sabato 10 dicembre 2011

IL PREMIO NOBEL DELL’ECONOMIA PAUL KRUGMAN: L’AUSTERITÀ È UN ERRORE

IL PREMIO NOBEL DELL’ECONOMIA  PAUL KRUGMAN

L'euro può essere salvato?
Non molto tempo fa si diceva che la crisi poteva portare, nel peggiore dei casi, al default della Grecia. Ora si profila l'evenienza di un disastro di proporzioni assai maggiori. È vero che la pressione sui mercati si è un po' allentata mercoledì. si è allentata dopo il sensazionale annuncio dell'estensione delle linee di credito da parte delle banche centrali. Ma persino gli ottimisti ormai considerano l'Europa avviata alla recessione, mentre i pessimisti lanciano l'allarme sull'eventualità che l'euro diventi l'epicentro di una nuova crisi globale.

Come mai siamo arrivati fin qui?
La risposta più comune è che l'origine della crisi dell'euro va individuata nell'irresponsabilità fiscale. In tv è un gran vociare di esperti: in assenza di tagli alla spesa pubblica l'America finirà come la Grecia. Ma è vero quasi l'opposto. Benché i leader europei identifichino il problema nella spesa pubblica troppo alta dei Paesi debitori, la realtà è che in Europa la spesa è troppo bassa. E imporre una maggiore austerità è stata una mossa negativa, che ha peggiorato la situazione.

Riassumendo.
Negli anni precedenti alla crisi del 2008 in Europa, come in America, il sistema bancario era fuori controllo e il debito galoppava. In Europa però, gran parte dei prestiti erano transfrontalieri, i fondi tedeschi finivano al sud. L'operazione veniva considerata a basso rischio. I destinatari in fondo facevano tutti parte dell'area dell'euro, che cosa mai poteva succedere? In massima parte, detto per inciso, i prestiti non erano diretti ai governi, ma al settore privato. Solo la Grecia ai tempi d'oro presentava gravi deficit di bilancio statale. La Spagna, alla vigilia della crisi, vantava addirittura un surplus.

Poi la bolla scoppiò.
La spesa privata nei Paesi debitori crollò. I leader europei avrebbero dovuto riflettere su come impedire che questi tagli alla spesa provocassero una recessione in tutta Europa. Invece risposero all'inevitabile conseguente crescita del deficit imponendo a tutti i governi – non solo a quelli dei Paesi debitori – di tagliare la spesa pubblica e aumentare l'imposizione fiscale. Non tennero conto dei moniti di chi pronosticava un aggravarsi della depressione. «La tesi secondo cui le misure di austerità potrebbero innescare un processo di stagnazione non è corretta», dichiarò Jean-Claude Trichet, all'epoca presidente della Bce. Il motivo? Perché «da politiche che stimolano la fiducia verrà un impulso, non un ostacolo alla ripresa economica».

Ma questa magica fiducia non si è materializzata.
E c'è di più. Negli anni del denaro facile, i salari e i prezzi in Europa meridionale sono cresciuti assai più velocemente rispetto al nord Europa. Ora bisogna ridurre il divario calando i prezzi al sud o, in alternativa, alzandoli al nord. E la scelta è importante: se l'Europa meridionale è costretta a ridurre la propria competitività pagherà un caro prezzo in termini di occupazione, e vedrà aumentare il debito. Si avrebbero possibilità di successo maggiori se il divario venisse ridotto aumentando i prezzi a nord.

Ma per far questo i policymaker dovrebbero accettare temporaneamente un aumento dell'inflazione nell'intera eurozona, mentre hanno già ribadito di non averne alcuna intenzione. Ad aprile, la Bce ha iniziato ad aumentare i tassi di interesse, pur essendo palese a gran parte degli osservatori che l'inflazione, semmai, era troppo bassa. Non è stata una coincidenza che proprio ad aprile la crisi dell'euro sia entrata in una nuova, terribile fase. Lasciamo stare la Grecia. Come economia, confronto all'Europa, è paragonabile all'area di Miami rispetto agli Stati Uniti. A questo punto i mercati hanno perso la fiducia nell'euro in generale, portando i tassi di interesse a salire anche in Paesi come l'Austria e la Finlandia, non certo noti per la loro sregolatezza. L'appello all'austerità generale associato al morboso terrore dell'inflazione da parte della banca centrale fanno sì che ai Paesi indebitati sia impossibile sfuggire alla trappola del debito. Questa accoppiata è quindi garanzia di default sul debito, corsa al ritiro dei depositi bancari e crollo finanziario generale. Mi auguro, sia per il bene dell'America che dell'Europa, che gli europei invertano la rotta prima che sia troppo tardi. Ma, in tutta sincerità, non credo che lo faranno. È molto più probabile che noi li seguiamo sulla strada della rovina.

Perché negli Usa, come in Europa, l'economia è trascinata nel baratro dai debitori morosi, nel caso americano soprattutto proprietari di casa. E anche in questo caso c'è assoluto bisogno di politiche fiscali e monetarie espansionistiche a sostegno dell'economia, mentre i debitori lottano per rimettersi finanziariamente in salute. Ma, da noi come in Europa, il dibattito pubblico è dominato dalle ramanzine sul deficit e dall'ossessione dell'inflazione.
La prossima volta che vi diranno e che in assenza di tagli alla spesa l'America farà la fine della Grecia, rispondete pure che tagliando la spesa in corso di depressione economica faremo la fine dell'Europa.


Fonte: srs di Paul Krugman, la Repubblica, 4 dicembre 2011


Nessun commento: