Di Almalinda Giacemmo
La storia di Verona città preromana e romana è piuttosto nota, mentre al grande pubblico manca probabilmente una buona conoscenza dei suoi resti, se non per la notorietà di cui gode soprattutto l’Arena.
La dottoressa Giuliana Cavalieri Manasse è da diversi anni a capo del Nucleo di Verona della Soprintendenza Archeologica per i Beni Culturali ed ha completato la “cura di” un poderoso volume sulla topografia e l’archeologia del Capitolium, dal punto di vista religioso e politico, il monumento più significativo di tutta la città romana.
Si trattava del tempio più importante della città, ove si venerava la triade capitolina composta da Giove, Giunone e Minerva, e che soprattutto nel caso di Verona dominava il panorama con la sua mole, per diversi chilometri tutt’intorno.
La tecnica costruttiva della imponente struttura comprendeva fondazioni in plinti di mattoni sesquipedali alternati, in modo simile ad un vespaio, a vuoti colmati da materiali sterili quali limi pressati e ghiaia battuta: lo scavo archeologico eseguito in varie riprese e spesso in condizioni di assoluto disagio, ha permesso l’individuazione e lo studio delle strutture di fondazione della terrazza su cui sorgeva il tempio, nonché la conoscenza del triplice portico che chiudeva la stessa su tre lati e del criptoportico, una sorta di passeggiata seminterrata a doppia galleria, che conteneva la terrazza e correva al di sotto del triportico.
Con il passare dei secoli la topografia e le funzioni dell’area centrale di Verona sono cambiate: la piazza del Foro su cui affacciava il tempio capitolino si è ristretta, lungo i suoi margini sono sorti palazzi medievali e piazze che anticamente non esistevano, la piazza stessa da luogo di amministrazione del potere religioso, politico e giudiziario, oltreché centro della vita cittadina in generale, si è specializzata per lo più in attività commerciali, mentre il fulcro religioso della città si è spostato molto più a nord-est, secondo nuovi canoni di organizzazione urbana.
Oggi gli studi topografici ed urbanistici sono notevolmente avanzati e finalmente se ne dà notizia al grande pubblico con questo volume che comprende al suo interno il resoconto di tutte le campagne di scavo che si sono succedute dagli inizi degli anni ottanta e che hanno portato alla scoperta di strutture medievali finora ignote e di percorsi stradali e pedonali insospettati.
Tutto questo proietta Verona ed il suo Capitolium fra le strutture meglio conosciute del mondo antico e la rende punto di riferimento non solo per le tecniche e le metodologie scientifiche adottate, ma anche per i rapporti intercorsi fra i diversi protagonisti delle vicende archeologiche: la Soprintendenza, il Comune e le altre istituzioni, anche private, che a vario titolo hanno reso possibile la realizzazione di questo studio. Tra queste va ricordata la Fondazione Cariverona che ha generosamente finanziato la pubblicazione.
Il volume, appena edito, non è di facile lettura nella parte di catalogo, sia per la mole spaventosa di dati sia per l’estrema precisione con cui si dà conto dei reperti rinvenuti nel corso degli scavi. Di maggior comprensione risulta la parte descrittiva e di illustrazione delle varie fasi di vita della struttura Capitolium e del suo impatto sulla città. Per gli addetti ai lavori si tratta di uno strumento indispensabile per lo studio e la comprensione dell’urbanistica antica, per il grande pubblico di una testimonianza tangibile di cosa facciano gli archeologi sia quando “impicciano scavando con il pennello” sia quando stanno fermi per ore a disegnare, tradurre, consultare e confrontare materiali di ogni genere a seconda della specializzazione di ciascuno. Si tratta inoltre della ulteriore testimonianza della fattiva collaborazione che le Istituzioni possono avere con gli enti privati, a cominciare dal fatto che buona parte del sostegno economico necessario all’edizione del volume è della Fondazione Cariverona.
A completare questo volume, di per sé estremamente complesso ed articolato, è poi presente anche un cd rom che ricostruisce in modo semplice e comprensibile in tre dimensioni il complesso architettonico comprensivo sia della porticus triplex sia del criptoportico, del tempio a tre celle, delle varie scalinate e di ogni altro elemento monumentale ricostruibile con buona approssimazione. Senz’altro da apprezzare il fatto che soprattutto gli elementi decorativi siano osservabili da ogni angolazione, fornendo indicazioni precise su come venivano posti in opera e come apparivano invece a chi si apprestava ad osservarli.
Intervista alla dottoressa GIULIANA CAVALIERI MANASSE, curatrice dello studio più aggiornato sul “Campidoglio” della piccola Roma del nord
Almalinda Giacemmo
Abbiamo intervistato la dottoressa Giuliana Cavalieri Manasse: il suo studio nella sede provvisoria, ormai tale da molti anni, nella città di Verona è ingombro di ogni sorta di carta, da quelle inerenti le pratiche lavorative, permessi, vincoli, progetti da vagliare, a volumi di materia archeologica, necessari per gli studi cui comunque la dottoressa si dedica, per far sì che le scoperte che via via avvengono in città siano valutate e pubblicate, magari utilizzando il poco tempo libero a disposizione, magari di notte…
d. Buongiorno dottoressa, grazie per aver accettato di rispondere alle nostre domande. Fin dagli inizi del secolo scorso il Capitolium di Verona era stato localizzato dal Frothingam negli edifici individuati lungo il lato ovest di quella che oggi è piazza Erbe, precisamente in piazzetta Tirabosco: oggi sappiamo che non è così. Cosa vi ha fatto dubitare di questa collocazione originale?
r. Soprattutto il fatto che gli edifici in questione non prospettassero sulla piazza del Foro ma su una strada secondaria. La precedente localizzazione, sebbene poco convincente, era comunque data per assodata.
d. Quindi, quando e perché avete deciso di spostare l’attenzione su altre zone, specificatamente sul lato Nord del Foro?
r. In modo molto fortuito. Nel 1975 pare che una ditta di costruzioni avesse fatto una segnalazione a questo ufficio: raccontavano di aver trovato delle strutture murarie probabilmente di epoca romana durante lo scavo in alcune cantine dello storico palazzo Maffei, la quinta architettonica che oggi chiude piazza Erbe verso Nord. Per problemi tecnici quel il cantiere dovette essere sospeso, rinviando perciò le indagini archeologiche ad un momento successivo. Questo momento arrivò solo nel 1983: allora io ero diventata responsabile del Nucleo operativo, mentre nel 1975 non ero ancora entrata in Amministrazione. Di questa segnalazione non sapevo ovviamente nulla. Comunque la ditta si rifece viva: si iniziarono i lavori e vennero alla luce i resti di enormi dadi in mattoni sesquipedali, cui però nessuno sapeva dare una interpretazione. Nessuna equazione dadi=Capitolium venne fatta. I saggi oltretutto erano limitati alle aree sottostanti alcune cantine, ad eccezione di uno, effettuato in un ala del cortile dello stesso palazzo, dove invece dei dadi si rinvenne un massetto, interpretato come la preparazione per il lastricato della piazza del Foro. Bisogna tener conto del fatto che allora tante cose non si sapevano: ad esempio le dimensioni del Foro, il suo esatto rapporto con la via Postumia, e del tutto ignota era la topografia delle zone limitrofe alla piazza a nord, est e sud. Contemporaneamente la Cassa di Risparmio di Verona decise di ristrutturare il Monte dei Pegni, che sorge nelle immediate vicinanze di palazzo Maffei: ottenni, quindi, che si effettuassero dei sondaggi il più possibile mirati, per vedere l’eventuale prosecuzione delle strutture già individuate.
d. Tutto questo è avvenuto nel corso di alcuni anni. Intanto effettuavate studi a tavolino
r. Una delle prime cose che cercammo di fare fu di calcolare l’asse longitudinale della piazza del Foro, di cui conoscevamo la larghezza. In seguito ai dati ottenuti dai saggi di palazzo Maffei e del Monte dei Pegni, stabilimmo che l’asse del Foro, prolungato, era anche l’asse dell’edificio che avevamo individuato. Il fatto che alcuni tra i resti individuati apparissero simmetrici suggerì il ribaltamento della planimetria delle strutture individuate: ne risultò una struttura imponente, con una serie di dadi per il sostegno di un sistema di colonne e tre celle lungo il lato nord. Ci mancava solo la sua lunghezza, l’estensione verso nord: ma le caratteristiche della pianta non lasciavano dubbi che si trattasse del Capitolium. Inoltre, anche i reperti avevano fornito informazioni preziose che concorrevano a questa identificazione, come una base marmorea dedicata dai Decurioni veronesi a Giove Ottimo Massimo.
d. L’intuizione del criptoportico?
r. Non fu tanto intuizione. In fondo al saggio C del sempre di palazzo Maffei fu trovato un frammento di iscrizione che citava un tal Marcus Magius “criptam f…”, che aveva fatto una cripta: siamo allora andati a cercarla. Dopo averla individuata, siamo andati avanti per un po’ di anni con i soldi dell’amministrazione statale, ma non riuscivamo mai a concludere lo scavo e chiudere la voragine in corte Sgarzarie. Quindi la Fondazione Cariverona, che aveva sede nell’edificio dell’ex Monte dei Pegni ed era stufa di avere un cantiere perennemente aperto nella pubblica corte sottostante il suo palazzo, ha finanziato il prosieguo delle indagini. Che hanno portato allo scavo integrale dell’area sottostante, la corte Sgarzarie, con la della strada che corre ad ovest lungo le strutture capitoline e un tratto del braccio ovest del criptoportico che aveva due navate.
d.Lo scavo dell’area sottostante Corte Sgarzarie è terminato nel 2004, quindi è stato dato il via ad un progetto di riqualificazione e musealizzazione dell’area archeologica. A che punto è la situazione?
r. La palla è stata passata al Comune ma i soldi dovrebbero essere sempre stanziati dalla Fondazione. Tutto è stato restaurato e ripulito, ma la zona resta interdetta alla apertura al pubblico ed è visibile solo richiesta con un accompagnatore. Ci sono infatti problemi relativi alle barriere architettoniche che rendono difficile l’agibilità.
d. I ritrovamenti effettuati al di sotto di Palazzo Malaspina ?
r. Riguardano il lato nord del criptoportico che girava su tre lati, Ovest, Nord ed Est, al di sotto della porticus triplex, posta invece sulla terrazza rialzata su cui era anche il tempio capitolino. Le strutture, meglio conservate di quelle di corte Sgarzarie, si trovano all’interno di una proprietà privata: sono state restaurate e mostrano ampi tratti delle le volte, gli archi centrali e i piani pavimentali.
d. Ricapitoliamo. Un edificio templare imponente, con tre celle, rialzato rispetto al piano stradale costituito dalla via Postumia, e collocato sopra una terrazza contenuta per tre lati da un criptoportico?
r. E inoltre una porticus triplex ,che doveva necessariamente esistere a chiudere la terrazza su tutti i lati tranne che sul fronte principale, quello sud dove erano le scalinate di accesso al monumento. La testimonianza più concreta dell’ esistenza di questo edificio è data dal rinvenimento di parti delle colonne sia della navata esterna sia della spina interna.
d. L’aspetto del complesso per chi si fosse trovato nella piazza del Foro.
r. La piazza si trovava ad un livello inferiore rispetto al piano stradale della Postumia, quindi una scalinata non altissima, 1,40 m, doveva portare fino alla terrazza; di qui partiva la scalinata di accesso al tempio. Questo doveva misurare circa 35 x 42 metri, con un alto podio; era periptero sine postico e presentava 6 colonne su tre ordini sulla fronte, per un totale di 18 colonne, ed una fila sui due lati lunghi. Tutto sommato, notevolmente alto, all’incirca 23 m dal piano della terrazza.
d. Il sistema decorativo. La planimetria è di un tipo molto antico rispetto alla data ipotizzata per la costruzione del tempio, all’incirca alla metà del I secolo a.C.: si tratta di un tipo molto simile a quello del Capitolium di Roma. E la sua struttura, a cominciare dall’interasse delle colonne, di ampiezza variabile fra 4,50 e 6,20 metri, non può che far pensare a trabeazioni lignee con decorazioni in terracotta. Le colonne avevano basi in calcare della Valpolicella e rocchi in tufo di Avesa rivestiti di stucco bianco.
r. Abbiamo alcuni frammenti pertinenti a lastre di coronamento, di cui una quasi integra trovata collassata all’interno degli strati di innalzamento della terrazza, quindi probabilmente persa durante il montaggio, con pelte e meandro, traforata e con ancora tracce di pittura; è stata poi trovata parte di una sima baccellata e ancora con tracce di pittura, dal riempimento del criptoportico datato al VII-VIII secolo d.C., alcuni frammenti pertinenti ai rivestimenti dei rampanti, tutti di buona qualità, mentre per quel che riguarda il fregio la qualità era decisamente inferiore, piuttosto assimilabile alla qualità di un mattone, per spessore ed argilla, che a quella di una decorazione architettonica: con un motivo decorativo di difficile riconoscimento. Il coronamento terminale era di qualità migliore, forse quello originale, mentre il fregio dovette essere restaurato, o meglio, rifatto in un momento in cui non “se ne capiva più nulla”, non si usavano più determinate tecniche.
d. Ad un certo punto il complesso viene distrutto.
r. Bisogna innanzitutto ricordare che Costanzo II (317 -361 d.C. n.d.r) aveva promulgato molte leggi contro il paganesimo, quindi molti edifici erano stati chiusi al culto: probabilmente il triportico dovette conservate per qualche tempo la sua funzione di archivio ma secondo i dati che abbiamo venne distrutti tra la fine del IV e l’inizio del V secolo a.C. In età teodoriciana (fine V-inizi VI secolo) si dovette procedere allo spoglio sistematico dell’edificio, soprattutto osservando che molti frammenti della decorazione in terracotta presentano chiari segni di rotture intenzionali causate da mazze e seghe, forse per un riutilizzo di un qualche tipo, così come l’intenzionale spoliazione delle strutture in mattoni sesquipedali delle fondazioni (e dell’alzato). Ed i riutilizzi potrebbero essere stati molteplici: il coronamento merlato delle mura cittadine, il Palatium, un edificio termale…
d. Una planimetria di chiaro rimando in un’epoca in cui l’architettura aveva optato per soluzioni estremamente più “moderne” .
r. L’intento doveva essere chiaramente politico: questa architettura imponeva soluzioni obbligate, una planimetria assolutamente condizionante del tipo di alzato. Probabilmente era un volersi richiamare alla più antica tradizione, forse per ragioni di immagine, forse per legami piuttosto stretti fra qualche notabile locale e l’ambiente urbano (di Roma). Difficile sarà comunque avere delle risposte più precise perché le fonti tacciono completamente.
d. Dall’inizio dell’avventura Capitolium sono alla fine passati 25 anni. Perché così tanto tempo per vedere pubblicati gli studi?
r. Innanzitutto gli scavi sono terminati solo nel 2004. In precedenza non poco tempo è occorso per la ricerca dello sponsor della pubblicazione, di cui infine si è fatta generosamente carico la Fondazione Cariverona. Ma non vi erano fondi per pagare i contributi: sicchè, gli autori vi potevano dedicare solo ritagli del loro tempo libero. Ogni nuova campagna ha poi portato delle novità cui si doveva comunque prestare attenzione, nonostante il contributo, o parte di esso, fosse già stato scritto. Le prospettive cambiavano e i testi erano da ritoccare anche in maniera radicale. E la massa del materiale da organizzare era enorme e continuava ad aumentare….…
Abbiamo lasciato la dottoressa alle prese con le solite polemiche inerenti queste ”borboniche” strutture pubbliche che sono le Soprintendenze, ma sappiamo già che la sua attenzione è sempre calamitata dal bene comune, dalla ricerca storica, dall’attenzione per ogni dettaglio, sia esso di tipo cantieristico o di progresso.
Fonte: srs di Almalinda Giacemmo da Arcobaleno.net
Link: http://www.arcobaleno.net/cultura/capitoliumverona.htm
Link: http://www.arcobaleno.net/cultura/CapitoliumVeronaintervista.htm
Link: http://www.arcobaleno.net/index.html
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