lunedì 15 giugno 2015

STORIA VENETA - 46: 1337 - VENEZIA CONQUISTA PADOVA. INIZIA COSÌ IL DOMINIO SULLA TERRAFERMA VENETA



Dal testo di Francesco Zanotto


"Ubertino provvide alla guardia della città, ne fornì le porte dei più leali fra i padovani, e indettatosi segretamente col de' Rossi, lo invitò ad approssimarsi coll'esercito.  Accostavasi il capitano alla porta di Santa Croce facendo cenno di abbatterla, e intanto, secondo le prese intelligenze, profittando del favor della notte, andò alla porta di Pontecorvo seguitato da 500 Tedeschi, ed avendola trovata aperta per opera di Marsilio, si mise dentro nel borgo, il dì 3 agosto 1337, passò l'altra di S. Stefano alla seconda cinta di mura, che pure era schiusa, e giunse fino alla piazza senza occorrere in opposizione veruna ... "


ANNO  1337



Giuseppe Gatteri


Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.


La conquista di una città avviene o per assedio o per tradimento. E la "conquista" di Padova non fece eccezione: la quinta colonna della famiglia Da Carrara fece da battistrada alla potenza delle armi veneziane neutralizzando il controllo degli Scaligeri sull'intero territorio del Veneto centrale ...


LA SCHEDA STORICA  -  46


Nel 1329 veniva a morte dopo un dogato di 16 anni Giovanni Soranzo e prontamente gli succedeva sul trono ducale Francesco Dandolo.
Venezia fino ad allora era stata da sempre una potenza marittima e a questo era legata la sua fama. Il rapporto con il suo entroterra tuttavia, non era certo di minore importanza dato che dalle sue campagne giungevano via fiume a Venezia i generi ed i prodotti di prima necessità indispensabili per la sopravvivenza fisica dei suoi abitanti. In quest'ottica, l'evoluzione delle vicende storico-politiche dei Comuni veneti riguardavano sempre più anche Venezia. Una città, quella lagunare, in costante crescita demografica se si pensa che solo nell'ultimo secolo aveva raddoppiato la sua popolazione con un conseguente, crescente aumento della domanda di generi alimentari che la legavano sempre più alle città agricole dell'entroterra.
Già agli inizi del XIII secolo era emersa la necessità di entrare in qualche modo nella vita politica dei Comuni, esigenza momentaneamente frustrata durante il ventennio ezzeliniano durante il quale Venezia si rese conto anche della pericolosità di avere alle spalle una signoria personale e dispotica quale fu quella del da Romano.
Caduto il "tiranno" nel 1260, la pace non tornò certo a regnare nella regione dove si scontravano ormai apertamente, le mire espansionistiche dei due Comuni più forti, quello padovano dei da Carrara e quello veronese dei della Scala. Una situazione che da un sostanziale equilibrio nel corso della seconda metà del secolo, arrivò al punto di crisi politico-militare in quello successivo.
Cangrande della Scala infatti, aveva rapidamente conquistato Feltre e Belluno togliendo successivamente ai Padovani Vicenza per arrivare a conquistare infine, la stessa Padova nel 1328.
La potenza espansiva del signore veronese arrivò così l'anno seguente alle porte di Venezia quando proprio nel 1329 fece installare niente meno che a Mestre i suoi doganieri. La morte di Cangrande in quel medesimo anno non mutò di molto la situazione per Venezia, se non in peggio.
Il suo successore Mastino II procedeva infatti sulla linea patema annettendosi anche le città di Parma, Brescia e spregiudicatamente pure Lucca in Toscana.
Forte di questi inarrestabili successi Mastino II aveva poi iniziato ad intralciare pesantemente il commercio fluviale da e per Venezia inasprendo esageratamente i dazi sulle merci e minacciando lo stesso monopolio veneziano del sale. Il della Scala, infatti, aveva inaugurato l'importazione del prezioso minerale da Salisburgo, città ricca infatti di miniere di salgemma, ed aveva costruito, vicino a quelle veneziane, le sue saline.
Ora poteva inviare a Venezia il suo ambasciatore Marsilio da Carrara, signore-fantoccio di Padova e nominato vicario degli Scaligeri dopo la loro conquista della città. L'eccessiva fiducia, o forse la prova di tale fiducia, concessa dai veronesi a Marsilio si dovrà rivelare ben presto un grave, fatale errore.
Il padovano infatti, non poteva certo accettare il ruolo di semplice vicario della "sua" città al servizio per di più del nemico conquistatore e così i negoziati con Venezia rappresentarono per il da Carrara una preziosa occasione per poter riacquistare eventualmente la città proprio con l'aiuto degli stessi veneziani che, di ragioni per contrastare il potere scaligero, ne avevano sin troppe.
Si narra, così, che durante un banchetto diplomatico, caduta la forchetta al doge, Marsilio si sia inchinato a raccoglierla sussurrando al Dandolo in quei brevi istanti :"Che premio se vi consegnassi Padova?" E il doge:" La Signoria di Padova". E così fu.
Venezia accettando di appoggiare il da Carrara nelle sue segrete aspirazioni, entrava a pieno titolo nelle convulse ed intricate vicende dei Comuni veneti. Oltre Padova infatti, Venezia garantì al signore carrarese anche Monselice, Este, Cittadella e Bassano, in cambio di garanzie economiche e di una reciproca alleanza difensiva. Venezia otteneva invece oltre a questo, il dominio di Treviso e del suo territorio "sbarcando" così anche fisicamente sulla terraferma.
E così, il 10 ottobre del 1336 Pietro de Rossi, il più giovane rampollo della spodestata famiglia signorile di Parma, ma anche uno dei più validi condottieri del tempo, riceveva dal doge in persona il gonfalone di S. Marco. Era l'investitura ufficiale da parte dei veneziani del comando di un esercito che riuniva nelle sue file gli esponenti di un vastissimo fronte anti-scaligero che includeva anche i Gonzaga, gli Estensi e gli stessi Visconti, spaventati dalla crescente potenza dei signori veronesi.
Dopo la prima vittoriosa serie di scontri dell'esercito della coalizione, il comandante de Rossi portò le sue truppe verso Padova dove si trovava a difesa della città Alberto della Scala accanto a Marsilio da Carrara che in realtà aspettava speranzoso, all'insaputa dello scaligero, l'arrivo degli eserciti. Mastino d'altro canto, aveva dovuto lasciare la città per accorrere a Brescia dove un attacco diversivo di Azzo Visconti richiamò astutamente il potente signore veronese.
Padova, così, lasciata in mano all'inetto Alberto divenne una facile preda per l'esercito del de Rossi che poteva contare anche sulla complicità interna dei fratelli carraresi Marsilio ed Ubertino. Fu probabilmente quest'ultimo ad aprire le porte della città alle truppe anti-scaligere che arrivarono nella piazza centrale senza trovare alcuna resistenza. Alberto si rese conto troppo tardi di quello che stava accadendo e venne facilmente catturato e spedito a Venezia quale prezioso prigioniero. Anche per Mastino della Scala, del resto, le cose non volgevano certo per il meglio tanto che nel 1339 fu costretto a chiedere la pace. Pace che si dimostrò estremamente vantaggiosa soprattutto per i veneziani.
Padova, infatti, tornava solo formalmente ai Carraresi che di fatto si erano rimessi nelle mani del governo lagunare che riusciva anche a confermare il possesso di Treviso e del suo territorio da Castelfranco a Oderzo, assicurandosi una preziosa via per i paesi d'Oltralpe dove venivano largamente distribuiti i prodotti provenienti dall'Oriente ed importati da Venezia. Il  primo, importante nucleo del futuro dominio veneziano sulla terraferma aveva così preso lentamente consistenza.



Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,  volume  2, SCRIPTA EDIZIONI


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