Il latino amare, coi derivati amicus e amoenus, fu per lungo tempo ritenuto di origine indoeuropea: l’Indogermanisches etymologisches Wörterbuch del Pokorny, che riassume le ricerche dei migliori indoeuropeisti apparse fino alla metà del secolo appena trascorso, lo deriva dubitativamente dalla radice *am(m)a ~ *ami «madre», ma riporta al tempo stesso l’opinione di Paul Kretschmer che invece la voce possa essere etrusca. (1)
Ritengo che ormai difficilmente si possa sfuggire a quest’ultima ipotesi, sulla scorta dei fondamentali studi etruschi di Massimo Pittau. (2) Ai quali aggiungo qualche osservazione mia.
Innanzitutto, cerchiamo di accertare il significato originario delle voci latine, per quanto ci è possibile: Plauto, vissuto tra il 250 a.C. circa e il 184, ci dà tu mea amoena «tu, mia delizia» (= “tu, amore mio”), quod amas «la tua innamorata» (= “quella che ami”), amare corde inter se «amarsi di cuore (tra di loro)».(3) Il semantema originario dovette quindi, con ogni probabilità, essere proprio AMARE.
È un fatto incontrovertibile che i rapporti tra i due sessi ricevettero tra i Proto-Latini una scossa significativa dopo il loro contatto con gli Etruschi stanziati nel Lazio e soprattutto a Roma. Ho espresso altrove l’opinione che i Proto-Latini giunsero sul basso Tevere quando già la zona era occupata dagli Etruschi, sia pure da non molto tempo. La futura, grande Urbe nacque dal contatto ravvicinato tra i due popoli: la Roma latina rappresentava una propaggine occidentale dei nuovi popoli (Umbri, Latini, Sanniti, Siculi) di stirpe indoeuropea discesi nella penisola, la Roma etrusca costituiva per i Tirreni un ottimo centro commerciale, trovandosi su un fiume che per l’epoca era come un’autostrada del giorno d’oggi.
Sappiamo quanto differissero i costumi etruschi da quelli romani: più liberi i primi, assai più severi i secondi. Del resto, gli Etruschi provenivano dalle coste egee dell’Anatolia, dove la vita sociale era alquanto evoluta già molto prima che essi fossero costretti a migrare, mentre i popoli latini erano essenzialmente dediti alla pastorizia, alla caccia e alla pesca, conducendo quindi una vita assai più semplice. La differenza emerge anche dalla terminologia relativa alla donna e all’amore. Dagli Etruschi i Romani ripresero la lupa «prostituta» (4) e il lupanar dove essa esercitava; da essi ripresero anche vul-va e cunnus(5), oltre a futu-ere «coire» (forse connesso all’italiano puttana(6) ), obscenus ~ obscaenus (7) , fornix «bordello» (un allotropo di lupanar, si noti),(8) fornicare «coire», sicuramente connesso al precedente termine, coleus «testicolo», (9) glans «glande». (10)
Questo particolare lessico può certamente spiegarsi col tipo di cultura di cui erano portatori gli Etruschi, ma solo in parte: difficilmente un popolo abbandona la terminologia avita relativa al sesso soltanto per un influsso culturale, per quanto forte esso sia. Io vedo qui un’altra prova di un fatto sul quale conto di tornare in un prossimo futuro con molto maggiori dettagli, e cioè del fatto che la primissima Roma latina fu fin dall’inizio un centro etnicamente misto, con l’elemento etrusco pari numericamente a quello romano o eventualmente non molto inferiore a esso.
È da notare, poi, che molte prostitute (se non tutte) dovevano avere il primo contatto coi clienti in appositi locali pubblici, e questi dovevano essere una caupona («osteria») o una taberna («albergo, osteria»). Non è un caso che entrambe le voci siano di origine etrusca.
Considerato quanto esposto, è ben possibile che anche l’idea di AMARE venisse ceduta ai Romani di origine latina dai loro “concittadini” (mi si passi il termine) etruschi. Infatti, questa è stata l’ipotesi di molti studiosi. Mancava però, e manca tuttora, un qualche corrispettivo nel vocabolario etrusco che potesse giustificare il prestito. Dobbiamo quindi cercare nell’onomastica etrusca, e questa ci fornisce Aminth «Amore, Eros, Cupido» (11) il semantema AMARE è qui evidente (Aminth significò forse inizialmente «amante, amoroso»). Nell’onomastica personale latina di chiara origine etrusca abbiamo poi Amicius, Amintinius ~ Amintius, Amanius,(12) tutti nomi probabilmente derivati dalla radice am- «amare».
In miei precedenti lavori ho fatto notare che sono rintracciabili nell’etrusco alcuni preziosi elementi indiscutibilmente collegati alle voci ittite halanta «testa», peruna «roccia», paltana «braccio; spallina (militare)».(13) Ora, ritengo di aver individuato nell’ittito anche la radice da cui derivò l’etr. am- «amare».
L’ittito geroglifico ha il verbo hamenk- «legare, congiungere, unire»;(14) questa voce è «non chiara etimologicamente» per il grande esperto dell’ittito Kronasser, ma in ogni caso si dovrà ammettere che l’elemento -enk- è suffissale, ossia non fa parte della radice. Esce dai miei scopi una discussione particolareggiata su tale elemento (15) qui interessa la parte iniziale ham-, che a me sembra primaria, non scomponibile. Se sono nel giusto, resta da considerare l’aspirata iniziale.
È un fatto che h- iniziale è rara nell’ittito: il Kronasser cita solo una decina di casi nei quali ricorre, e in tutti questi casi essa non trova un corrispondente fonetico nell’originaria lingua indoeuropea, ciò che significa che rappresenta un’innovazione secondaria. Questo si verifica in molte lingue: talvolta non viene accettata una vocale iniziale di parola, e allora le viene premessa una h-. Il Kronasser cita in proposito l’antico portoghese hum in luogo di um «uno», il francese huile da oleum e huit da octo, l’abruzzese hole dal lat. olere, l’armeno hot «odore» (= lat. odor), l’antico altoted. harbeiti «lavoro», ecc.(16)
In conclusione, il verbo ittito hamenk- ha alla base una radice *am- che ebbe il significato di «legare, congiungere». Che da questa si sia sviluppato il significato di «amare» mi sembra perfettamente giustificato: chi “ama” sente di “legarsi” alla persona amata, e in effetti l’“amore” è un “legame”, un’“unione”, un “congiungimento”.
Una nota a margine: ho già avvertito che non ritengo assolutamente l’etrusco un linguaggio affine all’ittito, come era l’opinione di Vladimir Georgiev. L’etrusco presenta diversi e interessantissimi punti di contatto con l’ittito, ma essenzialmente è estraneo a tale lingua; quei punti di contatto vanno spiegati probabilmente con elementi linguistici di substrato comuni a Etruschi e Ittiti.
Note
1- Cfr. Julius Pokorny, Indogermanisches etymologisches Wörterbuch, Berna/Monaco I 1959 (etimologie) e II 1969 (indice delle voci e bibliografia), pag. 36 del I volume.
2- Che hanno anche il grande pregio di tenere conto di tutto ciò che è stato pubblicato finora sull’etrusco (compresi gli Etruskische Texte di Helmut Rix), e di essere quindi aggiornati.
3- Ferruccio Calonghi, Dizionario latino italiano, 3ª ediz., Torino 1950, voci “amoenus”, “amo”.
4- Incidentalmente, sono convinto che da questo termine abbia avuto origine la famosa leggenda della “lupa” che allattò i due gemelli: la lupa etrusca venne confusa nella mitologia romana delle origini con la lupa che in latino designava la femmina del lupo. È verosimile che alla base vi sia stato un fatto vero di questo tipo: una prostituta di stirpe etrusca si prese cura di due gemelli romani abbandonati dai genitori per qualche motivo (forse perché i genitori vennero a mancare per un’epidemia). Mi ripropongo di fornire in un saggio futuro l’etimo della voce etrusca lupa «prostituta», che penso di aver individuato.
5- Il primo mi appare essere un originario duale, significante probabilmente «le labbra (della vagina)». Il secondo non può essere scisso da cuneus «cuneo» (l’origine etrusca della parola pare assicurata dalla desinenza -eu), così che il significato originario ne dovette essere FESSURA.
6- Abitualmente si deriva questa voce dal francese antico, ma tale etimologia è poco convincente, e il suffisso lat. -anus / -ana appartiene alla serie di quelli introdotti nel latino dall’etrusco (nell’etrusco sono documentati epigraficamente -ane e -ani, cfr. LE, pag. 91). Sono di origine etrusca, infatti, p.es. tabanus, Silvanus, Tuscanus, campanus ~ campana.
Quanto a futu-ere, va notato che la voce non ha una chiara etimologia indoeuropea, mentre la consonante iniziale rende assai plausibile una sua origine etrusca: è riconosciuto ormai, infatti, che molte voci latine con f- sono etrusche. D’altra parte, il fonema latino f- dovrebbe derivare dall’indoeuropeo bh-, come si sa: tuttavia, sono troppe le voci latine inizianti con f- che non possono essere spiegate con l’indoeuropeo. Ciò significa che le voci non indoeuropee provengono da altre lingue, ed è ovvio che la fonte principale di tali voci sia l’etrusco, considerata la sua contiguità plurisecolare col latino e il suo enorme valore culturale.
7- Non ho trovato finora collegamenti con l’etrusco, ma l’aggettivo è privo di un’etimologia indoeuropea, e considerato il suo significato mi sembra possibile inserirlo, almeno in linea teorica, nel contesto delle voci fornite dall’etrusco al latino.
8- Il significato che si dà comunemente alla parola, quello di «arco, volta», mi appare derivato dal primo: gli originari bordelli dovevano essere situati in locali sotterranei a volta, per cui fu dal “bordello” che si sviluppò il concetto di “volta”. Quanto all’etimo, abbiamo qui un’antica voce egea che si ripresenta nel greco porne «meretrice, cortigiana». Una delle più notevoli leggi fonetiche dell’etrusco è l’alternanza p ~ ph ~ f, per la quale cfr. LE (pag. 54, § 33); il nesso tra la voce greca e l’etr. *furn- che sta alla base di fornix è quindi sicuro, tanto più che qui abbiamo ben tre consonanti che corrispondono le une alle altre (p ~ f, r, n). È noto, infatti, che due voci di lingue diverse possono presentare somiglianza del tutto casuale se v’è coincidenza di una sola consonante; la casualità è molto probabile quando coincidono due consonanti, ma man mano che le consonanti affini aumentano di numero la casualità è sempre più da escludere, e allora v’è da prendere in considerazione la parentela delle due lingue in questione.
9- Dove ritroviamo il noto suffisso etr. -eu, per il quale cfr. LE, pag. 89.
10- Questa voce è stata riconosciuta di origine etrusca in LSNE, pag. 202. In una memoria presentata all’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona nel 2000 (qui citata come “Scar.”) ho sostenuto la sua corrispondenza con l’aggettivo lat. grandis e con il ven. caranto ~ scaranto «macigno, grosso masso», da un semantema originario GROSSO, GRANDE.
11- Cfr. DCLE, pag. 29.
12- Cfr. ibidem.
13- Si tratta, nell’ordine, di Scar., Per., Valp.
14- Cfr. Kron., pag. 171 (che ne dà il significato come binden, verbinden).
15- Che propriamente dovrebbe essere -nenk-: cfr. sar-nenk- «danneggiare», har-nenk- «mandare in rovina», istar-nenk- «far ammalare» (Kron., pag. 172). Credo che sia proprio per questo motivo che il Kronasser dà ham-enk- come etymologisch unklar, «non chiaro etimologicamente»: forse egli si sarebbe aspettato un *ham-nenk-. Se questa doveva essere la vera forma verbale, non credo inverosimile dal punto di vista fonetico che si potesse verificare l’assorbimento della prima -n- da parte della -m- precedente: *hamnenk- > hamenk-.
16- Cfr. Kron., pp. 80-81.
BIBLIOGRAFIA
DCLE = Massimo Pittau, Dizionario comparativo latino-etrusco, Sassari 2009.
Kron. = Heinz Kronasser, Vergleichende Laut- und Formenlehre des Hethitischen, Heidelberg 1956.
LE = Massimo Pittau, La lingua etrusca: grammatica e lessico, Nuoro 1997.
LSNE = Massimo Pittau, La lingua dei Sardi Nuragici e degli Etruschi, Sassari 1981.
Per. = G. Rapelli, La voce etrusca e retica *peruna «roccia, parete rocciosa, lastra di pietra», Verona 2002.
Scar. = G. Rapelli, Veneto scaranto e latino grandis: comune origine etrusca?, Atti dell’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona 1999-2000, pp. 295-307.
Valp. = G. Rapelli, Valpantena presso Verona, toponimo retico, “Archivio per l’Alto Adige” XCIX-C, 2005-06, pp. 331-335.
1 commento:
Buongiorno, la vorrei contattare per una proposta relativa ad alcuni suoi articoli di carattere filologico. Potrebbe fornirmi un suo recapito e-mail?
Grazie.
Posta un commento