venerdì 16 marzo 2012

STORIA DELLA CHIESA 3 - (APPUNTI): DAL RINASCIMENTO A GIOVANNI PAOLO II


13 maggio 2012 attentato al papa Giovanni Paolo II (foto di Gio)


SOMMARIO APPUNTI

La Chiesa del Rinascimento           
Martin Lutero          
La questione delle indulgenze      
La riforma protestante       
La rivolta dei contadini      
Zwingli e Calvino     
Huldrych Zwingli     
Giovanni Calvino     
Il disciplinamento   
Il rinnovamento cattolico   
La riforma dei religiosi       
La riforma dei vertici          
L’appello al Concilio
Il primo periodo del concilio (1545-1547)        
Il secondo e il terzo periodo del Concilio 
Secondo periodo (1551-1552)    
Terzo periodo (1562-1563)         
I seminari     
La conclusione del concilio 
Bilancio e prospettive         
La Chiesa missionaria         
La riforma tridentina         
La curia romana      
L’inquisizione spagnola      
L’inquisizione romana        
Giordano Bruno (1548-1600)      
L’Indice dei libri proibiti    
Il Giansenismo         
Principi del Giansenismo   
Il Giansenismo in Italia       
Giudizi sul Giansenismo     
Il Gallicanesimo (episcopalismo e febronianesimo)      
La soppressione della Compagnia di Gesù (1773)        
PIO VI E PIO VII      
Pio VI 
Pio VII           
La questione romana         
1859-1861  
1861-1870  
Il sillabo di Pio IX    
Il Concilio Vaticano I            77
Giudizi           
La Chiesa e la questione sociale    
La Rerum Novarum
Il modernismo         
Giudizi           
La Chiesa durante la seconda guerra mondiale - Pio XII         
Il dopoguerra          
Il caso italiano          
Il Concilio Vaticano II          
Giovanni XXIII         
Paolo VI        
Giudizi           
Il post-Concilio: rinnovamento e crisi      
Contestazione e terrorismo           
1789, 1989: 2 date indelebili nella storia d’Europa e della Chiesa.   
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE        


STORIA DELLA CHIESA  3 - PARTE PRIMA


LA CHIESA DEL RINASCIMENTO


Il Rinascimento fu un fenomeno complesso, ricchissimo di vitalità e creatività. L’arte rifiorì, la ragione umana venne esaltata, le scoperte geografiche entusiasmavano e tutto sembrava esplodere dopo anni di oscurantismo ed intolleranza. Ci si accorgeva che si andava verso una frattura col Medioevo. Gli studi classici rinascevano per merito di personaggi come Boccaccio, Petrarca, Poliziano, Valla, Coluccio Salutati. In campo artistico si superava lo stile “gotico”, inteso come rozzo. Sembrava di uscire da un tunnel, un tunnel di circa 1000 anni, per continuare l’amore per l’arte e il bello dell’età classica. Cosa importantissima, si metteva l’uomo al centro dell’universo. A chi esalta la rottura col Medioevo, c’è chi risponde che già San Francesco d’Assisi aveva esaltato la dignità dell’uomo e cantato le meraviglie del creato. Il Poverello d’Assisi, allora, sarebbe il primo rinascimentale e non ci sarebbero fratture col Medioevo. Il Rinascimento, poi, non sarebbe quell’epoca pagana, come spesso si dice, ma un’epoca profondamente religiosa.
La sostanza del Rinascimento stava nell’accentuata affermazione dell’autonomia temporale. A differenza del Medioevo, non esiste più la fuga mundi e le cose umane non vengono più ricondotte alla sola sfera religiosa. La spiegazione dei fenomeni non è più rimandata al trascendente, ma alla sua immediatezza concreta, sperimentabile. La filosofia non si fonda più sul concetto di autorità, ma sull’evidenza oggettiva. L’arte non vuole più “migliorare gli uomini viventi e ricondurli all’immortalità” (Dante), ma solo soddisfare il senso estetico e la fantasia. Lo studio dei classici non è solo un mezzo per comprendere meglio la Scrittura, ma norma dell’agire etico. L’organizzazione gerarchica di tutte le cose, tipica del Medioevo, viene sconvolta. Lo stato afferma la sua sovranità ed indipendenza, sciolto da ogni legame morale trascendente.
L’antica fede non è spenta, l’uomo sente ancora il richiamo della coscienza. Il Rinascimento è un tempo pieno di contraddizioni: Lorenzo il Magnifico ama i sensuali canti carnascialeschi e nello stesso tempo le lodi sacre in onore dei Santi Giovanni e Paolo. In sostanza, il Rinascimento ed il suo aspetto letterario (Umanesimo) se non si possono ritenere pagani, naturalisti, aprono un problema: il vecchio equilibrio che il Medioevo aveva in qualche modo costruito è ormai in crisi, mentre non ne è ancora sorto uno nuovo. Il soprannaturale non è eliminato, ma messo in secondo piano. L’autorità della Chiesa non è negata, ma le polemiche tra clero e curia diminuiscono il suo prestigio.
Non mancarono forti opposizioni all’Umanesimo e al Rinascimento, specie tra gli ordini mendicanti. Ben altra era la mente dei papi a partire da Nicolò V nel 1455. La protezione data alla cultura e alle arti accresceva il prestigio della Chiesa, una Chiesa incarnata nel suo tempo, con le sue luci e le sue ombre. Nel Rinascimento il papato tenta con largo successo di farsi guida del fiorente movimento artistico, di valorizzare al servizio della religione la passione per la bellezza, ideale dell’epoca. Tuttavia, la Chiesa assorbita assai nelle sollecitudini artistiche e letterarie, trascura quella reforma in capite et in membris, così ardentemente invocata dai fedeli, tollerando nella stessa curia pericolosi abusi. Per questo, l’età del Rinascimento, nonostante le splendide apparenze, costituisce uno dei periodi più oscuri del papato: allo splendore culturale si contrappone la mancanza di un autentico spirito religioso al vertice della stessa gerarchia ecclesiastica.
Già durante lo Scisma d’Occidente alcuni umanisti furono accolti nella curia come scrittori. Il Rinascimento entrò, però, in modo decisivo nella storia della Chiesa con Nicolò V, che sviluppò un ampio mecenatismo, chiamando attorno a sé i più noti umanisti, fondando la Biblioteca Vaticana, affidando a grandi architetti il rinnovamento della città. Roma doveva essere la degna sede del Vicario di Cristo, la capitale del mondo cristiano: al centro sarebbe sorta la nuova basilica di San Pietro.
Pio II si rivelò un elegante e dotto umanista, eccellente nella storia, nella poesia e nella pedagogia. Aveva dei figli, ma poi si corresse seriamente. Svolse varie legazioni al servizio dei papi. Da giovane aveva difeso la teoria conciliare, da papa la condannò (Aeneam reicite, Pium recipite). Amante dei viaggi e della letteratura, Pio II non trascurò di adoperarsi per la pace e la difesa dal pericolo turco.
Dopo la reazione di Paolo II, Venetus, diffidente verso i letterati che riempivano la corte, anche se tutt’altro che avverso alle arti (a lui si deve la costruzione di Palazzo Venezia), i successori, da Sisto IV a Leone X, ripresero e svilupparono la protezione delle arti. Sisto IV fece costruire la cappella dal suo nome detta Sistina. Giulio II affidò al Bramante il primo progetto per la nuova basilica di San Pietro, chiamò Michelangelo, litigò e si riconciliò con lui, pensò di costruire un gigantesco sepolcro, di cui fu attuato solo il Mosè. E a Roma, per decenni, affluirono e lavorarono nelle Stanze Vaticane e nella Sistina i migliori pittori italiani, dal Ghirlandaio al Perugino, a Melozzo da Forlì, e Michelangelo affrescò la volta della Sistina.
Intanto la curia viveva in un lusso fastoso: ogni cardinale aveva la sua corte sontuosa, con palazzi e ville entro e fuori Roma. Questo tenore di vita esigeva forti spese, alle quali si ricorreva con il cumulo dei benefici, aumento di tasse, concessione di indulgenze a scopo di lucro. E quante erano le bolle e i documenti falsi e falsificanti!
La vita privata dei pontefici presentava spesso gravi macchie. Innocenzo VIII ostentava pubblicamente figli e figlie e strinse apertamente le loro nozze. Da papa sistemò i figli che ebbe da prete. Francesco sposò Maddalena, figlia di Lorenzo de Medici e per ricompensa Giovanni, figlio di Lorenzo, venne creato cardinale a 13 anni (il futuro Leone X). Il nepotismo acquista ora un nuovo aspetto: i papi cercano di elevare politicamente la loro famiglia, anche a scapito dello Stato della Chiesa. Sisto IV, Francesco della Rovere ofm, nominò cardinali addirittura sei parenti prossimi, tra cui Pietro Riario, ofm, “crapulone e scostumato”, morto di stravizi a 28 anni e Giuliano della Rovere (Giulio II, per ricordare Giulio Cesare), non immune da gravi colpe morali e dette in oltre in feudo Imola e Forlì ad un altro nipote, Gerolamo Riario, che lo trascinò in intrighi politici, culminati nella congiura De Pazzi a Firenze, che mirava a sostituire i Medici con un’altra famiglia: di qui guerre con Napoli, Firenze, Venezia, per egoistici interessi familiari.
Paolo III dette in feudo al figlio Pierluigi il ducato di Parma. Il sistema del nepotismo finì solo con Pio V. Il nepotismo non solo avvilì il prestigio religioso del papa, ma danneggiò anche politicamente la sua autorità, dato che uffici di prima importanza erano affidati ad incapaci ed il bene dello Stato pontificio era posposto all’interesse di una famiglia. Perché ci fu il nepotismo? Si suole addurre come attenuante la necessità in cui si trovavano i papi, di avere attorno a sé persone di provata fiducia, che essi trovavano solo tra i parenti stretti, data l’assenza di una tradizione dinastica nello stato religioso.
Un’altra fortissima preoccupazione del papato era l’organizzazione di una crociata contro i Turchi. La conquista turca significava battaglie cruente, massacri e saccheggi, deportazioni di massa in schiavitù. Per esempio, ad Otranto i Turchi decapitarono 800 abitanti nel 1480!  Pio II, per questa causa, nel 1459 convocò a Mantova una dieta, che si risolse in un fallimento: l’antica fede ormai languiva, l’idea di sconfiggere gli infedeli e gli appelli del papa non trovavano alcuna eco, i regni erano divisi e gelosi, l’influsso politico del papato era praticamente nullo. Pio II si recò allora ad Ancona, per prendere parte personalmente ad una crociata, che sperava almeno di poter iniziare con l’aiuto di Venezia. La morte del pontefice nel porto marchigiano pose fine ad ogni speranza. Solo Pio V con la vittoria di Lepanto nel 1571 e Innocenzo XI un secolo dopo con la coalizione che liberò Vienna dall’assedio nel 1683, riuscirono ad allontanare e a diminuire il pericolo, che dal Settecento cessò.
Molto si discute in questo contesto del papa Alessandro VI.  Venne eletto proprio nei giorni in cui Colombo salpava da Palos (agosto 1492). La sua elezione fu simoniaca. La sua amicizia con Giulia Farnese procurò il cappello cardinalizio ad Alessandro Farnese, il futuro Paolo III. Rodrigo Borgia, sacerdote e cardinale, ebbe 9 figli (il nono nacque dopo la sua morte). Il papa, lungi dal nascondere i suoi trascorsi, dette loro ampia pubblicità, favorendo la famiglia con un nepotismo senza freno. Cesare a 16 anni venne nominato cardinale. In curia si respirava un’aria del tutto mondana, tra feste, balli, banchetti, che si trasformavano talora in vere orge. Tutta l’attività religiosa del papa fu debole e i problemi della riforma della Chiesa non furono considerati attentamente. Gli inizi dell’espansione missionaria in America sono da attribuirsi più allo zelo dei re cattolici che all’iniziativa del papa, che intervenne in questo campo per dividere le nuove scoperte tra Spagna e Portogallo (Trattato di Tordesillas del 1494). Il giubileo del 1500 ebbe fini non esclusivamente spirituali e le creazioni cardinalizie furono oggetto di indecorose transizioni economiche.
Un aspro conflitto dovette affrontare papa Borgia per vincere le resistenza di Girolamo Savonarola, che dal pulpito di San Marco in Firenze copriva di invettive il papa e si appellava al concilio. La lotta terminò con la scomunica del Savonarola, il processo, l’impiccagione ed il rogo del cadavere (e le ceneri in Arno). Il domenicano, pur distinguendo tra la persona di Alessandro e la sua dignità, si mostrò privo di equilibrio, sia per la facilità nel pronunziare profezie di indubbia origine, sia per il suo rigore nel promuovere la riforma di Firenze, fino ad eccitare i figli a denunziare i genitori, sia per aver spesso confuso religione e politica. Proprio questi eccessi indebolirono l’efficacia della sua azione riformatrice, messa in crisi dalla disobbedienza aperta al papa.


MARTIN LUTERO


Martin Lutero nasce nel 1483 a Eisleben, in Sassonia. Studia a Magdeburgo e poi ad Eisenach. Nel 1501 inizia gli studi di filosofia all’università di Erfurt. Nel 1505 intraprende gli studi di diritto, ma un avvenimento drammatico cambia la sua esistenza. Sorpreso da una terribile bufera, fa un voto: se sopravviverà si farà monaco. Nonostante l’ostilità del padre, entra nel convento degli Agostiniani ad Erfurt, un ordine caratterizzato da una rigorosa e profonda spiritualità. Lutero stesso si definì successivamente come un monaco zelante, studioso, pio e obbediente, ma molto tormentato ed inquieto, che cercava continuamente nelle mortificazioni e negli esercizi ascetici più severi una pace ed una serenità, che non riusciva mai a raggiungere. Era profondamente angosciato dal problema della salvezza dell’anima, assillato dal pensiero di dover comparire davanti al Giudice supremo. Manifestò i suoi dubbi al suo superiore, lo Staupitz, che lo indirizzò allo studio serio(1). .
Lutero scoprì l’insegnamento del filosofo Gabriel Biel, che si ispirava alla dottrina del francescano Guglielmo di Occam. Le teorie del Biel non fecero altro che acuire il problema della salvezza dell’anima, dato che il filosofo riteneva che la libertà dell’uomo era capace di agire per la propria salvezza per mezzo della volontà e della ragione, mentre nello stesso tempo riconosceva l’assoluta trascendenza di Dio. Come poteva allora il cristiano riconoscere se effettivamente, compiendo le opere buone si uniformava alla volontà di Dio? Come sapere se Dio le accetterà? Dio è solo un giudice inflessibile e severo? La teologia di Biel era per Lutero fonte di dubbi angosciosi. Lutero trova una certa serenità approfondendo alcuni testi sacri, quali La lettera ai Romani (“la giustizia di Dio si rivela nel Vangelo”) e i Salmi. Lutero si lamentava talvolta di essere sovraccarico di lavoro: sono predicatore conventuale, lettore, professore, vicario, lettore di san Paolo.
Nel 1545 Lutero parla della sua “esperienza della Torre”:

Ho odiato il termine “giustizia di Dio”, secondo la quale Dio è giusto e punisce i peccatori e gli ingiusti. Non potevo amare il Dio giusto, che punisce i peccatori e lo odiavo… mormoravo, imprecavo… non è abbastanza che i miseri peccatori, condannati eternamente dal peccato originale, siano oppressi con ogni sorta di mali dalla legge dei dieci comandamenti? Dio deve aggiungere con il Vangelo dolore a dolore e minacciarci in esso con la sua giustizia e la sua ira? Meditai giorno e notte senza requie, finché non feci attenzione al nesso delle parole e cioè: “il giusto vivrà di fede”. Ho cominciato allora a concepire la giustizia di Dio, come una giustizia per la quale il giusto vive come per dono di Dio, dunque per la fede (giustizia passiva). Dio ci rende giusti mediante la fede… mi sentii allora completamente rinascere (2)

            La torre è quella del convento di Wittemberg, dove c’era una stanza riscaldata. Per il Grisar l’illuminazione avvenne nella “latrina”, simbolo della profonda degradazione umana. Per Lutero, proprio qui abbiamo bisogno del grande soccorso di Cristo e per lo Spirito non ci sono luoghi sconsacrati. La latrina è il simbolo della condizione disperata dell’uomo, senza l’aiuto della grazia.
La scoperta della misericordia di Dio portò Lutero ad elaborare una nuova teologia. L’uomo, irrimediabilmente corrotto dal peccato, è incapace di volere il bene con la propria volontà: compiendo le opere buone, dettate dal suo interesse o dal suo orgoglio, si culla in una falsa sicurezza, che lo allontana dalla salvezza proprio quando crede di averla conquistata. Dio perdona gratuitamente il peccatore, donandogli la propria giustizia grazie alla mediazione di Cristo redentore. L’uomo, a un tempo giustificato e peccatore (simul justus et peccator), deve affidarsi a Dio nella fede. Lutero comincia a formulare la sua dottrina sulla giustificazione per fede. Solo la fede può condurre alla salvezza, solo la fede consente al cristiano di accogliere la Parola di Dio e di sottomettervisi, nonostante i propri peccati.
In Lutero emerge chiaramente “la teologia della croce”, il riferimento alla croce che deve essere sempre al centro della predicazione: il predicatore deve saper insegnare con rigore e con metodo; essere eloquente; avere una bella mente, una bella voce e una buona memoria ed essere equilibrato; essere sicuro del fatto suo e metterci tutto il suo zelo; deve essere pronto a mettere a repentaglio la sua salute, la propria vita, i suoi beni e il suo onore; deve lasciarsi tormentare e beffeggiare da chiunque.
Per Lutero la giustizia di Dio non chiede ma da. È Dio stesso che adempie la salvezza e non l’uomo. Santa Teresa di Lisieux direbbe che Dio ci offre un “ascensore” per salire la montagna, per salvarci. La buona notizia per Lutero è che ci è stato regalato il denaro necessario per pagare la nostra scarcerazione dal peccato. La condizione è stata adempiuta per noi da qualcun altro. Dio, cioè, aiuta misericordiosamente il peccatore ad ottenere la propria giustificazione (buona novella). È nuova questa dottrina? No! Lutero ha riscoperto una dottrina autenticamente cristiana. Per Lortz si può parlare di un Lutero “cattolico” e di un riformatore. Si tratta di una tensione insoluta nella vita dell’uomo. È un mistero della vita e Lutero è come una palla sulla cima di un monte, che non si sa dove cadrà.


LA QUESTIONE DELLE INDULGENZE


All’inizio del 1514 Alberto di Brandeburgo, arcivescovo della stessa città e amministratore della diocesi di Halbertstadt, annunciò la sua candidatura ad arcivescovo di Magonza. Per ottenere la nomina, Alberto doveva versare una elevatissima tassa di insediamento. Si rivolse quindi ai Fugger, i più potenti banchieri tedeschi, per avere in prestito la somma necessaria. Per estinguere il debito, il papa concesse che nei territori di Alberto venisse proclamata un’indulgenza, il cui ricavato sarebbe stato incassato per metà da Alberto, mentre l’altra metà sarebbe stata devoluta alla costruzione della basilica di San Pietro. Nel 1515 iniziò la campagna per le indulgenze con la predicazione di Teztel, op. A coloro che versavano un obolo veniva promessa la libera scelta del confessore, la liberazione delle anime dei loro cari dal Purgatorio e la remissione completa di tutti i peccati (predicazione come tecnica di marketing).
Di fronte ad un mercato così sfacciato, la gente “impazziva” e Lutero, che aveva un temperamento irascibile, non seppe trattenere la sua indignazione. Gli sembrava assurdo che mentre Dio salva gratuitamente, la Chiesa lo facesse a pagamento. Lutero era “scandalizzato” che si proponesse un cristianesimo senza croce, senza conversione, senza timore di Dio. Egli scrisse ad alcuni vescovi una lettera, in cui accennava agli errori sulle indulgenze.  I vescovi non risposero. Il 31 ottobre del 1517 affisse sulla porta della chiesa di Wittemberg 95 tesi sulle indulgenze. Egli metteva in rilievo gli abusi finanziari e gli effetti negativi per la pastorale e l’inutilità delle opere poste dall’uomo senza la fede. Nelle 95 tesi Lutero riprese con maggior chiarezza questi temi, sviluppando un programma di vita cristiana (La vita come penitenza. La penitenza interiore. La croce. Il papa non può rimettere colpa alcuna. Il papa non può disporre del “tesoro della Chiesa”).
Le 95 tesi trascinarono Lutero in una dinamica politica, che lo condusse alla rottura con Roma. Si può pensare che Lutero sia un riformatore “suo malgrado”, senza aver programmato tutte le conseguenze dei suoi atti.
In Germania tra il 1518 ed il 1520 si affrontò il problema della successione imperiale ed il papa era legato per questioni politiche al principe elettore Federico di Sassonia, il principe da cui dipendeva il convento di Lutero, il quale poté assicurarsi la protezione del principe, che non permetteva che un suo suddito, venisse processato fuori del suo territorio. La conciliazione tentata dal cardinale Gaetano fallì. Nel 1519 abbiamo la disputa di Lipsia con Giovanni Eck, ma Lutero negò davanti a lui il valore del magistero dottrinale della Chiesa. Progressivamente, Lutero identifica il papa con l’Anticristo. È la rottura.
La Chiesa condannò Lutero (41 sue proposizioni) con la bolla Exurge Domine, il 15 giugno 1520, concedendogli 2 mesi di tempo per sottomettersi al giudizio. La condanna venne notificata a Lutero il 10 ottobre. Il 10 dicembre a Wittemberg, Lutero bruciò pubblicamente la bolla, i volumi del diritto canonico e la Summa angelica. Nella primavera del 1521 Lutero venne convocato alla Dieta di Worms dal nuovo imperatore Carlo V. Ancora una volta Lutero rifiuta di ritrattare: la mia coscienza è vincolata alla parola di Dio e io non posso né voglio sconfessare nulla: andare contro coscienza non è infatti cosa giusta né prudente. Che Dio mi aiuti. Amen.
 Lutero viene messo al bando dall’Impero. Viene simulato un rapimento da parte dei soldati di Federico di Sassonia, che portano Lutero a Wartburg, dove soggiornò sotto le mentite spoglie di un certo cavaliere di nome Georg. Wartburg fu la “Patmos” di Lutero per un anno. Nel 1520 Lutero pubblicò opere importanti sul suo insegnamento: La predica sulle buone opere; Manifesto alla nobiltà cristiana della nazione tedesca sull’emendamento della cristianità; La cattività babilonese della Chiesa; La libertà del cristiano; Il papato di Roma. Così egli critica radicalmente la Chiesa di Roma, con la sua liturgia e la condotta del suo clero. Alla Chiesa visibile egli contrappone una Chiesa invisibile, una comunità di fedeli che accettano la Parola di Dio ed è fondata sul sacerdozio universale.  Vengono aboliti i voti religiosi, il celibato dei preti, le messe per i defunti e le indulgenze. Tra le opere di Lutero non dimentichiamo il De votis monasticis, che considerava la vita religiosa contro la Parola di Dio, contro la fede, contro la libertà cristiana, contro natura, contro i precetti di Dio, contro la ragione.


LA RIFORMA PROTESTANTE


Lutero non aveva coscienza di spezzare l’unità della Chiesa o di introdurre una dottrina nuova. Voleva mettere in moto solo la riforma. Aveva confessato di non pensare di attuare una riforma, che solo Dio poteva realizzare. Successivamente dirà: Grazie a Dio ho riformato più io col mio Vangelo, di quanto loro forse avrebbero fatto con 5 concili. Quali i motivi di questo successo? Lutero e il suo messaggio furono capaci di “comunicare”. Egli riuscì ad usare un linguaggio e a dare precise risposte alle domande, che si ponevano gli uomini del suo tempo. La sua teologia era antiscolastica e biblicista, veniva incontro ad una aspirazione condivisa non solo dal moto umanistico, ma da molti uomini stanchi della povertà e dell’aridità di un pensiero, che sembrava fossilizzato. C’era una domanda diffusa di fede personale, non sottoposta a mediazioni clericali. Lutero poteva avvantaggiarsi di un diffuso anticlericalismo e di un complesso antiromano. Per qualcuno non furono gli abusi che causarono la riforma, ma la loro ostensione, che era così sotto gli occhi di tutti.

Ecco le iniziative efficaci di Lutero:

·      Valorizzò la predicazione su base biblica
·      Diffuse una fede “popolare” col catechismo
·      Attuò una riforma liturgica (culto interiore)
·      Divulgò la Bibbia
·      Giustificò il matrimonio dei preti e abolì i voti religiosi
·      Apertura ai laici
·      I principi potevano intervenire in materia religiosa
·      Assistenza pubblica in mano alle autorità cittadine

Un grande contributo venne dalla stampa: la riforma fu figlia della stampa. Gli ambienti cattolici erano un po’ conservatori nei confronti della stampa, specie per la loro fedeltà al latino. Ci fu una caduta dei prezzi a causa della concorrenza nel pubblicare i foglietti polemici di Lutero (pirateria). Venne diffusa moltissimo la Bibbia e Lutero tradusse il Nuovo Testamento (100.000 copie).
Nel 1529 Lutero scrisse il Catechismo grande, con le illustrazioni di Cranach il Vecchio. Scrisse pure il Piccolo catechismo, con domande e risposte per aiutare i pastori e i predicatori ad insegnare l’essenziale di ciò che il credente doveva conoscere. Ci furono pure dei libretti di pochi fogli, che affrontavano un tema in modo polemico, provocatorio, pubblicitario, satirico. Quanti sapevano leggere? Pochi, alcuni leggevano ad alta voce per gli altri. Altro elemento importante della comunicazione era il ricorso alle immagini del papa come Anticristo e di Lutero santo. Infine, la comunicazione contava molto su azioni simboliche, come il bruciare i libri degli avversari.
Lutero seppe attrarre tutte le categorie di persone: monaci, umanisti, cavalieri, mercanti e principi, cittadini sensibili al contenuto sociale del suo messaggio, che criticava i privilegi del clero e faceva sperare una riorganizzazione dell’assistenza pubblica. Accanto alle aspirazioni spirituali sincere, c’erano pure il nazionalismo, l’anticlericalismo, l’odio verso la Curia romana, malcelate mire sui beni del clero. La musica e le arti figurative servirono a far breccia nei fedeli più semplici ed analfabeti. Proliferarono le caricature sul clero cattolico, che raffiguravano prelati ignoranti, monaci avidi e libidinosi. Il papa era rappresentato come l’Anticristo, il cattivo pastore che abbandona il suo gregge nel momento delle difficoltà.


LA RIVOLTA DEI CONTADINI


Tra il 1524 ed il 1525 si destò un forte malcontento popolare, specialmente da parte dei contadini. I rivoltosi tedeschi elaborarono un programma in 12 punti (“I 12 articoli dei contadini di Svevia”), che comprendevano rivendicazioni sociali e religiose, quali la predicazione del puro Vangelo, l’elezione dei pastori e la riduzione delle tasse. In un primo tempo Lutero si mostrò conciliante con loro; successivamente si pose a favore della repressione, scrivendo: Contro le empie e scellerate bande dei contadini. In quel libello incitava i principi a punire duramente i contadini, che si erano ribellati all’autorità:

Essi mascherano questi loro delitti tremendi ed orribili con il Vangelo, chiamandosi Fratelli Cristiani, estorcono giuramenti ed obbedienza e costringono la gente a partecipare con loro a tale empietà: perciò sono diventati i più grandi bestemmiatori di Dio ed offensori del Suo Santo Nome… qui regna il nostro maestro Cristo, che ci mette anima e corpo sotto l’imperatore e il diritto secolare… il battesimo non rende liberi corpo e beni, ma solo l’anima. Dunque, l’autorità proceda di buon animo e colpisca con buona coscienza, finché le resta un filo di vita.

            Nel frattempo sorsero nell’ambito protestante altri gruppi radicali e fanatici, tra i quali gli anabattisti e gli spiritualisti. Essi condannavano con più forza la Chiesa cattolica; criticavano Lutero per la sua troppa prudenza; consideravano la Chiesa cattolica caduta in modo irrimediabile; non accettavano il pedobattesimo; volevano ritornare alla Chiesa primitiva; negavano ogni ricorso allo Stato.
            La diffusione della Riforma era favorita dalla situazione politica internazionale, in modo particolare dall’assenza dell’imperatore dalla Germania, a causa del conflitto che lo opponeva al papa e alla Francia e dall’avanzata dei Turchi nei Balcani. Nel 1524 alla dieta di Norimberga, gli evangelici trovarono un buon alleato in Carlo V, che diffidava del papa Clemente VII. Nel 1529 ci fu la Dieta di Spira, dove i cattolici volevano almeno impedire la diffusione ulteriore della Riforma. Si riconfermò l’Editto di Worms del 1521, un Editto che tutelava solo i cattolici. Gli evangelici allora presentarono una protesta (donde il nome di protestanti), andando verso il principio del cuius regio eius et religio.
            Carlo V e Clemente VII si erano incontrati nel 1530 a Bologna, ove il papa aveva incoronato l’imperatore (ultima volta nella storia della Chiesa). Carlo V aveva in mente 2 cose: la riforma della Chiesa e la soluzione dei problemi religiosi che dividevano la Germania. Ad Augusta nel 1530 Carlo V invitò i protestanti a presentare la loro confessione di fede; ma Lutero, che era colpito dal bando imperiale, non andò. L’incarico di preparare la confessio fu affidato a Melantone. Logicamente, pur dimostrando la “cattolicità” delle proprie idee, si esaltava il concetto di giustificazione gratuita per la fede. La Chiesa era considerata l’assemblea dei santi e dei veri credenti. Molto si insisteva anche sul rapporto fede ed opere. Venivano criticate le predicazioni sulle opere, i giorni festivi, alcuni digiuni, le confraternite, i pellegrinaggi, il culto dei santi, i rosari, le reliquie, i monasteri(3).



HULDRYCH ZWINGLI   E  GIOVANNI CALVINO


HULDRYCH ZWINGLI



Nato il primo gennaio 1484 in Svizzera, ricevette un’ottima formazione umanistica a Vienna e a Basilea. Ordinato sacerdote, fu cappellano delle truppe svizzere al servizio del papa a Pavia, Novara, Marignano, dove nel 1515, subito dopo la celebre battaglia assunse un atteggiamento critico verso questo impegno bellico. Tuttavia, godeva di una buona pensione, benefici ed il titolo di monsignore.  Ad Einsieldeln conobbe Erasmo da Rotterdam e si formò sui suoi scritti. Preferiva un cristianesimo essenziale, non scolastico. In una sua lettera del 1518 ammise gravi trasgressioni del celibato. Fu eletto parroco della cattedrale di Zurigo. Nel 1519 guarì dalla peste e ciò segnò la sua vita. Il suo ottimismo umanistico cedette davanti alla sofferenza, lasciò Erasmo e si avvicinò ad Agostino e a Lutero. Rifiutò la pensione papale e giustificò in predica un tipografo, che si vantava di aver mangiato carne in quaresima. Per lui il digiuno era una istituzione umana e difese pertanto la libertà del cristiano. Cristo era il fondamento della Chiesa e non Pietro; solo la fede in Cristo produce la salvezza. L’amico tipografo pubblicò poco dopo la sua predica, che divenne una sfida aperta alla Chiesa cattolica.  Chiese al vescovo di Costanza la libertà di predicare e lo scioglimento dagli obblighi del celibato.  Alcuni incidenti si verificarono durante le sue prediche. Il consiglio di Zurigo ordinò che ci si attenesse al puro Vangelo.
Nel 1523 ci fu un colloquio di religione.  Zwingli presentò le sue 67 tesi. Fonte della fede è soltanto il Vangelo di Cristo, che non ha bisogno di interpretazione alcuna. Venivano respinti, come contrari alla Scrittura, il papato, il sacrificio della Messa, l’intercessione e la venerazione dei santi, la vita religiosa, il celibato. La confessione serviva solo come ricerca di un aiuto spirituale. Il consiglio di Zurigo riconobbe la vittoria di Zwingli, che veniva autorizzato a predicare il Vangelo. Questa riforma veniva imposta dall’alto, dall’oligarchia cittadina.
Sempre nel 1523 fu indetta una seconda disputa pubblica, dove un tale argomentò contro “le immagini e gli idoli” e Zwingli attaccò decisamente il sacrificio della Messa. Alcuni gruppi radicali, però, si rivoltarono contro di lui, formando delle comunità di anabattisti. Per intervento del consiglio cittadino nel 1524 vennero bandite dalle chiese le immagini e le reliquie. Zwingli, proprio in quell’anno, pubblicò Il Pastore, un trattato di pastorale, che definiva vero pastore colui che predica con coraggio, che conduce una vita irreprensibile e che denuncia le potenze del mondo. La comunità deve accusare e deporre il falso pastore e rifiutare la sua predicazione. Frattanto Zwingli si era segretamente sposato ed aveva avuto 4 figli. Al posto della Messa venne istituita la Cena del Signore, considerata un “ringraziamento e memoria della passione di Cristo”.
Grazie al suo prestigio riuscì ad attuare una serie di riforme. Il patrimonio del Capitolo venne utilizzato per l’insegnamento e la formazione teologica. Dal 1525 cominciò la “profezia”, una riunione quotidiana sull’A.T. Veniva letta una pericope in latino, ebraico e greco, con opportuni commenti ed una esortazione finale. Nel pomeriggio si studiava il N.T. Si formò, pertanto, l’Accademia di Zurigo, modello per altre accademie protestanti.  Si istituì un tribunale per le cause matrimoniali e dei controllori dei costumi. Nel 1529 fu resa obbligatoria la partecipazione al culto, altrimenti si perdeva il diritto di cittadinanza. La Chiesa di Zurigo divenne una Chiesa di Stato. A favore di Zwingli fu il patriottismo per la Confederazione Elvetica. Egli pensava anche ad una grande lega protestante, ma non ci riuscì. Lutero non amava Zwingli, che considerava doppio, subdolo, discepolo di Erasmo, un demonio.
Nel suo pensiero i sacramenti venivano considerati come un giuramento di fedeltà, un modo col quale il fedele dimostrava il suo impegno e la sua coerenza e sono opera dell’uomo, subordinati alla predicazione della parola di Dio. Guardava moltissimo all’aspetto simbolico dei sacramenti, per cui l’est della consacrazione va inteso come significat. In polemica con Lutero, non poteva ammettere una presenza reale nel pane. “Questo è il mio corpo”, lo traduceva con: “Vi affido un simbolo di questa mia rinuncia, che è il mio testamento, per ravvivare in voi il ricordo di me e della mia bontà per voi”. La Messa non è altro che la rappresentazione nella memoria, nella coscienza della comunità dell’unico sacrificio di Cristo. Il significato delle cerimonie è solo pedagogico, per istruire i semplici. Il culto avviene in “spirito e verità”. Non sono necessarie le mediazioni temporali.
Zwingli, animato da zelo, voleva unire i protestanti contro i cattolici. Suggerì di assediare i svizzeri dei cantoni cattolici, bloccando loro la possibilità dei rifornimenti. Ma nella battaglia presso Kappel, perse la vita l’11 ottobre 1531. Egli cadde con le armi in pugno. Gli successe il noto Bullinger (1504-1575), che compose la Prima confessione elvetica nel 1536. Dopo l’accordo con Calvino, lo zwinglianesimo si affiancò al nascente e trionfante calvinismo.


GIOVANNI CALVINO


Nacque il 10 luglio 1509 a Noyon. Influirono su di lui la morte della madre e l’educazione autoritaria del padre, che viveva di benefici ecclesiastici. Il padre lo voleva prete assieme al fratello, che lo divenne, ma morì scomunicato per un duello. Studiò a Parigi e poi Montaigu (stessa scuola di Erasmo e Ignazio). A 19 anni divenne magister artium. Il padre, in lotta col Capitolo, gli fece studiare giurisprudenza, carriera che riteneva più redditizia di quella ecclesiastica. Calvino girò in alcune scuole, come a Orleans, Bourges e Parigi. Entrò in strette relazioni con Nicolas Cop, professore di medicina, che nel 1533 tenne un discorso sul testo: Beati i poveri in spirito. Si insisteva sul tema della Grazia e del perdono. Il Vangelo non minaccia, non costringe nessuno, ma libera l’uomo. Cop attaccò l’idea della salvezza per mezzo delle opere. La prolusione sollevò molte critiche, specialmente da parte dei Francescani. Il discorso di Cop era stato preparato da Calvino, che fuggì ad Angouleme. Poi, tornò a Noyon per rinunciare ai benefici ecclesiastici. Nel 1534 era a Basilea. Prese contatti con i protestanti. Si impegnò nella traduzione francese della Bibbia e scrisse l’opera più importante della sua vita: Religionis christianae institutio, uscita per la prima volta a Basilea nel 1536. Si discute se nella sua vita ci sia stata o meno una conversione, che è sempre frutto di un lungo cammino. Egli affermava di essersi liberato dalle superstizioni papiste. Riconosceva, inoltre, che Lutero aveva promosso una riforma nella Chiesa, ma non La riforma. Lutero aveva compiuto un cammino incompleto. La sua opera letteraria fu dedicata a Francesco I di Francia, che favoriva il luteranesimo in Germania contro Carlo V, mentre osteggiava i riformati in patria. Il testo doveva fornire le conoscenze basilari per la formazione del cristiano. Esso si compone di 4 libri e di 80 capitoli che trattano di: conoscenza del Dio creatore e redentore; segreta operazione dello Spirito Santo; i mezzi della Grazia; il regno civile.
Nel 1536 Calvino passò per Ferrara, ospite della duchessa Renata di Francia. Fu a Strasburgo, Ginevra. Qui con Farel, predicatore protestante, collaborò come lettore di Sacra Scrittura e predicatore. Calvino era la mente, Farel il braccio per attuare le loro idee. Si decise di introdurre il disciplinamento dei cittadini, seguendo un modello biblico. Alcuni cittadini onesti dovevano sorvegliare la vita di ogni membro della comunità. Gli inadempienti ai precetti di culto dovevano essere esortati e se non si ravvedevano, venivano denunciati pubblicamente. Gli ostinati venivano esclusi dalla comunione e dalla Cena. Nel 1537 compose un catechismo per i giovani. Ci furono disordini e i 2 riformatori furono espulsi da Ginevra. Calvino fuggì a Strasburgo.


IL DISCIPLINAMENTO


Calvino tornò a Ginevra ed attuò una profonda riorganizzazione della Chiesa, attraverso la promulgazione di ordinanze ecclesiastiche su base biblica (Ef 4,11; 1Cor 12, 28; Rm 12, 6-8). Vennero fissati 4 ministeri: Pastori, Dottori, Anziani, Diaconi.
I Pastori: dovevano predicare la Parola di Dio, amministrare i sacramenti e curare la disciplina ecclesiastica. Erano 20 e dovevano anche scegliere altri pastori. Si riunivano una volta alla settimana e meditavano su un brano della Bibbia.
I Dottori: dovevano insegnare la dottrina e formare i pastori.
I 12 Anziani: corrispondenti ai 12 quartieri della città, vigilavano sulla condotta dei cittadini. Anziani e Pastori formavano il Concistoro.
I Diaconi: assistevano i poveri, i malati ed amministravano i beni della comunità.
Il disciplinamento corrispondeva al desiderio di Calvino di evangelizzare e cristianizzare la popolazione. Ogni domenica si predicava per 3 volte in ogni chiesa. C’era poi il catechismo dei bambini. Durante la settimana c’erano 3 prediche. La Cena del Signore si doveva celebrare una volta al mese per Calvino, ma i consiglieri la imposero 4 volte all’anno: Natale, Pasqua, Pentecoste e prima domenica di settembre. Calvino avrebbe voluto che il fonte battesimale fosse posto accanto al pulpito e che i nuovi pastori ricevessero l’imposizione delle mani, ma non fu esaudito. Si puniva ogni tendenza al cattolicesimo, ogni superstizione, ogni disprezzo della fede evangelica, l’assenza al culto, i discorsi frivoli, la bestemmia, il giuramento, la condotta immorale, il ballo, il giuoco, la mancanza di rispetto verso i genitori, i litigi e piaceri vari. Le case sospette furono chiuse e le prostitute espulse dalla città. Gli adulti recidivi venivano puniti con la flagellazione ed anche con la pena di morte, erano vietati i matrimoni con persone di età troppo diversa (Calvino ammetteva il divorzio a causa dell’adulterio). Molte persone furono incarcerate, condannate e giustiziate.
Dopo il 1545 l’azione si fece sempre più intransigente. Furono vietate le danze, imposti nomi biblici e resa obbligatoria la frequenza al culto. Un libertino, Pierre Ameaux, mercante di carte da giuoco, osò criticare Calvino, che lo fece ritrattare pubblicamente e come pena: stare in camicia e in ginocchio, con la testa scoperta, con in pugno una candela accesa, davanti al palazzo comunale, confessando a voce alta che, contro Dio, aveva criticato Calvino come falso maestro. E così furono condannati altri contestatori e perfino giustiziati. Era vietato dissentire!
Calvino sembra il dittatore di Ginevra. Fu un pastore dotato di enorme autorevolezza. Egli riconosceva la dignità del lavoro, che favorì lo sviluppo della città, grazie all’apporto di molti esuli, che erano artigiani qualificati. Ammise la liceità del prestito ad interesse modesto. La disoccupazione era considerata un flagello. Curò la fondazione dell’Accademia di Ginevra, chiamando eccellenti maestri. Morì il 27 maggio 1564 e volle essere sepolto in una fossa anonima. Nel suo testamento scrisse: se ho fatto qualcosa di buono seguitelo. Quanto alla mia dottrina, ho insegnato con fedeltà… non ho mai tentato di corrompere o di deformare un passo della Sacra Scrittura… mi facevano inseguire dai cani gridandomi dietro e i cani mi afferravano per gli abiti e le gambe… ho avuto molte debolezze e voi avete dovuto sopportarle… sono misera creatura.

LE RIFORME INGLESI

La separazione della Chiesa d’Inghilterra da Roma avviene per opera di Enrico VIII, principe dotato di notevole intelligenza, ma di carattere volubile e di costumi dissoluti. Ciò che lo spinge allo scisma non sono considerazioni teologiche, ma un affare di matrimonio.
Nel desiderio di sposare la dama di corte Anna Bolena, il re chiese al papa l’annullamento del suo matrimonio con Caterina d’Aragona, sua legittima moglie. Il rifiuto del papa provocò la sua ira e lo spinse alla ribellione. Nel 1534 Enrico VIII proclamò in Parlamento la separazione della Chiesa d’Inghilterra da quella di Roma e si autocostituì supremo capo religioso. Inoltre, la sua avidità di denaro lo mosse ad incamerare tutti i beni ecclesiastici. Gli oppositori, tra i quali il vescovo di Rochester, Giovanni Fisher, e il giurista e uomo di stato Tommaso Moro, furono giustiziati.
All’inizio l’Inghilterra aveva dichiarato soltanto la sua separazione dalla Chiesa di Roma, mediante l”Atto di supremazia” e non aveva introdotto dottrine erronee, fatta eccezione per la proclamazione della supremazia del re sulla Chiesa inglese. La penetrazione delle idee protestanti (calviniste e luterane insieme), cominciò sotto Edoardo VI, figlio ancora minorenne della terza moglie di Enrico VIII. Per i riti religiosi venne introdotto nel 1549 un rituale nuovo, il “Book of Common Prayer” o libro della preghiera comune e nel 1553 fu composta una nuova professione di fede, che presentava infiltrazioni calviniste.
Al breve regno di Maria Tudor, figlia del primo matrimonio di Enrico VIII, rimasta cattolica, ma sanguinaria quanto suo padre, successe Elisabetta I, nata dal secondo matrimonio, che condusse a termine la protestantizzazione dell’Inghilterra nella forma dell’anglicanesimo attuale, usando anche lei la violenza e la crudeltà. Tuttavia, venne conservata l’organizzazione episcopale romana e il vescovo di Canterbury, è tuttora il primate d’Inghilterra.
Per i cattolici diventò sempre più difficile conservarsi fedeli a Roma ed essere inglesi nello stesso tempo. In Scozia, unita alla corona inglese dal 1603, rimase, proporzionalmente, un maggior numero di cattolici che non in Inghilterra.
Ma è soprattutto in Irlanda, diventata fin dal Medioevo una dipendenza dell’Inghilterra, che la fede cattolica resistette saldamente. Tutti i tentativi di portare la popolazione irlandese dentro le file dell’anglicanesimo sono naufragate. La cosa riuscì per il nord dell’isola, l’Ulster, unicamente con l’importazione di coloni dall’Inghilterra e dalla Scozia.
Il fatto che gli irlandesi si siano mantenuti cattolici malgrado enormi pressioni è della massima importanza per la rinascita della Chiesa cattolica in Inghilterra e ancor più per l’avviamento del cattolicesimo negli Stati Uniti d’America. L’anglicanesimo è caratterizzato da un senso di grande equilibrio e di esperienza storica. Da una parte ha saputo cogliere e fondere insieme quelli che, secondo la sua valutazione, erano gli aspetti più positivi del luteranesimo, calvinismo e cattolicesimo romano; dall’altra ha saputo trarre profitto da tutte le esperienze e le difficoltà che ha incontrato nei secoli passati.

Ma chi era Enrico VIII? Era un uomo forte, amante dell’attività fisica, della guerra e del fasto. Aveva una buona cultura umanistica e teologica, ma era egoista e collerico, crudele e dissimulatore. Calpestò ogni affetto per ottenere quello che voleva. Dispotico, insofferente del potere del Parlamento, che tenne chiuso per 14 anni. Non amava discutere e ascoltare, ma pretendeva di agire sempre. Egli credeva in Dio, ma in modo abitudinario, formale, privo di interiorità. Ascoltava parecchie messe al giorno, amava i pellegrinaggi. Era molto superstizioso, privo di slancio. Con Roma era in perfetto accordo, tanto da scrivere un libro in difesa dei sacramenti. Per questo Leone X gli diede il titolo di “Defensor fidei”.
Il re voleva un erede maschio. In realtà l’erede c’era, sebbene illegittimo. Egli si invaghì di Anna Bolena e domandò la dichiarazione di nullità da parte della Chiesa del proprio matrimonio con Caterina. Egli sostenne che il matrimonio era invalido, perché Caterina aveva consumato il precedente matrimonio con suo fratello Arturo, che fu sposato solo 4 mesi, era malaticcio e in fin di vita e aveva solo 14 anni. Le discussioni divennero interminabili, su base biblica, teologica e canonistica. Si consultarono gli ebrei. Qualcuno invitò Caterina a farsi monaca… Si ricorreva all’argomento del levirato: Dt 25, 5-10. Il papa Clemente VII era un uomo indeciso ed accomodante ed aveva problemi con Carlo V (Sacco di Roma 1527) e Caterina era zia dell’imperatore. Le discussioni arrivarono alle università, dietro giravano affari economici e la stampa era avida di informazioni.
Enrico VIII sollevò un forte anticlericalismo e spirito antiromano. Pretendeva di essere riconosciuto come unico protettore e capo supremo della Chiesa d’Inghilterra. Il clero progressivamente cedette. Vennero abolite le tasse romane. Fioccarono la scomuniche e i sotterfugi canonici.
Nel 1534 venne emanato l’Atto di supremazia. Il re praticamente era anche il “papa” e i vescovi semplici funzionari statali. Seguì un periodo di violenza contro chi era fedele a Roma e verso i monasteri e i conventi. Ai vescovi fu imposto un giuramento di fedeltà al nuovo ordine voluto dal re. Figure di spicco della resistenza furono Giovanni Fisher (1469-1535) e Tommaso Moro (1478-1535).
Nel 1536 furono scritti i “10 articoli”, che cominciavano ad esprimere la dottrina anglicana. Nel 1539 il re pubblicò la legge dei “6 articoli”, dove veniva affermata la transustanziazione, il celibato sacerdotale, la validità dei voti religiosi e della confessione auricolare. Era evidente una sferzata in senso cattolico. Nel 1545 venne pubblicato il King’s Book, di orientamento cattolico, ma erastiano.
Edoardo VI (1547-1553) divenne re all’età di 9 anni. Lo guidava e lo consigliava il duca di Somerset Edward Seymour, un fautore della riforma protestante. Condannò le immagini sacre e proibì l’uso delle candele. Il clero doveva studiare la Bibbia, che doveva essere tradotta in inglese. Si dovevano leggere delle omelie tratte dal The Book of Homelies. Una legge conferì alla corona tutti i collegi, cappelle, fondazioni di carità, beni delle confraternite. Il pretesto era di togliere gli abusi, ma in realtà la corona aveva bisogno di denaro per le guerre. Il parlamento impose un libro di preghiere, il Book of Common Prayer.  Era insieme breviario, manuale e rituale.

Mary Tudor (1553-1558) venne accolta con entusiasmo dalla popolazione. Era una donna nubile di 36 anni. Attuò delle riforme finanziarie, riorganizzò la giustizia ed emanò la prima legge sulla manutenzione delle strade. Si unì in matrimonio col cugino Filippo II di Spagna e si adoperò per restaurare in Inghilterra il cattolicesimo, assumendo posizioni sempre più intolleranti verso i protestanti. In quel periodo si trovava in patria il cardinale Pole (1500-1558), che attuò una riforma, la Reformatio Angliae. Per assicurare l’insegnamento di una retta dottrina, fu composto un libro di omelie, vennero semplificati breviario e messale. Da ricordare il suo impegno per la formazione del clero, che sarà uno dei modelli base per l’istituzione dei seminari. Si ordinava la residenza, si proibiva il cumulo dei benefici. Varie indicazioni riguardavano la vita dei vescovi e il loro servizio pastorale.
Elisabetta I (1558-1563) era protestante come educazione. Ritornò alla posizione di supremazia del sovrano sulla Chiesa ed impose l’uniformità religiosa, una vera e propria protestantizzazione. Collocò nelle diocesi vescovi di sua fiducia. Fece approvare dal parlamento la nuova legge della Supremazia, che proclamò la regina “supremo governatore” degli affari spirituali ed ecclesiastici. Esso doveva essere accettato con un giuramento, che costituì la nascita definitiva della Chiesa anglicana di stato. Su 16 vescovi, 15 rifiutarono il giuramento e furono rimossi. Poi con l’Atto di uniformità furono imposti i paramenti “cattolici”, furono lasciate le immagini, conservata la gerarchia. Con i “39 articoli” si definì il volto della chiesa elisabettiana e anglicana, una chiesa con liturgia vicina al cattolicesimo, ma con una dottrina molto protestante (calvinista). Si negava l’esistenza del Purgatorio, il valore delle indulgenze, il culto delle immagini e delle reliquie, il celibato ecclesiastico, e si riducevano i sacramenti ai soli battesimo e comunione, senza riconoscere la transustanziazione.
La Chiesa anglicana si presenta oggi in 3 tendenze:
Low Church: evangelico intransigente
High Church: ritualismo quasi cattolico
Broad Church: liberalismo dogmatico


IL RINNOVAMENTO CATTOLICO


I tentativi di riforma voluti dal papato, o dai concili, erano falliti. Aveva avuto successo la riforma in Spagna, perché ci fu una volontà di riforma dell’autorità suprema ed una spinta della base che chiedeva la riforma. L’autoriforma da sola non bastava. Le energie di qualche personalità isolata, se non sono appoggiate dall’autorità legittima, vanno perdute. Perché la riforma abbia successo occorre:
·      Che la riforma risponda ad una esigenza sentita dalla base.
·      Che ci sia collaborazione e cooperazione fra vertice e base.
·      Che sia globale, cioè spirituale, capace di suscitare nuovi criteri di discernimento.
·      Che sia progressiva e non improvvisa, rispettando i tempi di assimilazione.
·      Che s’innesti sulla fedeltà alla tradizione.
·      Che tocchi il vertice (in capite) ma anche le membra (in membris).
Nella storia del rinnovamento cattolico si da molta importanza alle confraternite, in modo particolare a quella del Divino Amore, cui si attribuisce il merito dell’inizio del moto. Per il Ranke sono la prova che la riforma cattolica s’innescò dopo lo scoppio di quella protestante. Era un bisogno diffuso, che partiva dalla base.
Le confraternite sono associazioni di credenti (preti e laici), erette per l’esercizio di un’opera di carità, o per l’incremento e l’esercizio della preghiera. Secondo il fine, le confraternite si dividono in: Confraternite di culto: per ottenere la salvezza attraverso la penitenza (confraternite penitenziali), la promozione del culto (Eucarestia, devozione dei santi, canto e poesia). Confraternite di carità: per venire incontro ai bisogni materiali (cura degli ospedali, ponti) e spirituali (la preparazione della “Buona morte”, la difesa della fede). La struttura delle confraternite era democratica, in quanto le cariche erano elettive e le decisioni prese a maggioranza di voti. I membri eleggevano il gruppo direttivo, che agiva collegialmente, coadiuvato da consiglieri ed ufficiali. L’autorità suprema risiedeva negli statuti e nel capitolo; l’ammissione era sottomessa al parere del consiglio, che decideva all’unanimità. Le confraternite dei Battuti erano a struttura centralizzata; c’era un “guardiano”, che doveva guidare e vigilare sulla flagellazione, leggere la S. Scrittura, correggere i fratelli erranti. Le confraternite miste erano escluse, ma si ammettevano confraternite femminili. Ogni membro doveva versare un contributo. Per la permanenza nelle confraternite si chiedevano doti morali, preghiere per i confratelli vivi e defunti, come la messa e l’ufficio per i defunti.
Anche le confraternite avevano bisogno di riforma, perché tendevano a dimenticare il proprio scopo spirituale per fini politici (strade, ponti); spesso si ebbe una chiusura corporativa, escludendo quanti erano di categoria sociale inferiore. Tuttavia, era in atto un moto di rinnovamento, di revisione, di rifacimento degli statuti, nel senso di una maggiore spiritualità e spirito di servizio. Questo rinnovamento le rese “luoghi di sperimentazione della riforma della Chiesa” e percorsi per giungere alla perfezione. Essendo istituzioni poco strutturate, furono più flessibili ad accogliere le linee di rinnovamento della Chiesa. Esse operarono in una triplice direzione:
·      Rinnovamento spirituale (messa quotidiana, rosario, castità, disciplina).
·      Attenzione ai poveri visti come Cristo.
·      Finalità apostoliche (devozione al SS. Sacramento).
C’era pure un’eredità dal Medioevo: i disciplinati. Essi si erano sviluppati dal 1260: presero origine dalla “grande devozione” del 1260/61. Nacquero come movimento e poi divennero una confraternita. Nel 1349 una nuova ondata prese le mosse dalle Fiandre, quando molti uomini vestiti di abito nero con 2 croci rosse, si spostarono in processione nelle città vicine per 33 giorni. 2 volte al giorno si davano la penitenza. Si diffusero idee errate, come quella che la flagellazione da sola rimettesse i peccati. Torme di uomini e donne vestiti di bianco, con la croce rossa alla spalla per gli uomini ed il cappuccio per le donne, scalzi, che dormivano sui banchi delle chiese, si astenevano dalla carne, digiunavano a pane ed acqua il sabato, dovevano osservare la castità e si presentavano gridando “misericordia”. Camminavano per 9 giorni, preceduti da una croce.
Studiando le confraternite del Gonfalone si osserva che si passò dalle pratiche penitenziali alla meditazione della Passione e alle preghiere.  Questa confraternita era nata dall’unione di 4 confraternite di “Raccomandati della Beata Vergine Maria” a Roma, attraverso un lungo processo che cominciò alla fine del ‘300 e prese il nome dal Gonfalone, che si trovava a S.Maria Maggiore. Fra il 1488-95 si unì ad essa la compagnia dei SS. Pietro e Paolo, che aveva come scopo la formazione dei giovani e nel 1496 la Compagnia di S. Maria e S. Elena in Aracoeli (visitava i carcerati e procurava la dote alle fanciulle povere). La confraternita del Salvatore (Laterano) organizzava solenni processioni, aiutava i pellegrini, i poveri ed i malati. Importanti le confraternite del SS. Sacramento, la confraternita di S. Lorenzo in Damaso, che dopo la predicazione di Egidio da Viterbo, organizzò delle processioni. Il fine della confraternita non era solo di favorire l’adorazione del SS. Sacramento, ma anche di “reprimere la superba pazzia delli moderni heretici, li quali in questo tempo sceleratamente parlano contra esso Santissimo Sacramento”. Quindi, lo scopo era la difesa dal Protestantesimo, che negava la presenza reale. Le confraternite eucaristiche contribuirono a dare al culto eucaristico splendore e magnificenza. Le processioni divennero dei cortei.
Nel 1536 Castellino da Castello (1476-1566) fondava presso l’oratorio dei santi Filippo e Paolo, a Milano, la prima Compagnia della dottrina cristiana. Essa riuniva chierici e laici animati dalla buona volontà di insegnare, nei giorni di festa, gli elementi basilari della fede e dei costumi. Una regola fu redatta da Castellino. I membri dovevano aumentare la carità verso Dio ed il prossimo, attraverso una condotta corretta ed esemplare. 12 erano le guide principali del gruppo. Per i membri era prescritta la confessione e la comunione mensili. Si doveva notare se qualche bambino mancava agli appuntamenti.
Molti autori hanno considerato l’Oratorio del Divino Amore come la prova che la riforma cattolica era già in atto prima di Lutero. Oggi le tesi storiografiche di Pastor e di Ranke vengono corrette, nel senso che, se l’oratorio genovese è del 1497, si sono trovate delle confraternite simili, che avevano come scopo di esercitare la diaconia della carità. A Vicenza nacque la Compagnia segreta di S. Girolamo (1494), che derivò dalla predicazione del beato Bernardino da Feltre. Essa anticipa molti caratteri di quella genovese:
·      Numero chiuso.
·      Segreto.
·      Vita cristiana più intensa (confessione mensile, comunione 4 volte l’anno, poi mensile).
·      Impegno caritativo, cura degli infermi.
Sono grosso modo già gli elementi che si riscontreranno appena dopo a Genova nel 1497. L’Oratorio o Compagnia del Divino Amore, fu iniziato a Genova da alcuni laici, che si erano formati nel cono di luce dell’influenza di S. Caterina da Genova, che dopo la sua conversione si era dedicata alla vita mistica e al servizio dei malati. Tra i fondatori una parte di primissimo piano ebbe Ettore Vernazza (+1524).
La compagnia nella sua ansia di rispondere ai bisogni dei poveri, s’ispirava alla chiesa apostolica. All’adesione i membri acquistavano il diritto ai suffragi, impegnandosi a loro volta a pregare per i confratelli. Così avvenivano gli incontri: si iniziava con la riconciliazione, poi si “sentiva” la Messa, si faceva il convito e infine si distribuivano ai poveri i beni della mensa. Scopo della confraternita era di “piantare in li cori nostri il divino amore, cioè la carità”. Per essere ammessi alla confraternita occorreva dar prova di sicura moralità. La spiritualità è tipica della Devotio moderna. La vita era costantemente orientata a Cristo nella preghiera.
Da Genova la Compagnia passò a Roma fra il 1513/15.  Vernazza si avvalse dell’aiuto di S. Gaetano Thiene. Gli statuti romani permettevano di allargare il numero ed una maggior frequenza dei sacramenti. A Roma la confraternita si prese cura dell’ospedale degli incurabili. Fra i membri c’erano 6 vescovi (il futuro Paolo IV) e S. Gaetano.
Da Roma l’Oratorio del Divino Amore fu portato a Brescia. A portare l’Oratorio del Divino Amore a Venezia fu Gaetano Thiene (“io verme e luto”).  A Venezia aveva assunto come direttore spirituale fra Battista da Crema, scrittore spirituale, che dava molta importanza alla volontà e alla collaborazione dell’uomo. Per questo le sue opere erano impregnate del motivo paolino del combattimento spirituale(4).  A Venezia S. Gaetano fondò un ospedale degli incurabili. Il Vernazza fondò nel 1519 a Napoli un altro ospedale per incurabili. Un altro ospedale fu fondato dalla beata Maria Lorenza Longo (amica di San Gaetano da Thiene), fondatrice delle monache cappuccine. I membri dell’Oratorio del Divino Amore assistevano i condannati a morte, visitavano i carcerati ed i poveri, seppellivano i morti, cura delle vedove ed orfani. 11 furono gli ospedali fondati dall’Oratorio del Divino Amore.


LA RIFORMA DEI RELIGIOSI


Da oltre un secolo i religiosi cercavano di riformarsi con le varie “osservanze”. Specialmente tra i Francescani, gli Osservanti non intendevano riunirsi ai Conventuali, per non rischiare il rilassamento. I superiori generali ostacolavano il rinnovamento e cercavano di salvare le prebende e le numerose dispense. Generale dei Francescani era Egidio Delfini, il quale aveva tentato di stabilire l’unità, promulgando nuove costituzioni (Statuta Alexandrina del 1501). Osservanti e Conventuali furono contrari. Per i primi erano troppo miti e per i secondi troppo concilianti. Giulio II non riuscì ad unificare i Francescani, per cui la bolla “d’unione” (o di “separazione”) di Leone X del 1517, la nota Ite vos, divise definitivamente l’Ordine francescano in Osservanti (Osservanti, Amadeiti, Collettani, Scalzi) ed in Conventuali.
Nella Marca Anconitana l’osservante Matteo da Bascio (1495-1552), aspirava ad un ritorno radicale e genuino alla regola francescana. Si formò un piccolo gruppo, i Cappuccini, al quale aderirono i fratelli Ludovico e Raffaele da Fossombrone. Essi volevano vivere la Regola francescana senza “interpretazioni”, esenzioni e privilegi e con un abito particolare, in una dimensione eremitica e di predicazione itinerante. Riuscirono a superare le resistenze dei superiori, grazie alla protezione di Caterina Cibo, duchessa di Camerino e nipote di papa Clemente VII. Si rifugiarono presso i Conventuali. La duchessa ottenne dallo zio papa la bolla di approvazione Religiosus zelus del 3 luglio 1528. Essi dipendevano formalmente dai Conventuali. Nel 1529 furono promulgate le costituzioni, dette di Albacina. Matteo da Bascio lasciò l’Ordine, mentre Ludovico da Fossombrone venne deposto ed allontanato nel 1536. I Cappuccini volevano osservare la Regola di S. Francesco alla lettera, senza alcuna mitigazione, secondo il Testamento di S. Francesco. La povertà era richiesta in modo esigente (celle molto povere). Essa non era fine a se stessa. Nei tempi di carestia e di pestilenza, la povertà si traduceva in servizio di solidarietà con i poveri e i malati (servizio eroico). L’apostolato doveva aver luogo anzitutto attraverso la predicazione (tutte le feste). Per prepararsi alla predicazione si dovevano promuovere studi “santi e devoti”. Una crisi terribile attraversò l’Ordine quando Bernardino Ochino, suo vicario generale, abbandonò l’Ordine e cadde nell’eresia. Lo scandalo fu immenso. Si alzarono voci che chiedevano la soppressione dell’Ordine. Nel 1550 i Cappuccini erano già 2500. Grazie alla loro predicazione e alla generosità che manifestarono in occasione di epidemie e sventure, i Cappuccini divennero una delle forze trainanti della Chiesa posttridentina. In primo piano nelle loro attività vennero le missioni al popolo, gli esercizi, la predicazione presso le corti, nelle città e nelle campagne, senza distinzione(5).
Fra il 1524 ed il 1617 vennero alla luce nuove forze per il rinnovamento della Chiesa: i Chierici regolari. Il nome definisce quei raggruppamenti di chierici e laici che vivono la vita comune, sulla base di costituzioni, dei 3 voti e del “quarto voto” per uno scopo apostolico. Il nome venne dato per la prima volta ai Teatini. Il Concilio Lateranense IV, proibiva la fondazione di nuovi ordini religiosi, per questo i fondatori non vollero creare nuove “regole”. Le fonti delle norme di vita saranno il Vangelo, la “vita apostolica” dei 12 apostoli, la primitiva comunità di Gerusalemme. I primi furono i Chierici regolari o Teatini (1524), fondati a Roma da S. Gaetano Thiene e Giampietro Carafa. Seguì la Congregazione regolare dei Preti del Buon Gesù (1532), i Chierici regolari di S. Paolo (Barnabiti), fondati a Milano da S. Antonio M. Zaccaria nel 1530, la Compagnia di Gesù di S. Ignazio di Loyola, iniziata a Parigi nel 1534, ma approvata da Paolo III nel 1540. Contemporaneamente nacquero i Chierici regolari di Somasca (Somaschi), fondati a Venezia da S. Girolamo Emiliani o Miani e la Compagnia dei servi dei poveri nel 1534. Dopo Trento, a Roma nel 1582 furono fondati i Camilliani, o Chierici regolari Ministri degli Infermi da S. Camillo de Lellis, i Caracciolini, o Chierici regolari Minori (1588 con S. Francesco Caracciolo), i Chierici regolari della Madre di Dio (Lucca 1574 con S. Giovanni Leonardi). L’ultima fondazione è quella dei Chierici poveri della Madre di Dio delle Scuole Pie (Scolopi, Roma 1617 con S. Giuseppe Calasanzio).

Caratteristiche.
·      Non hanno una regola, ma delle costituzioni.
·      La forma di governo è più centralizzata, duttile e dinamica. Potranno avere parrocchie, specializzare i confratelli, spostarsi più facilmente.
·      Il luogo della comunità è chiamato “casa”.
·      L’abito era quello abituale dei preti.
·      L’ufficio corale non era celebrato in forma solenne.
·      Non avevano la tendenza alla solitudine e alla contemplazione.
·      Non erano poveri come i mendicanti. Possedevano delle “rendite” per le loro opere.
·      Lo scopo apostolico diventa fondamentale (cura pastorale, predicazione e missioni; istruzione con collegi e seminari; malati).
·      Emettono il “quarto voto”, che è di “garanzia” (rinuncia a prebende) o per assistere i malati in tempo di contagio (Camilliani) o per l’educazione della gioventù (Scolopi) o per un’obbedienza particolare al papa circa missiones (Gesuiti).
·      La loro è una spiritualità sacerdotale ed apostolica, molto attiva.

I Teatini. La comunità nacque in seno all’oratorio del Divino Amore.                    Essi pensavano che la riforma doveva nascere in se stessi, con la conversione della vita, l’esercizio delle opere di carità e di apostolato, adattandosi alle esigenze dei tempi. Il primo passo fu la rinuncia a benefici e prebende, per vivere apostolicamente de altari et evangelio, cioè con i proventi del sacro ministero e con le offerte, non questuate, ma fatte spontaneamente dai fedeli. Fin dai primi tempi collaborarono con la riforma della Chiesa. Dopo il Sacco di Roma i Teatini si rifugiarono a Venezia. Il termine “teatino” a quel tempo era sinonimo di persona austera, ligia alle regole. Molto severi erano i criteri di ammissione. Per le loro attività avevano il privilegio di commutare l’ufficio divino con la recita di 7 salmi. Nel 1536 il Carafa andò a Roma per occuparsi del Consilium de emendanda Ecclesia. Da quel momento il futuro Paolo IV non ebbe più parte nel governo della Congregazione.

I Barnabiti. L’origine dei Barnabiti è dovuta all’incontro a Milano del medico cremonese S. Antonio M. Zaccaria, dell’avvocato Bartolomeo Ferrari e del nobile Giacomo Antonio Morigia. Tutti e 3 avevano frequentato l’Oratorio dell’Eterna Sapienza e subìto il fascino del domenicano fra Battista da Crema, direttore spirituale dello Zaccaria, di S. Gaetano e di Ludovica Torelli, contessa di Guastalla. I “Figli di S. Paolo” nel 1545 cominciarono a reggere a Milano la chiesa di S. Barnaba e per questo furono chiamati Barnabiti. Morto il fondatore nel 1539, la comunità incontrò serie difficoltà: espulsione da Venezia nel 1551 e la condanna dei libri di fra Battista. Fu allora che vennero redatte le costituzioni con l’aiuto di S. Carlo Borromeo. In questo istituto veniva molto accentuato il ruolo dell’obbedienza e della povertà: i Barnabiti dovevano impegnarsi a non ambire le cariche e le prebende. L’orazione mentale si faceva in comune alla sera e alla mattina. Le costituzioni stabilivano: rinuncia al mondo, consacrazione totale a Dio, zelo per la salvezza delle anime. Caratteri salienti dell’istituto: imitare e predicare Cristo crocefisso e adorazione dell’Eucarestia nelle Quarantore e la diffusione della Comunione frequente. Molta importanza si dava alla devozione mariana, alla direzione delle anime, alle missioni, al confessionale, alla predicazione. Poi si occuperanno molto dell’attività scolastica. S. Antonio M. Zaccaria, con l’aiuto della contessa Ludovica Torelli, fondò le Angeliche (1530), religiose che seguivano la regola di S. Agostino, il cui scopo era vivere la carità, la purezza di cuore, l’umiltà e la vita apostolica. Per questo dovevano essere “inviate nel mondo” con i Barnabiti per la riforma dei conventi e nelle missioni popolari. Era qualcosa di inaudito. Furono espulse dal Veneto, accusate presso l’Inquisizione. Giulio III promosse nel 1552 una visita apostolica con il compito di correggere alcuni abusi, come la promiscuità nel monastero di S. Paolo e la partecipazione delle suore al capitolo dei padri, ai loro atti pubblici e al loro governo. Fu tolto all’Angelica Paola Antonia Negri (+1555) il titolo di “divina madre”. Così fu loro imposta la clausura(6).

I Somaschi. La Compagnia dei Servi dei Poveri sorse nel 1534 per l’opera del gentiluomo veneziano Girolamo Miani. Dopo aver prestato servizio militare presso la Repubblica veneta, si convertì e subì il fascino di Gaetano Thiene e del Carafa. Si dedicò all’assistenza degli incurabili, delle vedove, degli orfani, delle donne traviate. Si impegnò nell’educazione dei giovani.

Ignazio da  Loyola fu l’unico fondatore non italiano. Fu profondamente influenzato dall’ambiente pretridentino, ma non per questo mancò di una visione universale. In ciò fu aiutato da: 1) cultura universitaria (la Chiesa soffriva anche per un problema culturale e non solo mistico. Occorreva rispondere alle domande di senso del suo tempo). 2) Fu un “convertito” e uno “spagnolo” (basco, idea della reconquista). 3) Andò a Roma (ecclesialità e mondialità).
Ignazio  nacque a Loyola nel 1491. Ricevette un’educazione religiosa molto valida, anche se aspirò sempre alla carriera militare. Durante la difesa di Pamplona fu gravemente ferito alle gambe. Durante la convalescenza si mise a leggere avidamente la Vita Christi di Lodolfo di Sassonia e la Legenda aurea di Giacomo da Varazze. Decise di rinunciare alla carriera militare per essere solo cavaliere di Cristo. Partì pellegrino per Gerusalemme. A Montserrat si spogliò delle armi e si confessò. Si ritirò a Manresa e cominciò a praticare esercizi metodici di preghiera (Devotio moderna, embrione degli Esercizi spirituali). Accortosi di non avere sufficiente cultura teologica, riprese gli studi a Barcellona, Alcalà, Salamanca e Parigi. Studiò a Montaigu (Calvino, Erasmo furono qui) e scrisse le Regole per sentire con la Chiesa, al fine di rafforzare l’obbedienza di fede alla Chiesa. Nel 1534 a Montmartre con i primi compagni (Francesco Saverio), fece voto di povertà, castità e di dedicare la propria esistenza alla predicazione in mezzo agli infedeli, dovunque volesse il papa. A Venezia fu ordinato prete (1538). Sembra che Cristo gli sia apparso e gli avesse detto Ego vobis Romae propitius ero. Nel 1539 redasse la Formula Instituti, che venne approvata da Paolo III con la bolla Regimini militantis Ecclesiae (1540). Morì a Roma il 31 luglio 1556. Fu beatificato nel 1609 e canonizzato nel 1622.    
 
La Compagnia di Gesù. L’idea della fondazione di un ordine religioso emerse poco a poco nel suo spirito, man mano che prendeva coscienza della sua vocazione e delle esigenze della Chiesa. Scopo della Compagnia è la difesa e la propagazione della fede e l’apostolato tra i fedeli con l’attività pastorale e la carità. È un servizio di diaconia e non più una vocazione per la propria “perfezione”. Non veniva specificata nessuna opera particolare, ma col quarto voto si era disposti ad andare dove occorreva. Si doveva “combattere sotto lo stendardo della croce”. Tre erano le loro caratteristiche fondamentali:
1.    Centralizzazione (legame col papa, nomine fatte dal Generale).
2.    Mobilità (senza pastoie del coro, abito, liturgie per avere più tempo per l’apostolato).
3.    Adattabilità (inserirsi nei più svariati ambienti e culture).
S. Ignazio introdusse due anni di noviziato ed un terzo anno di “probazione” (con emissione dei voti “ultimi”). La povertà: per le case professe niente redditi fissi, ma elemosine; per le case di formazione (collegi ed università) c’erano dei fondi per mantenere gratuitamente gli alunni. Nell’ordine c’erano 3 tipi di case: quelle dei professi di 4 voti solenni (uno era per la missione secondo i desideri del papa); i coadiutori spirituali (sacerdoti ammessi al ministero e all’insegnamento con 3 voti semplici) e i coadiutori temporali (fratelli laici) con 3 voti semplici. Alcuni padri come S. Francesco Borgia accentuarono nell’ordine l’aspetto penitenziale. Paolo IV impose il coro e l’uso del cappuccio. L’apostolato dei Gesuiti fu di: evangelizzazione (specialmente nei paesi protestanti) e di carità (specialmente per la formazione dei poveri nelle scuole gratuite, delle classi più influenti nei collegi, del clero nei seminari ed università, dei principi con i confessori di corte). Strumento formativo efficace furono gli Esercizi spirituali. L’insegnamento fu regolato dalla Ratio studiorum (1598), che divenne il modello dell’educazione superiore europea per diversi secoli. La base era quella umanistica(7).

Fin dai primi del ‘500 si operò una svolta importante per il ruolo della donna nella Chiesa. Prima si diceva aut murus aut maritus. O moglie o monaca. Interessante l’esperienza di S. Angela Merici (1474-1540). Visitando gli incurabili si accorse della presenza di molte ragazze nubili che restavano in casa. Allora fondò a Brescia, nel 1535, la Compagnia di S. Orsola, composta da donne senza voti, senza uniforme, senza vincoli di vita comune. Esse, pur vivendo nella propria famiglia e del proprio lavoro, erano chiamate ad essere segno di separazione dal mondo. Vivevano nella verginità e senza clausura. L’obbedienza era intesa come sottomissione ai comandamenti di Dio, ai precetti della Chiesa e agli ordini dei superiori. Per la povertà, ci si doveva guadagnare da vivere con il lavoro. Nei loro confronti si scatenò una duplice reazione: quella della nobiltà bresciana e quella degli ambienti più radicali della Controriforma (clausura).

Gian Matteo Giberti. Figlio illegittimo di un mercante genovese, seguì il padre che era divenuto chierico e protonotario apostolico al servizio di Giulio II. Entrò tra i Domenicani, ma il padre lo dissuase, reputando più conveniente la carriera curiale. Fece buoni studi ed entrò nella corte del cardinale Giulio de Medici. Leone X lo legittimò, togliendogli gli ostacoli per la carriera. Abile, scaltro, approfittò della sua posizione per cumulare cariche, tanto che fu definito “tirato al pigliare”. Divenne l’eminenza grigia della Curia romana. Fu nominato Vice Cancelliere. Conobbe una breve eclissi sotto Adriano VI. Preparò la candidatura del cardinale Medici al conclave. Si legò al gruppo del Divino Amore e a S. Gaetano. L’elezione del suo protettore al papato, col nome di Clemente VII, rafforzò moltissimo la sua posizione. Divenne Datario e controllava tutti i benefici. Nel 1524 venne nominato vescovo di Verona, che governò per mezzo di un vescovo ausiliare. Favorì un riavvicinamento del papato alla Francia ed irritò notevolmente Carlo V. Durante il Sacco di Roma (1527), di cui fu pure responsabile, fu tenuto come ostaggio dalle truppe d’invasione.
Mentre declinava politicamente, maturava umanamente. Riuscì a fuggire da Roma e si trasferì a Verona. A Venezia incontrò Carafa ed altri amici riformisti. Rinunciò a tutti i suoi benefici. Divenne un esempio per la sua diocesi. Era molto accogliente e riceveva tutti. Lui conduceva una vita “fratesca”. Cominciò la visita pastorale (4 in città, 2 in provincia). Si rivolgeva anche ai laici, stava con la gente semplice. Era severo con gli abusi. Impose in ogni parrocchia un registro delle anime ed un elenco delle suppellettili. Riformò il clero, occupandosi del problema della residenza! Fece annullare da Roma molte dispense e benefici. Si interessò della formazione del clero (Breve ricordo: Scrittura, Padri della Chiesa, predicazione domenicale, elenco dei libri necessari al prete). Promosse la Schola acolytorum, fondata nella cattedrale di Verona già nel 1440, nella quale i candidati al sacerdozio erano educati nella grammatica, nella musica e nelle scienze sacre. Fece stampare nel 1542 le Costituzioni Sinodali. Esortò i preti ad evitare l’ubriachezza e a non frequentare le osterie. Fondò una tipografia nel palazzo vescovile, che pubblicò opere dei Padri della Chiesa. Istituì le riunioni mensili del clero e suddivise la diocesi in vicariati foranei. Si interessò delle relazioni difficili tra clero e religiosi. Limitò la costruzione di chiese e cappelle private. Spesso arrivava all’improvviso nei monasteri, interrogava, e se trovava abusi, agiva. Soppresse alcuni  monasteri e altri ne riformò. Tutto questo provocò un vespaio di reazioni. Le monache ricorsero al consiglio della città. Si giunse addirittura al consiglio dei Dodici e dei Cinquecento. Qui non ebbe successo. Si dedicò alla riforma del popolo con l’erezione delle Confraternite del Santo Sacramento. Diede norme per il canto e per l’istruzione religiosa dei fanciulli (catechismo). Si preoccupò dell’assistenza ai poveri, che visitava a domicilio. Fu un anticipatore del Concilio di Trento(8). Venne  sepolto nel duomo di Verona


LA RIFORMA DEI VERTICI


Nel 1503 c’erano 44 cardinali. Poco senso avrebbe dividerli per nazionalità, in quanto allora era più importante la famiglia di appartenenza, il papa che li aveva eletti ed il sovrano di riferimento. Nel 1521 i cardinali stranieri erano 3 su 39. Fino a Paolo III le nomine, più che a criteri di merito, rispondevano a strategie di governo e a bisogni economici (Leone X nel 1517 concesse 31 cappelli cardinalizi per rinsanguare le casse pontificie, prosciugate dalla guerra di Urbino). Il nepotismo era inevitabile. Si ebbero pertanto delle “dinastie papali” (i Borgia con Callisto III ed Alessandro VI, i Piccolomini con Pio II e Pio III, i Della Rovere con Sisto IV e Giulio II, i Medici con Leone X, Clemente VII e Leone XI). Alessandro VI creò cardinale un figlio, Cesare e 3 figli di sorelle e un cugino. Tra i cardinali di Leone X ci fu posto per un cugino, 4 nipoti e 7 fiorentini. Paolo III creò cardinali 4 giovanissimi nipoti. Fra essi Alessandro Farnese, di 14 anni e Ranuccio, di 15 anni, figli di suo figlio Pier Luigi, e Guido Ascanio Sforza, di 16 anni, figlio di sua figlia Costanza. Alcuni cardinali furono un disastro, come Carlo Carafa per Paolo IV. Ci furono però luminose eccezioni, come Carlo Borromeo.
Caratteristiche comuni:
1)   Il formarsi di “dinastie cardinalizie”: Gonzaga, Este, Trivulzio, Campeggi.
2)   La presenza di congiunti di banchieri (Medici, Grimaldi, Doria, Accolti). Essere cardinali comportava molte spese.
3)   L’incredibile cumulo di benefici.
4)   Le famiglie dei cardinali erano molto numerose, con grandi seguiti (gentiluomini, notai, medici, segretari, servi, stallieri). C’erano poi altre spese: regali, feste, gioco d’azzardo. Quando un cardinale non riusciva più a far fronte a tante spese, chiedeva al papa di ritirarsi nella sua diocesi.
5)   Con questi introiti essi costruivano grandi palazzi.
6)   Nel tempo si ebbe una evoluzione: scomparvero gli scostumati, i delinquenti, i militari, gli avidi. Con Paolo III si ebbe una svolta importante con l’immissione nel Sacro Collegio di uomini della Riforma. Così i cardinali divennero più alti funzionari, obbedienti al papa, meno fastosi e più dignitosi.

Progetti di riforma. Roma non era insensibile alle istanze che venivano da ogni parte. A forza di ripeterlo, tutti ci credevano. Anzi, furono preparati molti progetti di riforma ad istanza della stessa curia. Nel 1449 il cardinale Domenico Capranica aveva redatto un programma di riforma, nel quale s’individuava nella malattia del capo l’origine dell’infezione delle membra. Pio II aveva chiesto a Domenico de’ Domenichi (vescovo di Torcello) un memoriale di riforma: il De reformationibus Curiae Romanae (1458). Più ampio fu il piano di riforma scritto dal cardinale Nicolò Cusano (cultura). La febbre riformistica si placò per alcuni decenni. Forse il papato era troppo tranquillo ed opulento per pensare che fosse necessario cambiare qualcosa. Alessandro VI, dopo l’uccisione del figlio, il duca di Gandia (1497) pensò di cambiare vita e registro. Nominò una commissione che elaborò delle idee interessanti. Essa suggerì al papa di aspirare ad essere il successore di Pietro e non di Costantino e di guardarsi dagli adulatori. Di riforma si occupò Giulio II. Ne sortì solo una riduzione di tasse.

Il “Libellus ad Leonem X” di Giustiniani e Quirini. Molte speranze furono riposte nel Lateranense V e nel giovane Leone X, di soli 37 anni. I veneziani Tommaso (Paolo) Giustiniani e Vincenzo Quirini, entrati fra i camaldolesi da poco, prepararono un ampio programma, che indirizzarono al papa. Essi andarono subito al centro del problema: la necessità per il papa di rinunciare al suo ruolo politico, di riformarsi e di mettere al centro del suo governo il servizio apostolico. Essi mettevano il dito sulle piaghe della Chiesa. Occorreva ritornare allo spirito delle origini e destinare la terza parte delle rendite ecclesiastiche ai poveri, incrementando gli ospedali e debellando l’usura. Occorreva poi riformare i sacri ministri (alcuni religiosi non sapevano leggere e scrivere, pochi conoscevano il latino, le Sacre Scritture, i Padri…). Essi suggerivano più severità nell’ammissione agli ordini. La cura pastorale avrebbe dovuto essere favorita dalla traduzione della S. Scrittura in lingua viva. La religione avrebbe dovuto essere purificata da ogni superstizione relativa alla venerazione dei santi, dei miracoli, delle reliquie e delle immagini. La molteplicità delle famiglie religiose avrebbe dovuto essere ridotta a poche, sottomesse ai vescovi e private dell’esenzione. Eravamo nel 1520.

Pico della Mirandola. Questo celebre umanista nel 1517 redasse un suo progetto di riforma. Nel suo testo si nota il distacco dell’uomo colto, che sceglie una via ragionevole e di mediazione (non è dentro la situazione):
Non chiedo che i sacerdoti si percuotano il petto con un sasso come Girolamo, ma che non ornino le meretrici di collane preziose… e nemmeno che si abituino ai digiuni di Ilarione, ma che non imitino o superino le cene dei Sibariti… Consiglio l’equilibrio

            Adriano VI. Il suo pontificato (1522-1523) fu una meteora. Tuttavia l’antico cappellano di Carlo V era sinceramente animato da volontà riformista. Nel 1522 in occasione della dieta di Norimberga, il papa inviò il Nunzio Francesco Chierigati, per indurre i principi tedeschi a far accettare la bolla di scomunica di Lutero e a combattere Lutero e i suoi partigiani. Gli diede delle importanti istruzioni:
Confessiamo che Iddio permette avvenga questa persecuzione della sua Chiesa a causa dei peccati degli uomini e in particolare dei preti e prelati; e certo la mano di Dio non s’è accorciata sì che Egli non possa salvarci, ma è il peccato a staccarci da lui, sì che Egli non ci esaudisce. La Sacra Scrittura insegna chiaramente che i peccati del popolo hanno la loro origine nei peccati del clero e perciò, come rileva il Crisostomo, il nostro Redentore, quando volle purgare l’inferma città di Gerusalemme, andò prima al tempio per punire innanzi tutto i peccati dei preti, a guisa d’un buon medico, che sana la malattia nella radice. Sappiamo bene che anche presso questa Santa Sede già da anni si sono manifestate molte cose detestabili: abusi in cose ecclesiastiche, lesioni dei precetti, e tutto infine pervertito. Non deve pertanto far meraviglia se la malattia s’è trapiantata dal capo nelle membra, dai papi nei prelati. Tutti noi, prelati ed ecclesiastici, abbiamo deviato… Dobbiamo umiliarci davanti a Dio: ognuno mediti perché cadde e si raddrizzi… venga riformata prima di tutto questa Curia Romana.
È un documento spietato nell’analisi. Esso ha significato ammettere per il papato uno stato di cose che andava cambiato. Il documento ha peccato nel non aver indicato rimedi, mezzi, tempi. È dunque un “mea culpa”, e non un progetto di riforma.

Il Caietano. Questo cardinale capiva che ormai non bastavano più le parole, occorrevano fatti. Propose delle iniziative precise:
1.    Riduzione dei cardinali a 24.
2.    Scelta di persone degne.
3.    Abbiano il titolo di vescovo.
4.    Abbiano un reddito adeguato.
5.    Il clero sia istruito (ignoranza causa di eresie ed eretici!).
6.    Sia fondato un collegio dotato di buoni insegnanti per formare buoni preti.
7.    Vengano scelti con cura i predicatori.

Il “Consilium de emendanda ecclesia” (1537). Il sacco di Roma del 1527 avviò un’inversione di tendenza, che metteva al vertice delle preoccupazioni e degli onori, non il fasto romano, ma la fatica pastorale. Si cominciò a creare un partito. Con Paolo III entrarono nel Sacro Collegio uomini della riforma, come Contarini, Carafa, Sadoleto, Pole, Toledo, Cervini e Morone. Paolo III nominò allora una commissione in cui non inserì nessun canonista, quasi a lasciare libero campo ai riformatori. Si comprende la resistenza curiale, perché intaccava uno dei fondamenti della tradizione romana di governo, cioè la convinzione di mettere al primo posto la maestà del diritto. I progetti erano stati sempre parziali. Si voleva cambiare qualcosa perché non cambiasse veramente nulla. Della commissione, nominata nel 1536, facevano parte il Contarini, Pole, Sadoleto, Carafa, Giberti, Cortese.
Il documento letto al papa il 9 marzo 1537 si componeva di 5 parti:
1.    L’origine della rilassata disciplina ecclesiastica.
2.    Gli abusi nello stabilire i ministri di Dio.
3.    Gli abusi che riguardavano il governo del popolo cristiano.
4.    Gli abusi nella concessione di grazie e dispense.
5.    Gli abusi da correggere nella città di Roma.
L’adulazione era vista come uno dei mali peggiori in quel periodo, specialmente nella cerchia dei papi. Ogni risoluzione doveva partire dal papa! I candidati al sacerdozio erano scelti male e poco preparati. Dovere di un cardinale era quello di aiutare il papa, mentre dovere del vescovo era pascere il suo gregge. Forte era il richiamo alla residenza (Chiesa sposa). Abolizione dei conventuali (critica dei religiosi inutili). Sorvegliare i professori. Scandalo delle celebrazioni a Roma (cortigiane)! Furono molto criticati dai cardinali conservatori.

Imbart de la Tour ha definito con il termine di evangelismo un periodo, quello che va dal 1521 al 1538, in cui tutto era ancora in gioco (zona grigia), una specie di terza via o terzo partito. Le caratteristiche salienti del movimento furono il cristocentrismo, l’accentuazione data alla sola fides, il ricorso alla Scrittura molto marcato, la non considerazione del culto dei santi, delle reliquie, delle indulgenze. Elemento comune di coloro che appartenevano a questo partito era il non voler rompere con la Chiesa, un po’ per attaccamento all’unità, un po’ perché favorevoli ad una religione interiore, personale.

Il centro di questa tendenza in Francia fu Meaux, attorno al vescovo Briçonnet (+1534), che aveva voluto Lefèvre d’Etaples come suo vicario generale. Questi si era allora impegnato a proporre un rinnovamento interiore basato sul Vangelo, in una vita di fede e d’amore. Il programma era un ritorno al cristianesimo primitivo. Nel palazzo episcopale si potevano leggere diverse opere di Lutero. I Francescani che avevano avuto diversi problemi col vescovo (divieto di rappresentare S. Francesco con le stimmate), accusarono Lefèvre d’eresia. Il vicario generale fuggì con altri compagni a Strasburgo, aggravando la propria posizione. Il circolo poi dovette sciogliersi. Briçonnet si era ricreduto, altri si erano allontanati.

L’evangelismo allora fu protetto da Margherita di Navarra, sorella del re. La preoccupazione di questi umanisti era di trasmettere il Vangelo e di metterlo a disposizione di tutti. Questi personaggi vennero accusati di “nicodemismo”, di mancanza di coraggio, ma per essi era importante l’unità della Chiesa ed una riforma culturale della Chiesa (diffusione della Scrittura ed un cristianesimo semplificato, interiore, a-dogmatico).

Anche in Italia l’evangelismo era posto su 2 selle. Una notte ci fu un colloquio tra il Pole ed il Carafa a S. Paolo Fuori le Mura: 2 uomini che non volevano schierarsi, ma che manifestavano simpatie per dottrine considerate “luterane”. Ma troppo profondo era il legame con il papa ed il senso di Chiesa. Il tema centrale di questo evangelismo era quello della giustificazione per fede. Si riteneva necessario tornare alle fonti della vita cristiana, alla Scrittura. Alcuni si uniformarono solo esteriormente alla Chiesa cattolica e alle sue autorità. Altri furono coerenti e passarono al protestantesimo.

Juan de Valdés (1498-1541) pubblicò nel 1521 El dialogo de doctrina christiana, in cui si fondevano temi erasmiani, paolinisti e spunti cari agli alumbrados. Messo all’Indice (1531) era venuto in Italia, prima a Roma e poi a Napoli. Attorno a lui si era formato un cenacolo ricco di contatti, stimoli e letture. Fra i suoi amici ricordiamo: Galeazzo Caracciolo (poi calvinista), Caterina Cybo, nipote di Innocenzo VIII e Leone X, Vittoria Colonna, Giulia Gonzaga. Quando Ochino, ofm capp., fu a Napoli era spesso da lui. Inoltre era presente il Vermigli che fu denunciato al Carafa e poi divenne un grande teologo della riforma. Valdés negava il libero arbitrio: (Giuda non poteva non vendere Cristo). Centri dell’evangelismo si trovavano a Ferrara, Modena (nelle botteghe si parlava contro il purgatorio, contro la Messa, contro le potestà ecclesiastiche, contro le invocazioni dei santi), Lucca, Viterbo.

Il beneficio di Cristo. Fu scritto nel 1540 a Mantova (San Benedetto Po) da Benedetto Fontanini, osb. Il testo circolò manoscritto negli ambienti dell’evangelismo italiano (lo aveva pure il Giberti). Nel 1543 fu dato alle stampe a Venezia. È intriso di luteranesimo, valdesianesimo o calvinismo. Era nata come opera di spiritualità propria dell’ambiente benedettino. È presente il tema della predestinazione e del fatto che “Christo habbi satisfatto per te in tutto”. In un momento di crisi delle istituzioni ecclesiastiche, l’opera veniva incontro a un bisogno concreto di salvezza. Era accusato di pelagianesimo. Il S. Uffizio nacque come risposta alla diffusione del protestantesimo in Italia, ma anche per porre un freno all’incertezza che creava l’evangelismo. Era all’origine un provvedimento d’emergenza e provvisorio. L’inquisizione medievale era fuori uso. Da più parti giungevano a Roma notizie di infiltrazioni riformate. Anche Carlo V emanò leggi contro gli eretici ed aveva imposto di non leggere i libri di Lutero e di non ospitare eretici. Il Parlamento di Parigi nel 1521 aveva emanato un decreto contro i libri luterani. Con la bolla Licet ab initio del 1542 si dava forma alla nuova Inquisizione con una commissione di 6 cardinali. Paolo III aveva aspettato a stabilire queste leggi inquisitoriali perché sperava in un ritorno spontaneo degli erranti. Il concilio, per il prolungarsi della guerra fra i principi cristiani non poteva ancora essere convocato. Furono nominati “generali e generalissimi inquisitori” i cardinali Carafa e Juan Toledo. Carafa era talmente desideroso di cominciare subito, che a proprie spese acquistò una casa per l’Inquisizione. Questa commissione aveva una giurisdizione su tutta la cristianità e anche sulla Curia Romana. Le novità furono 2:
1.    L’accentramento a Roma.
2.    Le amplissime facoltà di procedere ovunque e contro chiunque.
Così riuscì a frenare la diffusione ereticale; estese gradualmente i propri poteri ad altri ambiti e permise al papato di riprendere il definitivo controllo del collegio cardinalizio. Da questo momento ogni cardinale poteva essere perseguito. Ci furono processi contro cardinali (Morone e Carranza). Fu facile colpire qualche candidato al pontificato con perfide accuse e sospetti e si favorì la carriera di cardinali inquisitori verso la tiara (Ghislieri, Peretti, Cervini). La congregazione del Sant’Uffizio diveniva la “prima” congregazione(9)!

L'APPELO AL CONCILIO


Leone X (1513-1521). Figlio di Lorenzo il Magnifico, tonsurato a 7 anni, cardinale a 14, eletto papa a 37. Con il Concilio Lateranense V (1512-1517) poteva ritenere di aver adempiuto al suo dovere di riformare la Chiesa. La reale portata dell’affare di Lutero gli sfuggì. Era convinto di aver fatto tutto il possibile con la scomunica ed il bando dall’Impero. Le sue preoccupazioni erano altre: favorire la sua famiglia (guerra d’Urbino), concludere il concordato con la Francia (1516), dirimere una volta per tutte le controversie dei Francescani e proseguire i lavori edilizi per S. Pietro (affare delle indulgenze).

Adriano VI (1521-1523). Era un uomo pio, desideroso della riforma, ma senza le qualità dell’uomo di governo e una visione ampia dei problemi. Era l’uomo giusto al posto sbagliato e nel tempo sbagliato. Morì troppo presto per mantenere la promessa di convocare il concilio. Era attorniato da un ambiente ostile.

Clemente VII (1523-1534). Il Medici era un uomo pio, ma si opponeva al concilio:
·   Per il pericolo del conciliarismo.
·   La situazione politica lo sconsigliava. (Contro Carlo V, Giberti si alleò alla Francia, il che portò alla lega di Cognac del 1526 e al Sacco di Roma nel 1527).
·   C’era chi usava il concilio come arma impropria. (Interessi di Spagna e Francia).
·    
Paolo III (1534-1549). Alessandro Farnese era arrivato al cardinalato grazie alla relazione fra la sorella Giulia ed il cardinale Rodrigo Borgia (Alessandro VI). Divenne vescovo di Corneto e di Parma. I suoi figli furono legittimati. Ebbe anche una figlia, Costanza, per la quale costruì un palazzo in via Giulia. Dopo il 1513 cambiò vita. Partecipò al Concilio Lateranense, visitò la diocesi di Parma (1516) e nel 1519 celebrò un sinodo e si fece ordinare sacerdote. Il suo fu un pontificato chiave. Invece di subire gli avvenimenti, li prevenne. Non fu rimorchiato dalla storia, ma ne fu un motore.

Ecco le sue iniziative:
1.    Rinnovò il collegio cardinalizio, promuovendo uomini di valore come Fisher, Contarini, Morone, Cortese, Pole. 4 cardinali da lui creati divennero papi; creò la commissione sulla riforma della Chiesa.
2.    Contribuì alla riforma favorendo vari ordini. Approvò i Gesuiti.
3.    Introdusse l’Inquisizione (1542).

Ecco i suoi fallimenti:
1.    Fu un nepotista.
2.    Non riuscì a riformare la curia.
3.    Non riuscì ad imporre la residenza ai vescovi.

L’avvenimento più importante del suo pontificato fu la convocazione del Concilio di Trento. Nessuno credeva più alla volontà del papa di attuare una simile iniziativa da tutti invocata, dai papi promessa, ma sempre rimandata. Ci fu una prima convocazione a Mantova (1537). Difficoltà vennero da Francesco I, da Enrico VIII, dal duca di Mantova e dai protestanti. Come sede del concilio fu poi scelta Vicenza, ma non venne quasi nessuno. Due fatti vennero a rimandare ulteriormente la convocazione: il tentativo dei colloqui di religione dell’imperatore e la guerra dichiarata da Francesco I contro Carlo V (1542-1544). Inutile fu pertanto il tentativo di aprire un concilio a Trento nel 1542-1543. Gli ostacoli caddero con la pace di Crepy (1544). Con la bolla Laetare Jerusalem indisse solennemente il concilio a Trento per il marzo del 1545. Di fatto il concilio si aprì solo nel dicembre successivo.

L’imperatore Carlo V. Nacque nel 1500 a Gand da Filippo “il Bello” e da Juana “la loca”. Ricevette in eredità un’immensa fortuna. Da Massimiliano I l’Austria e i diritti imperiali. Da Maria di Borgogna i Paesi Bassi, le Fiandre, il Brabante, il Lussemburgo e la Franca Contea. Da Ferdinando d’Aragona l’Aragona, la Navarra, la Sicilia e Napoli. Da Isabella di Castiglia, la Castiglia ed il Nuovo Mondo. Educato per 17 anni alla corte fiamminga, ebbe come precettore Adriano di Utrecht (Adriano VI). Andò in Spagna senza parlare castigliano e con collaboratori rapaci. Fu eletto imperatore nel 1519, pagando grosse somme. Combatté 4 guerre con la Francia, contro i Turchi a Vienna, a Tunisi, Algeri e in Germania.
Nel 1530 veniva incoronato solennemente a Bologna da Clemente VII. Egli pensava di adempiere un dovere, quello di allontanare il male dalla religione e di difendere la cristianità dagli infedeli. Dopo che il papa si era unito alla lega di Cognac, scrisse:
L’imperatore è sempre pronto a collaborare con il papa, l’altro faro della cristianità. Ma se questi ritira la sua mano pacifica, la responsabilità di tutto il male che ne deriva alla cristianità ricade su di lui… preghiamo vostra Santità… di convocare un concilio ecumenico in una località adatta e sicura, e di fissare il termine della sua convocazione.
L’idea imperiale è di colui che difende la pace, l’ordine, la giustizia, come di un arbitro della cristianità: pax inter christianos et bellum contra infideles. Egli voleva salvaguardare l’unità spirituale dell’occidente con: alleanze matrimoniali, lotta alle eresie e riforma della Chiesa. Per questo attivò la coercizione fisica (la guerra e l’inquisizione) e il dialogo (colloqui di religione). Egli voleva il concilio e scrisse al papa, implorandolo di convocarlo al più presto.

IL CONCILIO DI TRENTO

Il concilio durò dal 1545 al 1563 e i periodi furono 3 sotto:
·      Paolo III (1545-1547): furono celebrate 10 sessioni.
·      Giulio III (1551-1552): le sessioni furono 6.
·      Pio IV (1562-1563): con 9 sessioni.
I papi del periodo del concilio furono: Paolo III (fino al 1549); Giulio III (1550-1555); Marcello II (1555); Paolo IV (1555-1559); Pio IV (1559-1565).
I partecipanti furono un minimo di 15 e un massimo di 236. I papi non intervennero mai. La presidenza era dei legati, che all’apertura erano i cardinali Del Monte, Cervini, Pole. Votavano i vescovi e i generali degli ordini. I teologi vennero ammessi solo al voto consultivo. Nessun voto ebbero i capitoli delle cattedrali e le università. Segretario fu nominato Angelo Massarelli. A lui dobbiamo la stesura dei protocolli e di 7 diari. I legati avevano con Roma una fittissima corrispondenza epistolare. Il dibattito era libero.

Metodo di lavoro:
·     Congregazioni dei teologi, con conferenze dei teologi più preparati davanti ai vescovi.
·     Congregazioni generali, in esse ogni avente diritto, dava il proprio “votum” sulle proposte di riforma o dottrinali.
·     Sedute solenni, con voto finale nella cattedrale di S. Vigilio.

Scopi del concilio:
ad incrementum et exaltationem fidei et religionis christianae, ad extirpationem haeresum, ad pacem et unionem Ecclesiae, ad reformationem cleri et extintionem hostium christiani nominis.
La tesi della curia romana era che il concilio si dovesse occupare dei dogmi. Alla riforma avrebbe provveduto il papa stesso. Si formarono 2 schieramenti: alcuni volevano che si procedesse con la riforma, altri con la discussione delle questioni dottrinali. Si arrivò alla formula di compromesso: “censerem pari passu agendum de dogmate et de abusibus ac reformatione morum”.
Il gruppo più folto era quello italiano con vescovi poco preparati rispetto agli spagnoli. Significativo fu l’apporto dei Francescani, dei Domenicani, dei Gesuiti, degli Agostiniani.
Per quanto riguarda i riformatori protestanti, gli interlocutori primi del concilio, si deve notare che essi furono ritenuti parte della Chiesa, si mantenne nei loro confronti la speranza di poterli recuperare e li si attese al concilio, al fine di restaurare l’unità. Si distinse fra errore ed errante. Il primo fu condannato per tutelare la vera dottrina, ma non si fecero mai i loro nomi.


IL PRIMO PERIODO DEL CONCILIO DI TRENTO (1545-1547)


Scrittura e tradizione. Il decreto afferma che la rivelazione è contenuta “in libris scriptis et sine scripto traditionibus, quae ab ipsius Christi ore ab apostolis acceptae, aut ab ipsis apostolis Spiritu Sancto dictante, quasi per manus traditae ad nos usque pervenerunt”. Scrittura e tradizione sono 2 canali, che scaturiscono da un’unica sorgente (non più partim partim, ma  et et). Il concilio voleva difendere le tradizioni dall’accusa che fossero delle invenzioni puramente umane. Il punto di convergenza e d’arrivo è la Buona Novella predicata da Cristo e dagli apostoli. Il concilio considerava “autentica” la Vulgata di S. Girolamo. Il concilio stabiliva che non si potesse stampare arbitrariamente la Bibbia e riservava alla Chiesa il diritto di giudicare il vero senso della scrittura.
Il tema del peccato originale. Occorreva allontanare l’accusa di pelagianesimo e fuggire il pessimismo luterano. Nel decreto si disse che il peccato è trasmesso per generazione e che, dopo il battesimo, che rende gli uomini innocentes, immaculati, puri, innoxii ac Deo dilecti filii, resta la concupiscenza (fomite), che è inclinazione al male. Gli spagnoli avrebbero voluto che si discutesse anche dell’Immacolata. Il decreto di riforma mise in luce il dovere per il vescovo di predicare ed impose alle diocesi di istituire un lettore di Teologia e che nei monasteri si insegnasse la S. Scrittura.
Il decreto sulla Giustificazione. Ci vollero 4 redazioni. Il decreto è uno dei meglio riusciti. Gli uomini ricevono la grazia preveniente senza merito. La giustificazione avviene solo per i meriti di Cristo (“Il Padre ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce”. Col 1,12). Gli uomini possono rifiutare la Grazia, perché sono liberi. Si ribadiva che la fede senza le opere è morta e inutile (la fede opera per mezzo della carità). Il testo risultò equilibrato, aperto, progressivo ed ottimista sulla condizione umana. Quale la differenza con Lutero? Per Lutero la giustizia rimane sempre esterna (iustitia aliena). L’uomo per lui, nel suo intimo, rimane peccatore: è Dio che decide di “rendere giusto”, di graziare l’uomo, che di fatto è sempre colpevole. Secondo la prospettiva cattolica la grazia cambia l’uomo nel suo interno.
La “Piccola residenza”. Se il vescovo è pastore deve risiedere. Cominciavano ad emergere i concetti veri della riforma: il vescovo è pastore e sposo della Chiesa (così il parroco). Il vescovo doveva conoscere il suo clero e formarlo bene.

Il trasferimento a Bologna. Si stava trattando dei sacramenti quando la morte di un vescovo ed il tifo crearono un clima teso. Si trasferì il concilio a Bologna per 2 anni. Si celebrarono 2 sessioni, senza alcun decreto. Carlo V voleva il ritorno a Trento, perché dopo la vittoria di Műhlberg (1547), voleva costringere i protestanti a venire al concilio, ma il papa Paolo III non si lasciò condizionare. L’imperatore emanò decisioni autonome come l’Interim di Augusta (1548), che concedeva il matrimonio ai preti e il calice ai laici. Tuttavia, il successo sperato non venne. Paolo III morì il 10 novembre 1549. 


SECONDO PERIODO DEL CONCILIO DI TRENTO (1551-1552)


Giulio III (1550-1555). Il conclave che si aprì alla morte di Paolo III durò 71 giorni. Pole arrivò a un voto dalla tiara. Venne eletto il cardinale Giovanni Maria del Monte, che fu un nepotista rinascimentale (Villa Giulia), amante dello sfarzo, del quieto vivere, delle caccie, delle rappresentazioni teatrali e delle feste.
Egli decise di riaprire il concilio di cui era stato presidente a Trento. Vennero 13 vescovi tedeschi e si sperava di portare anche i protestanti. I lavori si avviarono spediti e furono definite le dottrine dell'Eucarestia, della penitenza e dell’estrema unzione. Piuttosto deludenti furono i risultati dei lavori sulla riforma. La speranza a lungo coltivata di una presenza dei protestanti si rivelò deludente (essi pretendevano la rinuncia del giuramento di fedeltà dei vescovi al papa, il riconoscimento della dottrina conciliarista e l’annullamento dei decreti già approvati). Nel frattempo ci furono delle turbolenze politiche: i francesi conquistarono i vescovati di Metz, Toul e Verdun e la città di Cambrai, mentre Maurizio di Sassonia occupò Augusta. Spintosi a sud, fu sul punto di prendere prigioniero Carlo V, che gli sfuggì di mano solo grazie all’ammutinamento di un reggimento di mercenari. Queste notizie furono letali per il concilio, che si sciolse senza aver combinato molto. La riforma era disattesa. Giulio III tentò di provvedere con una bolla, ma la morte gli impedì il proposito.
Gli successe il cardinale Cervini, che prese il nome di Marcello II (1555). Morì dopo 21 giorni.

La situazione politica. La pace di Augusta (1555). Tra il secondo ed il terzo periodo del concilio mutò lo scacchiere internazionale. Carlo V, grazie all’arrivo insperato dei tesori del Perù, dopo aver perso la guerra, poté tentare di vincere la pace. Carlo V decise di affidare al fratello Ferdinando di negoziare la pace e per questo fu convocata la dieta d’Augusta. I sudditi dovevano uniformarsi alla scelta del principe, o espatriare (cuius regio, eius et religio). Carlo V decise di dividere il suo immenso impero in 2 parti: l’eredità austriaca al fratello e quella spagnola, con i Paesi Bassi e l’Italia a Filippo II. Si frantumava così l’idea di un solo impero (unità europea). Assieme all’idea dell’unità della Christianitas, veniva meno l’idea dell’imperatore protettore della fede. Non si poteva più restaurare il cattolicesimo con le armi, ma emergevano “altre forze” più sane (Gesuiti, Cappuccini, qualche vescovo).

Paolo IV (1555-1559) era un uomo austero, pio, morigerato, con una profonda scienza teologica e un buon oratore, ma non si metteva mai in questione. Nella scelta dei collaboratori fu molto infelice. Creò una specie di “Segreteria di Stato”, che affidò al giovane nipote, il cardinale Carlo Carafa, che disonorerà la porpora finendo sul patibolo. Aveva idee d’altri tempi: pensò di deporre Carlo V e Ferdinando I, dichiarò nulla l’abdicazione di Carlo V e quindi non riconobbe il successore come imperatore. Con Filippo II si trovò trascinato dal nipote in una guerra insensata, che terminò con una sonora sconfitta (1557). Solo nel 1559 aprì gli occhi sulle malefatte dei nipoti. Cacciò dalla sua presenza i 2 indegni parenti, che poi saranno processati e giustiziati da Pio IV, dopo regolare processo. Con lui si scatenò il rigore inquisitoriale. Egli fu capo inquisitore nel 1542 ed ora, da papa incaricò il Ghislieri, estendendone gli ambiti (morale, trasgressioni, riforma Chiesa). I cardinali Pole e Morone vennero accusati. Morone fu imprigionato a Castel S. Angelo. Pole venne destituito dall’incarico di Legato in Inghilterra. Nel 1557 l’Inquisizione preparò un elenco di libri proibiti. Svuotò le casse pontificie. Creò una commissione di riforma con 200 membri! Inasprì le norme per le dispense, obbligò i vescovi residenti a Roma a partirsene e a tornare nelle diocesi e i frati girovaghi a rientrare in convento. I ribelli venivano puniti a remare sulle galere. Alla sua morte fu tanta l’esasperazione della popolazione, che ci furono parecchie devastazioni, come l’assalto del palazzo dell’Inquisizione, che si trovava in via di Ripetta.

Dopo un conclave di 3 mesi fu eletto Gianangelo Medici  (Pio IV, 1559-1565) con l’appoggio di Firenze. Non era imparentato però con i Medici di Firenze: era un buon amministratore, ma non un teologo. Appena eletto i nipoti si precipitarono a Roma. Fu zio di Carlo Borromeo (1538-1584), che volle presso di sé e che creò cardinale a 22 anni. Dal 1562, Carlo Borromeo diverrà il maggior collaboratore del papa per la riforma della Chiesa. Principale consigliere del papa fu il cardinale Morone, liberato da Castel S. Angelo.


TERZO PERIODO FEL CONCILIO DI TRENTO (1562-1563)


Riconvocare il concilio era urgente, anche per i progressi del calvinismo in Francia, favorito dalla politica di Caterina de’ Medici. Filippo II voleva la ripresa (continuatio) soprattutto contro la diffusione del protestantesimo. L’imperatore Ferdinando I voleva un nuovo concilio. La Francia voleva un nuovo concilio, in una nuova sede e una nuova riformulazione dei decreti. Pio IV parlò di revoca della sospensione e insieme di indizione e fece felici tutti. Non parteciparono gli ortodossi invitati e gli anglicani ed i protestanti si rifiutarono di partecipare.
Il papa nominò 5 legati: Ercole Gonzaga, Seripando, Hosio, Simonetta e Von Hohenems suo parente. Così i lavori:
Sessione XVIII: indice dei libri.
Sessione XXII: messa, calice ai laici.
Sessione XXIII: ordine, residenza, seminari.
Sessione XXIV: matrimonio, sinodi, concili, predica, benefici.
Sessione XXV: Purgatorio, immagini, santi, messale, catechismo.

Il 18 gennaio 1562 si riaprì finalmente la terza fase, alla presenza di 109 cardinali e vescovi, 4 abati, 4 generali. Ci fu una grande crisi quando si trattò dell’obbligo della residenza: di diritto divino o ecclesiastico? Ci furono delle questioni relative all’Eucarestia, sul carattere sacrificale della messa, sul suo rapporto con il sacrificio della croce. Si approvò un testo che dichiarava il sacrificio della messa come la ripresentazione e la memoria del sacrificio della croce. Si dichiarò permessa la celebrazione della messa in onore dei santi e delle messe private. Si parlò dell’uso della lingua viva nella messa: venne vietata! Si accettava la catechesi in lingua viva. Si invitavano i fedeli a fare la comunione durante la messa. Ci furono delle prese di posizione contro la superstizione. Non si tolleravano musiche sconvenienti in chiesa. Si richiedeva ai fedeli di frequentare la parrocchia nei giorni festivi.
Si trattò dei sacerdoti, dei loro benefici e del fatto che il parroco, per avarizia, non volesse assumere nessun collaboratore. Si ingiungeva ai vescovi di creare nuove parrocchie. Si stabilivano misure energiche contro i preti indegni.
Non mancarono delle tensioni fra i vari “partiti”, specie francese e spagnolo a riguardo dei rapporti papa/episcopato, sulla residenza dispensabile o meno. Sembrò sovrastare minacciosa l’ombra del conciliarismo (gallicanesimo).  Nel giro di 2 settimane morirono i cardinali Gonzaga (2 marzo) e Seripando (17 marzo).
Venne eletto presidente del concilio il Morone. Si recò ad Innsbruck, presso l’imperatore, che tranquillizzò sulla volontà di Pio IV di attuare la riforma. Fece scrivere dal papa a Filippo II, assicurandolo della ferma volontà di portare avanti il concilio. Il 14 luglio 1563 venne approvato il “compromesso Morone”: si condannava la dottrina protestante relativa all’ordine e alla gerarchia; si affermava la dottrina dell’istituzione divina del sacerdozio; si dichiarava che i vescovi erano posti a reggere la Chiesa di Dio dallo Spirito Santo.
La sessione XXIII era il punto d’arrivo di 50 anni di riflessione sulla figura del prete e del vescovo. La residenza viene interpretata come dovere di coscienza! Si metteva fine alle dispense papali. La figura del vescovo tridentino non è quella del dotto umanista, del crociato o del giudice. Il vescovo si salva se salva. È un pastore che deve predicare, visitare, formare e animare la carità.

I SEMINARI

L’ideale sacerdotale voluto dal Concilio di Trento armonizza l’esigenza che il presbitero sia l’uomo di Dio ed insieme il buon pastore del gregge. Non mancarono nella storia concili per la formazione del clero, per i loro studi e disciplina (chiome, bere, gioco, cucina, osteria, caccia). Sempre più si controllava la scienza teologica, perché non fosse infetta da eresia. Fino a quel momento le scuole teologiche erano annesse alle cattedrali. Le esperienze preesistenti erano: i collegi universitari (Montaigu, Alcalà); il collegio romano del Capranica. Due  furono gli spunti immediati sui padri conciliari: i collegi dei Gesuiti e la Reformatio Angliae di Pole. S. Ignazio nei primi anni aveva escluso un impegno per gli studi. Di fatto gli appelli degli avvenimenti furono letti come segno di Dio. Fra i collegi dei Gesuiti, quello che costituì il modello dei seminari non fu il Collegio Romano, finalizzato a dare i gradi accademici, ma piuttosto il Germanico (1552). Era stato il cardinale Morone a sollecitare S. Ignazio a fondare un istituto per la formazione di buoni sacerdoti tedeschi.
Il cardinale Pole si era ispirato alla scuola per accoliti aperta a Verona dal Giberti. Egli previde l’obbligo per ogni diocesi di erigere un seminario, stabilendone le strutture, le regole ed i programmi di studio. Il testo partiva dalla penuria delle vocazioni:
Stabiliamo che tutte le chiese metropolitane e cattedrali di questo regno debbano mantenere un determinato numero di fanciulli proporzionato ai beni ed all’ampiezza della diocesi… si dovranno scegliere fanciulli che non abbiano meno di undici o dodici anni, che sappiano leggere e scrivere e la cui indole e volontà offrano sicura garanzia che diventeranno sacerdoti… vogliamo che siano scelti soprattutto i figli dei poveri… imparino la grammatica… siano istruiti nella scienza e nella disciplina ecclesiastica.
Egli stabiliva anche le prebende ed i benefici per il seminario, la serietà degli esami, della scelta dei professori. C’era l’idea che la castità, per gli ecclesiastici, si doveva curare bene dall’infanzia. Si veda il canone XVIII del concilio, Cum adolescentium aetas, per quanto riguarda l’istituzione del seminario e le sue regole. Si suggeriva di fondare a Roma un seminarium seminariorum.


LA CONCLUSIONE DEL CONCILIO


La sessione XXIV definì l’indissolubilità del matrimonio. Si emanarono norme sull’esame dei candidati all’episcopato. Si consigliava al papa di scegliere i cardinali ex omnibus christianitatis nationibus. Fu approvato l’istituto dei concili provinciali triennali e la visita annuale alla diocesi. S’impose la predicazione domenicale e quotidiana in avvento e quaresima ed il catechismo domenicale dei fanciulli. Si obbligava alla spiegazione in lingua volgare dei sacramenti e della Parola di Dio. Nella sessione XXV ci si occupò della dottrina del Purgatorio, sulle reliquie e sulle immagini sacre. Si ribadì la finalità iniziatica dell’arte (Biblia pauperum). Delicata fu la questione dei religiosi, specie sul potere dei vescovi, che in virtù di una delega apostolica, vennero abilitati ad intervenire presso di loro. In coda al concilio si trattò delle indulgenze, dell’astinenza e del digiuno e dei giorni festivi. Si rimise al papa la revisione dei libri, la stesura di un catechismo e le riforme del breviario e del messale.
Il 4 dicembre 1563 il concilio si concluse. Morone domandò se i padri fossero d’accordo di concludere il concilio e di chiedere al papa la conferma. Alla risposta affermativa, il cardinale presidente pronunciò la formula di chiusura: Post gratias Deo actas, reverendissimi Patres, ite in pace. Il cardinale di Lorena intonò le acclamazioni tradizionali (Te Deum), poi i padri firmarono i decreti. Tutti erano consapevoli della solennità del momento. Si chiudeva un’epoca e si apriva una nuova stagione della Chiesa.


BILANCIO E PROSPETTIVE


Il Concilio Lateranense V non aveva inciso sulle coscienze del suo tempo e non propose grandi cose. I padri tridentini si trovarono ad affrontare un movimento ereticale di immani proporzioni. Mezza Europa ne era coinvolta. Molti sovrani erano contro il papa. Due  erano i nodi affrontati dal concilio: la dottrina e la riforma.
La dottrina. Il concilio fece un lavoro molto accurato (i padri conoscevano sia la dottrina tradizionale, che quella riformata). La risposta cattolica alle contestazioni protestanti fu chiara, biblica, pluralistica. Dato che c’era molta “incertezza teologica”, il concilio sentì il bisogno di tracciare delle barriere, di limitare i terreni pericolosi. I padri non furono dei ripetitori di asserti della scolastica. L’autorità a cui si appellarono fu la Parola di Dio e non a quella di qualche maestro. Il concilio usò l’ “anathema sit” solo per motivi pastorali (per offrire certezze ai deboli). Non si trattò di Trinità, Ecclesiologia e Cristologia. Il concilio, più che rispondere alle tesi dei protestanti, si preoccupò di rispondere alle domande di senso e di certezze dell’epoca. Per questo si concentrò sui temi della Giustificazione e della Messa. Si respinse il pessimismo protestante. La Messa fu presentata come il sacrificio di Cristo per la santificazione dell’uomo. La lacuna che ci colpisce è la mancanza di un discorso sulla Chiesa (paura di divisioni).
La riforma. Idea centrale era che salus animarum suprema lex esto. Si mettevano in crisi le ideologie della crociata, del potere economico, dello splendore mecenatesco, del prestigio culturale. La Chiesa non è fatta per conquistare ma per servire, per evangelizzare e per pregare. Dopo Trento il vescovo non potrà più essere un “bue muto”, un damerino imbronciato, un signore ingioiellato, un umanista immerso in profonde letture.
Questo l’obbligo per il nuovo vescovo: risiedere e non cumulare benefici; formare il suo gregge (sinodi, visite, seminari); essere modello di paternità, di autorevolezza e di pastoralità.
I preti dovranno essere pastori vicini al loro gregge (casti, seri, zelanti, ferventi, annunciatori, solleciti nella catechesi e nell’amministrazione dei sacramenti).
Si annunciava il compito del “disciplinamento”. Venne regolata l’arte, la vita liturgica, i comportamenti sociali. Iniziò la caccia alle superstizioni.  Il dopo Trento fu il maggior tentativo di cristianizzazione completa del mondo mai tentato. Tutta la vita spirituale fu inquadrata in un ritualismo molto meticoloso (liturgismo). La predicazione missionaria riportò chiarezza e rievangelizzò le campagne. Una chiesa così ricca di santi, guidata da papi non più mondani, da vescovi pastori, da preti nuovi, probabilmente non avrebbe conosciuto la riforma protestante. Ma questa è un’altra storia, ipotetica e non reale.
Quello che sappiamo è che il concilio fece molto per rendere la Chiesa santa, cattolica ed apostolica. Non poté molto per il ritorno all’unità. Venne troppo tardi. 


LA CHIESA MISSIONARIA


La fine dei “mediterranei”. Fino alla seconda metà del XV secolo la storia si era svolta all’interno di tanti “mediterranei”, cioè regni con scenario limitato: il mar Nero, il Baltico, il mare Arabico, il mare dei Caraibi, il mar della Cina, il Mediterraneo. Erano spazi chiusi. Alla “scoperta” dell’America il Mediterraneo entrerà in decadenza insieme alle sue potenze marinare. L’Umanesimo cercava risposte alle domande del presente nella cultura antica. La scoperta dell’America significava girare pagina. È la fine della centralità europea e per la prima volta va in crisi la cultura antica. Si giunse in America con delle vere e proprie invasioni e con l’annullamento di interi popoli. La conquista aveva un duplice ideale: Al Rey infinitas tierras y a Dios infinitas almas.
Varie sono le letture sulla conquista dell’America. La prima è la leggenda nera, iniziata da Las Casas, op, che arrivò a condannare la conquista spagnola come una grande usurpazione. Divenne, poi, anche con altri una tesi anticattolica (e contro Filippo II). La seconda lettura è quella hispanista: essa esalta la Spagna, che portò anche la luce della predicazione. Più recentemente si parla di evangelizzazione oppressiva: la Chiesa, volendo dominare, ha instaurato un regime di paura in Europa e di schiavitù in America Latina. L’evangelizzazione avrebbe dovuto essere anticolonialista, mentre fu invece eurocentrica, colonialista, sprezzante delle culture indigene. La lettura più seria è quella storico-documentaria, lontana da ogni eccesso ideologico. L’avvenimento del 1492 fu una “scoperta”, “conquista” o “incontro”? Chi scoprì l’America, Colombo o i Vichinghi? Lo “sterminio” degli indios fu colpa degli spagnoli? Ci furono abusi da parte dei conquistatori? Come vedevano gli indios i conquistatori ed i missionari? Gli indios hanno un’anima, sono intelligenti? È lecita la conquista e la schiavitù? Quale fu l’esempio dei conquistatori? Non sarebbe stato meglio che la Chiesa avesse preso la guida dell’evangelizzazione?

Per l’evangelizzazione del Nuovo Mondo due furono i presupposti: che le nuove terre venissero conquistate e che fosse formulato con chiarezza il principio della conversione degli abitanti di queste terre. La colonizzazione inglese e portoghese sfruttava solamente terre ed abitanti. Quella spagnola civilizzava ed evangelizzava pure. Le istruzioni date a Colombo erano squisitamente di carattere politico e commerciale. Solo col secondo viaggio ci si pose il problema dell’evangelizzazione. Si cercarono subito delle giustificazioni al diritto di conquista. I papi per oltre un secolo si interessarono molto al problema. Il papa Alessandro VI comandava di inviare uomini pii e dotti, capaci d’istruire le popolazioni nella fede e proibiva che si recassero uomini spinti dalla fame di lucro. I nativi erano dipinti come gente pacifica, ben disposta verso la fede da Alessandro VI, mentre Pio V sosteneva che essi dovevano essere aiutati alla conversione dal buon esempio dei cristiani. Egli esortava i funzionari a non trattare gli indiani come schiavi. Paolo III nel 1537 diceva che “gli indi non potevano essere privati della loro libertà e della loro proprietà”. E aggiungeva: “meglio che diventino ebrei per loro libera scelta, che non costretti dalla cattiveria dei cristiani”. Una bolla del 1537 condannava coloro che riducevano gli indios in schiavitù. Nel 1546 si ingiunse agli ecclesiastici di denunziare i colonizzatori crudeli.

La corona spagnola. I Re Cattolici avevano ricevuto la concessione di conquistare ed evangelizzare (diritto di conquista e di patronato). Con il diritto di patronato essi potevano creare le strutture della Chiesa e farle funzionare. I sovrani diedero delle istruzioni perché non si recassero nel Nuovo Mondo persone sospette quanto alla fede (mori, eretici, ebrei).
Furono i frati domenicani a prendere le difese degli indios e dei loro diritti umani. Fra questi si ricorda specialmente Bartolomeo de Las Casas (1474-1566), un convertito. Fu nominato “chierico procuratore delle Indie”, parlò col re di lasciare liberi gli indios e di servirsi degli africani o di altri schiavi, ma poi si pentì di questo. Scrisse un trattato di missiologia, nel quale affermava che nessuno doveva essere costretto a credere con la violenza.

La prima creazione di una diocesi avvenne nel 1511, con la diocesi di Santo Domingo e di Puerto Rico. A reggere le diocesi, in forza del diritto di patronato concesso da Giulio II, ci furono dei vescovi scelti dal re e la maggioranza erano religiosi. Le diocesi fino al 1546 dipendevano da Siviglia. I religiosi ebbero un ruolo fondamentale nell’evangelizzazione dell’America. Fra il 1493 ed il 1820 partirono dall’Europa per il Nuovo Mondo 15.097 missionari, la maggioranza era di:
Frati Minori: 8.441                   Gesuiti: 3.189                  Domenicani: 1.837
Il clero diocesano fu numericamente e qualitativamente inferiore a quello religioso. La Corona volle controllare il flusso dei preti (chi voleva andare in America doveva avere un’esperienza pastorale in Europa di 4 anni). Piano piano crebbe il clero creolo (i nati in America da genitori europei). Furono creati anche dei seminari. Si pensò di mandare indios a studiare in Spagna. Alla fine ci si arrese a una pretesa incompatibilità dei nativi per l’assunzione degli obblighi sacerdotali, ipotecando pesantemente il futuro.

Il primo missionario a sbarcare sul suolo americano fu il minimo spagnolo Bernardo Boyl, che aveva attraversato l’Atlantico durante il secondo viaggio di Colombo, con 3 Francescani e 3 Mercedari.
Una vera missione cominciò solo con lo sbarco dei primi Francescani nel 1502. Nel 1509 giunsero i primi Domenicani. Essi vennero dunque con i conquistatori, ma senza un atteggiamento succube verso di essi. I Francescani facevano bene, avevano un progetto qui (non in Estremo Oriente). Nel capitolo generale di Carpi del 1521 decisero di recarsi numerosi in America. In Messico si parla dell’evangelizzazione dei “12 apostoli” francescani, spesso in contrasto con i conquistatori. L’azione dei missionari cominciò con la distruzione dell’idolatria. La strategia adottata era quella della tabula rasa, che considerava l’idolatria la causa di ogni male. Gli evangelizzatori erano attenti ad evitare ogni forma di sincretismo. Nel loro primo impatto con un ambiente completamente nuovo, i 12 non si comportarono come i primi Francescani nel Marocco, ma dimostrarono una grande capacità di dialogo e un profondo rispetto per gli interlocutori:
Siamo mortali come voi. Non siamo dei e neppure siamo discesi dal cielo: siamo nati e cresciuti sulla terra, mangiamo e beviamo, soffriamo e siamo mortali come voi. Siamo solo messaggeri, inviati in questo paese, e vi portiamo una grande ambasciata da parte di quel grande Signore che ha giurisdizione su tutti quanti vengono al mondo. Si chiama Santo Padre e si preoccupa e si cura della salvezza delle vostre anime… siamo stati inviati per salvarvi e perché riceviate la misericordia che Dio vi offre.
I missionari si esprimevano nella lingua locale (imparate con l’aiuto dei bambini) e si rendevano conto che non potevano trovare risposte solo dai classici o dai Padri della Chiesa. Essi istituirono scuole e collegi. Gli indigeni chiedevano ai missionari di non farsi accompagnare dagli spagnoli (agli inizi dicevano: ecco gli spagnoli, ecco i cristiani!).
La popolazione del Messico era di 16 milioni, ma scese ad un milione agli inizi del ‘600. La colpa del calo non era dei conquistatori, ma della diffusione di virus sconosciuti, a cui gli indios non potevano e non sapevano resistere.

Le Riduzioni del Paraguay. L’esperienza più complessa e riuscita di “evangelizzazione e promozione umana” fu quella della “Repubblica dei Guarani” (popolazione che abitava ad est delle Ande). Non erano evoluti come gli Aztechi e gli Incas, però coltivavano i campi e conoscevano l’arte della tessitura. Non offrivano sacrifici alle loro divinità e poiché non erano cannibali, furono considerati miti e docili.
Per proteggerli dagli europei in cerca di schiavi e aiutarli nella loro evoluzione verso il cristianesimo e la civiltà, già i Francescani avevano deciso di proporre il sistema delle “riduzioni”. I Gesuiti furono invitati a fare altrettanto. Nel 1610 fondarono il villaggio di Loreto con 200 famiglie indiane. Al centro del villaggio c’era la chiesa, il municipio, le abitazioni dei padri, l’ospedale, le scuole, il cimitero, i depositi. Intorno erano allineate in bell’ordine le abitazioni degli indigeni, tutte uguali, affiancate da strade diritte e selciate. L’istruzione era obbligatoria. Si imparava a leggere, scrivere, fare di conto. C’erano pure le scuole di arte e mestieri. Importanza molto grande era conferita al canto, alle feste, al teatro e ad ogni espressione artistica. All’interno di questo universo gli indios venivano catechizzati, prepararti ai sacramenti e ad una vita cristiana molto coerente. C’era la messa quotidiana, il rosario ed il catechismo. Le funzioni religiose erano molto fastose, accompagnate da corali ed orchestre. Particolarmente curate erano le processioni. Le proprietà della riduzione erano in parte coltivate in comune, ma una parte era concessa in proprietà agli individui per i bisogni personali. Era escluso il salario ed il denaro. Non c’erano né ricchi né poveri. Ad ogni giovane coppia veniva concessa un’abitazione; orfani e vedove venivano curati dalla comunità. Nelle riduzioni si produceva canna da zucchero, tabacco, cotone. Grazie ai padri erano diventati abili orologiai, liutai, stampatori. L’autorità spirituale spettava ai Gesuiti, ma di fatto essi governavano, coadiuvati da alcuni anziani. Amministravano pure la giustizia locale con un tribunale composto da 3 padri. I Gesuiti erano gli unici europei che entravano nelle riduzioni. Questo fatto fece nascere la diceria che in tal modo essi avessero accumulato enormi ricchezze.
L’esperimento venne messo alla prova da spedizioni di paolisti (mamelucos) sempre alla caccia di schiavi, da mettere nelle loro coltivazioni di canna da zucchero. Una concentrazione di tanti individui era per loro una provvidenza. Una prima spedizione si ebbe già nel 1611, ma fu bloccata dall’intervento di soldati spagnoli. Nel 1628, 400 paolisti incendiarono varie riduzioni, le saccheggiarono, portando in schiavitù i giovani e uccidendo gli anziani e gli invalidi. Nel 1639, su 11 riduzioni, 9 erano state distrutte (uccisi 200.000 indios). Invece di ricostruire, si pensò ad un esodo di massa verso il Paranà. Furono costruite 700 zattere, che trasportarono 12.000 indios, guidati dal gesuita Ruiz de Montoya. In altre occasioni furono uccisi Gesuiti, nonostante la difesa degli indios. Il padre Ruiz de Montoya si recò in Spagna  e aveva ottenuto da Filippo IV l’autorizzazione per l’acquisto e l’uso di armi da fuoco. L’addestramento militare fu pertanto affidato ai fratelli coadiutori, che seppero creare un piccolo ma valido esercito. La sicurezza raggiunta permise alle riduzioni di riorganizzarsi e di prosperare. Nel ‘700 l’esperienza verrà denigrata da più parti, specialmente dagli illuministi e dal loro ideale astratto di progresso e civiltà. È opportuno notare che le persone più sensibili a salvare i valori degli indios (lingua, cultura) furono i missionari(10).

LA RIFORMA TRIDENTINA

Appena concluso il concilio il papa Pio IV (1559-1565) espresse la sua gioia e formò una commissione di cardinali col compito di studiare il problema dell’approvazione e dell’esecuzione dei decreti del concilio. Vennero subito stampati gli atti e poi si pensò di attuare a Roma il concilio. Si iniziarono a visitare le chiese e si trovarono preti che non risiedevano, beneficiati che non seguivano le volontà testamentarie, c’erano edifici utilizzati per scopi profani, registri trascurati, paramenti in cattivo stato, per non parlare dell’ignoranza del clero. Le chiese ben tenute erano quelle gestite dalle confraternite. Nel 1564 il papa creò la “Congregazione del Concilio”, incaricata di attuare i decreti conciliari. Fece rivedere l’Indice dei libri proibiti e lo aggiornò. Sempre nel 1564 fu approvata la Professione di fede(19). 

Pio V (1566-1572, Michele Ghislieri, op) fu un uomo austero, che si era fatto notare come inquisitore. Il Carafa lo aveva protetto e nominato “Grande Inquisitore”. Il suo pontificato fu interamente contrassegnato dalla volontà di riforma. Visitò le basiliche romane e cercò di riformare il clero di Roma. In Francia il papa s’impegnò al mantenimento del cattolicesimo, ma non ebbe responsabilità per il massacro della notte di San Bartolomeo (24 agosto 1572).
Organizzò una grande coalizione che portò alla battaglia di Lepanto (7/10/1571). A favore della riforma della Chiesa dobbiamo ricordare il Catechismo romano (1566), il Breviario (1568) ed il Messale (1570). Impose la clausura alle comunità femminili. Proclamò dottore della Chiesa S. Tommaso d’Aquino (1567). Creò la Congregazione dell’Indice e quella dei Vescovi. Prendeva parte alle sedute del S. Uffizio.

Gregorio XIII (1572-1585, Ugo Boncompagni) era candidato della Spagna. Ebbe anche lui un cardinale nipote, che però limitò nelle sue funzioni. Non favorì molto le ambizioni di suo figlio Giacomo, che conduceva una vita fastosa. Era un uomo colto. Fu uno dei promotori della Storia Ecclesiastica. Affidò al Baronio (Annales Ecclesiastici) il compito di confutare le Centurie di Magdeburgo, dirette da Mattia Flacio Illirico. Provvide alla formazione dei collegi inglese, maronita, greco e armeno. Fu il grande benefattore del Collegio Romano, cui diede nuovi locali e soprattutto il nome di Università Gregoriana.
Un’opera che passa alla storia è quella della revisione del calendario, che ormai accumulava un ritardo di 10 giorni fra il calendario giuliano e quello dell’anno solare. Per questo istituì una commissione speciale con a capo il cardinale Sirleto ed il famoso Clavio, sj.  Egli decise che il venerdì 5 ottobre 1582 sarebbe divenuto il venerdì 15. Italia, Spagna, Portogallo e Polonia accettarono subito la riforma. La Francia lo fece solo nel dicembre 1582, l’Olanda nel 1583. La Germania e la Danimarca nel 1700. L’Inghilterra nel 1752, il Giappone nel 1873, la Cina nel 1912, l’Unione Sovietica nel 1918 e la Grecia nel 1923.

Sisto V (1585-1590, Felice Peretti, francescano conventuale) fu eletto per “adorazione”, cioè per acclamazione. Molti lo temevano per la sua severità e per l’attività d’inquisitore. Fu un incapace nella politica estera. A Roma restaurò l’ordine pubblico, procedette al suo rinnovamento urbanistico: spostò e collocò diversi obelischi (tra cui quello di piazza S. Pietro), costruì la scalinata di Trinità dei Monti, l’acquedotto Felice, le “Quattro fontane”, il ponte Felice, la chiesa di S Girolamo dei Croati, la via Felice. Costruì la biblioteca vaticana e completò la cupola di S. Pietro. Fu il grande organizzatore della Curia Romana. Istituì la visita ad limina apostolorum.


LA CURIA ROMANA


Con Pio V la curia divenne un organismo “riformato”, più religioso e meno mondano. Pio V creò la Congregazione dell’Indice (1571) e dei Vescovi (1571-1572). 
Gregorio XIII rese più efficiente la rete delle nunziature, che da “agenzie” divennero ambasciate permanenti, con poteri estesi e con onori e privilegi. I nunzi erano uomini preparati e ci offrono informazioni interessanti sulle diocesi (spesso in codice).

Le visite ad limina apostolorum. La visita a Roma dei vescovi era caduta in oblio. Sisto V la restaurò e minacciò pene molto severe. Fissò il calendario, dividendo i vescovi in varie classi con l’obbligo di una frequenza maggiore a seconda della distanza da Roma. Scopo della visita era venerare le tombe degli apostoli, incontrate il papa e la curia e presentare un rapporto della propria diocesi. La congregazione competente era quella del Concilio; per le diocesi in terra di missione era competente Propaganda. La relazione poteva essere orale o scritta e trattava delle chiese, degli oratori, dei monasteri, degli ospedali, dei monti di pietà, delle confraternite. Si doveva far menzione dell’avvenuto adempimento dell’obbligo della visita, residenza, presenza di eresie, riferire sui costumi e la disciplina del popolo.

La riforma di Sisto V. Con la bolla Immensa aeterni Dei del 1587 venne riorganizzata tutta la curia romana, con la creazione di una serie di dicasteri che coprivano una triplice competenza:

Carattere dottrinale: Santa Inquisizione, Indice dei libri proibiti.
Carattere pastorale: Concistoriale, Concilio, Riti, Consultazione dei Regolari, Affari dei vescovi.
Carattere giudiziario: Segnatura apostolica.
Carattere di governo temporale: Approvvigionamento, per la Flotta da guerra, esame delle imposizioni negli stati della Chiesa, per l’università romana, per il genio civile, per la stampa vaticana, per gli affari degli stati della Chiesa.
Il termine inquisizione parte da Verona, tramite Lucio III  sepolto in Duomo


L’INQUISIZIONE


Alcune date:
·      1184: Concilio di Verona (novembre 1184) Lucio III a Verona decreta la scomunica contro gli eretici ed obbliga i vescovi ad “inquisire”,  inquisizione sulla "eretica pravità" ( Il termine “inquisire” ,  “nasce” a Verona tramite Lucio III  “inquisire i catari”.  Nel decreto canonico sono nominatamente anatemizzati i catari, i patarini, gli umiliati, i poveri di Lione, i passagini, gli josepini e gli arnaldisti.  Lucio III è sepolto nel Duomo di Verona)
·      1478: fondazione dell’Inquisizione spagnola.
·      1542: fondazione dell’Inquisizione romana.
·      1544: primo catalogo dei libri proibiti (Parigi).
·      1633: condanna di Galileo.
·      1965: scompare il S. Uffizio e l’Indice romano.
·      1985: riabilitazione di Galileo.
·      1998: apertura degli archivi del S. Uffizio.

Fu la propaganda dei protestanti olandesi che nel XVI secolo inaugurò la “leggenda nera” dell’Inquisizione spagnola. Durante l’Illuminismo contro di essa scrisse Voltaire. L’Inquisizione divenne simbolo dell’oscurantismo cattolico a differenza dell’apertura e tolleranza protestante. Molte furono le pubblicazioni anticlericali (illustrazioni pruriginose, specie dei comunisti). Recentemente si è passati a studi più critici e meno polemici(11).


L'INQUISIZIONE SPAGNOLA


I Re Cattolici volevano combattere i “falsi convertiti”, cioè gli ebrei che per evitare l’editto di espulsione si erano fatti battezzare, ma conservavano usi giudaici. Per questo i Re Cattolici ottennero da Sisto IV una bolla nel 1478, che concedeva loro la nomina degli Inquisitori. L’inquisizione fu un organo legale della monarchia spagnola, sottratto completamente da Roma ed era uno dei cinque consigli del regno. L’inquisizione dipendeva completamente dalla monarchia, che nominava il Grande Inquisitore, con giurisdizione su tutto il regno. Il primo fu il domenicano Torquemada. Il consiglio aveva il compito di sorvegliare i consigli provinciali con ispezioni. Si guardava alla frequenza dei processi, alle competenze, ai sospetti d’indulgenze e di parzialità dei giudici, alla crudeltà, all’onestà, alla tortura, a controllare se i giudici avevano avuto rapporti con le prigioniere, con le mogli dei reclusi, con le prostitute, se erano corruttibili… il personale era preparato con studi universitari ed esperienza giuridica.
Quando arrivavano i giudici inquisitori, si proclamava l’ “editto di grazia”. Durante quel periodo i giudaizzanti potevano autodenunciarsi e così venivano “riconciliati”. Così furono il 90% dei casi e la pena era la confisca di un terzo dei beni. Poi si procedeva in base alle denunce. La tortura era una garanzia di sicurezza e di procedura più corretta. Le cause sulle quali si vigilava erano:
Causa fidei: giudaismo, islam, protestantesimo, bestemmie, sacrilegi, delitti.
Causa morum: bigamia, sodomia, bestialità.
La conclusione del processo poteva essere:
·      Assolti.
·      Riconciliati con pene.
·      “Rilassati”, cioè condannati al rogo in effigie o in persona.
            Dal  1481 al 1525 si ebbero circa 5.000 condanne a morte e questo fu il periodo più crudele. L’Inquisizione divenne un importante strumento di governo. Gravi sofferenze dovette soffrire il Carranza, un vescovo zelante, che per il suo “Catechismo cristiano” fu incolpato di luteranesimo. Benché Pio V e Gregorio XIII fossero convinti della sua innocenza, non osarono assolverlo dalle accuse infami. Nel 1576 si arrivò ad un compromesso per non irritare Filippo II: l’arcivescovo doveva abiurare, il Catechismo era proibito, ma non era costretto a rinunciare alla diocesi. Era finito il tempo delle incertezze nella Chiesa ed era tempo di disciplinamento. Ma attenzione: il tribunale dell’Inquisizione era meno crudele dei tribunali civili!


L'INQUISIZIONE ROMANA


Il S. Uffizio era nato come risposta alla diffusione del protestantesimo in Italia, ma anche per porre un freno all’incertezza, che creava l’evangelismo. Era all’origine un provvedimento d’emergenza e provvisorio. Di fatto durò fino ai nostri giorni. Se si parla di “nascita” dell’Inquisizione è perché quella medievale era una macchina fuori uso e molti vescovi non avevano la forza morale per intervenire. La competenza della commissione inquisitoriale romana era senza limiti. Si estendeva a tutta la cristianità, e cosa più importante, anche alla Curia Romana. I risultati più vistosi furono tre: riuscì a frenare la diffusione ereticale; estese gradualmente i propri poteri ad altri ambiti; permise al papato di riprendere il definitivo controllo del collegio cardinalizio.
Fu facile colpire qualche candidato al pontificato con perfide accuse e sospetti e si favorì la carriera di cardinali inquisitori verso la tiara. La Congregazione del S. Uffizio diveniva la “prima” congregazione. Spesso il personale della congregazione era costituito da Domenicani, mentre a Firenze e a Venezia dai Francescani. A capo del tribunale diocesano c’era il vescovo. Il processo era regolato in modo minuzioso da manuali. Tutto prendeva avvio da una denuncia. Si procedeva allora in segreto; i testi d’accusa rimanevano anonimi, per evitare ritorsioni dei parenti e amici, per sorprendere eventuali complici e per salvaguardare la reputazione degli indagati. Non si accettavano denuncie anonime e testimonianze senza giuramento, mentre avevano valore a Venezia, purché corredata dai nomi di tre testi concordi nell’accusa. Subito iniziavano le indagini con la raccolta di documenti e testimonianze e, a volte, con il carcere preventivo. C’era dunque una fase accusatoria e una fase informativa. Se qualcuno compariva spontaneamente, gli venivano riservati particolari riguardi. Nei processi era permessa la ricusazione dei giudici. Durante il processo l’imputato riceveva copia autentica di tutti gli atti del processo e gli veniva concesso del tempo sufficiente per impostare la propria difesa, mentre nei tribunali civili, le accuse e le testimonianze venivano lette ad alta voce e l’imputato, indebolito dal carcere, doveva difendersi su quello che ricordava. L’imputato aveva il diritto di avvalersi di un avvocato difensore. La procedura giudiziaria inglese lo ha ammesso solo nel 1836. Il nome dei testimoni generalmente era segreto. Se si provava che il testimone era falso, era passibile dell’accusa di spergiuro.
La tortura. Era considerata un mezzo per ottenere confessioni e si ricorreva ad essa: quando l’imputato negava in modo ostinato colpe evidenti e quando l’imputato reo confesso non sembrava sincero sul nome dei complici. Alla tortura potevano essere sottoposti anche ecclesiastici e accademici. Era vietato torturare donne incinte, anziani, giovani sotto i 14 anni, persone deboli. Se sotto tortura l’imputato confermava le proprie asserzioni d’innocenza, era assolto; se modificava la sua deposizione, allora era necessario ricorrere ad altre inchieste. Ma si correva un rischio: sotto tortura alcuni riuscivano a sopportare i tormenti, oppure, temevano la sofferenza a tal punto da essere pronti a mentire pur di evitarla. Questi alcuni tormenti, preceduti da 6/10 ore di digiuno: della corda, del fuoco, della stanghetta. Comunque vigeva il principio che la tortura doveva essere moderata, perché se la vittima era innocente poteva essere reintegrata nella libertà, se era colpevole doveva soffrire la giusta punizione. 24 ore dopo la tortura l’imputato doveva confermare quanto aveva confessato.
Conclusione del processo. L’abiura de levi: nella residenza del vescovo o nella sede dell’Inquisizione. L’abiura de vehementi: in pubblico (in chiesa, sulla gradinata del Duomo). Per evitare conseguenze penose per altre persone, gli inquirenti dovevano informarsi se l’imputato avesse figlie nubili. L’abiura de formali: ma se ricadeva c’era la pena capitale.
La condanna. Carcere perpetuo, in realtà 3 anni, se il condannato dava segni di pentimento. I carcerati potevano arredare a proprie spese le celle, chiamare un barbiere, avere un servo (Campanella). Carcere perpetuo irremissibile: 8 anni. Immuratio: è la reclusione in una cella, ma senza murare la porta. Reclusione in monastero: sedersi, per esempio, in refettorio per 3 volte, a mangiare pane e acqua e fare un certo numero di prostrazioni. Arresti domiciliari: limiti negli spostamenti. Galera: era la punizione più dura. Fu comminata ad un domenicano che, nel 1580, si era spacciato per vicario inquisitoriale per ottenere favori sessuali. Questa condanna era risparmiata ai nobili, ma non agli ecclesiastici. Rogo: per ostinati, recidivi, per delitti gravi, per falsi preti.  Ad Aquileia, fra il 1551 ed il 1647, su 1000 imputati solo 4 furono condannati al rogo. A Venezia, fra il 1553 ed il 1588, ci furono 14 esecuzioni capitali. A Milano ci furono nello steso periodo 12 giustiziati. Per l’Inquisizione spagnola fra il 1540 ed il 1700 furono giustiziate 820 persone su 44.000 (1,9%). I condannati erano accompagnati dai membri delle confraternite. Si costruivano delle piattaforme, la folla urlava, i tamburi rullavano. Tutto ciò faceva pensare al giudizio finale. A Roma questi spettacoli si facevano a Campo dei Fiori. Ai condannati ad essere arsi vivi si metteva un “saccus pulverarius” (di polvere nera, da sparo) al collo. La scena era molto drammatica(13).


GIORDANO BRUNO (1548-1600)


Era entrato nel 1565 tra i Domenicani a Napoli. Egli identificava la realtà totale dell’universo con la Natura. Dopo un anno fu già sospettato d’eresia, in quanto avrebbe disprezzato il culto mariano e dei santi. Dopo l’ordinazione presbiterale nel 1575 fu istruito un processo contro di lui per aver espresso dei dubbi sulla Trinità. Si rifugiò a Roma dove venne istruito un secondo processo. Depose l’abito e fuggì. Nel 1578 era a Ginevra ove aderì al calvinismo, ma poi fu scomunicato e si allontanò. Nota è la sua opera Degli eroici furori. Tornò in Francia e poi si recò in Germania, ove fu scomunicato dai luterani. Invitato da un nobile veneziano, Giovanni Mocenigo, che desiderava gli insegnasse “l’arte della memoria ed inventiva”, commise l’errore di tornare in Italia (1591). Il suo ospite però lo denunciò per eresia all’Inquisizione veneziana.
“Io denunzio d’aver sentito a dire Giordano Bruno che è bestemmia dire che il pane si transustanzii in carne, che lui è nemico della Messa… che Cristo fu tristo… che il mondo è eterno e che sono infiniti mondi… che Cristo faceva miracoli perché era un mago… che le anime create passano da una creatura ad un’altra (animali)… che la Vergine non può aver partorito… che i frati sono tutti asini… che la religione cattolica gli piaceva ben più de l’altre religioni… che in questi tempi fiorisse la maggior ignoranza che abbi mai avuto il mondo”.
Iniziò pertanto il processo, diviso in 2 fasi:
Fase veneziana: fu accusato di disprezzare le religioni, di aver espresso opinioni blasfeme su Cristo, di non credere alla transustanziazione, alla verginità di Maria ed invece di credere alla metempsicosi, alla pluralità dei mondi, alla magia. Giordano Bruno cercò di difendersi con abilità, ma il suo caso fu avocato a Roma.
Fase romana: si aggiunsero altre accuse. Per lui Cristo peccò mortalmente, l’inferno non esiste, Caino era migliore di Abele, Mosè fu un mago, i dogmi sono infondati, il breviario è riprovevole, le reliquie e le immagini sono riprovevoli. Giordano Bruno durante il processo ebbe il tempo ed il modo di difendersi. Ricorse alla dissimulazione. Orchestrò la sua difesa sulla distinzione fra filosofia e religione. Ciò che lo portò al rogo fu il fatto che si disse disposto all’abiura, ma poi si rimangiò la decisione. Il 17 febbraio 1600 fu “spogliato nudo e legato a un palo, fu bruciato vivo”.


L'INDICE DEI LIBRI PROIBITI


La condanna di scritti nocivi alla fede è antica. Con l’approvazione della stampa più volte la Chiesa intervenne con censure preventive (imprimatur) e di condanna (indice). Al Concilio Lateranense V si stabilirono le prime regole in merito.
Paolo V vietò di inviare un manoscritto alla stampa senza l’autorizzazione dell’ordinario.  I libri dei religiosi dovevano essere esaminati da religiosi di altri ordini ed avere il “nihil obstat”. I vescovi dovevano visitare le librerie. Con l’Indice si controllavano i libri (cosa che facevano anche gli stati e le università). Furono preparati dei cataloghi (Parigi 1545). Fu creata una commissione apposita. Un Indice venne stampato nel 1557 e condannava tutte le opere di Erasmo da Rotterdam. Molti librai a Venezia e a Firenze lamentavano certe restrizioni. Il 24 marzo 1564 fu promulgato l’Index librorum prohibitorum con Pio IV, per libri sospetti di eretici, contrari alla pietà ed ai costumi e libri anonimi.

GALILEO GALILEI

Quello di Galileo è uno dei casi più scottanti della storia dell’Inquisizione. Nel 1979 Giovanni Paolo II deplorò certi atteggiamenti mentali, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza e dal ritenere scienza e fede in opposizione tra di loro. Il papa auspicava una sincera collaborazione tra teologi, scienziati e storici, nel leale riconoscimento dei torti, delle reciproche diffidenze. Nel 1983 continuava a ribadire una maturazione e comprensione più giusta dell’autorità della Chiesa e della scienza. La stessa cosa fece nel 1989 a Pisa e nel 1992 parlò di una “tragica reciproca incomprensione”, sempre a riguardo del caso Galilei.
Ci preme sottolineare come al tempo di Galileo non ci fu nessun “caso”. Nessuno speculò su esso contro la Chiesa, né furono posti degli ostacoli agli scienziati nel proseguire le proprie ricerche. La polemica si accese nel secolo dei lumi. Giuseppe Baretti fu l’inventore della nota esclamazione: “Eppur si move”; secondo lui, furono i Gesuiti i responsabili delle sue condanne. Per un altro autore la colpa era dei “frati”. Nel 1745, in Inghilterra si diceva che i responsabili erano i cardinali, nemici del vero sapere e della scienza. Per qualcuno Galileo pretese troppo da sé, facendo delle sue teorie un assoluto.  La Pontificia Accademia delle Scienze incaricò Pio Paschini (1878-1962) di studiare il caso Galileo. L’opera fu giudicata troppo favorevole a Galileo. Grande scalpore fece l’opera teatrale di Bertolt Brecht (1898-1956), che accentuò moltissimo l’anticlericalismo, presentando un Galileo materialista. Egli sosteneva che l’opposizione alla ragione è opera dei “frati”(14). Per altri Galileo non voleva mettere in crisi la fede, ma voleva mettere la fede al riparo da ogni futura obiezione scientifica. Pietro Redondi cercò il colpo a sensazione; sostenne che Galileo fu condannato per avere avanzato dubbi sull’Eucarestia. Annibale Fantoli offre sul caso Galileo un equilibrato contributo(15).  

Il mondo universitario era molto conservatore, suscettibile, corporativo e si ribellò alle idee di Galileo. Era uno scontro fra due mentalità diverse. Egli criticava Aristotele, ma ancor più la verbosità degli aristotelici, che deducevano e non verificavano, che si basavano sui testi scritti e non sull’esperienza.
Galileo era figlio di un musicista. Fu per poco tempo novizio a Vallombrosa, ma il padre lo fece tornare a casa, perché lo voleva medico. Galileo lasciò l’università senza raggiungere il diploma. Nel 1589 ottenne la cattedra di matematica a Pisa e nel 1592 quella di Padova. Dalla convivenza con Marina Gamba ebbe 2 figlie ed un figlio. Quando nel 1604 apparve una supernova, sembrò crollare l’assioma aristotelico che nessun cambiamento ci possa essere nel cielo. Nel 1609 Galileo costruì un cannocchiale, che per primo usò nell’esplorazione del cielo. Nel 1612 osservò una stella fissa, che in realtà era Nettuno, identificato 234 anni più tardi. Il mondo dei dotti dileggiò lo scienziato. Alcuni sostenevano che le sue lenti avevano delle aberrazioni. Galileo non si lasciò intimorire. Nel 1610 pubblicò il Sidereus nuncius e ottenne la cattedra dello studio di Pisa. Andò a Roma, ove i Gesuiti del Collegio Romano lo onorarono. Le sue scoperte sulle montagne della luna, tuttavia, non convinsero il Clavio, sj.  Si occupò anche del problema del galleggiamento del ghiaccio. Egli presentava sempre l’evidenza dei fatti, ma era cosciente che la scienza non poteva spiegare tutto.   

Nel 1613 era tornato a Firenze. Aveva il problema delle 2 figlie, che, essendo illegittime, era difficile maritare. Le mise in convento. Lo scienziato il 21 dicembre 1613 scrisse una famosa lettera al discepolo Benedetto Castelli, nella quale affermava:                                          
1.    La Sacra Scrittura non può mentire né ingannare, ma possono sbagliare i suoi interpreti, specialmente quando si attribuiscono a Dio sentimenti umani.
2.    Non si devono cercare argomenti contrari alla Bibbia o imporre le proprie conclusioni  ai teologi.
Il 21 dicembre 1614 il domenicano Tommaso Caccini lo attaccò dal pulpito di Santa Maria Novella, dicendo che la matematica era un’arte diabolica e che i suoi sostenitori dovevano essere cacciati fuori dagli stati. Galileo avrebbe voluto reagire, ma un amico lo trattenne. Un altro Domenicano, rimase scandalizzato che uno scienziato trattasse problemi di teologia e scrisse al cardinale Paolo Emilio Sfondrati:          
“I galileisti, affermano che la terra si muove e che il cielo sta fermo, seguendo le posizioni di Copernico… come se la Scrittura tenga l’ultimo posto e che i suoi espositori bene spesso errano nella sua esposizione e che la Scrittura nelle cose naturali tiene l’ultimo posto e che habbia più forza l’argumento filosofico o astronomico che il sacro ed il divino… si calpesta tutta la filosofia di Aristotele, si parla poco onorevolmente dei Padri della Chiesa e di S. Tommaso”.
Si invitavano le autorità religiose a prendere provvedimenti prima che fosse troppo tardi. Un teologo carmelitano napoletano scrisse un opuscolo a favore del sistema copernicano. Lo comunicò al cardinale Bellarmino che rispose:
“Galileo farebbe bene a parlare ex suppositione e non assolutamente; bisogna essere cauti nello staccarsi dal “comune consenso de’ Santi Padri”. Il moto del sole non è materia di fede ex parte obiecti, ma ex parte subiecti, perché chi parla è lo Spirito Santo che non può errare; se ci fosse anche una vera dimostrazione, bisogna essere cauti e comunque dire piuttosto che non comprendiamo, piuttosto che discostarci dal cammino tracciato dai Padri”.
Galileo, nonostante il parere contrario dei suoi amici, si recò a Roma. Aveva dalla sua parte gli argomenti importanti ed il tempo. I teologi consultori condensarono in due  proposizioni gli argomenti da discutere:
1.    “Che il sole sii centro del mondo, et per conseguenza immobile di moto locale”.
2.    “Che la terra non è centro del mondo, né immobile, ma si move secondo sé tutta, etiam di moto diurno”.
I teologi erano competenti in teologia, ma le loro conoscenze a livello scientifico erano scarse. In meno di 4 giorni arrivarono a due  conclusioni. Definirono stolta ed assurda, dal punto di vista filosofico, la prima proposizione, formalmente eretica, in quanto contraddice espressamente le affermazioni nella Sacra Scrittura in molti luoghi. Per la seconda proposizione tutti dissero che essa meritava la stessa censura filosofica. Nella seduta del 23 febbraio 1616 la proposizione “il Sole è il centro del mondo e di conseguenza immobile” venne giudicata “scorretta, assurda e formalmente eretica”. Il Bellarmino informò il papa delle conclusioni dei teologi. Fu probabilmente lo stesso cardinale a suggerire al papa di ammonire Galileo privatamente. In questo modo lo si metteva a tacere, ma non si ledeva la sua fama. Paolo V ordinò al cardinale gesuita di richiamare Galileo e di “ammonirlo ad abbandonare le dette proposizioni”. Gli si intimò di non insegnare e di non difendere le sue dottrine o trattare di esse. Gli scrisse la notifica lo stesso Bellarmino. Si discute se quel documento fosse autentico, visto che non fu firmato dal cardinale gesuita. Anche l’opera di Galileo, il De revolutionibus, venne messo all’Indice.

Il processo (1633). Per ben 7 anni Galileo non parlò della teoria copernicana. Nel frattempo era divenuto papa Urbano VIII (Maffeo Barberini), che stimava lo scienziato. Nel 1624 dedicò al papa amico Il saggiatore e andò a Roma, ove fu ricevuto ben 6 volte dal pontefice. Urbano VIII non era certo un oscurantista. Tornato a Firenze rispose a Francesco Ingoli, segretario di Propaganda Fide, che aveva sviluppato delle argomentazioni anticopernicane. Fra il 1624 ed il 1630 lavorò sull’argomento delle maree (Dialogo sulle maree), che per non urtare la sensibilità anticopernicana preferì pubblicare col titolo di Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano. L’opera era organizzata in modo dialogico fra tre interlocutori (uno si chiamava Simplicio e forse si riferiva al papa…). Chiese la licenza di pubblicazione, ma il materiale fu trasmesso a Roma e cadde nelle mani del domenicano Niccolò Riccardi, soprannominato “Padre Mostro”. La revisione andò per le lunghe. Furono proposti dei cambiamenti al titolo. Galileo obbedì e le bozze della prefazione furono lette da Urbano VIII. L’imprimatur gli fu concesso, ma con il pretesto della peste, Galileo lo fece stampare a Firenze e non fece vedere le bozze al padre Riccardi. Il papa s’irritò moltissimo: era in una fase di stanchezza, il potere lo aveva logorato. Era diventato irritabile e pretendeva obbedienza cieca e assoluta. L’aver messo nella bocca di Simplicio gli argomenti di Urbano VIII lo mise in cattiva luce.
Il 13 febbraio 1633 Galileo andò a Roma e gli interrogatori cominciarono solo il 12 aprile. Fu accusato di aver disobbedito al precetto formale “di non insegnare in qualsiasi modo”. Galileo rispose che la proibizione riguardava il “difendere e tenere” il sistema copernicano, cosa che egli aveva fatta. Se si fosse provato che egli aveva disobbedito a un ordine ufficiale, allora poteva essere accusato di essere “vehementemente sospetto d’heresia”. Il papa voleva assolutamente la confessione, che poteva essere conseguita sottoponendo lo scienziato alla tortura, cosa assurda per un uomo di 70 anni e per di più illustre. Il papa il 16 giugno dispose che Galileo venisse interrogato sul suo pensiero. Il suo volume fu sottoposto all’analisi di 3 teologi, che dimostrarono che lo scienziato aveva chiaramente difeso il copernicanesimo.
Il 22 giugno 1633 fu emessa la sentenza di condanna presso il convento di Santa Maria sopra Minerva, firmata solo da 7 cardinali, mentre 3 non si presentarono alla riunione. Galileo fu condannato non tanto per aver nascosto il precetto al padre Riccardi, ma per sospetto d’eresia e per come aveva presentato il sistema copernicano. Appena dopo la lettura della sentenza, lo scienziato lesse l’abiura:
Io Galileo… inginocchiato… avendo scritto e dato alle stampe un libro nel quale tratto l’istessa dottrina già dannata ed apporto ragioni con molta efficacia… con cuore sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li sudetti errori ed eresie e generalmente ogni e qualunque altro errore, eresia e setta contraria alla S. Chiesa, e giuro che per l’avvenire non dirò mai più né asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa avere di me simil sospitione.   


STORIA DELLA CHIESA  3  - PARTE SECONDA
            
IL GIANSENISMO


Esso si può definire come una corrente religiosa e politico-ecclesiastica franco-belga, poi europea, scaturita dalle vicende legate all’Augustinus di Cornelio Giansenio. Roma condannò l’opera nel 1643 e nel 1653, ma la vivace resistenza giansenista si avvalse degli abili interventi di Arnauld e del clima antigesuitico diffuso in Francia dalle Lettres provinciales di Pascal (1656). Nel 1669 si sviluppò una seconda fase del Giansenismo che, dopo il rigorismo devozionale e morale di Arnauld, fu improntato da una fervida attenzione alla conoscenza diretta della Scrittura, soprattutto del Nuovo Testamento, espressa con enorme successo dalle Réflexiones morales di Quesnel. Queste riflessioni furono condannate nel 1713 con la bolla Unigenitus, soprattutto per la loro concezione antigerarchica della Chiesa.    Il Giansenismo assunse forme aperte di rottura con Roma, attraverso l’appello ad un futuro concilio e l’esplosione di tendenze apocalittiche e millenaristiche che perdurarono fino alla Rivoluzione francese. In Italia il Giansenismo si collegò, invece, col vescovo di Pistoia Scipione de’ Ricci al movimento delle riforme “illuminate”(16).

            L’ancien régime aveva condotto buona parte dei fedeli e del clero verso un certo lassismo (corruzione, tiepidezza). Si sviluppò un atteggiamento probabilista in campo morale. Molti autori del ‘600 si perdevano nel considerare non i principi morali, ma le applicazioni pratiche. Ecco sorgere con forza un’immensa casistica, che, secondo il gusto dell’epoca, si perdette in sottili e subdole ipotesi. Si fece sfoggio di capacità d’ingegno nel dimostrare la liceità di azioni non corrette moralmente. Per ogni cosa si trovava una giustificazione e legittimazione. Tra coloro che avevano aperto la strada alle idee lassiste in campo morale si ricordano soprattutto i Gesuiti. Qualcuno applicò loro il detto: Ecce Agnus Dei, qui tollit peccata mundi, perché erano riusciti ad eliminare molte azioni dall’elenco dei peccati. La Santa Sede intervenne sempre per riaffermare la rettitudine del suo insegnamento, specialmente sul duello, l’aborto, l’omicidio, i piaceri, realtà accettate con troppa indulgenza. In pratica, i doveri della vita cristiana vennero minimizzati.
            La conciliazione tra il libero arbitrio e la Grazia divina restava un mistero anche per il Concilio di Trento. Si cercava nella Chiesa cattolica di rispondere alle provocazioni in materia da parte di calvinisti e luterani. Dopo il 1550 a Lovanio, Michele Baio insegnò delle tesi sulla Grazia, non molto lontane dalle idee di Lutero e di Calvino. Anche per lui l’uomo era totalmente corrotto dopo il peccato originale, perdendo il libero arbitrio. Le distinzioni dogmatiche sono sottilissime su questi argomenti. Il papa Pio V nel 1567 condannò Baio e così fece anche Gregorio XIII nel 1580. Alla fine del ‘500 si inasprì un contenzioso teologico tra i Gesuiti e i Domenicani. Bañez, op, trattava dell’efficacia della grazia, mentre Molina, sj, si diffondeva nel parlare del libero arbitrio, della predestinazione, della prescienza. La Santa Sede nominò un’apposita congregazione per risolvere queste problematiche: la Congregatio de auxiliis.  I due  Ordini religiosi furono invitati alla moderazione e al rispetto dell’ortodossia, restando liberi di difendersi e di insegnare le loro tesi.
            Uno dei principali esponenti del movimento fu Janssen (1585-1638), uomo intelligente e dotato di una buona memoria, tenace e sicuro delle sue idee. Studiò a Lovanio, Utrecht e a Parigi. Lesse molte opere relative al pensiero di Agostino (grazia, pelagianesimo). Fu eletto vescovo di Ypres. Compose l’Augustinus, la cui pubblicazione affidò a degli amici. Si dichiarò fedele e sottomesso a Roma. Altro personaggio di spicco fu Du Vergier, meglio conosciuto come Saint-Cyran, Vicario generale di Poitiers. Egli fu il vero fondatore del Giansenismo francese e venne sospettato dal cardinale Richelieu, che lo fece arrestare. Egli rimase in carcere fino alla morte del potente cardinale. Fu stimato dalla gente come un eroe e si prodigò nella sua azione di proselitismo. Egli era amico anche di San Vincenzo de’ Paoli. Per lui bisognava tornare alla purezza della fede, liberare la Chiesa dal razionalismo, dal giuridicismo, da ogni compromesso col mondo. Tra i suoi seguaci troviamo Antoine e Angélique Arnauld. Antoine era figlio di un avvocato famoso per la sua ostilità verso i Gesuiti. Colto, possedeva una formidabile dialettica, abile, scaltro, per 50 anni difese il Giansenismo, unico nel sollevare l’opinione pubblica in suo favore, faceva passare le nuove idee sotto l’apparenza di vecchi asserti (essere vaghi). Per paradosso storico, furono i suoi nemici Gesuiti a passare alla storia come i maestri della dissimulazione. Tra le sue numerose opere si ricorda il De fréquente communion (1643). In esso ricorda la prassi della Chiesa antica di concedere l’eucarestia ai peccatori solamente dopo una lunga e severa penitenza. L’eucarestia dovrebbe essere non un rimedio per sostenere i deboli, ma un premio per i santi (il Borromeo consigliava ai confessori il rinvio dell’assoluzione per i recidivi). L’eccessiva frequenza alla comunione è causa di gravi danni e responsabili di questa prassi lassista sono i Gesuiti. Il libro ebbe un grande successo. Sua sorella Angélique divenne abbadessa del monastero di Port-Royal all’età di 11 anni. Essa voleva uscire dal monastero, ma il padre la costrinse a rientrarvi. Dopo aver ascoltato una esortazione di un Cappuccino si convertì ed impose una severa riforma al monastero. Mancò di prudenza, equilibrio ed umiltà. San Francesco di Sales cercò di moderarla ma essa seguì poi le direttive austere di Saint-Cyran. Port-Royal divenne il centro spirituale del Giansenismo e le monache pure come gli angeli, superbe come demoni, si accostavano raramente alla comunione. Angélique non si accostò alla comunione neanche a Pasqua. La sorella Giovanna espresse ancor più le tendenza individualistiche del movimento. L’eucarestia era incomprensibile, inaccessibile, incommensurabile… non più il sacramento dell’amore, ma del timore. Molte vocazioni affluirono al monastero, raggiunto più volte da Pascal (qui era entrata sua sorelle Jacqueline), che si convertì da una vita mondana e divenne molto abile nell’opposizione velata ai Gesuiti.


PRINCIPI DEL GIANSENISMO

·      Aspetto dogmatico: pessimismo agostiniano e luterano. Dopo il peccato originale la natura umana, corrotta, perse la sua libertà. La volontà umana segue la grazia, se le viene offerta o la concupiscenza, se viene lasciata sola. La Chiesa distingue tra grazia efficace, non sempre concessa e grazia sufficiente, sempre concessa. Janssen negò la grazia sufficiente: a gratia sufficienti libera nos Domine! Cristo, dunque, non è morto per tutti, ma solo per pochi eletti (crocifisso giansenista). La Chiesa per i giansenisti non è una società in cui c’è posto per tutti, santi e peccatori, buoni e cattivi, tiepidi, pubblicani, peccatori, prostitute… ma una setta per pochi eletti.
·      Aspetto morale: rigorismo. Davanti a Dio ci si pone con timore. Rifiuto del probabilismo e della pastorale accomodante. Condanna dell’attrizione (dolore per i peccati commessi); dilazione dell’assoluzione ai penitenti, che non offrono garanzie di perseveranza nel bene e rifiuto dell’assoluzione ai recidivi. Lunga lista di condizioni per accedere alla comunione. Ricerca di penitenze straordinarie; disprezzo della natura umana e delle sue possibilità di collaborare con la grazia di Dio. Eccessiva svalutazione del matrimonio; fuga mundi; diffidenza verso gli affetti familiari e l’amicizia. Critiche alle devozioni mariane. Arnauld rinunziò ad assistere la madre morente per non cedere troppo agli affetti familiari.
·      Aspetto disciplinare: riformismo. La Chiesa doveva essere rinnovata integralmente, doveva ritornare alle origini, scavalcando 15 secoli di storia. L’infallibilità era una prerogativa di tutta la Chiesa. I Giansenisti erano amici delle autorità politiche contro il papa e la curia romana. 

Il Giansenismo si diffuse soprattutto in Francia. Nel 1642 la Congregazione dell’Indice condannò l’Augustinus ed impose il silenzio ai Gesuiti. Nel 1643 Urbano VIII rinnovò la condanna con la Bolla In eminenti. Nel 1653 Innocenzo X condannò come eretiche 5 tesi contenute nell’Augustinus. I giansenisti ricorsero a diverse scappatoie per continuare la loro attività. Furono introdotte cavillose distinzioni, contesti vari, interpretazioni diverse. Nel 1644 il monastero di Port-Royal fu colpito da interdetto. Nel 1656 intervenne il papa Alessandro VII.
Nel 1657 videro la luce le Lettres Provinciales di Pascal(17). Egli interveniva in modo brillante a favore dei giansenisti. Cercò di evidenziare e di colpire le colpe altrui, per coprire le proprie. Andò contro la casistica ed il probabilismo. Per lui, i giansenisti erano molto vicini alle idee dei Domenicani, ma questi si erano alleati con i Gesuiti. Pascal pensava di attaccare il probabilismo con il quale i Gesuiti cercavano il favore della gente, adattandosi alle loro esigenze e approvandone le varie tendenze. Tutto diventava così legittimo e lecito, tutto veniva facilmente assolto. Le abitudini al peccato potevano continuare dietro la promessa di non peccare più. Non si esigeva nessuna conversione sincera.
Le critiche che Pascal mosse nella sua opera alla Chiesa, erano in parte valide. Era presente in lui l’amore per la Chiesa ed il suo rinnovamento, ma le sue citazioni non erano sempre esatte e corrette. Secondo il padre Martina, le sue Lettres furono più nocive che utili. Inoltre, egli favorì la leggenda nera del gesuitismo ed offrì una fonte inesauribile di ispirazione all’anticlericalismo dei secoli seguenti. Egli sferzava giustamente un certo fariseismo legalista ed innalzava una certa spiritualità troppo intimistica.

IL GIANSENISMO IN ITALIA


Agli inizi del ‘700, il Giansenismo, mentre stava agonizzando in Francia, si diffuse in Italia, caratterizzandosi per la sua carica polemica e soprattutto per il suo riformismo anticuriale. In Italia si esaltava l’autorità dei vescovi nei confronti del papa, dei parroci nei confronti dei vescovi; si cercava di attuare un culto più puro ed intimo, non appoggiato a pratiche esterne (processioni, reliquie, confraternite). Si implorava un ritorno alle antiche tradizioni cristiane, un contatto diretto con la Scrittura e la liturgia, vissuta comunitariamente ed in modo attivo. Si era contrari alla devozione popolare, alle tradizioni mal fondate, all’Inquisizione e all’Indice, agli appoggi umani che proteggevano le immunità e i privilegi al fine di rinnovare la Chiesa. I giansenisti italiani si distinguevano per la loro pietà, austerità, erudizione, scienza, ma erano insofferenti dell’autorità romana, ostili ai Gesuiti. Centri di riferimento del Giansenismo italiano furono Pavia, Pistoia (Scipione de’ Ricci, capo dei vescovi riformatori toscani), Roma (cardinali…), Napoli. In Italia il Giansenismo fu più moderato. Coloro che aderivano al movimento, condividevano solo alcuni suoi principi. Tra questi ricordiamo Antonio Ludovico Muratori. Egli era favorevole ad un clero nuovo, zelante, moderato, sensibile ai bisogni sociali e desiderava per la Chiesa tanta semplicità con un culto equilibrato, pellegrinaggi contenuti, limitazione delle feste, abolizione delle confraternite e dei conventi inutili.
A Pistoia nel 1786 il Giansenismo toscano tenne le sue riunioni sotto la guida del vescovo Scipione de’ Ricci e la protezione del Granduca Pietro Leopoldo. Al sinodo parteciparono circa 250 sacerdoti. Si pensava di formare una Chiesa nazionale, indipendente da Roma. Non tutto era negativo: si voleva un culto più puro ed una liturgia più vivace, con una maggiore partecipazione del laicato (lingua volgare, lettura ad alta voce delle preghiere della Messa, soppressione degli altari laterali, culto semplice, riforma del breviario, comunione dentro la Messa, eliminazione delle offerte per la Messa, equo stipendio dei preti). Però si giunse a dei toni antiromani ed anticuriali. Si condannarono la devozione al Sacro Cuore, gli esercizi spirituali e le missioni popolari, le manifestazioni spettacolari. Si desiderava esclusivamente una pietà fredda ed austera. Si accettava largamente il controllo dello Stato sulla Chiesa. Si guardava all’età antica come ai “tempi felici”, si esaltava il laicato e si auspicava una riduzione del potere papale. Tutti gli ordini religiosi dovevano essere fusi assieme, abrogando i voti di povertà e di obbedienza. Partendo da un buon desiderio di riforma della Chiesa, si arrivò poi all’esagerazione in tutti i campi.
Questo sinodo venne salutato con entusiasmo dai giansenisti europei, ma il Concilio nazionale di Firenze del 1787, riprovò tutti i decreti emanati dal Ricci, che alla partenza del Granduca per Vienna (1790), privo del suo appoggio, rassegnò le sue dimissioni. La Santa Sede con la Bolla Auctorem Fidei del 1794 censurò decisamente le deliberazioni del Sinodo di Pistoia(18).  Il Ricci, incontrandosi col papa Pio VII a Firenze, si sottomise formalmente alla Chiesa, con una abiura esteriore. C’è chi parla del Giansenismo italiano in questi termini: Da Pistoia al Vaticano II, specialmente in riferimento allo sviluppo della liturgia, si nota una certa continuità logica. Nella storia ogni cosa ha il suo tempo di maturazione e di purificazione, di decantazione…


GIUDIZI  SUL  GIANSENISMO


POSITIVI: stimolo a ravvivare il senso del mistero; esaltazione dell’onnipotenza divina da venerare in silente adorazione. Reagì alla tiepidezza dei compromessi col mondo. Promosse un culto più puro, nutrito dalle fonti più solide. Anelito ad una maggiore interiorità.
NEGATIVI: esaltando la dignità e l’eccellenza dell’Eucarestia, impose condizioni molto severe per accostarsi ad essa; allontanò i fedeli dalla frequenza dei sacramenti. Con il suo rigorismo celebrò troppo la Grazia di Dio, svalutando la collaborazione umana. Propose ai fedeli un ideale di vita cristiana difficile ed arduo da raggiungere, anzi, attraverso lo scoraggiamento, alcuni trovavano un comodo pretesto per rinunciare alla lotta alle passioni, per sfuggire le proprie responsabilità e desistere da ogni sforzo di rinnovamento interiore. Se tutto dipende dalla Grazia, se manchiamo di vera libertà interiore, a che varrebbero i nostri sforzi? Attenzione: gli estremismi generano altri estremismi (il rigorismo generò nuovo lassismo…).
L’ecclesiologia giansenista era impostata su una chiesa di pochi eletti, una società chiusa (intellettuale). Queste sono tentazioni ricorrenti nella storia della Chiesa: Ippolito, Novaziano, Catari, Valdesi, movimenti moderni… Il Dio dei giansenisti va adorato, è incomprensibile, inaccessibile, decide arbitrariamente la sorte degli uomini, non è un Dio che ama, aspetta, perdona. Nessun valore per loro hanno il rosario, le novene, i canti popolari, le devozioni, le reliquie. La Chiesa rispose grazie all’aiuto dei Redentoristi e dei Gesuiti, di Pio IX, favorendo la pietà popolare, la frequenza dei sacramenti, le pratiche di pietà, la devozione per il Sacro Cuore e per la Madonna. Essa andò contro il rigore giansenista e ai loro concetti di predestinazione. Nella storia della Chiesa vinse la semplicità di un papa Giovanni XXIII, con la sua pietà semplice e spontanea attestata nel suo Giornale dell’Anima. La Chiesa rifiutò ancora una volta di essere un gruppo scelto, volle continuare ad essere lo strumento di salvezza per tutta l’umanità. Parlare di “ritorno alle fonti” nella storia della Chiesa rimane sempre un concetto ambiguo: il tentativo di ritornare alle fonti rivela in sostanza un’assenza di chiaro senso storico, perché ricostruisce il passato in modo arbitrario e non tiene conto dell’irreversibilità del divenire storico (Martina dixit). I giansenisti credevano nei dogmi, ma come li aveva interpretati Agostino. Un Agostino a sua volta interpretato soggettivamente e arbitrariamente fuori del suo contesto storico, era la loro norma di fede e non la Chiesa, non Roma.
A causa della battaglia contro il Giansenismo, la Chiesa spese molte energie, distraendosi da altri compiti più vitali e necessari in quel periodo storico (Illuminismo). I giansenisti finirono per consegnare la Chiesa al potere civile e spogliarono la Rivelazione del suo carattere esterno e spirituale. Essi favorirono le teorie del gallicanesimo (superiorità del concilio sul papa, episcopalismo).


IL GALLICANESIMO ( EPISCOPALISMO E FEBRONIANESIMO)


In Francia da molto tempo era diffuso uno spirito diffidente verso l’autorità romana, uno spirito geloso della propria autonomia ed indipendenza, uno spirito molto attaccato alle proprie consuetudini. L’episcopato francese difese le libertà della Chiesa anche contro i re e si dimostrò fedele verso Roma. Le tensioni con Roma sorsero, probabilmente, non tanto per la mancanza di un senso ecclesiale, quanto, piuttosto, per una concezione ecclesiale, che riconosceva delle prerogative particolari all’episcopato locale. Il Gallicanesimo si presenta come una teoria di politica-ecclesiastica, che accompagnò la nascita della Chiesa gallicana e che diede nome a tutte le tendenze miranti alla creazione di chiese nazionali. Queste tendenze ebbero origine in Francia, a partire dalle lotte per le investiture e in Inghilterra per la nomina degli arcivescovi e divennero più concrete con Filippo il Bello, con la “cattività avignonese” e nello Scisma d’Occidente. Si sosteneva che il papa in Francia non aveva alcun potere temporale e che il suo potere spirituale era limitato dal potere del re (nomina dei vescovi e giuramento di fedeltà, controllo sulla Chiesa). In altri stati si parla della stessa teoria sotto il nome di giurisdizionalismo (chiese di stato).               Il Vaticano I (1870) condannò drasticamente le tendenze gallicane, riemerse con forza durante la Rivoluzione francese (Costituzione civile del clero) ed il Concordato del 1801 con Napoleone.
Anche in Germania era viva l’opposizione alla centralizzazione romana, come si deduce dalle continue lamentele sulle tasse e le ingerenze della Santa Sede. I lamenti riguardavano il fiscalismo della Curia romana, l’obbligo dei vescovi di rinnovare ogni 5 anni le loro facoltà, il conferimento dei benefici solo da parte della Santa Sede, lo strapotere delle nunziature.
Il vescovo coadiutore di Treviri, Nikolas Hontheim (1701-1790) sollevò acutamente la questione. Egli studiò a Lovanio sotto il noto giurista Van Espen, il cui trattato Jus ecclesiasticum era stato messo all’Indice. Nel 1763 pubblicò sotto lo pseudonimo Justinus Febronius (sua nipote Giustina si era fatta monaca col nome di Febronia) il libro: De statu Ecclesiae et de potestate legittima Romani Pontificis liber singularis, ad reuniendos dissidentes in religione compositus. Per lui l’autorità suprema della Chiesa primitiva risiedeva nei vescovi e nel concilio. Ecco il vero episcopalismo. Il papa per lui godeva certamente di un particolare primato, ma si tratta di una preminenza honoris, directionis et inspectionis. Il papa sarebbe un delegato del concilio, che può sorvegliare l’applicazione dei decreti di un concilio, può prendere delle decisioni dogmatiche e disciplinari, che in ogni caso devono avere l’approvazione delle Chiese nazionali e delle diocesi. Qui diventa importante il consenso dell’episcopato. All’episcopato sono stati usurpati lungo la storia tantissimi diritti da parte dei papi. Gli stati, mediante l’uso del placet, possono aiutare i vescovi a rivendicare quei diritti che erano loro propri. Era possibile convocare liberamente sinodi provinciali e nazionali sotto la tutela degli stati, ai quali è permesso di procedere contro il papa anche con l’uso della forza.
L’opera di Febronio riscosse subito un grande successo, grazie anche alla curiosità di scoprire chi fosse il vero autore. I vescovi tedeschi accolsero con simpatia l’opera condannata decisamente da Roma. Il trattato cominciò a girare per tutta l’Europa. Esso uscì in 4 edizioni. Rispose a Febronio il gesuita Zaccaria, con l’ Antifebronio. Febronio rimase stabile nella sua sede grazie all’appoggio del suo arcivescovo, principe elettore e per la debolezza dei governi tedeschi. 3 vescovi principi elettori (Magonza, Treviri e Colonia), tramite i loro delegati a Coblenza nel 1769, sotto la guida dell’Hontheim cercarono di riformare le loro chiese. Nel 1778 l’Hontheim ritrattò le sue idee, ma si dubita della sincerità del suo gesto.
Nel 1786 ad Ems i tre vescovi decisero di passare all’azione con un programma particolare di riforme: a) limitare il potere papale in Germania b) riforme secondo le idee illuministe (studi, Chiesa nazionale).
Il nunzio apostolico Pacca riuscì ad opporsi egregiamente a questi tentativi di riforma. Inoltre, i vescovi suffraganei temevano lo strapotere dei metropoliti. Nel 1790 Hontheim moriva a Treviri e fece incidere nell’epigrafe della sua tomba: Tandem tutus, tandem liber, tandem aeternus.
Febronio, appoggiandosi sul potere statale per limitare l’invadenza romana sull’episcopato tedesco, pose le basi per un indebolimento della posizione dei vescovi rispetto alle autorità civili. Così i vescovi si ridussero progressivamente a divenire dei semplici funzionari statali. Egli non riuscì nell’altro intento annunciato nella sua opera (pretesto dell’opera): quello di riunire le Chiese tedesche. I protestanti erano ancora molto lontani dalla disponibilità a discutere sul primato papale (causa di divisioni) e sulle divergenze dottrinali.
Il febronianesimo condizionò le idee del Sinodo di Pistoia del 1786 e la Costituzione civile del clero in Francia nel 1790 (estremo tentativo di rottura con Roma). In Francia si giunse a definire l’elezione dei parroci e dei vescovi e la relativa istituzione canonica da parte dei metropoliti. La Chiesa francese divenne veramente una Chiesa nazionale.
Dal Concilio di Trento al Vaticano I, nella Chiesa si scontrarono forze centripete e forze centrifughe: l’ultramontanismo e il gallicanesimo. Pio IX nel Vaticano I giunse ad affermare una rinnovata centralizzazione della Chiesa romana. Il Vaticano II, col riconoscimento della collegialità dei vescovi e con l’accentuazione pratica della loro autorità, ha compiuto un passo decisivo verso un nuovo equilibrio, fondato sulla cooperazione armoniosa del centro con la periferia.
Dobbiamo sottolineare come gli ultimi 3 argomenti trattati, siano correlati tra loro e come si intrecciano tra di loro: Illuminismo, Gallicanesimo (febronianesimo) e Giansenismo. Le idee di Febronio trovarono una buona applicazione in Giuseppe II d’Austria e nel fratello Pietro Leopoldo I di Toscana.

       
LA SOPPRESSIONE DELLA COMPAGNIA DI GESù (1773)


 I Gesuiti sono sempre stati una forza considerevole ed in prima linea all’interno della Chiesa cattolica. Forse anch’essi esagerarono nelle loro posizioni ed idee.    I Gesuiti erano i principali nemici dei giansenisti per la loro adesione alle idee del probabilismo. I Gesuiti furono accusati di ammettere nelle loro missioni usi e riti ritenuti idolatrici, in chiaro contrasto con le direttive della Santa Sede (riti cinesi). Non mancavano professori di università gelosi della presenza qualificata dei Gesuiti negli ambienti culturali più importanti (manteisti). Ci fu qualche gesuita che non si comportò bene e che non mancò di provocare incidenti diplomatici qua e là. La Compagnia di Gesù si era inserita anche troppo tra gli ambienti curiali e nelle corti europee. Furono soprattutto i Borboni a scatenare un assalto senza quartiere nei confronti dei Gesuiti, con l’appoggio dei loro ministri “illuminati”.
Nel 1750 gli indiani raccolti dai Gesuiti nelle cosiddette “riduzioni” del Paraguay, insorsero contro la Spagna. I Gesuiti furono subito visti come i sobillatori della ribellione e accusati di possedere in quelle terre enormi ricchezze. Il primo ministro portoghese Pombal scatenò un’accesa polemica contro i Gesuiti per la questione delle “riduzioni” e per la gelosia di vederli influenti a corte. A causa degli eccessi di un predicatore (Malagrida), tutti i Gesuiti furono sospesi dalla predicazione e dalle confessioni. A causa di un attentato contro il re, i Gesuiti furono coinvolti nelle accuse. I Gesuiti stranieri furono espulsi senza niente e i Gesuiti portoghesi incarcerati. Il predicatore Malagrida venne giustiziato.
In Francia i Gesuiti erano attaccati dai giansenisti, dagli illuministi e da alcuni membri del governo. Il padre Lavallette, economo delle missioni, combinò dei pasticci finanziari, si coprì di debiti e dichiarò il fallimento dell’attività missionaria. Egli venne espulso e fece ricorso, ma venne di nuovo condannato dal Parlamento di Parigi, che approfittò per emanare delle leggi contro i Gesuiti. Il re propose di creare un ramo nazionale dei Gesuiti, ma l’idea venne respinta dal papa Clemente XIII, che affermò: sint ut sunt, aut non sint. Nel 1762 il Parlamento francese decretò lo scioglimento della Compagnia in Francia. Il papa difendeva i Gesuiti, ma contro di loro non era tanto la nazione francese, quanto, piuttosto, l’Illuminismo. Nel 1758 vennero accusati anche di aver collaborato ad un attentato contro il re Luigi XV.
            Nel 1767 i Gesuiti in Spagna vennero arrestati in una sola notte, accompagnati nei porti ed imbarcati per Civitavecchia, il porto dello Stato Pontificio. Le motivazioni della loro espulsione non erano assolutamente chiare. Molto ostili a loro erano alcuni ministri (Aranda, Campomanes) ed, inoltre, il Generale degli Agostiniani, il ministro napoletano di Carlo III, Tanucci, notoriamente antiromano.
I vari ministri cercavano di creare un caso “Gesuiti” per addossare su di loro i problemi del paese (come Nerone!). Le accuse contro di loro: ricchezza, esagerata obbedienza al papa ed infedeltà allo Stato, dottrine pericolose (tirannicidio e probabilismo), opposizione ai sovrani, tendenze ostili alla monarchia. Vennero espulsi anche i Gesuiti presenti nell’America Latina e nelle Filippine. Dai territori spagnoli furono allontanati 5.000 Gesuiti. 700 Gesuiti lasciarono la Compagnia. Il papa si rifiutò di accogliere i Gesuiti a Civitavecchia, in segno di protesta contro il comportamento del re Carlo III. Essi trovarono rifugio in Corsica, ma nel 1768, l’isola passò sotto il dominio francese. A questo punto il papa li accolse nello Stato Pontificio. I parenti dei Borboni attuarono la stessa politica della Spagna nei loro territori e così i Gesuiti furono espulsi da Napoli, da Parma e da Piacenza. Anche Malta fece allontanare i Gesuiti. Clemente XIII protestò per la politica antiecclesiastica francese e la Francia reagì occupando Avignone, mentre Napoli occupò Benevento. Condizione posta perché il papa potesse riavere le sue terre, era quella di sopprimere la Compagnia di Gesù. Agli inizi del 1769 il papa Clemente XIII morì.
Il nuovo papa Clemente XIV (Lorenzo Ganganelli, ofm conv.) cercò di riconquistare prestigio presso le corti europee. Egli era un uomo piuttosto debole, incapace di prendere posizione. In passato era stato amico dei Gesuiti. Subito dopo la sua elezione ci furono delle nuove e forti pressioni borboniche contro la Compagnia. Il papa si era circondato di collaboratori venali e poco sinceri. A Roma nel 1772 giunse un nuovo ed abilissimo ambasciatore spagnolo, il Moñino, che d’accordo con l’ambasciatore francese, il cardinale De Bernis, minacciò al papa la soppressione di tutti gli ordini religiosi. Il papa diede il comando di preparare il Breve di soppressione dei Gesuiti su uno schema fornito dall’ambasciatore spagnolo. Anche Maria Teresa d’Austria dovette accondiscendere ai desideri degli altri stati circa la soppressione dei Gesuiti, per favorire il matrimonio di Maria Antonietta (ghigliottinata nel 1792) con Luigi XVI.
Il 12 agosto del 1773 Clemente XIV firmò il Breve Dominus ac Redemptor.               Il Breve pontificio ricordava le varie accuse mosse contro i Gesuiti da parte di alcuni Stati e riconosceva la necessità della scelta della soppressione in nome della pace.    A Roma i Gesuiti vennero arrestati il 16 agosto ed il padre Generale Ricci fu condotto in prigione a Castel S. Angelo, dove venne inscenato un processo. Clemente XIV morì nel 1774 ed il nuovo papa Pio VI avrebbe certamente liberato il Ricci dalla prigione, ma questi morì nel 1775. Sul letto di morte il Ricci protestò ancora una volta la sua innocenza e quella di tutto l’Ordine. Si disse che San Paolo della Croce, abbia incoraggiato il papa Clemente XIV nella soppressione dei Gesuiti per succedere a loro in alcune case romane. Non ci sono prove in merito! In Polonia, Caterina di Russia permise la sopravvivenza di alcuni Gesuiti. La Compagnia di Gesù venne ristabilita da Pio VII nel 1814. Ecco dove arrivarono la tolleranza dell’Illuminismo e le aperture del liberalismo anticlericale!


PIO VI  E  PIO  VII


PAPA PIO VI


Giovanni Angelo Braschi nasce a Cesena il 25 dicembre 1717 da una nobile famiglia. Studia presso i Gesuiti e all’Università di Ferrara (dottore in utroque iure). Nel 1755 fu nominato canonico della Basilica di San Pietro. Fu collaboratore del papa Benedetto XIV e Tesoriere della Camera Apostolica. Nel 1773 fu creato cardinale. Dopo 4 mesi di sede vacante, nel 1775 venne eletto papa col nome di Pio VI. Egli promise alla Francia di non ricostituire la Compagnia di Gesù.
Pio VI fu un papa amante delle lettere e mecenate munifico. Ampliò i Musei Vaticani. Invitò a lavorare artisti come Antonio Canova (egli stesso fu immortalato dall’artista). Riformò le finanze, curò le comunicazioni stradali, iniziò la bonifica delle Paludi Pontine. Egli fu l’ultimo dei papi nepotisti (2 nipoti: uno cardinale, uno duca).
In Austria regna Giuseppe II, che vuole controllare completamente la Chiesa. Il papa decide di recarsi in Austria, dove rimase circa 2 mesi. Egli ricevette grandi onori, ma il tutto fu un vero fallimento (a parte gli incontri con la gente per strada. Passò anche per Verona). L’imperatore pretendeva il giuramento dei vescovi, controllo della liturgia e dei seminari, chiusura dei conventi.
Altri attriti il papa li ebbe col Regno di Napoli, con la Germania, con la Russia, con la Toscana di Leopoldo II e del vescovo di Pistoia Scipione de Ricci (Sinodo del 1786, sconfessato nel 1794).
I problemi più grossi il papa li ebbe con la Francia, in piena Rivoluzione. La “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” proclamò l’illimitata libertà di coscienza e di culto nel 1789. L’anno seguente venne emanata la “Costituzione civile del clero” (vescovi e parroci eletti dai cittadini, indipendenza da Roma, giuramento di fedeltà alla nazione e alla costituzione). Il clero si divise in due: preti costituzionali e preti refrattari (come in Cina oggi). Il papa condannò la Costituzione  e i sacerdoti che avevano giurato. Conseguenza: perdita di Avignone.
I sacerdoti refrattari vennero perseguitati, gettati in carcere e deportati. Vietato l’uso dell’abito. Conventi soppressi. 1792-1793: abolizione della monarchia. Ghigliottina per Luigi XVI e Maria Antonietta d’Austria. 22 settembre 1792: inizio del nuovo Calendario repubblicano. 23 novembre 1793: il cristianesimo è abolito. Culto alla Ragione e all’Essere Supremo. Celebrazioni sacrileghe profanarono Notre-Dame. Siamo in pieno ateismo. L’ostilità verso il cristianesimo si concluse con Napoleone nel 1799.
Napoleone invase l’Italia, portandosi via opere d’arte e codici antichi. Egli vendette all’Austria la Repubblica Veneta. Il 19 febbraio 1797 si ebbe la Pace di Tolentino tra il papa e Napoleone, che si prese la Romagna e praticamente le Marche e l’Umbria.
Intanto a Roma è tutto un susseguirsi di attentati e rivolte filo francesi. Un generale francese, a nome del Direttorio, pretese soldi, Castel S. Angelo, ostaggi, opere d’arte… Al Campidoglio fu piantato l’albero della libertà.  Venne proclamata la Repubblica romana (2°). Il papa ottantenne non riconobbe la Repubblica e affermò di non aver paura di nessuno e di poter sopportare con fermezza qualsiasi sofferenza.    Il Vaticano fu invaso. Mobili e stanze furono suggellati. Il 20 febbraio 1798 si fece salire il papa su una carrozza per trasferirlo a Siena. Non si contano le rapine e i saccheggi. Ci furono delle rivolte di persone fedeli al papa, ma essi furono facilmente sconfitti e fucilati.
Il papa da Siena passò alla Certosa di Firenze e poi per Parma e Torino, per giungere in Francia stanco, ammalato, prigioniero di Stato. Il 29 agosto del 1799, logorato dai patimenti fisici e morali, la morte lo liberò dalle sue lunghe sofferenze. La salma fu trasferita a Roma per ordine di Napoleone nel 1802. La statua in suo onore è ben visibile nelle grotte vaticane. Suggestive le sue parole scritte pochi giorni prima della morte: Le tante tribolazioni che troppo Ci hanno colpito, Ci avrebbero sopraffatto se la grazia di Gesù Cristo non Ci avesse aiutato.


PIO VII


Luigi Barnaba Chiaromonti nacque a Cesena il 14 agosto del 1742, da famiglia aristocratica. Dopo la morte del padre e il ritiro della madre in convento, Barnaba iniziò a studiare presso i Benedettini. A Padova studiò teologia, poi raggiunse Roma, studiando nel collegio di S. Anselmo e risiedendo nell’abbazia di S. Paolo fuori le Mura. Insegnò teologia a Parma. Divenne vescovo di Tivoli e poi vescovo-cardinale di Imola. Anche da papa continuò ad essere vescovo di Imola. Celebre è il passaggio di una sua omelia nel 1797: Siate dei buoni cristiani e sarete dei buoni democratici, parole accolte con molto favore. Egli fu eletto nel conclave di Venezia, dopo mesi di sede vacante, sotto la protezione dell’Austria, presso il monastero di San Giorgio. Nel 1800 non ci fu il Giubileo, causa sede vacante e tensioni internazionali. Egli era un uomo molto intelligente, abile, ostinato, pastore universale. Lo affiancava il grande Segretario di Stato Ercole Consalvi.
Intanto Napoleone nel 1800 riconquista l’Italia e fonda la Repubblica Italiana (Cisalpina). Napoleone, sfidando intellettuali ed illuministi si avvicinò al papa, affermando: Ho bisogno del Papa… lui solo può riorganizzare i cattolici di Francia nell’ubbidienza repubblicana. (Se non ci fosse bisognerebbe inventarlo: il cattolicesimo, col papa, aveva tenuto insieme la famiglia e il borgo, aveva difeso alcuni valori e nei riti aveva dispensato commozione e spiritualità).
Nel 1801 ecco il Concordato con la Chiesa, modello per i vari concordati. Esso sosteneva che la religione cattolica apostolica romana era la religione della grande maggioranza dei cittadini francesi e che poteva liberamente e pubblicamente essere praticata, nell’osservanza tuttavia delle prescrizioni di polizia. Tutti i vescovi dovevano essere rinnovati ed eletti da Napoleone. Essi dovevano giurare fedeltà allo Stato; la Chiesa rinunciava ai beni perduti e sarebbe stata mantenuta (i vescovi) dallo Stato. La Chiesa col Concordato ripristinava il culto e scampava il pericolo di uno scisma.  
 Ma Napoleone non mantenne i patti, volendo controllare su tutto la Chiesa (i 77 Articoli Organici del 1802). Il papa protestò. Nel 1803 Napoleone emanò un Concordato simile per l’Italia. Soppresse diocesi, abbazie antiche. Tale Concordato entrò in vigore nel 1805. I religiosi furono limitati e controllati in tutto: numero di conventi, età, rendite, studi, curie, attività… Nel 1804 Napoleone voleva essere incoronato imperatore dal papa a Parigi. Il papa si mise in viaggio. Napoleone andò incontro al papa amichevolmente. La gente correva a vedere il papa e ciò infastidiva Napoleone. L’imperatore per l’incoronazione a Notre-Dame chiese di creare il più grande spettacolo della storia. Si presero dei pupazzi per delle prove generali.
La notte prima dell’incoronazione Giuseppina, presa dai rimorsi di coscienza, andò dal papa, rivelandogli che lei e Napoleone erano conviventi. Ciò poteva invalidare l’incoronazione e compiere un sacrilegio. Ella riuscì a convincere Napoleone a celebrare segretamente il matrimonio religioso. Il papa celebrò il matrimonio e non il parroco di Napoleone che era in Corsica. Per il divorzio Napoleone dirà che il matrimonio fu invalido perché non celebrato dal suo parroco!
Napoleone giunse all’incoronazione con 3 ore di ritardo, mentre una folla immensa lo aspettava! La cerimonia durò molte ore. Ed ecco la sorpresa: un attimo prima dell’incoronazione Napoleone, invece di ricevere dal papa la corona, se la prese e se la mise in testa da solo e così fece con Giuseppina. Napoleone non dipendeva da nessuno, neanche dal papa, inutile comparsa. Napoleone guardava a Cesare, a Traiano, a Diocleziano, uomini che dovevano tutto a se stessi; un potere che non hanno ereditato, ma nel prenderlo hanno saputo esercitarlo. Appena si è seduto sul trono si è sentito perfettamente a suo agio, nessun segno di incertezza o di imbarazzo; si sente Imperatore nato. Ha l’impressione di essere un Cesare predestinato, Cesare dalla nascita. Del resto sua è la frase: Cesare si nasce, non si diventa. Per giorni all’incoronazione seguirono feste, banchetti, fuochi d’artificio.     Il papa rimase a Parigi dal novembre 1804 all’aprile 1805. Napoleone cercava di trattenere il papa in Francia per dominarlo, ma il papa aveva già sottoscritto per sicurezza un documento di abdicazione. Napoleone lo lasciò partire. Il papa fu a Roma dopo sette mesi di assenza.
Tra Napoleone e il papa continuarono i dissapori, le violenze, le vendette, le occupazioni militari, le pressioni psicologiche, le dimissioni del Consalvi. E il papa protestava…, inutilmente. Il papa affermava: Io sono rassegnato a tutto e pronto, se lo desidera (Napoleone), ritirarmi in un convento o nelle catacombe di Roma, secondo l’esempio dei primi successori di San Pietro.
Nel 1808 i Francesi occuparono nuovamente Roma. 4 cannoni erano posti in piazza del Quirinale con la bocca rivolta al Palazzo Pontificio. Il papa protestò e in un colloquio con un generale francese disse: Siate pur certo che, malgrado tutti i tormenti che mi si sottoponete, la Chiesa non perirà mai e, dite al vostro Imperatore che si sta scavando la fossa con le proprie mani.
Napoleone dopo altri gravi scontri ed insulti al papa, decise di farlo arrestare.  Il papa aspettava sereno. Salì in carrozza col breviario e un crocifisso.  Anche Pio VII passò per la Certosa di Firenze. Ad Avignone il papa era ingombrante per Napoleone e così lo rispedì in Italia, a Savona, dove apparentemente era libero ed incontrava pellegrini, ma in realtà era prigioniero e spiato. Napoleone dominava completamente Roma.  Egli volle divorziare da Giuseppina per sposare Maria Luisa d’Austria. Il divorzio fu accolto da un tribunale ecclesiastico non autorizzato. 13 cardinali non parteciparono al matrimonio e furono degradati (cardinali neri).  Napoleone volle indire un concilio e pretese l’istituzione canonica di alcuni vescovi. Il papa stanco e depresso accettò, ma poi si pentì. Il concilio fu convocato per pochi giorni a Parigi, poi fu sciolto, poi riaperto… Napoleone fece portare il papa a Fontainebleau, anche se era stanco ed ammalato. Intanto Napoleone va in Russia: è l’inizio della fine! Il papa ritrattò le sue concessioni fatte a Napoleone, non cedette ad altre pretese e il 24 maggio 1814, da Savona, rientrò a Roma, con un solenne ingresso. Napoleone fu all’isola d’Elba, seguirono i 100 giorni e il papa si rifugiò a Genova.
Unico vincitore morale sul geniale eroe della storia mondiale fu Pio VII che, il 23 giugno 1815, caduto definitivamente Napoleone, concedeva un generale perdono a tutti. Il 30 luglio 1815 il papa ristabilì la Compagnia di Gesù. Il Consalvi a Vienna ottenne la restituzione dello Stato Pontificio.
Pio VII morì all’età di 81 anni, stremato dalle fatiche, il 20 agosto del 1823, dopo 23 anni di pontificato. Egli aveva affermato: Noi siamo rappresentanti di Colui che è il Dio della pace e che, nascendo per redimere il genere umano dalla tirannide del demonio, volle annunciare la pace agli uomini; abbiamo creduto che questo sia proprio di quella funzione apostolica che, sebbene senza merito, esercitiamo.  


LA QUESTIONE ROMANA


Per “Questione romana” si intende un problema politico concernente la legittimità del potere temporale dei papi e, la sopravvivenza di uno Stato pontificio indipendente con piena sovranità sulla città di Roma, dopo l’unificazione italiana(19). Benché il problema fosse stato ampiamente dibattuto anche nel ‘700, la questione assunse una concreta rilevanza politica nel momento in cui la formazione dello Stato italiano si compì a danno dello Stato della Chiesa. I plebisciti del 1860, che tolsero a Pio IX le legazioni, le Marche e l’Umbria, e più ancora l’orientamento anticlericale di una porzione consistente della classe dirigente, innescarono un intenso travaglio politico-diplomatico, caratterizzato, in una prima fase, dalla soluzione di compromesso della Convenzione di settembre del 1864 (accordo tra il governo italiano e quello francese, che prevedeva il graduale ritiro delle truppe di Parigi da Roma e il contestuale principio del non intervento; l’impegno italiano a impedire qualsiasi attentato contro l’integrità dello Stato della Chiesa e a trasferire la capitale da Torino a Firenze entro 6 mesi), poi, caduto Napoleone III e occupata Roma, dal varo della legge delle Guarentigie del 1871 (atto unilaterale con il quale il governo italiano regolò i propri rapporti con il Vaticano dopo l’occupazione di Roma del 1870. Restò in vigore fino al Concordato del 1929. Respinta dal papa, gli assicurò tuttavia il libero esercizio del potere spirituale, l’inviolabilità e l’immunità dei luoghi ove risiedeva).
Nell’800 la Chiesa fu guidata da papi come Pio VII  (1800-1823) o, meglio, dal Segretario di Stato Consalvi. Nel 1816 si tentò di rinnovare e riordinare l’amministrazione dello Stato pontificio dopo le bufere francesi e napoleoniche. A lui seguì Leone XII (Annibale Della Genga, 1823-1829). Il Consalvi venne rimosso e si ristabilirono alcuni antichi privilegi; la città di Roma venne sottoposta ad una certa moralizzazione, che ricordava quella di Pio V (frizzi del Belli).
Dal 1829 al 1830, con Pio VIII (Francesco Saverio Castiglioni) si ebbe una politica pontificia più moderata.
Solamente dopo un anno, venne eletto Mauro Cappellari (1831-1846), che prese il nome di Gregorio XVI. Fu molto intransigente, anche se fu assai lungimirante nell’attività missionaria, dove venne riconosciuta l’indipendenza di diversi nuovi stati. Egli era un monaco che condannò severamente la libertà di coscienza e l’indifferentismo. Si oppose all’illuminazione a gas e alle ferrovie. Le condizioni dello Stato pontificio erano disastrose.
Nel 1846 venne eletto papa Pio IX (Giovanni Mastai Ferretti), che era vescovo di Imola. È il più lungo pontificato della storia della Chiesa (a parte S. Pietro): 1846-1878. Era un esperto amministratore, ma preferì vivere da vero pastore. Era devoto, spirituale, buono, cordiale, brioso, simpatico. Fu subito accolto con entusiasmo e considerato un papa liberale. Il nuovo papa era molto emotivo e si impressionava facilmente, cedeva alle prime emozioni, faceva subito grandi promesse, che poi era costretto a ritrattare. In politica si dimostrò spesso oscillante ed incerto. Preso da un certo pseudomisticismo, attendeva che le soluzioni dei problemi venissero dal cielo. Era, quindi, privo di spirito d’iniziativa. Dal punto di vista teologico non era molto preparato. Nelle controversie dottrinali (germi di modernismo) colse spesso solo gli aspetti negativi. Lo affiancava come segretario di Stato, il cardinale Antonelli, un uomo mondano, preoccupato di accumulare ricchezze. Era solo diacono. Fu, tuttavia,  fedele ai suoi doveri, ma senza un’autentica pietà. Conduceva volentieri il doppio gioco. Possedeva una grande capacità amministrativa. Egli completava le lacune di Pio IX. L’Antonelli era favorevole al dispotismo illuminato, alle riforme, ma detestava l’esaltazione della libertà. Difese ad oltranza il potere temporale del papa, nonostante questo passo fosse chiaramente votato all’insuccesso.
Gioberti accolse con smisurato entusiasmo l’elezione pontificia di Pio IX (che concesse subito un’amnistia per i reati politici e una certa libertà di stampa; creò una guardia civica), che secondo lui poteva essere il principe della Federazione degli Stati italiani. Pio IX era disposto a concedere delle riforme, ma non aveva in mente nessun piano o progetto preciso; era contrario alla laicizzazione amministrativa e alla concessione di una costituzione nazionale. Le relazioni con l’Austria (influente peso politico) erano molto ambigue da parte del papa. Pio IX, contraddittorio, fu ritenuto per 2 anni un papa liberale. Ma fu un grave equivoco. Il papa si lasciò eccitare dagli entusiasmi dei liberali. Il 29 aprile del 1848, la celebre Allocuzione (rifiuto del papa a prendere parte alla guerra contro l’Austria cattolica, inconciliabile con il suo ruolo universale), risolse ogni dubbio. Il papa venne odiato e considerato un traditore. L’anarchia romana prese il potere ed il papa lasciò Roma. Vi poté tornare con l’appoggio armato francese ed austriaco. Il papa si irrigidì nelle sue posizioni, divenne avverso ad ogni concessione e sospettoso verso ogni aspirazione di libertà. Da questo momento tutta la Chiesa ufficiale cadde in un irrigidimento generale nei confronti del mondo moderno.
Nel 1849 ci fu dunque un effimero Stato democratico creato a Roma, in seguito ai fatti del 1848. Il 15 novembre del 1848 venne assassinato Pellegrino Rossi, primo ministro laico di Pio IX. Il papa fuggì a Gaeta e poi a Napoli, presso Ferdinando II di Borbone. A Roma venne costituito un triumvirato: Armellini, Montecchi, Saliceti. Più tardi si aggiunsero Mazzini e Saffi. A Roma in quel periodo accorsero anche Mameli, Garibaldi e Pisacane.  Dopo un mese di assedio sul Gianicolo ad opera dei francesi, i repubblicani romani ed italiani capitolarono. Nel 1850 Pio IX rientrò a Roma, accolto con rispetto, ma non più con entusiasmo. Il papa trattò con Rosmini sulla possibilità di creare una federazione italiana di stati, una lega per avere la possibilità anche di condurre delle guerre contro altri stati europei, senza che la responsabilità ricadesse sul papa. L’opposizione del Regno di Sardegna fece fallire questo disegno (Gioberti, Rosmini). Carlo Alberto di Savoia aveva ben altre ambizioni. Per questo si dice che il risorgimento italiano nacque cattolico e divenne anticlericale a causa dell’opposizione dei Savoia. Dopo tutti questi problemi la Santa Sede si ripiegò fortemente sulla sua missione pastorale, approfondendo sempre di più il solco tra la Chiesa ed il mondo moderno. A Roma il papa, con l’appoggio dell’Antonelli, intraprese alcune opere pubbliche, diede maggiore autonomia ai municipi, attuò delle riforme amministrative e giudiziarie. Lo Stato pontifico si trovava in una difficile e stagnante situazione economica, con una diffusione enorme di un ben organizzato brigantaggio.
Cerchiamo di schematizzare i fatti concernenti la questione romana:


1859 -1861


Nel 1859 il Piemonte dichiarò guerra all’Austria. L’Emilia Romagna, la Toscana, l’Umbria insorsero contro lo Stato pontificio. La rivoluzione venne repressa a Perugia (25 morti). Questo fatto attirò molte critiche sul potere temporale della Chiesa. Intanto, l’Emilia Romagna era perduta. Napoleone III suggeriva al papa di accontentarsi di un piccolo staterello. Pio IX rimase offeso dalla proposta. In alcune città dello Stato pontificio si tenevano dei plebisciti per l’annessione al nascente Regno d’Italia. Nel 1860 Pio IX scomunicava coloro che favorivano il moto unitario italiano nei suoi territori. Non si diede peso a questo tipo di scomuniche. Nello stesso anno Garibaldi invase il Regno di Napoli a partire dalla Sicilia. Lo sosteneva il Cavour, che forzò i confini ed entrò nello Stato pontificio. Al papa ormai restava solo il Lazio. Il Cavour iniziò trattative segrete col papa, perché rinunciasse al potere temporale; in cambio alla Chiesa sarebbe stata garantita molta libertà d’azione. Tuttavia, in Piemonte il Cavour emanava delle leggi contro i religiosi! Molta era la diffidenza a Roma per la politica del Cavour. Il 17 marzo del 1861 venne proclamato il Regno d’Italia. Il papa rispose deplorando le usurpazioni e le persecuzioni nei confronti della Chiesa. Cavour era convinto che l’Italia era una nazione cattolica, che non aveva bisogno di uno Stato pontificio o di concordati. Nel 1861 il Cavour morì, ricevendo i sacramenti da un frate francescano. Pio IX interdisse al francescano la facoltà di confessare e la cura parrocchiale.


1861 - 1870


Anche tra il clero stava maturando l’idea che il potere temporale aveva finito il suo corso. Con la Convenzione di settembre del 1864, Napoleone III ritirò le sue truppe da Roma e così si liberava da un pasticcio, in cui si era cacciato e, nello stesso tempo, dava un aiuto agli amici italiani, incamminati verso l’unità del paese. L’Italia doveva garantire il rispetto per la persona del papa. Nel luglio del 1870 le ultime truppe francesi lasciavano Roma per la guerra contro la Prussia.

Il 20 settembre 1870, dopo l’ultimo rifiuto a trattare per una occupazione pacifica di Roma da parte di Pio IX, l’esercito italiano entrò per Porta Pia (famosa breccia dei bersaglieri guidati da Cadorna). Furono subito ribadite le scomuniche del 1860. Nel maggio del 1871 abbiamo le Leggi delle Guarentigie. Il papa veniva considerato un suddito italiano, degno di onori sovrani, di una dotazione annua, il diritto ad avere dei rappresentanti diplomatici. Si limitava il diritto di proprietà degli ordini religiosi e degli enti ecclesiastici (exequatur sui beni e i benefici). Pio IX dichiarò nulla quella legge, rifiutò il denaro, prescrisse ai fedeli il non expedit, cioè l’astensione dalle elezioni politiche.
Nel 1878 (9 gennaio) nel palazzo del Quirinale moriva il re Vittorio Emanuele II, assolto dalle scomuniche in punto di morte. Il 7 febbraio dello stesso anno moriva anche Pio IX. Lo Stato pontificio nato nel 754 col patto tra Stefano II e Pipino, padre di Carlo Magno, finiva così nel 1870! Fine del potere temporale della Chiesa (struttura ormai anacronistica. Chiesa più pura e libera, evangelica).



 IL SILLABO DI PIO IX       


Gregorio XVI nel 1832 con la Mirari vos affermava che la libertà di coscienza e le altre libertà rivendicate dalla civiltà moderna, non erano permesse ai cattolici(20).    Si era convinti che la libertà avrebbe spalancato le porte all’indifferenza, all’anarchia, al comunismo. Il documento di Gregorio XVI lasciava aperte, comunque, alcune prospettive di conciliazione. Dopo i fatti del 1848 e 1849 la situazione nella Chiesa divenne più tesa e non mancarono le proposte di definire chiaramente gli errori della società moderna, da parte del vescovo Pecci (futuro Leone XIII) e da parte della “Civiltà Cattolica”, per influsso di Pio IX.  Si pensava che l’opportunità di esprimere le condanne della Chiesa verso le idee della società moderna (laicismo, liberalismo, indifferentismo, razionalismo, naturalismo, comunismo…il Manifesto è del 1848!), fosse possibile assieme alla proclamazione del dogma dell’Immacolata.
            In Francia il vescovo Gerbert di Perpignano pubblicò nel 1860 una lettera pastorale con un elenco di 61 errori moderni. Il testo piacque molto al papa. Esso divenne uno schema utile per il papa. La stampa diffuse voci sulle intenzioni pontificie e la Santa Sede rimandò la pubblicazione di un testo di condanna degli errori moderni, proprio a causa delle critiche pubbliche. Intanto ci furono delle discussioni sull’argomento da parte di vari teologi e studiosi (l’aperto Montalembert ed il conservatore Bilio, barnabita). Il Bilio lavorò anche per la redazione dell’enciclica Quanta cura (8 dicembre 1864)(21). In essa si trovava una sintesi degli errori moderni, più ampiamente elencati nel Sillabo(22). La Quanta cura era molto aspra nei suoi toni e molto negativa nella sua visione della società moderna. In essa si nominano le macchinazioni degli empi, che offrono promesse di libertà (illusioni), ma sono schiavi della corruzione, cercano di rovesciare le basi della Chiesa cattolica e della società, corrompono le menti, traviano le genti, corrompono specialmente i giovani inesperti…
            Il Sillabo è composto di 10 capitoli, contenenti 80 proposizioni. Gli errori sono divisi in 4 gruppi.
A) 1-18: panteismo, naturalismo, razionalismo, indifferentismo, l’incompatibilità tra ragione e fede.
B) 56-74: errori sull’etica naturale e soprannaturale, sul matrimonio, morale laica.
C) 19-55: errori sulla natura della Chiesa e dello Stato, relazioni tra i due  poteri. La Chiesa è indipendente, lo Stato è subordinato alla morale della Chiesa, che ha dei diritti naturali indipendenti dallo Stato. No al gallicanesimo e al giurisdizionalismo. No al liberalismo e alla separazione fra Stato e Chiesa.
D) 77-80: si alla religione di Stato (cattolica); esclusione degli altri culti. No alla libertà di pensiero e di stampa (1789). La proposizione 80 afferma che è falso dire che il papa deve riconciliarsi con il progresso, col liberalismo e con la civiltà moderna.
            Il testo presentava dei difetti di redazione a causa del Bilio e di Pio IX.             Il Sillabo condannava ogni tentativo di respingere o di limitare la presenza di Dio nel mondo. Venivano condannate in esso anche le società segrete, il socialismo ed il comunismo. Molto scalpore fu suscitato da questo scritto. Il papa, secondo qualcuno, si separava spontaneamente dal mondo civile! I cattolici liberali presero la botta decisiva: tutti i loro sforzi, dialoghi, speranze svanivano in un attimo! I reazionari avevano vinto. Gli scrittori cattolici cercarono di attenuare la gravità del Sillabo, ricorrendo, per esempio, i Gesuiti, alla distinzione sottile tra tesi (principio) ed ipotesi (applicazione). Qualcuno difese il papa sostenendo che era solo ed abbandonato da tutti, specie dalla Francia, che aveva messo il papa nelle mani dei piemontesi. Il papa era, dunque, una vittima. Il papa, diceva qualcuno, accetterebbe anche altre possibilità, ma come mali minori (tolleranza, libertà di culto, stato aconfessionale), ma non era la verità.
            Con Leone XIII ci furono le prime aperture dei papi, le prime risposte positive alle domande poste dal mondo contemporaneo. Papa Giovanni XXIII nella Pacem in terris parlava della coscienza retta. Il Vaticano II parla di libertà di coscienza e di culto, basandosi sulla dignità della persona umana e sul fatto che queste espressioni non sono di competenza statale(23).
            Pochi documenti pontifici ebbero la risonanza avuta dal Sillabo. Esso fu anche un esempio di coraggio, di fedeltà ai principi. Effettivamente fu antiveggente nei confronti dei pericoli insiti nel liberalismo (che giustificherà lo stato totalitario).        
Il Sillabo fu una medicina amara ma anche salutare. Per l’opinione pubblica esso fu anche simbolo di oscurantismo cattolico (come avvenne per Galileo). Il suffragio universale veniva, per esempio, condannato non in se stesso, ma perché faceva della volontà della maggioranza il criterio ultimo di verità e di giustizia (aborto, divorzio). Esso condannava una morale laicista, lo Stato etico, fonte di ogni diritto, non soggetto ad alcuna norma trascendente, soggettivo… E’ riaffermata la piena indipendenza della Chiesa ed il suo diritto di intervenire in ambito politico. La libertà di coscienza apriva la strada all’indifferentismo. È importante cogliere il contesto delle proposizioni! Il problema del Sillabo, semmai, è la sua mancanza di chiarezza. Condanna la libertà di coscienza, senza offrire adeguati chiarimenti.
            In conclusione, il Sillabo non fu in grado di offrire una risposta esauriente ai problemi del suo tempo. Esso manifesta una Chiesa col complesso di essere assediata, preoccupata di difendersi, incapace di comprendere le necessità dei fedeli e dell’umanità in quel momento storico. La Chiesa si irrigidì e divenne intollerante per la mancanza di un serio approfondimento teologico e antropologico dei problemi dell’epoca. Esso contribuì, indirettamente, a porsi di fronte al mondo con una certa coscienza della propria identità (seppur limitata) cristiana, senza cedere eccessivamente alle mode dei tempi. La Chiesa iniziò un cammino di approfondimento del suo magistero, che giunse poi alla Pacem in terris, col riconoscimento del diritto alla libertà di religione per tutte le religioni, con il principio che lo Stato deve difendere i diritti della persona umana e promuovere il bene comune dei cittadini. La Chiesa si avviava verso una grande e positiva evoluzione storica in dialogo con l’umanità, proprio a partire da un documento ritenuto intransigente ed intollerante. Altri pericoli attendevano la Chiesa dopo il liberalismo: il socialismo, il comunismo, il totalitarismo. Successivamente, la Chiesa si avvicinò ad un liberalismo più mitigato e democratico per affrontare queste nuove forze. Sembra un gioco d’equilibrio internazionale. La Chiesa coglie col tempo più chiaramente i vari aspetti delle questioni, ma è soprattutto la realtà stessa, in continuo divenire, a permettere o ad imporre atteggiamenti successivi diversi(24).


  IL CONCILIO VATICANO I         


Verso la fine del 1864 il papa Pio IX cominciò a pensare alla necessità di convocare un concilio per la Chiesa. L’ultimo concilio era stato quello di Trento ed erano già passati 3 secoli. Come il concilio di Trento era stato una risposta verso il protestantesimo, ora serviva dare una risposta contro il razionalismo del sec. XIX. Subito si sollevarono delle perplessità sulla necessità di convocare un concilio in quel momento: il potere temporale della Chiesa era in crisi e la Francia stava lasciando i suoi presidi militari di Roma. Nel 1867 il concilio venne annunciato ufficialmente e il 29 giugno del 1868 venne indetto con la bolla Aeterni Patris per l’8 dicembre 1869. Si invitarono al concilio gli aventi diritto. Questa volta non si rivolse l’invito ai capi di Stato: i tempi erano cambiati. L’invito venne esteso agli ortodossi, ai protestanti, forse con toni non adeguati, tanto che le altre Chiese colsero l’invito come una mancanza di rispetto o una provocazione. Si crearono delle commissioni per preparare degli schemi di lavoro, al fine di non perdere tempo come a Trento all’inizio del concilio. La commissione di lavoro preparò molti schemi, senza avere davanti un unico scopo, col rischio di disperdere ancora una volta molte energie. L’ordinamento del concilio venne imposto dall’alto. Tutto doveva svolgersi in fretta. Gli schemi di lavoro sarebbero stati esaminati da delle congregazioni generali.         Se venivano respinti, dovevano essere redatti nuovamente da una delle  quattro  commissioni del concilio: fede, disciplina, religiosi, riti orientali. Ogni commissione era composta da 24 membri.
            La notizia del concilio eccitò assai gli animi e l’opinione pubblica. Punto nodale del concilio sarebbe stata la definizione dell’infallibilità pontificia ed il papa, abilmente, si servì della “Civiltà Cattolica” per creare opinione favorevole a sé.        Si voleva giungere a proclamare questo dogma per acclamazione. Per qualcuno questo dogma avrebbe allontanato ancor di più la Chiesa dagli Stati. Alcuni ritenevano inutile questa dichiarazione dell’infallibilità, ma è vero che non tutti capivano bene l’evoluzione di questo dogma. Nella storia della Chiesa si poteva trovare qualche episodio, che attestava che alcuni papi avevano sbagliato nelle loro definizioni dogmatiche (Liberio nel IV sec. per le controversie ariane e Onorio nel VII sec. per la questione monotelitica). Si intuiva che questo passo storico avrebbe attribuito al papa dei poteri superiori a quelli dei comuni vescovi (gallicanesimo, episcopalismo).
            Il Döllinger (1799-1890), storico e teologo tedesco, con lo pseudonimo di Janus pubblicò in un periodico 5 articoli, sotto il tema: Il Papa e il Concilio, criticando coloro che erano favorevoli al dogma dell’infallibilità pontificia.           Egli riconosceva al papa un primato di giurisdizione, ma affermava che il papa nella storia aveva abusato del suo potere di intervenire dovunque e frequentemente.           Il papato era diventato una “struttura” pesante, grazie alle decretali del IX sec. (pseudo Isidoro) e all’azione di Gregorio VII, che trasformarono la presidenza petrina in impero assoluto… Secondo il famoso teologo, l’ultramontanismo ed il partito romano-gesuitico avevano contribuito a costruire il mito papale. Egli si esprimeva con notevoli esagerazioni, creando più confusione tra la gente. In Germania questi articoli furono molto sconvolgenti. Qualcuno gli rispose con l’Antijanus. Le letture polemiche e sbrigative, attirano facilmente gli uomini di media cultura, incapaci di un serio approfondimento delle problematiche.
            Il Vaticano I, visto il non coinvolgimento degli stati civili, stava per diventare uno dei primi concili liberi della storia della Chiesa. I vescovi tedeschi, riunitisi a Fulda, scrissero una lettera al papa, dove sottolineavano la inopportunità della dichiarazione pontificia. Pio IX accolse con rammarico quella lettera confidenziale. Un altro famoso vescovo e teologo francese (liberale), Dupanloup, scrisse che per 18 secoli la Chiesa non aveva avuto bisogno di quella definizione, essendo già accettato che il papa godeva di una particolare autorità e carisma. Gli anti infallibilisti non erano per niente cattolici poco docili o di scarso zelo. I loro interventi erano dettati da passione e amore per la Chiesa. Erano, comunque, in minoranza. Il cammino teologico per l’infallibilità, accolto da Pio IX, aveva subìto una accelerazione grazie alle idee di De Maistre e del Lamennais.

            L’8 dicembre del 1869 il concilio venne aperto alla presenza di 700 vescovi. Un terzo erano italiani (200). Per la prima volta erano presenti vescovi dall’America Latina (30). C’erano 50 orientali e 40 tedeschi. 150 erano quelli di lingua inglese.    La maggioranza era infallibilista. Fallibilisti erano gli austriaci, i tedeschi e gli ungheresi e soprattutto i francesi (un quinto, circa 150 vescovi). Si fece di tutto per mettere i fallibilisti in disparte. Il primo schema sul razionalismo non venne accolto e Pio IX cominciava ad agitarsi, vedendo che i suoi programmi per fare presto iniziavano a saltare.  Oltre ai 2 schieramenti favorevoli o meno all’infallibilità papale, vi era una divisione tra coloro che rivendicavano i diritti episcopali e chi pensava solo all’autorità pontificia (livellamento accentratore). Si decise di accelerare i lavori con semplici emendamenti scritti al posto delle osservazioni generali.
            Un documento importante e poco conosciuto di questo concilio è la costituzione Dei Filius(25). Divisa in 4 capitoli, insegna l’esistenza di un Dio personale, che ha creato liberamente l’uomo e lo governa con la sua provvidenza. Le forze della ragione possono raggiungere la conoscenza di Dio. La ragione ha bisogno, comunque, della Rivelazione divina, per scoprire le verità soprannaturali, contenute nella Scrittura e nella Tradizione. L’intelligenza è chiamata ad aderire liberamente alla fede. Dio non si inganna e non può errare. Non c’è opposizione tra scienza e fede. Così si arrivava a respingere il razionalismo. Veniva colpito, di conseguenza,  anche il tradizionalismo, che rifiutava l’uso della ragione (passiva) ed il fideismo.   La costituzione portava la conoscenza di Dio ad un perfetto equilibrio. La Chiesa riconosceva le forze umane, aveva fiducia nell’uomo, non era oscurantista, pur ammettendo che nell’uomo ci sono dei limiti conoscitivi.
            L’opinione pubblica seguiva con molta attenzione le discussioni relative al primato papale e cercava di comprare informazioni da qualche vescovo… La stampa era davvero forte e agguerrita. Imporre ai padri conciliari il segreto e la mancanza di comunicazione fu un grave errore. Organo semiufficioso del Vaticano era la “Civiltà Cattolica”. Alcuni vescovi scrivevano contro il dogma sotto dei pseudonimi (Quirinus, era quello nuovo di Döllinger).  Dom Guéranger era favorevole al dogma. Egli era convinto che Pio IX era schiavo della sua ambizione, ascoltava solo persone incapaci, si preoccupava solo della sua gloria, non del vero bene della Chiesa, che spingeva verso la rovina. Anche gli Stati cominciavano a muoversi contro le tendenze della Chiesa cattolica, ma Pio IX, non ascoltando nemmeno i consigli moderati del Segretario di Stato Antonelli, andava avanti per la sua strada. Un testo sugli errori di papa Onorio sparì in quei giorni… Ormai era necessario procedere verso una definizione ultima.
            Pio IX, in nome del primato di giurisdizione, isolò i vescovi filogallicani, eliminò espressioni del diritto canonico non perfettamente romane, favorì l’introduzione della liturgia romana in tutte le diocesi, promosse gli interventi delle Congregazioni romane negli affari delle varie diocesi. Così si giunse alla costituzione Pastor Aeternus(26), che concludeva un cammino secolare nella storia della Chiesa: il rapporto tra il papa e i vescovi. Il papa godeva di una pienezza di giurisdizione. Le tesi di Febronio erano definitivamente sconfessate. Il potere papale era riconosciuto come ordinario (perché successore di S. Pietro), immediato (non per delega), veramente episcopale su tutti, fedeli e pastori, non solo per quanto riguarda la fede e i costumi, ma anche per ciò che si riferisce alla disciplina e al regime della Chiesa. I vescovi non sono funzionari papali, a lui passivamente subordinati, ma, come successori degli apostoli, godono anch’essi di un potere di giurisdizione episcopale ordinario ed immediato. Gli aggettivi per il papa ed i vescovi rimanevano uguali! Serviva un chiarimento.
            Per quanto riguarda la definizione dell’infallibilità bisogna ricordare che gli intransigenti tendevano a dare a questa un’estensione molto ampia e che il papa possedeva una preparazione teologica giudicata insufficiente. Anche i Gesuiti si dimostrarono molto intransigenti. La minoranza anti infallibilista era ancora tenace ed insisteva perché si riconoscesse la necessità del consenso dei vescovi, perché una decisione pontificia fosse veramente infallibile. Un giorno, il papa, in una delle sue numerose sfuriate, affermò: io sono la tradizione, io, io, sono la Chiesa! Il problema da risolvere rimaneva il rapporto del papa con l’intera Chiesa e le osservazioni erano diverse. Ci fu una votazione importante il 13 luglio, che non soddisfò il papa. A parte le sottolineature teologiche non autem ex consensu Ecclesiaeex sese, non ex consensu Ecclesiae… (che non sono di nostra competenza), qualcuno ci riferisce come Pio IX in quei giorni fosse molto teso e si lasciasse andare ai suoi caratteristici sfoghi. Il 16 luglio si approvarono le parole: ex sese, non autem ex consensu Ecclesiae. Il 17 luglio, alla vigilia della votazione definitiva, che si doveva tenere alla presenza del papa, la minoranza decise di non prendere parte alla seduta e di partire immediatamente da Roma. Erano 55 vescovi. Il 18 luglio, durante un terribile uragano ed in mezzo alle tenebre più fitte, che avevano invaso improvvisamente la basilica (lamentela della cattiva acustica), fu letto il testo definitivo della Costituzione Pastor Aeternus e si procedette alla votazione. Su 535 vescovi 533 diedero la loro approvazione.  I due  contrari cambiarono subito idea (non avevano capito come si doveva votare…). Pio IX approvò subito il decreto e fra l’oscurità generale si cantò il Te Deum (un raggio di sole…).
            Il 19 luglio scoppiò la guerra tra Francia e Prussia e diversi vescovi dovettero partire. Il 20 settembre 1870 Roma venne occupata dalle truppe italiane ed il 20 ottobre il concilio venne sospeso a tempo indeterminato.
            I vescovi austriaci e tedeschi iniziarono a protestare contro il dogma, chiedendo ai teologi loro soggetti di obbedire.  Döllinger venne scomunicato il 17 aprile 1871 per non aver accettato il nuovo dogma. I fedelissimi del teologo andarono oltre: si diedero un ordinamento giuridico e un capo, che venne consacrato in Olanda presso i giansenisti scismatici. Essi si orientarono verso posizioni estremiste: volevano mantenersi fedeli alle antiche tradizioni che Roma aveva tradito, ma poi cambiarono idee. Questi laici e sacerdoti, che ripudiarono la dottrina dell’infallibilità, aprirono un nuovo scisma, il cosiddetto scisma dei vecchi cattolici (abolito l’obbligo della confessione e il precetto del digiuno; rifiuto del dogma dell’Immacolata; Messa in lingua tedesca). Döllinger si distanziò dal gruppo sempre più protestante, ma non morì riconciliato con la Chiesa (1890).

            
GIUDIZZI


Il concilio venne riunito dopo 3 secoli!  Nel ‘600 e nel ‘700 esso sarebbe stato soggetto a Luigi XIV o a Giuseppe II: rischio di divisioni nazionali, mancanza di libertà. I vescovi erano nominati nell’800 da Roma e godevano di maggiore indipendenza ed erano più pastori. I tempi erano maturi per la convocazione di un concilio. Al suo interno il concilio fu condizionato dalla forte personalità del papa, ma godette di una libertà sufficiente, perché le varie tendenze si manifestassero con chiarezza. I problemi italiani e le questioni in ballo condizionarono lo svolgimento (fretta). A Trento parteciparono 225 vescovi, qui già sono 700. La minoranza ebbe, nonostante tutto, un forte peso.
            Le discussioni portarono ad un risultato diverso da quello auspicato da Pio IX: il papa era si infallibile, ma ex cathedra, cioè per gli insegnamenti solenni. Erano escluse, pertanto, le encicliche e simili, come il Sillabo. Le tesi che vinsero al concilio erano abbastanza moderate e non esagerate come quelle di Pio IX e dei Gesuiti. All’inizio il papa rimase neutrale. Dal mese di marzo 1870 divenne più teso. Egli giunse ad isolarsi dal concilio e si pose in contrasto con diversi cardinali (Antonelli, Bilio). Era diffidente verso la minoranza (con giudizi emotivi, smoderati).
            Su 50 schemi, solo 2 giunsero a conclusione. Molti non vennero neanche presi in esame. Il gallicanesimo era stato sconfitto! Iniziò un vero e proprio processo di centralizzazione romana, si rafforzò il prestigio del papa, proprio quando questo era minacciato e attaccato da più parti. Mentre finisce il potere temporale, cresce il primato giurisdizionale su tutta la Chiesa del vescovo di Roma (infallibile).
            L’interruzione del concilio non permise l’approfondimento del rapporto del papa con i vescovi (autorità). La teologia dell’800 non era matura per un simile approfondimento. La presenza simultanea a Roma di tanti vescovi, rese la Chiesa più universale e capace di scambiare idee, progetti e sensibilità diverse.
            Il concilio Vaticano I non aprì una nuova epoca nella storia della Chiesa (come Trento e il Vaticano II), ma portò alle ultime conseguenze quelle tendenze, che, presenti a Trento, per le circostanze storiche poco favorevoli, non avevano ancora esercitato tutta la loro efficacia.  Il Vaticano I resta, dunque, in pieno nell’epoca posttridentina, definitivamente chiusa dal Vaticano II.
            L’infallibilità pontificia era la naturale conclusione di una evoluzione secolare. Nel Vaticano I la Chiesa si ritrova unita e compatta, l’autorità morale del pontefice è accresciuta, le tendenze particolaristiche ed episcopaliste tramontano in favore di un accentramento romano. La fine dello Stato pontificio ebbe il suo lato buono: affrancato dal peso opprimente degli impegni politici e tecnico-amministrativi, il capo supremo della Chiesa poté dedicarsi con maggior libertà e successo ai compiti religiosi e più propriamente ecclesiastici(27).


  LA CHIESA E LA QUESTIONE SOCIALE    


 Tra il 1759 ed il 1850 la rivoluzione industriale attuò molte trasformazioni economiche e sociali, che si manifestarono nel passaggio dall’economia agricola, chiusa ed autosufficiente del villaggio rurale, all’industria domestica e, soprattutto, da questa al sistema di fabbrica. Lo sviluppo dell’industria si ebbe dapprima in Inghilterra, in USA e in Giappone e poi in Italia e in Russia. Si creano intanto le basi dei grandi stati imperialistici e per una europeizzazione del mondo. In Inghilterra, assieme allo sviluppo dei capitali, della tecnica, del libero commercio, migliorano anche i canali, le strade, con un straordinario incremento demografico. Le macchine sostituiscono progressivamente l’uomo. La conseguenza sociale del sistema di fabbrica è l’inurbamento di grandi masse di proletari attirate dalle nuove fabbriche. Nonostante tutto, molti sono i disoccupati e gli sfruttati; molta è la manodopera femminile e minorile (sotto i 6 anni), che paga il prezzo più caro dell’industrializzazione, che non ha quasi mai un volto umano. I primi ad accorgersene sono i socialisti utopisti francesi ed inglesi.  Marx, invece, pensa al loro riscatto unicamente attraverso la rivoluzione e la lotta di classe. Alla fine del ‘700 nascono anche i sindacati. L’industrializzazione viene criticata nei romanzi di Dickens, Zolà, Wordsworth.
            I proletari (termine importante ora e molto diffuso), erano oppressi nella più squallida miseria, degradati da lavori disumani, con orari anche di 14 e 17 ore, ripetendo meccanicamente lo stesso gesto. Moltissimi erano gli infortuni, le malattie senza nessuna assistenza sanitaria (tubercolosi). I salari erano ridicoli, le abitazioni insalubri e superaffollate. Si cerca di buttarsi nell’oblio attraverso l’alcool, la prostituzione. Le grandi scoperte scientifiche (per esempio, la macchina a vapore) hanno rivoluzionato i mezzi e le tecniche di produzione ed hanno creato la grande industria moderna. Tuttavia, questo portò anche delle conseguenze non previste: amoralismo economico, libera e spregiudicata concorrenza, assenteismo statale (lo Stato è complice della ricca borghesia, è al suo servizio), individualismo, ottimismo illuministico illimitato (utopistico), salario come merce dipendente dalla domanda e dall’offerta (pattuito col datore di lavoro, un vero tiranno). La legge del consumo determina ogni cosa. Erano vietate nuove associazioni professionali e corporazioni. Gli operai sono in balìa dell’imprenditore.
            Parlando del movimento sociale, che nacque in seguito all’industrializzazione, si distingue tra socialismo utopista, il sindacalismo e il socialismo scientifico. Il primo fu elaborato a tavolino da Saint-Simon, Fourier, Proudhon. Essi auspicavano una fratellanza universale, che cercava di contribuire al bene comune, una società giusta ed equa. Il sindacalismo sorse in Inghilterra. Il sindacato avrebbe avuto il compito di regolare i contratti di lavoro e avrebbe organizzato gli scioperi. Al suo interno sarebbero sorte delle associazioni di mutuo soccorso. Il socialismo scientifico con Marx scelse la linea sociale politica. A Londra nel 1848 uscì il Manifesto del Partito Comunista. Marx ed Engels pensavano ad una storia dell’umanità secondo lo schema della lotta di classe. Erano contrari alla proprietà privata e favorevoli alla socializzazione del capitale. Dovevano essere abolite le famiglie, le nazioni, le patrie. Tutto doveva portare alla rivoluzione. Questo socialismo ebbe grande successo nel tempo in Europa. In Inghilterra ci furono delle soluzioni positive e tranquille per la condizione degli operai grazie alle Trade-Unions (sindacati). I movimenti operai, sostenuti dai sindacati, videro piano piano riconosciuti alcuni diritti: riduzione dell’orario di lavoro, riposo settimanale e domenicale, ferie pagate, assicurazioni varie. Il comunismo si poneva nella logica di opposizione allo Stato, ma anche si dimostrava fortemente contrario ad ogni sentimento religioso, favorendo l’apostasia della classe operaia dalla Chiesa!
            Dov’era la Chiesa in questo momento? I cattolici presero coscienza in ritardo della questione sociale! Ancora si trovava chi pensava ad accettare la povertà con rassegnazione, pazienza, intervenendo con la spontanea carità. Un’altra tendenza era quella di una carità-assistenziale di tipo paternalistico, più impegnata, comunque, nel campo sociale. All’interno dell’Opera dei Congressi cattolici, sorse una sezione denominata, “sezione della carità e dell’economia cattolica”. Nella Chiesa molti cattolici avevano una mentalità aristocratica e conservatrice (nobiltà e borghesia intellettuale). Si temeva di limitare la libertà economica nell’uguaglianza dei diritti; si aveva paura della diffusione della cultura popolare; l’abitudine a vivere in una società gerarchica, con le sue tradizionali strutture da rispettare. Mancava la fiducia nello Stato e nei poteri politici. In Italia la “Questione romana” distolse la Chiesa dal suo sguardo sul mondo. I moti rivoluzionari del ’48 erano spesso legati a fattori sociali. Per questo si temeva una partecipazione politica e sociale della Chiesa nei confronti di gente, di per sé già lontana dalla Chiesa, anzi contro la Chiesa. Nel messaggio cristiano si parla poi di croce, di accettazione della sofferenza, di attesa di una giustizia ultraterrena, di fede, di proprietà, di ordine…
            La Chiesa difendeva il diritto di proprietà, condannava le tesi del socialismo e del comunismo, esortava i poveri alla pazienza e alla rassegnazione. Pio IX condannò per la prima volta il comunismo ed il socialismo nel 1846(28) e poi nella Quanta cura (1864)(29) e nel Sillabo (amoralismo economico)(30). Leone XIII all’inizio del suo pontificato rimase su questa linea conservatrice di difesa. Possiamo affermare che fino al 1870 nella Chiesa ci si occupava del sociale attraverso iniziative assistenziali e caritative, ispirate da un sentimento religioso del tutto disinteressato. Ecco allora le Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli, fondate a Parigi nel 1833 da Frédéric Ozanam (1813-1853). In Italia si ricordano: il Cottolengo, don Bosco, il Murialdo. Nella Chiesa c’era chi denunziava l’avvilimento della dignità dell’operaio, la cupidigia sfrenata dei ricchi, lo scandalo dei salari infimi, le massacranti ore di lavoro. Queste proteste erano vaghe, occasionali e non suggerivano alternative concrete. Le minacce di rivoluzione e di violenza del comunismo erano più efficaci per la loro pressione psicologica, che portava gli industriali a fare qualche concessione in più.
Alcuni progetti più sistematici di intervento furono proposti da: Lacordaire, Ozanam, i gesuiti Liberatore e Tapparelli d’Azeglio, che prospettavano la subordinazione dell’economia alla morale, la funzione sociale della proprietà, l’intervento statale, l’associazionismo professionale.
            In Germania, il vescovo di Magonza, von Ketteler colse con lucidità i segni e le esigenze dei tempi: la Chiesa doveva intervenire nella questione sociale! Dal 1864 egli pensò a delle cooperative di produzione, che dovevano fondarsi sulle offerte volontarie dei fedeli (società di mutuo soccorso). Egli trattò della riduzione dell’orario di lavoro, dell’aumento del salario, della protezione della donna e dei minori. Fu eletto deputato al Parlamento di Francoforte e a quello imperiale, dove presentò delle linee di intervento statale per l’ambito sociale e per l’indipendenza della Chiesa dallo Stato. La Chiesa di Roma attende; si limita solo a condannare negativamente; essa interviene più tardi, come al solito, per accogliere, purificare, dirigere. La Chiesa stava perdendo enormi masse, attratte più dalle proposte socialiste. Altre proposte sociali cristiane vennero dall’Austria (tesi di Haid per il corporativismo) e dal Belgio. In Italia sorse l’Unione cattolica per gli studi sociali, sotto la guida di un noto sociologo, professore all’Università di Pisa, Giuseppe Toniolo. Era giunto il momento di abbandonare certe forme caritative e assistenziali ed un vecchio paternalismo. Intanto in Veneto ed in Lombardia si creavano delle cooperative, delle casse rurali, casse di risparmio (prestiti con interessi minimi), società di mutuo soccorso, di assicurazione (cattoliche!). Si pensava che con il salario si doveva guardare anche alla famiglia, all’assicurazione contro gli infortuni e la vecchiaia.
            
LA RERUM NOVARUM


Il Nunzio apostolico Gioacchino Pecci (Leone XIII) poté rendersi conto dei problemi degli operai in Belgio. Da papa si interessò degli operai, ricevette un pellegrinaggio di operai francesi. Era un uomo che sapeva ascoltare. Il 15 maggio del 1891 emanò l’enciclica Rerum Novarum(31):
1.    Diritto naturale di proprietà privata (con funzione sociale).
2.    Lo Stato deve intervenire a favore dei poveri.
3.    Gli operai hanno dei doveri ma anche dei diritti (giusto salario).
4.    Condanna della lotta di classe, possibilità di associazioni operaie.
Il documento era frutto di 50 anni di riflessione e di studio! Vennero superati i dogmi dell’economia liberale. Il documento era piuttosto aperto e progressista. Il papa riconosceva la legittimità del movimento sindacale operaio, considerato come una corporazione. Questa volta la Chiesa si adeguava alle nuove esigenze della società e alle sue nuove strutture. Implicitamente, l’enciclica accoglieva alcune istanze marxiste sull’uguaglianza, sul bene comune. Inoltre, si riconosceva la possibilità di ricorrere allo sciopero sindacale. Si criticava il capitalismo ed anche il collettivismo socialista. Si proponeva una solidarietà imperniata di valori cristiani. Le basi della dottrina sociale della Chiesa erano state poste. Molte discussioni nella Chiesa, a proposito della questione sociale, riguardavano l’esistenza dei sindacati. Alla fine si riconobbero solo quelli confessionali. Ai sacerdoti venne proibito di prestare assistenza ai sindacati (interconfessionali o aconfessionali) e queste variazioni di tendenza furono aspramente criticate.
            Nel 1931 papa Pio XI, nella Quadragesimo Anno(32) ritornava su questi argomenti. Qui il papa si dimostrava favorevole al sistema corporativistico, che doveva essere frutto di una libera evoluzione dal basso e non una imposizione coatta dall’alto. Inoltre, si parla molto in essa del rapporto di collaborazione fra le classi sociali e sull’equilibrio dei rapporti sociali. Il sindacalismo cristiano non poteva accettare l’esasperata lotta di classe marxista come sistema definitivo. Alcuni preti assistenti non piacevano agli imprenditori perché troppo legati alle masse e alle loro rivendicazioni, con toni a volte poco cristiani. Nella Quadragesimo Anno(33) si tratta anche del salario non individuale, ma familiare, del bene comune al posto della dittatura economica. Anche lo Stato doveva essere frenato nei suoi interventi (interessati) in campo economico. Le encicliche del ‘900 si adeguarono sempre alle mutate condizioni sociali e storiche.
Ricordiamo solo i nomi di queste encicliche: Mater et Magistra (intervento statale per orientare, stimolare, coordinare, supplire, integrare)(34), la Populorum Progressio (giustizia tra i popoli)(35), la Octogesima Adveniens(36) la Centesimus Annus(37).   
            Il 1891, anno della Rerum Novarum, non segnò l’inizio dell’azione sociale della Chiesa, ma il suo intervento chiarificatore e stimolante. La Chiesa, comunque, giunse in ritardo e con lentezza.  I socialisti costrinsero la Chiesa a muoversi, a risvegliarsi dal suo letargo. I fondamenti della società apparivano sempre più sconvolti e l’apostasia di enormi masse dalla fede appariva sempre più tragica. La parziale sterilità del movimento cattolico deriva dalla sua posizione di minoranza e dalla forte difficoltà che esso incontrò da parte dei cattolici conservatori e socialisti. Alcune idee cristiane, comunque, si diffusero anche tra i non cattolici e nella Chiesa abbiamo una graduale formazione di una nuova coscienza cattolica, aperta alle nuove esigenze della giustizia e sollecita della riconquista religiosa delle masse con mezzi diversi da quelli prima usati.
 Ripetiamo: nella comprensione della dignità della persona umana, all’interno del nuovo ordine sociale, i cattolici si sono mossi in ritardo, per un complesso di pregiudizi e di inibizioni. Il socialismo, non il cristianesimo, è stato la forza decisiva nella conquista di una migliore giustizia sociale. È proprio per questo che il progresso economico-sociale ha significato un ulteriore distacco fra Chiesa cattolica e mondo moderno. Il Marxismo pensava di rappresentare gli interessi dei proletari oppressi. La Chiesa poteva trarre dalla fede la carica pacifica e rivoluzionaria per risolvere questi problemi(38).

           
IL MODERNISMO


Nella Chiesa continuava tristemente il confronto di questa con il cosiddetto mondo moderno, con il pensiero contemporaneo. Il modernismo fu un movimento di pensiero mirante al rinnovamento interno del cattolicesimo. Fu promosso da alcuni intellettuali, specialmente sacerdoti, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Essi si impegnarono a collegare il cristianesimo storico con tutte le conquiste dell’epoca moderna nel dominio della cultura e del progresso sociale (Programma dei modernisti, 1908). Gli stessi manifestarono il proposito di attuare la loro riforma restando dentro la Chiesa, ma questa espresse una dura condanna del movimento prima con il decreto Lamentabili (1907), quindi, due  mesi dopo, con l’enciclica Pascendi dominici gregis(39).
Fra il 1903 ed il 1907 numerose opere di modernisti furono poste all’Indice e nel 1910, con il Motu Proprio, Sacrorum antistitum fu prescritto anche il giuramento antimodernista(40). Poliedrico e difficilmente riducibile a un sistema unitario organico, il modernismo cercò di superare gli schemi dell’aristotelismo scolastico e di applicare il metodo storico alla conoscenza del fenomeno religioso. Presente in molti paesi europei, ebbe vasta diffusione anche in Italia, dove prevalsero finalità politico-sociali.
            Le prime istanze “moderniste” furono portate avanti dal vescovo di Cremona Bonomelli, da quello di Piacenza, Scalabrini ed altri prelati aperti e sensibili ai segni dei tempi. Essi erano ispirati dal riformismo cattolico liberale (rosminiano): primato della coscienza, conciliazione fra autorità e libertà, autonomia della scienza, liberazione da strutture ecclesiastiche superflue, rinnovamento del culto. La Chiesa ufficiale era molto diffidente verso la mentalità moderna (intransigente, questione romana, non expedit, conservatori). In quegli anni gli studi storici e biblici stavano facendo grandi progressi (Lagrange, Duchesne) e scardinavano alcune concezioni teologiche tradizionali (natura dell’ispirazione, interpretazione della Genesi, composizione del Pentateuco, origine del libro di Isaia, storicità del Nuovo Testamento, divinità di Gesù). Molti influssi rinnovatori provenivano da ambienti protestanti e razionalisti.
            Nel mondo cattolico si respirava un senso di disagio ed un’ansia di aggiornamento, la necessità di rivedere molte cose date per certe ed indiscutibili. Si temeva di cadere, da parte della Chiesa, in un diffuso soggettivismo, che minava la solidità del pensiero neoscolastico (intellettualistico). Alcune idee di rinnovamento del giansenismo tornarono attuali presso i modernisti, che scelsero la tattica dell’anonimato, che contribuì ad innervosire la gerarchia, per questo fortemente irrigidita.
Tra i protagonisti principali di questo movimento si deve ricordare:
- Alfred Loisy (1857-1940). Divenne sacerdote dopo tante incertezze. Entrò spesso in crisi di fede, ma preferì non uscire dalla Chiesa, che sperava di riformare dall’interno. Rifiutò l’interpretazione tradizionale della Scrittura, ricevuta in seminario. Espresse le sue idee nel libro L’évangile et l’Église (1902), che suscitò molto scalpore. Egli si poneva il problema della differenza tra il prima e il dopo, fra il Gesù storico da un lato, la Chiesa e il dogma dall’altro.  Egli sostenne: Gesù ha predicato il Regno di Dio, cioè la salvezza offerta a tutti, e invece è nata la Chiesa. Solo la Chiesa poteva far sopravvivere nel tempo l’annunzio del Regno, predicato da Gesù. I dogmi, perciò, sono il prodotto della storia e possono evolversi, mutare, adattarsi. Loisy venne scomunicato nel 1908. Insegnò storia delle religioni al Collegio di Francia. Continuò a negare ogni fondamento della religione cristiana, in favore di una religione umanitaria.
- George Tyrell (1861-1909). Era un calvinista. Si convertì al cattolicesimo e si fece gesuita. All’inizio era tomista, poi cominciò ad esaltare la libertà di coscienza nel campo delle ricerche teologiche. Nel 1906 sul “Corriere della Sera” fu pubblicato il riassunto di uno scritto di un “gesuita inglese”, facile da identificare, dal titolo: Lettera confidenziale a un professore di antropologia. Egli distingueva tra fede viva e teologia morta, fra Chiesa reale e l’autorità di chi la governa. Venne espulso dalla Compagnia di Gesù e nessun vescovo era disposto ad accoglierlo. Venne escluso anche dai sacramenti, per la sua reazione alla Pascendi. Egli era intelligentissimo, uomo emotivo, agitato, esaltava la libertà di coscienza e respingeva ogni autorità. Cadeva frequentemente nello scoraggiamento e fu sempre incerto nelle sue idee.
- Antonio Fogazzaro (1842-1911). Con il suo romanzo Il Santo, ben esprimeva le idee tipiche di quest’epoca. Venne condannato all’Indice nel 1906 per l’opera: Piccolo Mondo Antico. Egli si allacciò al riformismo rosminiano e al cattolicesimo liberale. Per lui il cristianesimo ufficiale era soffocato da dogmi e da leggi e da una curia fredda ed impenetrabile(41).
- Ernesto Buonaiuti (1881-1946). Sacerdote e teologo, professore di storia della Chiesa nel Seminario dell’Apollinare, poi dal 1915 all’università di Roma. Note sono le sue Lettere di un prete modernista del 1908, che svuotavano il cristianesimo della sua sostanza (negazione del trascendente). Nel 1942 pubblicò una Storia del cristianesimo, con una visione molto negativa delle vicende della Chiesa posttridentina. Solo il giansenismo, per lui, poteva essere l’ultimo tentativo valido per salvare il genuino messaggio cristiano. Fu più volte scomunicato dalla Chiesa, venne allontanato dall’università per il mancato giuramento di fedeltà al fascismo. Rifiutò di conciliarsi con la Chiesa. Morì nel 1946.
- Romolo Murri (1870-1944). Sacerdote marchigiano, animatore del movimento della Democrazia cristiana, che voleva manifestare la posizione dei cattolici nel nuovo clima storico. Egli si adoperò moltissimo per ottenere la piena autonomia del movimento dell’Opera dei Congressi, ma non ci riuscì. Essa venne sciolta. Fu sospeso a divinis nel 1907 e scomunicato nel 1909. Era chiaramente antigerarchico. Morì riconciliato con la Chiesa. Fu deputato al parlamento dal 1912 al 1913.

            È risaputo come il papa Pio X intervenisse immediatamente, drasticamente ed in modo inflessibile nei confronti del modernismo. Egli si sentiva molto responsabile dei pericoli che correva la Chiesa. Anche i modernisti agivano in modo subdolo e sleale. Pio X aveva un forte senso dell’autorità, era poco sensibile ai problemi culturali. Per il Martina, Pio X era, come gran parte del clero veneto, abituato ad essere ubbidito più che amato. Il papa si fidava troppo dei suoi consiglieri, che ostacolavano coloro che volevano incontrare il papa, anche per questi temi moderni. Tra i collaboratori del papa ricordiamo Merry del Val, uomo di profonda ascesi, ma battagliero, intransigente e il prefetto della Congregazione Concistoriale De Lai.
Monsignor Umberto Benigni fondò il Sodalitium Pianum, una società segreta, composta da circa 50 membri, che aveva il compito di raccogliere informazioni riservate su quanti fossero sospetti di modernismo, anche cardinali e superiori religiosi, trasmettendo tutto direttamente al papa. Il papa approvò questa associazione e la finanziò. Ecco nella Chiesa cattolica un servizio di polizia segreta e di spionaggio. Forse essi pensavano in questo modo di servire la Chiesa, di operare per il bene della Chiesa. Iniziarono le sospensioni di persone sospette; si stabilì la visita apostolica di tutte le diocesi italiane; si esaminarono gli ambienti di studi biblici (indirizzandoli verso una linea fortemente conservatrice). Nel luglio del 1907 uscì la Lamentabili, che condannava 65 proposizioni desunte soprattutto dalle opere di Loisy (magistero, ispirazione Sacra Scrittura, immutabilità dei dogmi, divinità di Cristo, origine divina della Chiesa e dei sacramenti).
            A settembre dello stesso anno fu emanata l’enciclica Pascendi Dominici gregis. Per i suoi toni essa è paragonabile alla Quanta cura e alla Mirari vos.          Ma valeva la pena di muoversi in questo modo? Era effettivamente il modernismo un movimento così unito e sistematico? Non si è forse esagerato?
L’enciclica condannava il rifiuto delle classiche prove dell’esistenza di Dio e di una rivelazione esterna all’uomo, per riconoscere maggiormente, invece, un’esperienza religiosa e soggettiva di Dio. Si attaccava il metodo biblico-esegetico della “demitizzazione”, la separazione tra scienza e fede, la relativizzazione dei dogmi. I modernisti protestarono subito di non essere stati capiti e che il loro pensiero era stato travisato.
Nei seminari si cominciò a vigilare sui professori; gli ordinandi erano rigorosamente selezionati; fu limitata la frequenza di università statali; le censure erano aggravate; ai sacerdoti fu proibito di ritrovarsi nei congressi; in ogni diocesi si creava una commissione di vigilanza contro infiltrazioni moderniste, con l’obbligo di inviare a Roma delle periodiche relazioni.
Nel 1910 si impose il giuramento antimodernista con il Motu Proprio, Sacrorum antistitum.  Erano proibite anche le letture dei giornali nei seminari e negli istituti religiosi. Vennero rimossi diversi professori, proibiti manuali (quelli di storia del Funk e del Duchesne, perché poco rispettosi della gerarchia, del soprannaturale…) e la lotta era condotta spesso da Gesuiti. Anche Angelo Roncalli ricevette delle ammonizioni in merito (denuncie anonime…). Così si potevano colpire anche cardinali e altre prelature… si diffusero delle riviste intransigenti, ben viste dal papa stesso: “La Riscossa” dei fratelli Scotton(42), “La Difesa” di Sacchetti e di Paganuzzi. Nella Compagnia di Gesù il caso del Tyrell era un’eccezione di modernismo. Tuttavia, alcuni Gesuiti, compresero del pericolo insito nello sviluppo integralista, che stava avvolgendo la Chiesa. Furono colpiti ed umiliati per le loro idee moderate anche delle belle figure: don Orione e il cardinale Ferrari, arcivescovo di Milano!
La repressione era indiscriminata. Vincevano i tradizionalisti, gli intellettuali erano chiusi ermeticamente. Tuttavia, si consolidava la disciplina della Chiesa e un nuovo slancio negli studi. Nel 1909 venne fondato l’Istituto Biblico di Roma, l’edizione critica della Volgata era affidata ai benedettini (1907). Nel 1917 si codificò il nuovo codice di diritto canonico e nel 1908 si riformò la curia romana. Si rafforzò l’autorità dei vescovi sul clero. Il papa Benedetto XV prese posizione sia contro i modernisti sia contro gli integristi. Nel 1921 il Sodalitium Pianum (la Sapinière) venne sciolto d’autorità.


GIUDIZI


Gli interventi di Pio X stroncarono rapidamente le tendenze razionalistiche ed immanentistiche che minacciavano il carattere soprannaturale del cattolicesimo. Ancora una volta ci chiediamo se il pericolo fosse così grave come apparve nell’eccitazione del momento. Fu il modernismo sopravalutato? Perché colpire così indistintamente? Si era creato un pesante clima di sospetto. Nella storia si ripetono spesso i fenomeni di paura della novità e una visione negativa del mondo, del pensiero, del progresso. Qualcuno ha visto nel modernismo, l’ultima tappa di un processo di allontanamento della Chiesa dal mondo moderno. Le misure prese furono eccessive (non sempre vennero applicate). In questo clima subirono notevoli ritardi gli studi ecclesiastici.  Mancava un’autentica cultura cattolica nel mondo laico.
I problemi del modernismo, soffocati in quel momento, si riaffacciarono qualche decennio dopo. Da una parte la Chiesa salvò il patrimonio rivelato e il carattere soprannaturale del cristianesimo, dall’altra divenne intollerante, chiusa, ritardata culturalmente. La critica storica oggi cerca di analizzare la personalità del papa Pio X, paragonabile certo a Pio V per la difesa della fede ad oltranza. Certo che in nome della verità si colpirono degli innocenti! Qualcuno afferma che Pio X ha combattuto un pericolo esistente solo nella sua immaginazione, o da lui montato in modo sproporzionato(43).
Emblematico è l’accostamento tra due compagni di seminario, in questo contesto, che seguirono un diverso destino: Buonaiuti, intellettuale spesso tormentato dal dubbio, inquieto e tutto assorbito dalla sua angosciosa ricerca, uscì dalla Chiesa e Angelo Roncalli, umile e fedele, fu capace di attendere nel silenzio l’ora destinata dalla Provvidenza ad aprire una nuova fase nella storia della Chiesa.


LA CHIESA DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE - PIO XII


1939-1945: II guerra mondiale, bomba atomica, resistenza, campi di concentramento e di sterminio, massacro ebraico, camere a gas, Auschwitz, città distrutte, olocausto, apocalisse…
Il 2 marzo del 1939 venne eletto papa Eugenio Pacelli (1876-1958), Pio XII. Era stato alla scuola del cardinale Gasparri, Nunzio a Monaco e a Berlino, Segretario di Stato di Pio XI. Non ricercava dei collaboratori, ma degli esecutori; era uno spirito accentratore. Egli scrisse una lettera ad Hitler, per esprimere il suo affetto per il popolo tedesco e proponeva una conferenza internazionale per risolvere le tensioni tra le nazioni, prima di precipitare nella guerra. Egli affermò il 24 agosto del ’39: Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra. Ma il primo settembre le truppe germaniche varcavano i confini con la Polonia ed iniziava la guerra. Il papa manifestò la sua solidarietà con i polacchi, ma non parlò di ingiusta aggressione.   Egli era attento a tenere vivo il collegamento fra gli alleati e la resistenza tedesca per far cadere il nazismo. Il papa ed i Savoia si incontrarono nelle rispettive sedi, per trattare del non intervento italiano in guerra. Ma Vittorio Emanuele III non collaborò più di tanto. Il papa scrisse agli USA e soprattutto esortò Mussolini a non entrare in guerra (era troppo tardi). Il papa condannò successivamente le aggressioni tedesche al Belgio, al Lussemburgo e all’Olanda. Poi il papa si chiuse nel suo silenzio, parlando sovente dei principi della pace. Pio XII fece tutto quello che gli sembrava possibile: azioni diplomatiche, tentativi di far restringere i conflitti, proteste contro le aggressioni agli Stati, silenziosa opera di assistenza ad ebrei, perseguitati vari.       Nel luglio e nell’agosto del ’43 visitò i luoghi bombardati a Roma e portò degli aiuti. Molto fece per proteggere Roma dai bombardamenti.
Con l’armistizio italo-americano dell’8 settembre del ’43, il papa divenne l’unica autorità presente a Roma, visto la fuga del governo, dei militari, dei Savoia. Nel ’44 Roma soffrì l’occupazione nazista e tutti guardavano con speranza al papa. Egli promise prestiti d’oro agli ebrei (nel ’43 su 1.000 deportati romani, solo 15 tornarono). Il papa non ricorse a proteste ufficiali. Era convinto che queste sarebbero state controproducenti, avrebbero irritato ulteriormente i nazisti e la loro violenza.
Era meglio tacere e aiutare in concreto tutti gli ebrei perseguitati, facendo il possibile per salvare la loro vita. Durante la guerra, il Vaticano dovette pensare al vettovagliamento di Roma. Il 24 marzo del 1944 fu compiuta la strage delle Fosse Ardeatine: 335 italiani furono uccisi, per vendicare i tedeschi uccisi in via Rasella.    Il Vaticano fu informato dopo la strage, voluta da Hitler! Per la sua capacità di tenere lontani da Roma gli eserciti tedeschi ed inglesi, Pio XII fu definito Defensor Urbis. Egli era paragonato a S. Leone Magno e a S. Gregorio Magno.
Pio XII è stato molto criticato per il genocidio degli ebrei. Egli levò la sua voce nei radiomessaggi contro tutte le violazioni della legge naturale e le varie ingiustizie. Mai è voluto scendere a condanne sui singoli crimini. La S. Sede era certo informata dalle nunziature e dai rapporti che le pervenivano da varie parti, dell’esistenza dei campi di concentramento e degli stermini ivi commessi. Il papa sostenne un’intensa attività di soccorso, ma non ricevette che pochi riconoscimenti. Se egli non condannò in modo più esplicito ciò che si compiva da parte del nazismo, è perché temeva per la vita di 40.000.000 di cattolici tedeschi! Lo stesso vale per la Polonia. Qualcuno acerbamente sostiene che la Chiesa taceva sul genocidio degli ebrei, perché era tradizionalmente antisemita… Certo, la S. Sede era contraria all’abolizione completa delle leggi razziali nel 1943. In Francia la Chiesa non sollevò problemi per una nuova legislazione antisemita (è giusto ridurre il loro influsso nella società…). In un discorso del 2 giugno del 1945 il papa conosceva quanto era avvenuto nei campi di concentramento, ma si interessò più di qualche sacerdote ucciso, che a milioni di ebrei… Come si sarebbe comportato un altro papa?(44)
La Chiesa era presente nei lager: S. Massimiliano Kolbe, Brandsma, Edith Stein. Il Kolbe rappresenterebbe una Chiesa, che esce dalla guerra purificata da un passato non scevro di compromessi umani, mentre il 14 agosto del 1941 stende il braccio verso il carnefice, col volto sorridente. La Chiesa matura ora l’idea che suo compito è anche difendere i poveri e gli oppressi, fidandosi non tanto nei mezzi giuridici o diplomatici, ma della sua impotenza e povertà. È una Chiesa chiamata a condividere le sorti dei perseguitati.
In Italia il clero fu molto vicino alla popolazione durante la guerra (dissenso, riserve sul conflitto e sulla politica fascista). Il cardinale Schuster si adoperò moltissimo per le trattative tra Mussolini e il generale Cadorna. Per il suo sconforto Mussolini non capiva più niente.
In Polonia la situazione era ben più tragica che in Italia. La Polonia era stata invasa da tedeschi e da russi (1.500.000 deportati). Molti preti erano stati deportati nei campi di concentramento. La repressione degli ebrei fu fortissima a Varsavia.
In Croazia, i Serbi (ortodossi) ebbero la supremazia per diversi periodi. Il governatore Pavelić tentò di sopprimere in Croazia la minoranza ortodossa serba, obbligandola a convertirsi al cattolicesimo. I serbi fuggirono o furono uccisi. Molto tragica era la situazione anche dei musulmani presenti in Croazia. Il governatore era succube di Mussolini e di Hitler. L’arcivescovo di Zagabria, Stepinac (1898-1960) era favorevole alla nascita di uno stato croato indipendente. Egli, scrivendo a Roma, metteva in luce il favore del governatore per la Chiesa cattolica, pur condannando i massacri di serbi e di musulmani. Poi salì al governo Tito (legato inizialmente a Mosca), che voleva una Chiesa staccata da Roma. Stepinac fu arrestato dal governo di Tito, processato e condannato a 16 anni di lavori forzati. Dal 1951 fu tradotto in un oscuro villaggio croato, dove morì nel 1960. Pio XII nel 1952 lo aveva nominato cardinale. Ancor oggi egli è il simbolo della lotta per l’indipendenza della Croazia. Per qualcuno egli commise gravi errori politici. Il suo legame con Pavelić  gettò delle ombre su di lui. È un esempio della politica del regime di Tito, che non accettava avversari e di come la propaganda comunista montava processi, distruggendo una persona.
In Francia Pétain (1856-1951) di fatto difende i diritti del lavoro, promulga una nuova costituzione, esalta la famiglia e la patria. Alla Chiesa garantì l’appoggio alla scuola cattolica, restituì agli ordini religiosi la piena sicurezza giuridica, combatté la massoneria. Tuttavia, era vicino alle posizioni naziste (collaborazionista) ed emanò una serie di leggi antisemite (1940-1942). Numerosi vescovi e cardinali erano favorevoli a Pétain: Pétain, c’est la France, et la France, aujourd’hui, c’est Pétain.   Il 25 agosto del 1944 De Gaulle entrava trionfante a Parigi. Rifiutò la presenza del cardinale, che aveva ricevuto già un comandante tedesco a Notre-Dame ed esige che tutti i diplomatici ed il Nunzio che avevano avuto relazioni con Pétain lasciassero la Francia. Nuovo Nunzio apostolico a Parigi fu allora Angelo Roncalli. Per suo merito i rapporti tra la Francia e la Chiesa cattolica divennero più distesi e concilianti. La Francia manifesta, nella sua storia, atteggiamenti religiosi contrastanti e contraddittori: laicizzazione e conservazione.
Anche in Germania la Chiesa aveva dato prova della sua vitalità, della sua capacità di resistenza ed aveva testimoniato con molte vittime i grandi valori evangelici dell’amore, della fraternità e della pace. Vescovi, sacerdoti e fedeli ressero bene alla prova. Ebrei, protestanti, cattolici morirono similmente, anche se in proporzioni diverse, durante la guerra in Germania: erano morti senza conoscersi e senza parlarsi, ma erano vittime di una violenza irrazionale, che mirava a distruggere l’uomo. Ricordiamo alcuni grandi testimoni: Dietrich Bonhoeffer, Anna Frank, Massimiliano Kolbe, Edith Stein(45).



IL DOPOGUERRA


Dalla II Guerra Mondiale la Chiesa usciva con un certo prestigio, perché aveva sostanzialmente mantenuto il distacco dai vari regimi; aveva, inoltre, indicato le linee fondamentali per ricostruire l’Europa e l’umanità intera ed, infine, aveva testimoniato con nuovi martiri la sua missione nel mondo.  In Asia diversi popoli raggiungevano l’indipendenza.  Nel 1948 nasceva lo Stato d’Israele. In Europa si assisteva ad un nuovo boom demografico, migrazioni di popoli, aumento dell’industrializzazione e degli operai. La televisione cambiava velocemente lo stile di vita della famiglie.  L’Est europeo diventava una colonia dell’Unione Sovietica (1968 Rivoluzione di Praga e di Budapest).
Nella Chiesa c’erano molte domande per un rinnovamento: della liturgia, della dogmatica, della pastorale parrocchiale, della figura del sacerdote. Pio XII dal 1944 non nominò più il Segretario di Stato (accentratore), ma cercò la collaborazione di Montini (poi allontanato a Milano come arcivescovo) e di Tardini. I discorsi del papa venivano preparati dai Gesuiti del Biblico e della Gregoriana. Il papa era sempre più isolato, staccato dalla base, immobile.
Nel 1945 divennero indipendenti le Filippine, nel ’46 l’Indonesia, nel ’47 l’India. Si andava verso il tramonto del colonialismo.  Nel 1951 raggiunsero l’indipendenza la Libia, nel ’56 il Sudan e il Marocco, nel ’60 la Nigeria, nel ’63 il Kenya. Dal 1954 al 1975 ricordiamo la guerra del Viet Nam, con l’umiliante sconfitta degli USA. La Francia perdeva terreno nell’Africa settentrionale… Nel 1970, con l’incremento demografico in Asia e in Africa, il rapporto con l’Europa era di 3:1! E la Chiesa? Dov’era la Chiesa? La Chiesa ancora dubbiosa sull’accettazione dei riti cinesi e malabarici, (che alla fine accolse 1940), era chiamata ad adattare il cattolicesimo alle varie culture (inculturazione). Essa iniziò a creare nuove diocesi e provincie ecclesiastiche locali, con più poteri ai vescovi e ai metropoliti (indigeni). Nel complesso la S. Sede si dimostrò, anche se con qualche tentennamento, favorevole al cammino dei popoli verso l’indipendenza. Marcel Lefebvre, invece, era contrario a questo e si dimise da vescovo di Dakar, quando il Senegal ottenne l’indipendenza (Algérie française)(46).   
Dal 1945 per la Chiesa cattolica dell’Est iniziava un quarantennio di persecuzione, a causa del Comunismo.  La Chiesa iniziò una eccellente politica estera Ostpolitik grazie al riavvicinamento agli Stati Sovietici per mezzo di Paolo VI e del cardinale Casaroli.  Ancora una volta, in quei paesi, i beni della Chiesa furono incamerati, i Legati pontifici allontanati, ostacolati i contatti con Roma. La storia si ripete! I religiosi e le religiose furono dispersi o internati in campi di concentramento. La scuole cattoliche furono chiuse, i crocifissi tolti, la stampa messa a tacere, le associazioni di culto, di carità, di formazione furono abolite. Ogni curia diocesana era sorvegliata da un “commissario ministeriale”. Ricordiamo i vescovi Stepinac, Mindszenty, Wyszyński. Tutti perseguitati, processati, incarcerati, condannati… in Albania, Hoxha voleva sradicare ogni traccia di cristianesimo. Non si contano qui i sacerdoti e i religiosi fucilati, imprigionati… E in Lituania, in Ucraina… Solo una lunga resistenza e l’eroismo sino alla morte di numerosi pastori e fedeli ha permesso alla Chiesa di superare la prova, sino al disgelo degli anni Novanta.


IL CASO ITALIANO


Il 2 giugno del 1946 l’Italia divenne una Repubblica. Nello stesso anno il PCI otteneva il 19% dei voti e nel 1948, assieme al PSI il 30%. Il segretario del partito, Togliatti era stato 20 anni a Mosca. Il partito professava il marxismo apertamente. Molti cattolici pensavano che il comunismo difendesse la giustizia sociale e gli interessi degli operai. Si diceva che il partito non imponesse a nessuno la rinunzia della fede cristiana… nel 1948 la DC vinse le elezioni, ma si approfondì la divisione ideologica e pratica dalla sinistra. Nel 1949 il S. Ufficio sanciva il rifiuto dei sacramenti per quanti votassero per il PCI e la scomunica per gli iscritti al partito. Era, comunque, permesso il matrimonio religioso dei comunisti. Gli scomunicati in Italia avrebbero dovuto essere 7.000.000!  Si pensava sempre più comunemente che la Chiesa fosse dalla parte dei padroni. Effettivamente, la pastorale in Italia era molto politicizzata (omelie mirate in vista delle elezioni).
Alcide De Gasperi (1881-1954) era attento ai rischi di una chiusura della Chiesa e di una mancanza di dialogo con la società. Per lui occorreva collaborare anche con le sinistre. Dello stesso parere erano il Toniolo, Montini, Fanfani…  De Gasperi era profondamente cattolico e aveva un ottimo senso del realismo. Dossetti (1913-15 dicembre 1996, col “dossettismo”) rappresentava nella DC l’anima integralista. Nel 1952 diede le dimissioni da deputato e nel 1959 venne ordinato sacerdote. Pio XII fu molto duro con De Gasperi, che avrebbe voluto collaborare con i Repubblicani, i Liberali e i Social-Democratici, per contrastare anche l’anticlericalismo galoppante. Il papa non accettava nessuna collaborazione con forze politiche anticristiane! Il papa impose a don Sturzo di creare un fronte anticomunista, per l’elezione del sindaco di Roma (“operazione Sturzo”, 1952). L’iniziativa fallì.     Il papa rifiutò di ricevere il Presidente del Consiglio italiano (De Gasperi lo fu per 8 volte), in occasione del 30° anniversario di matrimonio e della professione solenne della figlia, suor Lucia. Nel 1954, la Civiltà Cattolica, per ordine del papa attaccò pubblicamente De Gasperi.  Il papa e De Gasperi, entrambi uniti da un’identica fede e da uno stesso amore per la Chiesa, non si intesero mai. Solo recentemente ci si rende conto dell’importanza di De Gasperi per la storia della Chiesa italiana. Lo stesso patriarca di Venezia, Angelo Roncalli, ricevette rimproveri per l’orientamento politico di un settimanale della DC nella laguna. In un incontro segreto a Castelgandolfo tra il papa ed il Presidente della Repubblica Gronchi, trapelò il fermo divieto del papa per ogni “apertura a sinistra”. La storia andava avanti, verso un mondo più laico, che Pio XII, ormai al tramonto, vedeva avanzare con sincero dolore.

Gli anni 50 furono caratterizzati da una chiusura teologico-pastorale. Ci furono delle restrizioni nei confronti del pensiero di alcuni teologi. Alcuni di questi diventarono in seguito cardinali: Daniélou (con Paolo VI), De Lubac (sotto Giovanni Paolo II). Le iniziative dei preti operai vennero represse (1953-1959). Ma, nella storia, gli sconfitti di ieri divengono i vincitori di oggi! In Francia avanzavano nuove e vivaci riviste: Vie spirituelle, Esprit, Vie intellectuelle. Perché chiudersi in sacrestia e non tentare la riconquista di un mondo che si era allontanato da Dio?
La pubblicazione del Paschini su Galileo venne vietata. Paolo VI ne autorizzò la stampa. Don Primo Mazzolari (1890-1959) fu colpito da numerosi provvedimenti per le sue idee: condanna di ogni ingiustizia, di ogni accomodamento, di ogni ripiegamento su se stessi. Il suo commento sulla parabola del figliol prodigo fu ritirato dalla circolazione per essere ripreso poi, da papa Giovanni Paolo II per la sua Dives in misericordia.  A Mazzolari furono inflitte varie sospensioni, anche da morto…  Don Lorenzo Milani (1923-1967) fu disprezzato aspramente per le sue iniziative pastorali dalla Civiltà Cattolica. Le Lettere ad una professoressa (1967), che criticavano la scuola italiana, allora furono derise, oggi sono esaltate. Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, professore universitario, deputato, organizzava convegni internazionali per la pace. Pio XII nel radiomessaggio natalizio del 1953 bollava  l’uomo politico che si trasforma quasi in un banditore carismatico di una nuova teoria sociale, contribuendo ad aggravare il disorientamento… continuiamo con gli attacchi a Maritain, accusato di naturalismo e storicismo, anche dalla Civiltà Cattolica.  Era il cardinale Ottaviani, in quegli anni, a sferzare le accuse più forti e conservatrici, anche nei confronti di Courtney Murray (1905-1967), sj. Grande sarà il suo influsso per la Dignitatis Humanae. La Chiesa continuava ufficialmente ad essere conservatrice. Molte opere nuove vennero ritirate dalla biblioteche.  De Lubac venne sospeso dall’insegnamento.  Così per Chenu, op, Congar, op. Quest’ultimo andò a Gerusalemme, Cambridge, Strasburgo, con restrizioni per l’attività pastorale. Teilhard De Chardin (1891-1953), sj, nel 1948 fu sospeso dall’insegnamento al Collége de France.
Alla fine del pontificato di Pio XII si respirava un clima molto pesante, grazie alle pressioni anche dei professori del Laterano e dell’Angelico!  Le cose sarebbero cambiate con papa Giovanni XXIII e Paolo VI.  Ovunque si implorava un certo contatto con il mondo moderno, degli adattamenti teologici e liturgici, la creazione di una teologia del laicato, delle realtà terrestri, della storia. Serviva una riforma liturgica (lingua volgare), che favorisse la partecipazione dei fedeli nei sacramenti e nel governo della Chiesa.
Alcune novità ed aperture cominciavano, tuttavia, a farsi timidamente avanti. Nel 1943 apparve la Divino Afflante Spiritu(47), che trattava dei “generi letterari” presenti nella Sacra Scrittura. Il rinnovamento dell’esegesi era avviato e si riconoscevano i metodi esegetici del Lagrange e della sua scuola. Dello stesso anno è la Mystici Corporis(48): si comincia a pensare la Chiesa anche nel suo aspetto invisibile, di comunione di vita tra Cristo e i fedeli e non solamente come società perfetta e giuridica. Il documento sottolineava bene la missione salvifica della Chiesa. Nel 1947 apparve la Mediator Dei(49), che difendeva le devozioni tradizionali come il rosario e la via crucis. Essa spiegava il ruolo centrale ed importante della liturgia nella vita cristiana, superando finalmente il gretto rubricismo. Ci furono, inoltre, una nuova traduzione dei salmi, grazie all’Istituto Biblico nel 1945, il ripristino della veglia pasquale nel 1951, una moderata riforma del breviario, una nuova disciplina del digiuno eucaristico (praticamente abolito nel 1956), l’introduzione delle messe vespertine (permesse in certi casi). L’enciclica Musicae Sacrae disciplina del 1955 e altri documenti simili permettevano le messe dialogate in latino. Ai sacerdoti rivestiti di paramenti era concesso di assistere alla messa celebrata da un solo sacerdote, ricevendo anche la comunione. Fu vietata ai fedeli la lettura simultanea in volgare delle letture della messa in latino, mentre queste erano lette dal sacerdote. Merito, comunque, di Pio XII fu l’abolizione del digiuno e l’introduzione delle messe vespertine. Si cominciava ad approvare gli istituti religiosi secolari e si mitigava la clausura monastica.
Possiamo dire che Pio XII non era un conservatore ad oltranza. Egli era convinto che ogni rinnovamento e novità dovevano provenire dal papa, dalle sue decisioni personali. Era un vero accentratore.
In Europa orientale la Chiesa si trovava in uno stato di persecuzione. In Italia, con pressioni su De Gasperi, si voleva formare uno Stato cristiano. In Spagna, la restaurazione cattolica sembrò riuscire nel 1953, a prezzo della rinunzia alla libertà nella nomina dei vescovi. Il successo spagnolo durò poco.
La società stava cambiando rapidamente: passaggio dalla mentalità contadina a quella industriale; nasceva e presto si diffondeva la televisione, mutando molti aspetti ed abitudini della vita; l’automobile diventava il mezzo comune di trasporto; aumentando il benessere, aumentavano anche le spese per vivere; molte megalopoli crescevano; il modello tradizionale di famiglia entrava in crisi (meno dialogo, famiglie piccole); i valori classici e tradizionali erano scossi.
La Chiesa nel 1958 ci appare arroccata, immobile, immutabile, sulla difensiva. Ancora nel settembre del 1958 si proibiva la lettura in volgare delle letture della Messa, contemporaneamente alla lettura fatta in latino dal celebrante. Questo è un fatto molto significativo, ma nell’ottobre del 1958 a Castel Gandolfo papa Pio XII moriva e finiva un lungo, difficile ed importante pontificato e qualcosa di straordinario ed impensabile si stava affacciando…



IL CONCILIO VATICANO II


Il 28 ottobre del 1958 venne eletto papa Angelo Roncalli, che prese il nome di Giovanni XXIII. Egli volle subito che mons. Tardini divenisse Segretario di Stato, carica che mancava da ben 14 anni, a causa della politica di accentramento di Pio XII.  Tra i due   non era mai corso buon sangue, ma i nemici è meglio averli accanto, per neutralizzarli, che lontani…  Si dall’inizio il nuovo papa mise in risalto la funzione pastorale e religiosa del papa, piuttosto che quella diplomatica e politica.  La bontà e la paternità del nuovo papa furono messe in evidenza dalla sua visita al carcere romano di Regina Coeli.
Il 25 gennaio del 1959, nella basilica di S. Paolo, ci fu una grande sorpresa dell’anziano papa (77 anni): l’annuncio di un Sinodo romano, di un Concilio ecumenico, di un aggiornamento del codice di diritto canonico. L’arcivescovo di Milano Montini, appresa la notizia disse ad un amico: Che vespaio, che vespaio!   Egli non poteva immaginare che quel vespaio lo avrebbe ereditato lui stesso e ne avrebbe fatto il suo capolavoro!   Il papa si era già confidato con qualche cardinale sul suo desiderio di liberare la Chiesa da un certo immobilismo e vecchiume. Era necessario creare un clima di collaborazione tra il papa e i vescovi.  Inoltre, il Concilio doveva essere nuovo e non la continuazione di quello precedente. Occorreva esporre l’antica dottrina con metodi nuovi e dialogare con l’intera umanità e non più condannare e stare sulle difensive.  Il papa volle sentire il parere dei cardinali sul Concilio.  Su 73 cardinali risposero appena 26.  Più entusiasta dell’iniziativa del papa era l’opinione pubblica.
Tra i cardinali si trovavano i conservatori (Ottaviani, Ruffini, Siri) e i progressisti (Suenens, Lercaro, Bea).   Si invitarono autorità religiose e scuole teologiche ad avanzare delle proposte per il Concilio.  Intanto, tra il 1959 ed il 1960, si svolse il Sinodo romano, con esiti piuttosto conservatori (non venne applicato per niente). Il papa, nel frattempo, cercava di raccogliere attorno a sé molti consensi.  Egli si servì molto dell’aiuto e della competenza del cardinale Bea, sj,  biblista.       Nel 1959, il venerdì santo, all’improvviso, il  papa  diede ordine di omettere nella nota preghiera per gli ebrei, l’aggettivo  “perfidi”.  Era un esplicito invito al dialogo anche con loro.  Furono create undici commissioni per preparare il Concilio (dommatica, per i vescovi, per il clero, per i sacramenti, per la liturgia, per i seminari, per i religiosi, per le Chiese orientali, missioni, apostolato dei laici, unità dei cristiani).  I vescovi nelle commissioni potevano essere coadiuvati da teologi ed esperti (Congar, Daniélou, De Lubac, Murray, Rahner, tutti in passato ebbero dei problemi con la gerarchia...).  Qualche cardinale suggerì di rinviare l’inizio del Concilio, sperando che il papa morisse prima… ma Giovanni XXIII fu tenace ed irremovibile. Si decise di invitare al Concilio anche osservatori dalle altre “Chiese separate”. Segretario del Concilio fu nominato il cardinale Felici. La lingua scelta fu il latino (pure il francese). L’approvazione dei documenti aveva bisogno dei 2/3 dei voti.  
Uno dei principi che guidavano il papa, di fronte alle diverse modifiche degli schemi preparatori fu: lasciar fare, far fare, dare da fare.  Nonostante alcune critiche il papa era molto stimato per il suo comportamento, per la sua pastoralità (visite nelle parrocchie), per i contatti con Kruscev, per il suo non intervento nella politica italiana e nella DC, per il suo ottimismo, per la sua giovialità. Intanto, il cardinale Ottaviani si faceva spesso sentire con la sua invadenza.
Alcuni dati sulla partecipazione ai concili:
Trento: 30    
Vaticano I: 700    
Vaticano II: 2540
Mai una assemblea nella storia era stata così numerosa ed universale! Mancavano i vescovi lituani, rumeni, albanesi, cecoslovacchi e ungheresi (una parte), diversi cinesi. Ricordiamo che alcuni vescovi erano in carcere, a causa di certi regimi. Al Vaticano II l’orientamento generale era progressista, aperto al mondo (aggiornamento, ecumenismo, nuovi linguaggi e metodi). Si pensava che il Concilio sarebbe durato poco.

            L’11 ottobre del 1962 tutto il mondo assistette a qualcosa di straordinario per mezzo della TV: un lungo corteo di vescovi entrava in S. Pietro. Il papa apparve sulla sedia gestatoria.  Si cantò il Vangelo in latino, in greco, in paleo-slavo ed arabo. Il discorso inaugurale era stato scritto dal papa, il quale criticava i “profeti di sventura”, pessimisti e conservatori. La Chiesa esprime la sua vitalità anche nei concili, che esplicano la continuità del suo magistero lungo i secoli. La Chiesa del Vaticano II stava per compiere un balzo in avanti. La condanna degli errori del mondo e della società andava fatta in modo positivo. Per la Chiesa si apriva una nuova era, una nuova primavera dello Spirito. Con Giovanni XXIII si respirava tanto ottimismo, speranza, fiducia, serenità, come attestano anche il suo noto riferimento alla luna e alla carezza dei bambini dalla finestra del Palazzo Apostolico.
            Nonostante le buone intenzioni del papa, il Concilio andava avanti un po’ a tastoni. Montini invocava un piano di lavoro più organico e sistematico: la Chiesa (il suo mistero), il primato del papa, la missione della Chiesa, il suo dialogo con i fratelli separati, con le altre religioni, con la società contemporanea.  Sin dall’inizio Ottaviani contestò alcune idee sulla liturgia: partecipazione, lingua, riforma dei libri, eucarestia sotto le 2 specie. Toni accesi ebbe anche la discussione sulle fonti della Rivelazione, lo schema sulle Chiese orientali, sul concetto di Chiesa (ancora giuridica, trionfale… invece che mistero di salvezza). Fino all’8 dicembre il Concilio ebbe un rodaggio: nessun schema approvato! Comunque, l’episcopato aveva preso coscienza di essere il protagonista del Concilio.
            L’11 aprile del 1963 usciva la Pacem in terris, per la prima volta nella storia della Chiesa, indirizzata a tutti gli uomini di buona volontà(50). Nell’ottobre del 1962 si era sfiorato a Cuba un nuovo conflitto mondiale. Il testo fu preparato dal cardinale (futuro) Pavan e trattava dei diritti fondamentali di tutti gli uomini, di tutti i gruppi sociali, la necessità di una solidarietà tra le nazioni, il rifiuto radicale di ogni guerra e della politica del terrore. L’enciclica ammetteva la possibilità di collaborazione tra forze cattoliche e di altro genere, comprese quelle di sinistra. Questa era una svolta epocale per la Chiesa, rispetto alle chiusure di Pio XI e Pio XII. Era la rivincita di De Gasperi e di Moro.
            Il 3 giugno del 1963 si spegneva serenamente Giovanni XXIII, che aveva ricevuto nei suoi ultimi giorni alcune critiche amare. Tutto il mondo era in lutto: uomini di tutte le idee e di tutte le religioni, atei, buddhisti, musulmani, ebrei, ortodossi, protestanti: l’umanità era spiritualmente presente in quei giorni in piazza S. Pietro. Il 21 giugno venne eletto papa Giovan Battista Montini, Paolo VI. Egli aveva una personalità complessa, tormentata. Era realista e aperto, fiducioso e a volte cadeva nell’utopia. Era l’uomo più idoneo a continuare il Concilio, per la sua cultura, equilibrio, orientamento (progressista), e si guadagnò la simpatia ed il rispetto di molti prelati e teologi.
Il 29 settembre del 1963 il Concilio riprendeva il suo cammino (II periodo).    Il papa denunciava il carrierismo e la troppa burocrazia degli ambienti curiali, ammetteva i laici a partecipare al Concilio come uditori (Jean Guitton). Ora si doveva parlare della Chiesa, del suo rapporto con Cristo. Si doveva affrontare la riforma della Chiesa (segno di fedeltà). Occorreva dialogare con i fratelli separati, perdonarsi, rispettarsi, conoscersi… La Chiesa doveva guardare al mondo, alle sue attese, alle sue esigenze, alle sue angosce, ansie, preoccupazioni, speranze e tutto con realismo ed ottimismo. Se Giovanni XXIII era spontaneo, facile comunicatore, pieno di speranza e di fiducia, ottimista, tuttavia, era un po’ vago e generico nelle sue proposte. Paolo VI era più concreto, determinato, deciso e forte.
            Il tempo del rodaggio per il Concilio era finito. All’inizio del II periodo fu approvata la Sacrosanctum Concilium (lingua volgare ammessa. Crollava il tradizionalismo dell’Ottaviani e del suo sistema)(51). Si discusse del diaconato permanente (molte perplessità), sugli ebrei (ostacoli dai filo-arabi), sulla libertà religiosa (indifferentismo, uguaglianza delle religioni, indipendenza dell’uomo da Dio).
            Il III periodo del Concilio (1964) vide i sussulti della minoranza (tradizionalista). In esso si trattò delle Chiese orientali, del pluralismo liturgico. Il IV periodo (13 settembre-8 dicembre 1965) fu una corsa contro il tempo. Il lavoro divenne massacrante. È il periodo della Dei Verbum(52), della Gaudium et Spes(53), relativa alla vita della Chiesa nel mondo contemporaneo. Il documento era ottimista e non guardava più al mondo in modo minaccioso e sprezzante!
Il 7 dicembre 1965 il papa ed il patriarca Atenagora, si chiedevano contemporaneamente perdono per gli errori del passato (sentenze di scomunica abolite). L’8 dicembre furono letti dei messaggi per i governanti, i filosofi, gli scienziati, gli artisti, le donne, i lavoratori, i malati, i sofferenti, i giovani. Cominciava un’altra tappa nella storia della Chiesa.  Era una rinnovata Pentecoste, una primavera dello Spirito o un’età di nuovi contrasti?
            Queste le 4 costituzioni del Concilio:
- Sacrosanctum Concilium
- Lumen Gentium(54)
- Dei Verbum
- Gaudium et Spes
            Nove i decreti:
mezzi di comunicazione sociale, ecumenismo, Chiese orientali cattoliche, ufficio pastorale dei vescovi, rinnovamento della vita religiosa, formazione sacerdotale, apostolato dei laici, attività missionaria, vita sacerdotale.
            Tre le dichiarazioni:
educazione cristiana, libertà religiosa, relazioni con le religioni non cristiane(55).


GIOVANNI XXIII


Il suo breve pontificato ha dato una svolta alla storia della Chiesa. La scarsa conoscenza che si ha di lui prima dell’elezione papale ha contribuito a fare di lui un mito. Il suo doveva essere un pontificato breve e privo di sorprese. È accaduto l’opposto (storia non programmata…). Per qualcuno egli era il papa buono, ingenuo ed avventato, trascinato dalle circostanze, preoccupato di accontentare tutti, senza avvedersi di provocare conseguenze inattese e non volute. Per qualcun altro egli è ”l’apprendista stregone”, che proprio a causa della sua inesperienza scatena forze incontenibili. Nel silenzio e nell’obbedienza egli aveva pensato da molto tempo e preparato un rinnovamento profondo della Chiesa, aspettando la maturità dei tempi. Al di là di tutto egli fu un conservatore, ma non un integralista! Durante il modernismo anche lui fu oggetto di sospetti e di critiche infondate. In tutte le cose sapeva andare all’essenziale e in profondità. Lo assistevano il suo innato ottimismo, la sua straordinaria capacità di stabilire contatti umani, personali, pastorali con tutte le persone. Non era un contestatore, ma preferiva vivere in Oboedientia et pax.
Egli intendeva avvicinare la Chiesa al mondo moderno, allacciare nuovi contatti con i fratelli separati e con coloro che erano lontani dalla Chiesa, che aveva bisogno di un grande sforzo di rinnovamento, presentando in una forma nuova l’antica dottrina. Con lui la Chiesa fece un “balzo in avanti” nella dottrina e nella pastorale. Era assai diffidente verso i “profeti di sventura”, eternamente nostalgici del passato. Giovanni XXIII non pensava proprio di aprire un’epoca nuova per la Chiesa. Egli voleva solo affrettare il lento, secolare cammino della Ecclesia Mater, adattarla ai tempi nuovi, spingerla con coraggio verso i suoi reali obiettivi. Insomma, non era proprio un “pacioccone”.
          
PAOLO  VI


Paolo VI proveniva da un’agiata famiglia borghese. Studiò tra i Gesuiti e i Filippini di Brescia. Lavorò a lungo per la Curia romana di Pio XII. Anche lui, come papa Giovanni XXIII, amava il suo tempo ed era aperto al mondo contemporaneo. Paolo VI si era maturato a contatto con la FUCI, nei suoi contatti con il mondo e la cultura italiana. Suo padre era stato deputato popolare. Era contrario al fascismo. Leggeva volentieri De Lubac e Maritain. Si fece consigliare molto dal cardinale Bea e non dal cardinale Ottaviani. Per alcuni storici egli avrebbe affievolito l’ispirazione di papa Giovanni XXIII di favorire una Chiesa profetica e carismatica. Così venne interpretata la sua decisione di non procedere alla beatificazione di papa Giovanni XXIII, richiesta a furor di popolo. Si è convinti, comunque, che Paolo VI salvò il Concilio, preparato alla garibaldina e alla bersaglieresca, che probabilmente sarebbe naufragato per i suoi troppi schemi e contraddizioni.
            Paolo VI definì più chiaramente il programma del Concilio, con più concretezza, concentrandosi su precisi obiettivi, facendolo progredire in modo più snello e sicuro. Paolo VI non cercava di ottenere grandi numeri, larghi consensi, ma cercava di convincere: dissipò dubbi, vinse molte esitazioni, precisò la portata di alcuni documenti (Lumen Gentium). Egli fu veramente una guida illuminata, paziente, tenace, dolce e ferma.

           
GIUDIZI


Alcuni Concili non hanno inciso profondamente nella storia della Chiesa e della cristianità. Altri, come il Vaticano I, hanno portato a termine un ciclo storico iniziato da tempo, riaffermando e radicalizzando principi teoricamente già formulati prima (Trento). Per esempio, il Vaticano I segnò il trionfo del centralismo romano,  dell’ultramontanesimo e dell’intransigenza. Il Concilio di Trento offrì una risposta al protestantesimo e risollevò la Chiesa umiliata, delineando i tratti essenziali della vita ecclesiale nei dogmi, nella disciplina, nella liturgia, nella pastorale, fino ai nostri giorni!
            Il Vaticano II  ha chiuso definitivamente l’epoca posttridentina, ed ha aperto un nuovo corso, che non rinnega il passato, ma lo integra, lo perfeziona, adattandolo alla continua evoluzione dell’umanità. Ecco allora riconosciuta la collegialità dei vescovi (sinodi, conferenze episcopali); vengono considerati finalmente il laicato, le chiese locali, il sacerdozio universale. Nel codice di diritto canonico del 1917, per esempio, ai laici spettava solo credere, partecipare ai sacramenti, obbedire…
            La Chiesa si mostra ora povera materialmente, pastoralmente e culturalmente: non mette più la sua fiducia nell’appoggio e nella difesa statale, ma nella grazia, nella forza della verità, nella purezza della sua testimonianza. Partecipe delle sofferenze di tutti, al servizio dell’umanità, senza soluzioni prefabbricate universalmente valide, priva delle competenze specifiche per suggerire soluzioni concrete, chiede solo di servire, come ha dichiarato Paolo VI all’ONU, nel suo viaggio intrapreso all’inizio dell’ottobre 1965: Nous n’avons rien à demander; aucune question à soulever; tout au plus un désir a formuler, une permission à solliciter: celle de pouvoir vous servir dans ce qui est de notre compétence avec désintéressement, humilité et amour.
            Al tempo di Pio XI la Chiesa era sicura di possedere la verità, orgogliosa di difenderla contro ogni indifferentismo e ogni tentativo di mettere sullo stesso piano le varie confessioni religiose cristiane (non “Chiese”), diffidente verso protestanti ed ortodossi, sollecita ad evitare ogni pericolo di frequenti contatti tra cattolici ed acattolici, severa nel vietare la partecipazione dei fedeli “ai congressi degli acattolici”.
L’Unitatis Redintegratio rivela la prontezza a riconoscere i propri torti ed a chiedere perdono, a cogliere tutte le ricchezze spirituali della tradizione orientale e degli stessi protestanti, a cercare di riannodare un dialogo, per sgombrare equivoci, sottolineare i punti comuni, rispettarsi a vicenda, collaborare insieme su molte questioni(56). L’unità resta una meta lontana, ma intanto, sembra dire il Vaticano II, conosciamoci meglio, stimiamoci, discutiamo insieme, teniamo per sempre lontano, non solo ogni violenza, ma ogni lieve mancanza alla carità, nel rispetto della coscienza altrui.
            La Chiesa del Vaticano II mostra fiducia nell’uomo (Dignitatis Humanae)(57). Non ci strappiamo le vesti per l’erezione a Roma, capitale della cristianità, di una moschea perché i musulmani residenti nell’urbe, vi possano esercitare il loro culto.
            I vecchi moralisti pretendevano di dare delle norme precise per tutti i casi della vita, senza accorgersi di limitare pericolosamente l’autonomia del soggetto. La stessa morale matrimoniale si presentava rigida, insistendo più sui fini che sul significato profondo dell’unione matrimoniale, ponendo in second’ordine la donazione reciproca e la mutua complementarietà, per accentuare la procreazione. Il Concilio offre un’immagine più umana e completa del matrimonio, sottolineando il valore del mutuo amore dei coniugi (visione ottimista della vita e dell’amore indissolubile, più che insistere sulle condanne alla contraccezione…).
            La Gaudium et Spes ci presenta una Chiesa solidale col mondo, con le sue sofferenze, con le sue conquiste; riconosce l’autonomia del temporale e gli aspetti perfino positivi della secolarizzazione. Si dialoga col mondo! La verità può essere presente anche in certe forme di ateismo.
            La Sacrosanctum Concilium coronava vecchie aspirazioni. È una vera rivoluzione. Le istanze emerse (con Lutero) col Sinodo di Pistoia nel 1786, riapparivano (nel 1963!), purificate, ma accettate. La S. Sede stessa proponeva ora ai fedeli una pietà nutrita direttamente dalla liturgia, dalla Scrittura, dai Padri, ed espressa in forma più comunitaria. Qualcuno ha lanciato uno slogan: da Pistoia (1786) al Vaticano II (1962-1965)… Nel Vaticano II si è finalmente superato l’ecclesiasticismo, il legalismo, il trionfalismo, l’individualismo posttridentino(58).
            
IL POST- CONCILIO: RINNOVAMENTO E CRISI
La grandezza di un Concilio si valuta anche osservando la sua applicazione(59.    Il Vaticano II fu solo un sogno di mezza estate, o l’inizio di un rinnovamento, di una trasformazione nel volto e nell’attività della Chiesa?  Dal 1965 ad oggi si è assistito a 2 fenomeni opposti: un rinnovamento religioso e una forte crisi religiosa, con una secolarizzazione crescente e una perdita sempre maggiore di alcuni valori fondamentali. Ma non è il Concilio la causa del progressivo distacco dalla Chiesa ufficiale della società e della perdita dei valori tradizionali! Ogni Concilio e papa riflettono le circostanze ed i tempi in cui si sono trovati.
            Le guerre dopo il ’65 si sono susseguite spaventosamente: Guerra Fredda, muro di Berlino, “Primavera di Praga”, conflitti tra Israele e i paesi arabi (1967 e 1973), il trionfo di Khomeini in Iran, la guerra tra Iran ed Iraq, il Viet-Nam e la sconfitta americana (1976), le guerre in Nigeria, Burundi, colpi di stato e rivoluzioni in America Latina (El Salvador, Guatemala, Nicaragua). Il 20 luglio del 1969 l’uomo mette piede sulla luna. Nell’industria, di conseguenza, si producono oggetti sempre più piccoli, raffinati, precisi. E la vita quotidiana si modifica rapidamente. Avviene una seconda Rivoluzione industriale con nuovi disoccupati! Cresce il consumismo, miglior tenore di vita, nuove comodità (viaggi, vacanze). La donna, ormai, è emancipata. Afflussi enormi di extracomunitari giungono in Europa.
            Nella Chiesa continua il rinnovamento col papa Paolo VI.
Il 7 dicembre del 1965 il S. Uffizio cambiava nome e struttura: non più condanne, ma promozione della fede (Congregazione per la Dottrina della Fede).
1966: abolizione dell’Indice dei libri proibiti (4 secoli di storia improvvisamente superati…). Si potevano leggere Le Provinciali di Pascal, I Miserabili di Victor Hugo, Le Cinque Piaghe di Rosmini.     
Il 15 agosto del 1967 era riformata la struttura della curia romana (Regimini Ecclesiae Universae). Limiti di età nuovi vengono imposti ai cardinali e gli uffici diventano quinquennali. Lo spirito di servizio (universale) diventa legge di curia! Nel 1970 si decreta che i cardinali ultraottantenni sono esclusi dal conclave.
            Le Conferenze episcopali iniziano il loro cammino; i Sinodi dei vescovi vengono convocati regolarmente (collaborano col papa, lo consigliano); il codice di diritto canonico rinnovato nel 1983 (ecclesiologia del Vaticano II. Non più scomuniche; partecipazione dei laici ad uffici di curia; istituti secolari). Tutti i vescovi italiani si riuniscono per la CEI. Ci si distacca dalla DC.
            Ad attirare maggiormente l’opinione pubblica sono state le riforme liturgiche, perché incidevano di più sul costume. Dal Concilio di Trento poche erano state le novità in questo settore(60). Animatori della riforma furono il cardinale Lercaro e il Bugnini (promosso Nunzio in Iran per essere rimosso).
In quel periodo di transizione e di esperimenti ci furono degli abusi: libera creazione di testi, eliminazione dei paramenti sacri, uso del pane comune e di bicchieri di carta al posto del calice, musica chiassosa, celebrazioni fuori dai contesti sacri (refettori, sala di riunione), discussioni invece delle omelie.
Ecco approvata nel ’65 l’introduzione della lingua volgare e nel 1970 il nuovo Messale (erano passati 4 secoli esatti dalla pubblicazione del Messale di Pio V!). Si rinnovò il calendario liturgico nel 1969 e nel 1971 il breviario. Nel 1968 venne pubblicato il Pontificale Romanum e nel 1973 l’Ordo Paenitentiae. Nel 1973 si emanava la disposizione per i ministri straordinari dell’Eucarestia (anche donne!). Fu una vera rivoluzione liturgica! Si cercava di presentare il mistero cristiano in un linguaggio adatto non solamente alla civiltà agricola, ma anche a quella industriale. La liturgia diventava la fonte prima, insostituibile, della vita e dell’istruzione del popolo di Dio, che per troppo tempo, non comprendendo i riti latini, si era rifugiato in una pietà devozionale, con preghiere e forme lontane dal linguaggio e dal pensiero pubblico. Liturgia ora come catechesi.     I fedeli diventano attori nella liturgia e non più semplici spettatori. Si superava il rubricismo (feste non motivate, doppioni, baci, genuflessioni, gesti…).
            I risultati hanno corrisposto alle speranze?  Per il consueto fenomeno storico, in questo momento balzano agli occhi soprattutto le lacune, alcuni limiti, le lentezze della riforma. Non si è superato del tutto un certo archeologismo e un insanabile divario, forse, tra i vertici e la base. Le traduzioni non furono sempre rispettose del significato autentico di alcuni termini. Per esempio, salus, venne tradotto con salute! Almeno è caduto il muro di divisione tra il popolo e i ministri della Chiesa. In molti casi le messe dei giovani sono divenute un centro di attrazione e di vitalità cristiana. C’è bisogno ancora di tempo, intelligenza e buona volontà da parte del clero e dei laici, perché queste riforme maturino meglio. Da non dimenticare, poi, per l’Italia nel 1967 il permesso di poter indossare il clergyman e la fine dell’astinenza settimanale del venerdì.
            Per il catechismo si capì che quello di Pio X era superato. Nel catechismo si manifesta un nuovo modo di magistero della Chiesa. Ci si adatta ai bambini, adolescenti, giovani, adulti. Nel 1970 esce il documento Il rinnovamento della catechesi. Successo ebbe il catechismo olandese del 1966 (vivace). Nel 1992 Giovanni Paolo II compose il Catechismo della Chiesa cattolica, base per tutti i paesi.
            In Italia, gli istituti secolari femminili sono passati da 35 a 43, dal 1976 al 1988, mentre il numero dei membri è leggermente calato.
L’Opus Dei è divenuta una prelatura personale. Fu fondato da Escrivà de Balaguer, ora canonizzato. Esso si rivolge al mondo intellettuale. In questi ultimi decenni si sono sviluppati dei nuovi gruppi, non legati alla clausura e alla separazione dei sessi e anche gruppi legati al discorso familiare. Va ricordato il movimento neocatecumenale, che nel 1986 ha inviato circa 300 famiglie in zone scristianizzate.
            Tutti i religiosi, in genere, hanno moltiplicato i loro capitoli e raduni, in vista di un buon rinnovamento. Ma per tutti è arrivata la crisi: contestazione dell’autorità dei superiori, storture nella povertà e nella vita comune, soggetti autonomi, modifiche dell’abito. Si tende a creare delle piccole comunità in piccole case, ma non si sono risolti i problemi di vita comunitaria e di preghiera. È il caso degli ordini tradizionali (Francescani, Gesuiti, Carmelitani, Salesiani). Non dimentichiamo il ’68… I religiosi hanno avuto enormi perdite dal 1964 ad oggi (2011). In Italia le perdite arrivano ad 1/3.      In America Latina molti religiosi hanno aderito alla teologia della liberazione, restando a fianco dei poveri (impegno politico e sindacale). Oggi i religiosi soffrono di un forte invecchiamento e di una mancanza di vocazioni. Ma questa crisi non è dovuta al Vaticano II, ma alla crescente secolarizzazione della società intera.
Il Concilio ha favorito il rinnovamento degli istituti, con l’abbandono di vecchie ed anacronistiche usanze (la cuffia di alcune suore, non potrebbe essere agile in tram o in bus…). Il Concilio ha proposto uno stile di vita consacrata più umano, semplice, familiare, con nuove forme di apostolato, specialmente tra i poveri e con una vita comunitaria meno formale e più sincera.
            Le associazioni cattoliche hanno avuto uno sviluppo straordinario. Così le comunità di base in America Latina. In Italia si sono sviluppati i carismatici, i focolarini, gruppi come Emmaus, Abele, Operazione Mato Grosso, neocatecumenali. All’Azione Cattolica si è opposto il movimento di Comunione e Liberazione (piano di ricostruzione della società). L’Azione Cattolica fece una scelta più religiosa con Vittorio Bachelet (1964-1973). Alla fine dei conti, con il suo realismo, l’AC si è dimostrata più efficace e realistica di CL. Per la stampa cattolica va ricordata, per esempio, “Famiglia Cristiana”, il settimanale cattolico più diffuso in Italia con 1.000.000 di copie. Il libro religioso ha avuto in questi anni una grande diffusione e divulgazione e si presenta come una risposta alla larga diffusione del pensiero marxista, laico, anticlericale e liberale. In teologia non si contano le pubblicazioni (Martini per il campo biblico), commenti ai testi conciliari, teologia morale, dogmatica, studi storici… La teologia non è più una disciplina maschile. La teologia fu cacciata, in Italia, dalle università nel 1873. Oggi si moltiplicano le cattedre di storia del cristianesimo, storia delle religioni, storia della Chiesa, storia dell’agiografia, storia della letteratura cristiana antica.
            In Italia nel 1984 fu firmato il nuovo Concordato tra lo Stato e la Chiesa e fu firmato dal Segretario di Stato Agostino Casaroli e dal Presidente del Consiglio Bettino Craxi. Si scelse come data il 18 febbraio e non l’11 per sottolineare la sostanziale differenza con gli accordi del ’29. In Italia, comunque, molte cose sono cambiate e la Chiesa ha scoperto di non essere più così seguita in seguito ai referendum sul divorzio e sull’aborto (1 dicembre 1970 per il divorzio; 22 maggio 1978 per l’aborto. Che sorpresa e che sconfitta!). La religione Cattolica non è più religione di Stato in Italia e in Spagna (l’Irlanda difende di più i valori cristiani).     La gerarchia ecclesiastica rinunzia alle sovvenzioni statali per il clero (congrue).       È l’istituto diocesano per il sostentamento del clero a stabilire le quote per tutti gli ecclesiastici e per i loro enti (l’8 x 1.000). Questo è stato un altro terremoto nella Chiesa: rinuncia di privilegi, diritti, consuetudini, diversità di rendite per parrocchie. Altra questione, ancora in via di discussione e di contestazione, è l’ora di religione nelle scuole. Si vive nel pluralismo!

            Date indimenticabili per la recente storia della Chiesa, eventi che non hanno bisogno di commenti (per un po’ di ottimismo…):
- 13 aprile 1986: visita di Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma.
- 27 ottobre 1986: giornata di preghiera per la pace ad Assisi per le varie religioni.

          L’Italia ha dimostrato che la cristianità nel suo territorio era al tramonto nel campo morale. Non si contano i casi di convivenza, di separazione, di matrimoni civili… La media della frequenza domenicale della messa in Italia è del 30% circa… La confessione è in declino, rapporti prematrimoniali, declino del senso del pudore, omosessualità sempre più riconosciuta, perdita del “senso del peccato”… Contraccezione… La Chiesa deve continuare a lottare per difendere i suoi valori, ma dovrà contare sempre di più sull’efficacia della grazia, sulla forza della verità e della testimonianza cristiana; sempre meno può aspettarsi qualcosa di buono dallo Stato laico. In questi anni si è accentuato il fenomeno dell’abbandono del sacerdozio e della vita religiosa. Dal 1964 al 1970, 13.139 sacerdoti hanno cambiato la loro missione. Questo fenomeno pone molte serie domande sui temi vocazionali. È una vera e propria emorragia! Le statistiche in questo campo sono tremende ed agghiaccianti. Non sembra vero che le vocazioni adulte siano più solide di quelle giovanili… e poi, i fatti dimostrano che non c’è più un’età sicura per la certezza vocazionale.
            Il ’68 ha avuto i suoi effetti negativi su molte persone di Chiesa: contestazione ad oltranza, rifiuto della Chiesa-istituzione. I problemi affettivi nelle crisi vocazionali nasconderebbero: svuotamenti spirituali, frustrazioni intellettuali o disciplinari, mancata interiorizzazione dei valori di fondo del sacerdozio e della vita consacrata. Defezioni nella Chiesa ci sono sempre state, con il Risorgimento, il Modernismo, ma ora le cifre sono spaventose. In pochi anni 200.000 religiose in meno! Le strutture classiche in passato proteggevano le personalità fragili. Dopo il Concilio molte di queste strutture sono crollate. Nella Chiesa servono ministri “volontari”, non “forzati”, sosteneva Paolo VI. Egli preferì che, coloro che avvertivano il sacerdozio come un peso insostenibile, lo lasciassero. Giovanni Paolo II si è dimostrato variabile nella concessione delle dispense… L’emorragia più grossa fu degli anni 1963-1978. Nel complesso, sembra che la crisi sia stata superata e i sacerdoti hanno dato prova di una rinnovata maturità ed identità (coloro che hanno resistito… Troppo rassegnato…)(61).

CONTESTAZIONE E TERRORISMO
          
I vari movimenti di contestazione culminarono nel ’68. Nel ’64 ci furono contestazioni universitarie in California (guerra del Viet-Nam). Alcune università furono occupate anche in Italia: Trento, Milano, Torino. Parigi ebbe scontri tra studenti e polizia. E la contestazione raggiunse la Chiesa (finanze vaticane). Arrivarono proteste di teologi (Chenu, Rahner, Ratzinger). Celebrazioni miste tra cattolici e protestanti in Francia, laici che concelebrano… Occupazione della cattedrale di Parma… Le critiche di don Franzoni (sospeso nel ’74: dichiarazioni filo-comuniste, favorevole al divorzio).
            I contestatori dimostrarono più volte, di non avere un obiettivo senso della storia e cercarono di forzare i tempi. La contestazione univa insieme un sincero idealismo, una larga dose di ingenuità (cambiare le cose da un giorno all’altro) e una inconsapevole disponibilità a lasciarsi strumentalizzare dai politici.
            L’estremismo dei contestatori, la lentezza della gerarchia, la scarsa fantasia della Chiesa ufficiale hanno approfondito il solco tra i giovani e l’istituzione ecclesiastica ed hanno facilitato i cedimenti verso il marxismo.
            Il terrorismo si manifestò in Spagna (Paesi Baschi), in Irlanda, per l’OLP, in America Latina per rovesciare regimi conservatori e dittatoriali. In Italia ci furono guerriglie, l’assassinio di Moro (1978), di Bachelet (1980). Il 21 aprile del 1978 Paolo VI scrisse alle Brigate Rosse: Uomini delle Brigate Rosse… vi prego in ginocchio, liberate l’onorevole Moro, semplicemente, senza condizioni… ed il 13 maggio al rito funebre in S. Giovanni in Laterano: Dio della vita e della morte, Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro… per lui, Signore, ascoltaci.
            13 maggio 1981, piazza S. Pietro: attentato a Giovanni Paolo II.  Solo l’immediato ricovero al Policlinico Gemelli con un lungo intervento chirurgico e la sua forte fibra, salvarono il papa, che poté lentamente riprendersi e ritornare al suo massacrante lavoro. A parte le ridicole condanne e visioni dell’attentatore, nessuno è riuscito a sapere e, forse nessuno saprà mai, chi erano i veri mandanti dell’attentato (governi dell’Europa orientale…).  
            Per quanto riguarda la Chiesa latino-americana, ci sono stati 3 incontri importantissimi per la vita di quella Chiesa: Medellìn, Puebla, Santo Domingo.        In essi si condannò la violenza istituzionalizzata e la critica dell’invasione del continente da parte delle grandi multinazionali. Inoltre, si parlò del rifiuto della violenza, dell’impegno per una liberazione totale dell’uomo, della povertà causata dal capitalismo, del marxismo ateo, della rivalutazione della religiosità indigena, del sostegno agli operai, agli emarginati, ai campesinos, alle donne.
            Il 24 marzo del 1980 si ricorda l’assassinio dell’arcivescovo di San Salvador Oscar Romero, che aveva condannato apertamente la violazione dei diritti umani fondamentali, la scomparsa di tanti cittadini, le torture, le esecuzioni sommarie, la violenza, la repressione. Prima di venire ucciso all’elevazione della Messa aveva detto nell’omelia: Possa questo sacrificio dare a noi il coraggio di offrire il nostro corpo per la giustizia e la pace.   
Sei  Gesuiti salvadoregni vennero uccisi nel 1989.    Essi erano impegnati nelle scuole locali popolari. I responsabili dell’assassinio dopo poco tempo erano già in libertà… Altri religiosi sono stati uccisi in El Salvador, Guatemala. La Chiesa di El Salvador ha pagato le conseguenze della sua scelta in favore dei poveri.
            Dal 1985 si assiste al crollo della vecchia Europa orientale. Gorbaciov inaugurò le parole divenute popolari: perestroika (riforme) e glasnot (trasparenza, informazione).
Nel novembre del 1989 crolla il muro di Berlino, crolla un’epoca! Vincono i modelli sociali, economici e politici occidentali, con l’economia di mercato, con strutture politiche democratiche (sarà vero?). Nel 1990 la Germania è di nuovo unita. L’URSS diventa la CSI (Comunità di Stati Indipendenti), ma sta vivendo una crisi gravissima. In Italia cambia nome il PCI e la DC… Scandali e tangenti… Corruzione.
            Varsavia, Mosca, Budapest, Praga, Berlino, Sofia, Bucarest, vivono il loro pellegrinaggio verso la libertà; tutti vincono la paura di parlare, eppure, in Europa si apre un altro dolorosissimo conflitto in Jugoslavia (vertice tensione post-comunista).
In tutti questi sconvolgimenti europei certamente Giovanni Paolo II ha avuto la sua parte, anzi, ha accelerato il fenomeno evolutivo, a partire dal suo appoggio a Solidarnosc. E ancora date importanti:
- 1988: millenario della cristianizzazione della Russia (ricevimento rappresentanti del Vaticano).
- 1 dicembre 1989: prima visita di Gorbaciov in Vaticano.
- 15 marzo 1990: normali rapporti diplomatici Unione Sovietica-Vaticano (nunzio).
- Aprile 1990: visita del papa in Cecoslovacchia.
- Agosto 1990: visita del papa in Ungheria.
- 1 ottobre 1990: a Mosca è approvata la legge sulla libertà religiosa.
- 18 novembre 1991: seconda visita di Gorbaciov in Vaticano.
Gorbaciov ebbe cattive sorprese dopo poco tempo, ma ormai la Chiesa cattolica in Russia aveva ritrovato la sua libertà, che non possedeva neanche sotto gli zar.

           

1789, 1989: DUE  DATE INDELEBILI NELLA STORIA D’EUROPA E DELLA CHIESA.


OSSERVAZIONI CONCLUSIVE



Il Concilio Ecumenico Vaticano II resta uno dei fatti più importanti nella storia della Chiesa del Novecento, e, probabilmente, anche dell’Ottocento. L’assise ecumenica non rinnegava il Vaticano I, ma ne costituiva il complemento necessario. Un concilio, tuttavia, vale non per i suoi decreti, quanto per la loro applicazione e la loro reale efficacia. Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno avuto la tenacia necessaria per quest’opera.
L’applicazione dei decreti conciliari si è manifestata in:
- Riforma liturgica (1965-1975)  - Nuovo codice di diritto canonico (1983)
- Sinodi generali   - Conferenze episcopali   - Rinnovamento Istituti religiosi (umanità)   - Aderenza ai problemi del nostro tempo   - Nuovi concordati (rinuncia ai privilegi e alla “religione di Stato”)   - Valore delle Chiese locali   - Sinodi diocesani   - Nuovo ruolo del laicato   - Nascita di movimenti laicali   - Incontri ecumenici  
Ostacoli per l’applicazione del Concilio:
- Universale secolarizzazione   - Contestazioni di destra (tradizionalismo) e di sinistra (idealismo, ingenuità, strumentalizzazione passiva)   - Terrorismo   - Defezioni nel sacerdozio e nella vita religiosa (emorragia)   - Crisi di alcuni Istituti religiosi (tensioni tra conservatori ed innovatori)   - Diminuzione delle vocazioni   - Invecchiamento Istituti religiosi   - Rapidi cambiamenti sociali   - Immigrazione di massa  - Instabilità politiche

            Due compiti si aprono per la Chiesa oggi: in Occidente, la lotta contro la laicizzazione, l’indifferentismo, il consumismo; in Oriente, la rieducazione delle vecchie masse e la formazione delle giovani leve a un cristianesimo sempre vecchio e nuovo, fermo nelle tradizionali verità e capace di incarnare i principi e i valori immutabili nelle nuove vesti storiche richieste dalle nuove condizioni, sensibile a tutte le indicazioni del Concilio Vaticano II.

            Il Concilio Ecumenico Vaticano II fu voluto con chiarezza e fermezza da Giovanni XXIII. Fu condotto a termine con saggezza, pazienza e numerosi sacrifici personali da Paolo VI, e da lui per primo rispettato ed attuato. Esso venne applicato fedelmente da Giovanni Paolo II e resta e resterà per decenni il faro, che illumina la rotta della Chiesa, capace di cogliere i “segni dei tempi”, ma anche di resistere alle mode passeggere, periodicamente emergenti, destinate a rivelare presto o tardi la loro intrinseca debolezza. La storia può aiutare a comprendere meglio i problemi del presente, a trovare la via retta, ad evitare, per quanto è possibile, sbandamenti, scoraggiamenti, amarezze; la storia può aiutare a continuare, come in passato, la lotta che la Chiesa ha condotto da secoli con alterni risultati.

IL CRISTO
IERI E OGGI
PRINCIPIO E FINE
ALFA E OMEGA
A LUI APPARTENGONO IL TEMPO E I SECOLI
A LUI LA GLORIA E IL POTERE
PER TUTTI I SECOLI IN ETERNO. AMEN





[1] Cf. G. Miegge, Lutero giovane, Milano 1977.
[2] Cf. H.O. Oberman, Martin Lutero. Un uomo tra Dio e il diavolo, Bari 1987.
[3] Per l’approfondimento di testi luterani rimandiamo a: G. Alberigo, La riforma protestante, Brescia 1988. Un buon testo semplice, chiaro, essenziale, colorito per conoscere Lutero ed il mondo protestante è: O. Christin, La riforma. Lutero, Calvino e i protestanti, Universale Electa/Gallimard, Trieste 1996.

[4] Cfr., M. Firpo, Paola Antonia Negri, monaca Angelica (1508-1555), in Rinascimento al femminile, O. Niccoli (a cura di), Bari 1988, 35-82.
[5] Cfr., L. Iriarte, Storia del Francescanesimo, Napoli 1982.
[6] Cfr., nota 13.
[7] Cfr., R. Fulop-Miller, Segreto e potenza dei Gesuiti, Milano 1997.
[8] AA.VV., Gian Matteo Giberti. Vescovo di Verona (1524-1543), Biblioteca Capitolare di Verona (a cura di), Verona 1989.
[9] Cfr., M. Welti, Breve storia della riforma in Italia, Casale Monferrato 1985.
[10] L’esperienza delle Riduzioni è magistralmente illustrata nel film “Mission”, uscito nel 1986.
[11] Cfr., DZ 1862-1870.
[12] Cfr., J.P. De  Dieu, L’Inquisizione, Cinisello Balsamo 2003.
[13] Cfr., A. Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Torino 1996.
[14] Cfr., B. Brecht, Vita di Galileo, Trento 1997.
[15] Cfr., A. Fantoli, Galileo. Per il copernicanesimo e per la Chiesa, Città del Vaticano 1997.
[16] Cfr., L. Mezzadri, Storia della Chiesa tra Medioevo ed Epoca Moderna. III: Il grande disciplinamento (1563-1648), Roma 2001, 263-276; R. Kottje – B. Moeller, Storia ecumenica della Chiesa. III: Età moderna, Brescia 1981, 34-42; G. Martina, Storia della Chiesa da Lutero ai nostri giorni. II: L’età dell’assolutismo, Brescia 1994, 209-258.  
[17] Cfr., B. Pascal, Lettere Provinciali, Bari 1963.
[18] Si invita alla lettura dei vari pronunciamenti ufficiali della Chiesa sul Giansenismo, presenti nel Denzinger.
[19] Un giorno a colloquio col p. Martina, dissi: “Professore, ho letto un suo libro su Pio IX”. Ed egli mi chiese: “Quale? Ne ho scritti almeno 20!” Riporto questo caro ricordo dell’eminentissimo professore, per segnalare come egli sia la massima autorità sulla conoscenza di Pio IX, figura recentemente elevata agli onori degli altari. Nel giorno della beatificazione, in segno di protesta, il p. Martina uscì da Roma. Egli, più volte consultato dal papa sulla causa di beatificazione di Pio IX, si espresse decisamente contrario. Tuttavia, la beatificazione di Pio IX non basta a giustificare alcuni problemi storici ancora discutibili e non del tutto chiari. Cfr., R. Aubert, Il pontificato di Pio IX, Torino 1970. G. Martina, Pio IX (1846-1850), Roma 1974; Pio IX (1851-1866), Roma 1986; Pio IX (1867-1878), Roma 1990. K. Schatz, Pio IX, in Storia dei papi, M. Greschat – E. Guerriero (a cura di), Cinisello Balsamo 1994, 605-628.
[20] DZ 2730-2732.
[21] DZ 2890-2896.
[22] DZ 2901-2980.
[23] DZ 3955-3997.
[24] Per questo capitolo, abbiamo seguito l’ottima presentazione del Martina nel suo manuale (III volume), 227-273, tentando di sintetizzarne i passaggi più importanti. Il IV volume del manuale (Brescia 1995), presenta anche la “questione romana” dopo il 1870, alle pagine 13-27.
[25] DZ 3000-3045.
[26] DZ 3050-3075.
[27] Cfr., G. Martina, Storia della Chiesa da Lutero ai nostri giorni. III: L’età del liberalismo, Brescia 1995, 275-309. M. Maccarrone, Il concilio Vaticano I e il Giornale di Mons. Arrigoni, 2 voll., Padova 1966. G. Radice, Pio IX e Antonio Rosmini, Città del Vaticano 1974. R. Aubert, Vatican I, Paris 1964.
[28] DZ 2775-2777.
[29] DZ 2890-2896.
[30] DZ 2901-2980.
[31] DZ 3265-3271.
[32] DZ 3725-3744.
[33] DZ 3733-3737.
[34] DZ 3935-3953.
[35] DZ 4440-4469.
[36] DZ 4500-4512.
[37] Enchiridion Vaticanum XIII (1991-1993), Bologna 1995, nn. 66-265.
[38] Cfr., G. Antonazzi – G. De Rosa, L’Enciclica Rerum Novarum e il suo tempo, Roma 1991. G. Are, I cattolici e la questione sociale in Italia, Cinisello Balsamo 1990, 681-708.
[39] DZ 3401-3466; 3475-3500.
[40] DZ 3537-3550.
[41] Cfr., F. Montanari, Fogazzaro Antonio, in Enciclopedia Cattolica, V, Città del Vaticano 1950, 1459-1462.
[42] Cfr., G. Azzolin, Gli Scotton. Prediche, battaglie, imboscate, Vicenza 1998.
[43] Cfr., C. Colombo, La questione del modernismo italiano, in Scuola Cattolica 101 (1973) 140-159.
[44] Cfr., 2 meravigliosi studi sul comportamento di Pio XII durante la Seconda Guerra Mondiale: G. Sale, Il preteso “silenzio” di Pio XII e l’Olocausto, in La Civiltà Cattolica 153 (4 maggio 2002) 230-243; P. Blet, Pio XII, il Terzo “Reich” e gli ebrei, in La Civiltà Cattolica 153 (20 luglio 2002) 117-131; F. Traniello, Il pontificato di Pio XII, in Storia dei papi, M. Greschat – E. Guerriero (a cura di), Cinisello Balsamo 1995, 795-857; P. Blet, Pio XII e la Seconda Guerra Mondiale negli Archivi Vaticani, Milano 1999; A. Riccardi, Pio XII, Bari 1984; G. MIccoli, I dilemmi e i silenzi di Pio XII. Vaticano, Seconda Guerra Mondiale e Shoah, Milano 2000; A. Tornielli, Il Papa degli Ebrei, Casale Monferrato 2001.
[45] Si consiglia la lettura di: P. Levi, Se questo è un uomo, Torino 1958.
[46] Su Lefebvre rimandiamo alle pp. 382-384 del IV volume del Martina. 
[47] DZ 3825-3831.
[48] DZ 3800-3822.
[49] DZ 3840-3855.
[50] DZ 3955-3997.
[51] DZ 4001-4048.
[52] DZ 4201-4235.
[53] DZ 4301-4345.
[54] DZ 4101-4179.
[55] Per una rapida presentazione delle più importanti novità contenute in questi documenti si rimanda a: G. Martina, Storia della Chiesa da Lutero ai nostri giorni. IV: L’età contemporanea, Brescia 1995, 325-331.
[56] DZ 4185-4192.
[57] DZ 4240-4245.
[58] Si consiglia per la propria formazione la lettura di opere, di scritti e di biografie di papa Giovanni XXIII e Paolo VI. Gli studi e le pubblicazioni sul Concilio Ecumenico Vaticano II sono infiniti. Ci piace ricordare un’opera seria sul valore ed il significato storici del Concilio: G. Alberigo, Storia del Concilio Vaticano II, 5 voll., Bologna 1995-2001.
[59] Questo capitolo è una sintesi estratta dal manuale del Martina (vol. IV) alle pp. 349-398; il gesuita è uno dei pochi avventurieri che hanno tentato di esprimere un giudizio e dei tentativi di lettura della storia e della vita della Chiesa dal Concilio Vaticano II ad oggi.
[60] Esempio di critica alla riforma liturgica è l’opera di: T. Casini, La tunica stracciata, Roma 1967.
[61] Per studiare la vita e la situazione della Chiesa in Italia oggi, si deve stare attenti alle numerose statistiche riportate nei testi e nei manuali di sociologia religiosa (corso previsto per il VI anno nella nostra scuola). Personalmente, rimando a: F. Garelli, Religione e Chiesa in Italia, Bologna 1991.
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Fonte:  Appunti e promemorie  Studio Teologico Interprovinciale

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