venerdì 12 febbraio 2010

Il Pci e lo stalinismo




Roma, 21 dicembre  2007 (Velino)

C’è in libreria un testo di rara importanza per la storia della sinistra italiana. Ma nessun giornale, tranne Libero, ne ha sinora parlato in modo visibile e comprensibile e si fa fatica a trovarlo nei moderni, antichi e famosi bookshop delle città italiane. È come se i librai avessero strane reticenze nell’ordinarlo e venderlo.
Certo, è un libro per storici, per iniziati e appassionati, ma il titolo dovrebbe far riflettere anche il più smarrito lettore di storia contemporanea e di politica: “Il Pci e lo stalinismo” edito dagli Editori Riuniti, con un cd allegato che riporta gli interventi del Comitato centrale comunista del 10 e 11 novembre del 1961. La pubblicazione è stata curata con scrupolosa attenzione da Maria Luisa Righi. Si obietterà che un dibattito del 1961 ha poca importanza. Eppure quello non fu un dibattito qualunque e sembrava irreperibile. In effetti è il dibattito che si tenne al ritorno da Mosca della delegazione italiana che partecipò al ventiduesimo congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica, il momento più importante della destalinizzazione operata da Nikita Kruscev.

Quella discussione tumultuosa fu di tale importanza che Palmiro Togliatti proibì la pubblicazione della sua replica finale sull’Unità. Rimase solo una traccia di quell’intervento del Migliore, con degli appunti ritrovati tra le sue carte. E altri due interventi, quello di Paolo Robotti e di Giorgio Amendola, non furono pubblicati nel resoconto dell’organo comunista, ma solo successivamente, e in sedi diverse. E la ragione è molto evidente: ci fu uno scontro durissimo all’interno del Pci.
Di fronte alle nuove accuse lanciate da Kruscev a Stalin e allo stalinismo, Togliatti andò in evidente difficoltà agli occhi del suo stesso gruppo dirigente, da Giorgio Amendola a Mario Alicata fino a Giancarlo Pajetta. Infatti, appena tornato, il Migliore non riunì alcun organo intermedio (segreteria o direzione) e andò allo scontro in Comitato centrale.
Togliatti parlò quasi per due ore nella relazione introduttiva. Si mise sulla difensiva, ma non risparmiò critiche a Kruscev: “Ci si chiede se fosse davvero necessario riaprire il capitolo delle denunce e concentrare il fuoco contro un gruppo di vecchi collaboratori di Stalin, estromessi dal Comitato centrale nel 1957. Alla domanda non è facile dare una risposta esauriente”. Poi proseguì: “Quanto alle nuove denunce, esse non aggiungono molto a ciò che si poté leggere nel famoso “rapporto segreto”. Può darsi che per noi queste ulteriori denunce non fossero più necessarie, può anche darsi che creino qua e là emozione e perplessità”. Quindi stabilì i meriti innegabili di Stalin e contestò la decisione di cambiare nome a Stalingrado.

La relazione di Togliatti venne contestata innanzitutto dal cognato Paolo Robotti che raccontò del suo arresto a Mosca e delle torture che aveva dovuto subire e alzando la voce si rivolse a Togliatti: “ Noi sapevamo, sapevamo tutto quello che stava avvenendo...non potevamo non saperlo.”
Quindi parlò Amendola il quale con una sorta di controrelazione scritta contestò minuziosamente tutti i passaggi anti-krusceviani di Togliatti e sollecitò una riscrittura di “tutta la storia che va dalla morte di Lenin alla morte di Stalin, trent’anni”. Amendola concluse duramente: “Bisogna sbarazzarsi di questa finzione dell’unanimità che ostacola lo sviluppo della democrazia, la circolazione delle idee, la vivacità del dibattito. Abbiamo discusso all’ultimo Comitato centrale sul problema della politica di centrosinistra, ci siamo divisi, potevamo arrivare anche a una votazione, non c’era niente di male”.
Togliatti apparve furibondo. Giorgio Napolitano ricorderà: “Vidi per la prima volta Togliatti ferito, non sicuro di sé, che stentava a padroneggiare la situazione e si abbandonava a una polemica più meschina che convincente”. Fu a quel punto che il Migliore decise di convocare una direzione minacciosa: “Questo è un Comitato centrale di agitati. Vi siete comportati come dei provinciali. Volete un congresso straordinario ? Volete dare vita a una tendenza antisovietica? Allora io vi dico che io do vita a una tendenza filosovietica e la capeggerò personalmente”.

È così che si arrivò alla famosa replica finale sconosciuta che venne fatta in Comitato centrale, dove i toni di Togliatti furono ultimativi: “Attenti, attenti a non dimenticare mai i principi e guardare alla sostanza delle cose”.
Poi il Migliore evocò “l’attacco che viene dalle forze imperialiste, che viene dalla socialdemocrazia, che viene dal revisionismo del partito socialista, del Psi, che vuole rompere l’unità del nostro partito e l’unità del movimento comunista internazionale”.
Era una difesa dello stalinismo e un attacco forsennato alla socialdemocrazia, all’imperialismo e alla borghesia. In quell’occasione recuperò persino il vecchio Pietro Secchia, mandato praticamente in “pensione anticipata” negli anni Cinquanta.
Ad Amendola, Togliatti riservò un passaggio durissimo: “Io vorrei che il compagno Amendola... anzi, sarà bene che noi lo mandiamo a una delle prossime riunioni internazionali, in modo che lui possa avere un contatto diretto con gli esponenti del movimento comunista di altre parti del mondo”. Fra voci di dissenso quel Comitato centrale terminò con Enrico Berlinguer che dichiarò: “Allora la riunione è chiusa”.
Un libro da distribuire in scuole, università e in Parlamento. Ma non sarà possibile. Perché attesta la continuità tra Togliatti e lo stalinismo, tra il Pci e la politica filosovietica durante gli anni della “prima” Repubblica.


Fonte: dal il Velino del  21 dicembre  2007

(VR 12 febbraio 2010)

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