lunedì 8 agosto 2011

Verona. «Una sostanza sulle selci blu», ma i test non svelano il mistero


 I cassetti delle strutture che, all'interno dell'ex Arsenale, ospitano la collezione di selci. Sotto accusa erano finiti i tappetini che li rivestivano 

Le analisi L’università di Siena: una molecola colorante  le ha contaminate.
L’assessore Erminia Perbellini: conservate correttamente, a ottobre le esporremo
Tinè: «Potrebbe risalire a 50 anni fa». Ora i raggi X

VERONA - Tutto e il contrario di tutto. Il caso delle selci preistoriche conservate nei magazzini dell'ex Arsenale e diventate nei mesi scorsi di colore blu, sembra destinato a rimanere un mistero. Almeno sotto il profilo delle responsabilità.
Ieri sono state annunciate le conclusioni alle quali sono giunti i ricercatori dell'Università di Pisa, che seguono di qualche mese il «referto» stilato dai colleghi dell'ateneo di Padova
I team che hanno analizzato i reperti archeologici contaminati, concordano sul fatto che l'improvvisa colorazione cobalto subita in forma più o meno accentuata da circa 7.000 reperti (su un totale di 201.193 esemplari) conservati nel magazzino, è dovuta a una molecola sconosciuta, che è già stata ribattezzata «Juliet blue».
E sia gli esperti toscani  che quelli veneti assicurano che il processo è reversibile, e quindi le selci potranno essere riportate allo ro stato naturale, perdendo il colore.

Le differenze riguardano le cause della pigmentazione.
Per l'università di Padova la colpa era di una misteriosa reazione chimica legata ai tappetini di gomma che rivestono i cassetti dentro i quali sono stati custodite le selci.
Una spiegazione che ora viene messa totalmente in  discussione dai ricercatori di Pisa: «Le sostanze volatili emesse dal tappetino non influiscono significativamente sulla composizione dell'ambiente circostante le selci conservate dentro i sacchetti posti nelle scatole di cartone».

Quindi la responsabilità di quella colorazione è un'altra.  I ricercatori ipotizzano che una sostanza sconosciuta sia entrata in contatto  con i reperti, magari perché «utilizzata in passato per evidenziare le proprietà delle selci e abbia a sua volta contaminato i materiali circostanti».
In pratica i manufatti preistorici potrebbero essere stati cosparsi «di una sostanza blu».
Il  soprintendente  Vincenzo Tinè non crede all'ipotesi del sabotaggio: «In passato per fotografare un reperto si utilizzavano sostanze in grado di accentuarne le forme. Quindi le selci potrebbero essere entrati in contatto con la sostanza anche cinquant'anni fa».

Stando a una nuova, possibile, ricostruzione, le pietre potrebbero essere state cosparse con la sostanza blu e poi, una volta scattate le fotografie, lavate e lucidate «con grasso animale e cera paraffina» riportandole, almeno all'apparenza, al loro colore naturale. «In seguito  sottoposte a una variazione di temperatura, di umidità o di ph dovute al trasferimento dei reperti nei nuovi magazzini, le selci hanno riacquistato la colorazione blu», ipotizza Tinè.

Per l'assessore alla Cultura Erminia Perbellini «è la dimostrazione che l'amministrazione non ha commesso errori nella conservazione dei reperti». Ora si procederà ad effettuare alcuni test su una decina di selci blu che verranno sottoposte a un trattamento con raggi X, che potrebbe eliminare la colorazione.
Perbellini è ottimista: «In ogni caso è stata fatta una scoperta scientifica importante: la nuova molecola, A ottobre organizzeremo a Verona una mostra per esporre queste selci blu di cui tutti hanno parlato».

Fonte: A.Pri.  da Il Corriere del Veneto, edizione Verona, del 27 luglio 2011

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