martedì 2 giugno 2015

STORIA VENETA - 38: 1260 - L'ATROCE FINE DEGLI EZZELINI. ALBERICO E FAMIGLIA STERMINATI A S. ZENONE



Dal testo di Francesco Zanotto


"Furono condotti intorno all'esercito, come in trionfo; poscia si diede incominciamento a quell'orrida tragedia. Su gli occhi di quell'infelicissimo padre gl'innocenti fanciulli furono ad uno ad uno decapitati. Si venne poi alle donzelle e alla moglie, giovane ancora e bella. Fu acceso il fuoco, e furono miseramente vive abbruciate. Finalmente colla morte di Alberico fu dato fine all'orribile fatto. Egli fu posto alla coda di un cavallo e trascinato per tutto l'esercito, lasciando il terreno intriso del suo sangue, e ad ogni sasso, ad ogni sterpo o spina qualche pezzo delle sue carni".


ANNO 1260



Giuseppe Gatteri


Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.


Il  declino degli Ezzelini ha due tappe: la morte del Tiranno, Ezzelino III, e la lenta agonia politica e militare del fratello, Alberico, per più di un anno rinchiuso nel suo castello di San Zenone, dove infine troverà la morte assieme alla sua famiglia in un'orrenda carneficina ...
(Nella illustrazione di Giuseppe Gatteri il signore del castello di San Zenone, Alberico degli Ezzelini, chiede pietà ai suoi aguzzini)


38 - LA SCHEDA STORICA


 La politica veneziana per tutto il XIII secolo poteva  considerarsi ancora una politica prettamente marittima e per questo, come da sempre del resto, maggiormente rivolta verso l'Oriente ed il Mediterraneo piuttosto che verso la terraferma dove Venezia non aveva tuttavia mancato già di scontrarsi una volta coi padovani nel corso del XII secolo.
Tuttavia, rispetto all'entroterra veneto, ai suoi violenti e convulsi mutamenti politici e sociali, ai suoi Comuni e alle loro turbolente vicende, la città lagunare aveva da sempre mantenuto un atteggiamento sostanzialmente estraneo e disinteressato.  E' solo con il nuovo secolo, il XIII, e con i primi seri scontri con il vicino comune di Padova in costante espansione, che anche il governo veneziano riconobbe sempre più l'utilità e l'opportunità di intervenire in qualche modo nella politica dei Comuni veneti attraverso, per esempio, l'elezione alla carica podestarile di cittadini veneziani.
Un imprevisto, tuttavia, arrivò a turbare i programmi di Venezia e con essi la vita politica e sociale di tutte le città venete, imprevisto che portava il nome di Ezzelino III da Romano. Nel giro di pochi anni, da semplice esponente di una delle più ricche famiglie dell'antica nobiltà feudale, Ezzelino, spalleggiato dall'imperatore Federico II di Svevia, riuscì infatti ad affermare il proprio dominio su tutti i principali Comuni dell'allora Marca Trevigiana: Vicenza, Verona, Padova e Treviso che tra il 1236 ed il 1237 caddero tutti sotto il personale dominio del da Romano.
Fu allora che Venezia, per la prima volta dopo tanti anni, si sentì nuovamente e seriamente minacciata alle spalle. La costituzione di una potente e personale signoria nella regione da parte di Ezzelino non poteva naturalmente che impensierire il governo veneziano che, tuttavia, scese in campo contro il "tiranno" solo nel 1256, quando il potere ezzeliniano era ormai chiaramente destinato al tramonto sotto l'urto di una vastissima coalizione perorata dallo stesso pontefice.
Dopo tre anni Ezzelino infatti sarebbe stato sconfitto definitivamente a Cassano d'Adda lasciando l'ultima, disperata speranza di un impossibile riscatto, al fratello Alberico signore di Treviso.
Della città trevigiana Alberico da Romano si era insignorito conquistandola militarmente il 14 maggio del 1239. Inutilmente il suo Podestà, il veneziano Pietro Tiepolo, figlio dello stesso doge, aveva tentato una coraggiosa difesa della città contro l'esercito di Alberico: il fratello di Ezzelino inaugurava in questo modo un ventennio di indiscusso e personale dominio.
Vent'anni durante i quali il da Romano, pur facendo di Treviso e della sua corte uno dei centri più importanti e raffinati della produzione lirica cortese, non mancò di usare un pesante pugno di ferro contro oppositori o semplicemente  presunti tali. Si intensificarono così, specie dopo il 1245, le defezioni, le fughe e le fuoriuscite di molti illustri esponenti della vita pubblica trevigiana. Le persecuzioni che ne seguirono non fecero altro che incrementare l'odio verso il da Romano ed accelerare il suo progressivo isolamento. Nessuno poteva ormai lasciare o entrare a Treviso senza il suo personale consenso mentre i superstiti della dura repressione, in numero sempre più crescente, trovavano in Venezia un vicino e sicuro rifugio.


La fine di Alberico


 Nel 1257 Alberico si era pure riavvicinato al potente fratello Ezzelino dopo lunghi anni di antagonismi, gelosie e scontri per il predominio nella regione, siglando in questo modo la sua rovina.
Avuta infatti notizia della morte del fratello caduto prigioniero nella battaglia di Cassano d'Adda, Alberico sentì prossima anche la sua fine. Non considerando più Treviso sicura e fidata, il da Romano si rifugiò così in uno dei suoi più fortificati ed inaccessibili castelli, quello di S. Zenone. Lo seguivano i soli membri della famiglia, la moglie e gli otto figli oltre i pochi uomini di masnada rimasti fedeli in virtù di uno speciale vincolo di giuramento che li legava alloro signore.
Intanto a Treviso veniva eletto il nuovo Podestà, ancora un veneziano, nella persona di Marco Badoer. Il suo governo come primo atto decretò la morte di Alberico e di tutti i membri della sua famiglia, adulti e fanciulli. Alberico, che nel frattempo resisteva ai colpi degli assalitori, rimaneva rinchiuso nel suo castello. Era solo, tuttavia, questione di pochi giorni.
Probabilmente a seguito del tradimento del comandante della cinta inferiore, Mesa da Porcilia, il castello venne infatti ben presto in gran parte conquistato e distrutto. Restava quale unica ed ultima via di scampo la torre centrale dove Alberico infatti si rifugiò rendendosi conto troppo tardi della trappola senza uscita in cui si era cacciato. Dopo tre giorni di disperata resistenza, preso più dalla fame e dalla sete, Alberico decise per la resa nella speranza di salvare almeno in questo modo la vita dei suoi cari e dei suoi uomini.
Questi, sciolti dal vincolo di fedeltà assoluta alloro signore, avrebbero dovuto consegnarlo al nemico chiedendo in cambio la salvezza della moglie Margherita e degli otto figli, pregando il marchese d'Este - uno dei più accaniti nemici dei da Romano ma imparentato con la famiglia di Alberico per averne sposato una figlia -, di prenderli sotto la sua protezione.
Nessuna delle pietose richieste di Alberico venne tuttavia accolta. Anzi! Una volta avuti fra le mani il da Romano e la sua famiglia, gli assalitori non si risparmiarono quanto ad atrocità e nefandezze. Alberico fu costretto ad assistere alla decapitazione dei suoi due figlioli maschi, il più piccolo dei quali ancora bambino, mentre la moglie e le altre figlie venivano arse vive su dei roghi. Dopo tanto strazio Alberico veniva infine giustiziato ed il suo corpo trascinato barbaramente da un cavallo. Era il 26 agosto del 1260.
Così, tra il sangue e la polvere, si era consumata un'atroce vendetta che aveva posto miseramente fine alla gloriosa e rapida ascesa di una famiglia che aveva trovato in Ezzelino e nel fratello Alberico, gli ultimi, estremi fautori di un inconfessato ed ambizioso sogno di potere.



Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,  volume  2, SCRIPTA EDIZIONI





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