine dalla realtà, spesso cruenta, e ad avvicinarlo a qualcosa di immateriale, a un’idea a cui tutti potessero aderire.

Cosa rimaneva allora a chi fascista non era? Certo dal movimento di Resistenza nacque una nuova patria, che si aggiungeva a quella impersonata dalla Repubblica di Salò. Due patrie, dunque, frutto di quel fenomeno che gli storici hanno definito “ideologizzazione della nazione”.

Dopo il ‘45 sarebbero stati i singoli partiti a rivendicare la pretesa di rappresentare la vera nazione italiana, sebbene ormai di “nazione” o “patria” non si parlasse più in modo esplicito, tanto questi concetti erano stati assorbiti dall’ideologia fascista. Un’ideologia che aveva posto le basi del conflitto tra italiani e anti- italiani, alimentando la decadenza del sentimento nazionale nella sua matrice originaria. Già nel ‘47 qualcuno parlava di “mistica di partito”, i partiti sostituivano la nazione.
La Costituzione italiana, entrata in vigore nel ‘48, contiene pochissimi riferimenti alla patria, e si fonda sul lavoro, non sulla nazione. Abnegazione di un’identità comune?
E’ bene ricordare che la nazione è un artificio, non un dato di natura.
Come si è domandato provocatoriamente uno storico: ha senso porsi il problema di “perdita di un’identità nazionale”, quando ci si deve confrontare con questioni quali l’immigrazione e il diritto di cittadinanza?

PER NON DIMENTICARE:  DINO DEGANI 

Dino Defani

Ogni due anni ricorre la celebrazione davanti al monumento dei caduti a Cava Pillon, presso Grezzana. Qui il 12 novembre 1943 furono fucilati Clive Lyon Williams, un soldato inglese in fuga, e il diciassettenne Giovanni Battista dalla Riva che lo aveva aiutato.
Ogni settembre, invece, sul monte Comun si ricordano le vittime partigiane, Rita Rosani e Dino Degani.
Nel 2008 Ferdinando Zanini in collaborazione con il Comune ha curato la mostra “Grezzana e la Seconda Guerra Mondiale”,  in cui è stata esposta molta della corrispondenza di guerra conservata da don Michele Garonzi, parroco di Grezzana dal 1939 al 1968.

Fonte: srs  Giovanna  Tondini;  da Pantheon di novembre 2011.

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