Il cranio di Isabella d’Aragona mostra zone molto evidenti di colore bruno, soprattutto nella regione parotidea; si tratta di depositi di sali di mercurio, metallo che viene eliminato elettivamente dalle ghiandole salivari.
L'ANALISI DELLE MICROSUTURE RIVELA CONTINUE ABRASIONI
AD OCCHIO NUDO SI NOTA sui denti di Isabella d'Aragona una insolita abrasione delle superfici labiali degli incisivi e dei canini. L'usura è talmente profonda da avere consumato quasi tutto lo smalto e una parte consistente della dentina. Da questa usura deriva un effetto di «spianatura» delle superfici labiali degli incisivi centrali. Gli incisivi laterali e i canini superiori mostrano usure ancora più marcate, con profilo addirittura concavo, che intaccano in profondità smalto e dentina. All'esame microscopico queste superfici si presentano attraversate da sottili e fittissime strie rettilinee. Sugli incisivi centrali superiori queste sono prevalentemente orizzontali, mentre sui laterali e sui canini si osserva un aumento della loro obliquità.
L'osservazione al microscopio elettronico a scansione delle superfici abrase mostra che l'agente responsabile dell'usura ha interessato in modo differenziato lo smalto e la dentina a causa della differente durezza dei due componenti la corona del dente.
Esaminando le superfici più interessate dall'azione abrasiva, quelle degli incisivi e dei canini, si osserva che l'asportazione di dentina presenta un profilo curvilineo. L'incavo prodotto ha un raggio costante su tutte le superfici esaminate. Il profilo delle superfici abrase descrive evidentemente parte del profilo dello strumento responsabile delle abrasioni. Queste sono state dunque prodotte da uno strumento rigido e cilindrico. La sperimentazione mostra che le strie prodotte da uno strumento con queste caratteristiche, utilizzato con un movimento di va e vieni, sono sempre rettilinee e parallele. Il diverso orientamento delle strie a seconda dei denti esaminati (pressoché orizzontali sui denti anteriori e man mano più oblique procedendo posteriormente) conferma l'ipotesi che si tratti di uno strumento rigido. Per abradere gli ultimi molari con una limetta occorre infatti aumentare progressivamente l'inclinazione dello strumento per evitare di ferire le guance.
L'esame microscopico ha messo in evidenza anche strie verticali, più brevi delle precedenti. Esse sono di frequente riscontro nelle dentature del passato e sono dovute all'azione di granuli abrasivi presenti nel cibo, poco raffinato, nel corso della masticazione. Nel caso di Isabella d'Aragona, queste particelle dure non sembrano essere di provenienza alimentare; esiste infatti una contraddizione tra la ricchezza di strie da masticazione e l'usura molto modesta delle superfici occlusali: Isabella evidentemente preferiva cibi liquidi e semiliquidi particolarmente raffinati.
Possiamo ragionevolmente supporre che i granuli provenissero, almeno in parte, dallo stesso strumento abrasivo; probabilmente si trattava di una bacchetta di pietra pomice, di osso di seppia o di bastoncini di legno cosparsi di sostanza collosa e granuli di quarzo. Dispersi dallo strumento e depositati negli spazi interdentali e nei solchi intercuspidali, i granuli si sarebbero mescolati al cibo producendo un aumento artificiale dell'abrasione alimentare. In effetti la sperimentazione in laboratorio con limette in pietra pomice e in osso di seppia ha riprodotto usure simili a quelle riscontrate sui denti di Isabella d'Aragona.
I larghi solchi, ben visibili sui margini anteriori e posteriori di canini e premolari, sono invece attribuibili, per le loro caratteristiche, all'azione di stuzzicadenti in materiale duro, probabilmente in metallo dalle nobildonne aragonesi di Napoli, ambiente a cui Isabella d'Aragona apparteneva.
ABRASIONI PER TOGLIERE Il NERO DEl MERCURIO
NELLE SUE «LETTERE DA Vigevano» (1492) Bernardino Prosperi, inviato ferrarese alla corte dei Duchi di Milano, scrive a Girolamo Gilioli, camerlengo ducale della casa d'Este, che nel guardaroba di Beatrice d'Este esistevano ottantaquattro vesti, vasi preziosi. Non mancavano altri oggetti di uso comune, non esclusi i «netezadori da denti».
Ma nel corredo delle dame erano presenti anche altri accessori per l'igiene dentale, come polveri dentifricie, stuzzicadenti in metalli preziosi e addirittura limette in metallo.
Potremmo aggiungere a queste liste di oggetti i bastoncini di pietra pomice o di osso di seppia di cui sembra facesse largo uso Isabella d'Aragona? Ma le ragioni che hanno spinto questa nobildonna italiana ad abradere in maniera così drastica i propri denti sono riconducibili a semplici motivi di igiene e di estetica?
La patina nera visibile su alcune superfici dentarie è stata asportata dall'abrasione; questa quindi sembra abbia avuto lo scopo di limitare l'estendersi di tale patina. La microanalisi di questa patina ha evidenziato accanto agli elementi caratteristici della composizione dello smalto (Calcio e Fosforo), una forte presenza di mercurio. Il deposito di sali di mercurio sui bordi gengivali è caratteristico dell' intossicazione cronica da questo elemento. Esso viene eliminato dall'organismo principalmente per via renale, biliare e salivare, la secrezione salivare, in particolare, provoca una deposizione di sali di mercurio sulle superfici dentarie. L'eliminazione per via renale è causa frequente di grave e letale insufficienza renale.
UN RIMEDIO PEGGIORE DEL MALE
OGGI QUESTA PATOLOGIA da assunzione di grandi quantità di mercurio è descritta raramente. Fino al secolo scorso, invece, preparati a base di questo metallo rivestivano un'importanza notevole per la cura della sifilide. L'uso del mercurio come antiluetico risale alla prima grande epidemia di sifilide diffusa in Europa nel corso del Sedicesimo secolo al seguito dell'invasione delle soldataglie di Carlo VIII; sebbene i risultati della terapia fossero buoni, i luetici erano curati in maniera così aggressiva da rendere quasi preferibile la malattia al rimedio. Gli ammalati venivano tenuti a digiuno, poi purgati, salassati, quindi sottoposti alla cura mercuriale per mezzo di frizioni (pomata mercuriale) o di inalazioni di vapori mediante combustione di cinabro. La cura veniva protratta fino a ottenere una grave stomatite. Assai frequenti erano i casi di intossicazione mortale.
È interessante notare che le testimonianze dei cronisti del Rinascimento accennano a volte al fatto che le nobildonne dell'epoca avessero i denti neri. Luigini Federico, ad esempio, nel suo «Libro della bella donna» ne parla diffusamente. Questa frequente caratteristica può essere spiegata con una diffusa intossicazione da mercurio tra le dame di corte. La massiccia utilizzazione di questo, a scopo terapeutico o profilattico, può essere messa in rapporto con la vastissima prima epidemia di sifilide nell'Europa del '500.
Nel caso di Isabella d'Aragona i diffusi depositi di sali di mercurio sembrano dimostrare uno stadio particolarmente grave di intossicazione. Isabella era probabilmente affetta, nell'ultimo periodo della sua vita, da sifilide ad uno stadio non ancora avanzato. Lo scheletro non presenta, infatti, stigmate della fase finale di tale malattia.
L'intossicazione da mercurio, dimostrata dalle diffuse incrostazioni sui denti, è di tale entità da potere essere stata essa stessa la causa di morte.
METODI DI STUDIO. COME SI ANALIZZANO I DENTI UMANI
Gli incisivi e i canini di Isabella profondamente scavati dall' abrasione. L'esame microscopico ha confermato un'azione abrasiva volontaria e protratta nel tempo, con l'uso di lime che hanno lasciato tracce evidenti del loro passaggio sullo smalto e sulla dentina.
LA SEZIONE DI PALEONTOLOGIA umana del dipartimento di Anatomia e Fisiologia umana dell'Università di Torino è da anni impegnata in ricerche, coordinate da Giacomo Giacobini e da Francesco d'Errico, sulle microtracce presenti su reperti di interesse preistorico ed archeologico.
L'analisi delle usure presenti sulle superfici dentarie è condotta alternando l'uso del microscopio ottico e del microscopio elettronico a scansione. Quasi sempre l'osservazione avviene su repliche delle superfici da esaminare, precauzione necessaria nel caso dell'utilizzo del microscopio elettronico: la metallizzazione del campione, sotto vuoto, indispensabile per l'osservazione, altererebbe infatti in modo permanente i preziosi reperti.
I microcalchi si ottengono tramite elastomeri da impronta per uso dentistico. Alcuni di questi prodotti registrano dettagli inferiori al micron con un'elevatissima fedeltà di riproduzione.
Le repliche per l'osservazione al microscopio ottico a luce trasmessa sono invece ottenute con vernici metallografiche alla nitrocellulosa. Tale metodo offre il vantaggio, rispetto all'osservazione diretta del dente al microscopio, di una migliore definizione anche a forte ingrandimento. La superficie piatta della replica elimina infatti i problemi di profondità di campo; la sua trasparenza annulla le riflessioni e rifrazioni prodotte dai microprismi dello smalto. Inoltre con questo metodo è possibile esaminare agevolmente un grande numero di campioni. Ciò consente di conservare e catalogare in poco spazio le repliche destinate ad ulteriori osservazioni.
L'utilizzo di una microsonda a raggi X, accoppiata al microscopio elettronico, serve per l'identificazione degli elementi chimici della superficie in studio e richiede, naturalmente, la presenza del campione originale che non viene danneggiato dalla metallizzazione. In alcuni casi tale metodica di indagine può rivelare la presenza, sullo smalto o nei depositi di tartaro, di elementi estranei alla composizione normale dei tessuti dentari. Si possono così diagnosticare patologie legate all'accumulo di sostanze estranee all'organismo, quali intossicazioni croniche, dovute ad abitudini alimentari o non.
Fonte: srs di Giuliano Villa Francesco d'Ertico. Dipartimento di Anatomia e Fisiologia Umana dell'Università di Torino; da Archeologia Viva del febbraio 1991, anno X N° 16.
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