lunedì 1 giugno 2015

STORIA VENETA - 37: 1256 - LA VITTORIA SU GENOVA AD ACRI. PER IL PREDOMINIO SUL COMMERCIO NEI MARI



Dal testo di Francesco Zanotto


"Sbarcati i Veneziani, corsero subitamente a dare l'assalto al ben munito monastero di S. Saba, il quale fra il fuoco appiccatovi ed i colpi d'espugnazione dovette aprire le porte e crollare in brevi ore.  Lo spavento che invase i Genovesi e tutti gli altri abitanti d'Acri non die' loro modo a difendersi. Come fosser colpiti da fulmine, cercaron riparo, altri nascondendosi, altri, durante la notte, fuggendo in ver Tiro, seco recando l'aver loro prezioso; ed allorquando il nuovo giorno sorse ad illuminar le ruine accadute nella notte già scorsa, uscirono di nuovo i Veneziani ad invadere e saccheggiare il quartiere abitato dai Liguri ... "


ANNO  1256



Giuseppe Gatteri


Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.


La schiacciante vittoria della flotta veneziana ad Acri, davanti alle coste della Siria, priva Genova dei mercati mediorientali e la confina al rango di potenza di second'ordine. Ma la situazione aggrava ancor più che risolvere l'annoso conflitto e Venezia si troverà sempre Genova davanti ...
 (Nella illustrazione di Giuseppe Gatteri i marinai veneziani asportano dal monastero di San Saba una colonna di marmo bianco che poi sarà collocata con altre due colonne simili nella Basilica di San Marco a Venezia) 



37 - LA SCHEDA STORICA


Attorno alla metà del XIII secolo l'attenzione del governo veneziano venne nuovamente richiamata in Oriente. Questa volta non era Costantinopoli a preoccupare il doge quanto il più vicino Medio-Oriente con i suoi sempre più precari e pericolosi mercati.
A scatenare una vera e propria guerra con i veneziani non furono tuttavia gli "infedeli" o le popolazioni locali, ma un'altra città cristiana che, come Venezia, vantava importanti e vitali interessi commerciali nell'area: Genova. I rapporti fra le due repubbliche si erano da sempre caratterizzati per un crescente livello di tensione sin dal XII secolo a causa della concorrenza commerciale che lo sviluppo di Venezia inevitabilmente comportava. Una tensione che già aveva avuto modo di emergere, seppur ancora velatamente durante le prime crociate in Terrasanta per esplodere dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei veneziani. Questa aveva comportato, anche se solo temporaneamente, l'esclusione dei genovesi dai mercati orientali e dalla stessa Costantinopoli dove Genova, già dal XII secolo, vantava uno dei più ricchi ed attivi quartieri commerciali. Lo scontro, questa volta, ebbe come scenario la Terra Santa e in particolare uno dei suoi più importanti porti: S. Giovanni d'Acri.
Il  pomo della discordia fu inizialmente la giurisdizione e il possesso della chiesa con l'annesso monastero di S. Saba.  Sul complesso, infatti, era stato riconosciuto fin dalla conquista crociata della città, il comune diritto di gestione alle due repubbliche nemiche. I veneziani, tuttavia, nel 1256 avanzarono la pretesa di una loro totale ed esclusiva giurisdizione sul complesso monastico oltre che su di un terzo della città.


Una mediazione ormai impossibile


 La questione venne presentata al Pontefice quale unico possibile mediatore nelle continue discordie e gelosie dei crociati in Terra Santa, ma prima ancora che Alessandro IV si pronunciasse in merito i genovesi erano già passati alle vie di fatto. La chiesa e l'area circostante vennero infatti militarmente occupate e prontamente fortificate.
Alla notizia di quanto stava accadendo ad Acri, il governo veneziano mandò a Genova degli ambasciatori per chiedere soddisfazione ed un giusto risarcimento per i  danni subiti, ma la delegazione se ne tornò in laguna a mani vuote. La parola, allora, dalla diplomazia passò presto così alle armi. I veneziani erano riusciti in questa delicata circostanza ad assicurarsi l'alleanza dei pisani, tradizionalmente filo-genovesi, stringendo con essi un patto decennale.
La notizia di questo accordo, preoccupò non poco i genovesi che risposero alleandosi con i greci che ancora abitavano in S. Giovanni d'Acri riuscendo, fra l'altro, a strappare ai pisani due importanti torri e costruendone poi una terza detta "Mongioia''.
A quel punto il governo veneziano non aveva altra scelta ed inviò prontamente una flotta da guerra guidata da Lorenzo Tiepolo, figlio del defunto doge Jacopo, flotta già da qualche tempo in attesa nel vicino porto di Tiro. A nulla valsero le difese del porto e della città approntate dai genovesi. La grossa catena che era stata posta a chiusura dell'ingresso del porto, venne fragorosamente spezzata dall'urto delle navi veneziane che presto si scontrarono con le galee genovesi.
Il  comportamento dei genovesi, in quell'occasione non fu certo dei più esaltanti, stando almeno alle parole di un testimone di allora. "Quelli - i genovesi -, erano buoni soltanto per i bordelli e come uccelli che mangiavano pesci, si gettavano in mare annegandovi".
Intanto l'esercito veneziano vittorioso, dilagava nella città dando subito l'assalto all'ultima roccaforte genovese: il monastero di S. Saba presto riconquistato. Dalla chiesa Lorenzo Tiepolo portò in patria al suo rientro, quale segno della clamorosa vittoria, tre colonne, una cilindrica e due quadrangolari di marmo bianco, le stesse ancora oggi ammirabili nell'angolo sud-ovest della Basilica Marciana.
L'umiliazione per Genova non poteva essere più pesante, ma ancora non era sufficiente. I genovesi infatti, incassato il colpo, fecero successivamente venire dei rinforzi da Cipro mentre i veneziani li facevano giungere da Creta arrivando così inevitabilmente ad una serie di nuovi scontri.
Nel frattempo a Genova veniva eletto il nuovo Capitano Guglielmo Boccanera che subito fece intendere i suoi bellicosi propositi inviando ad Acri una nuova squadra di 40 galee e 10 navi.
La nuova mossa genovese non fece altro che provocare l'immediata risposta dei veneziani che inviarono a loro volta in Siria 20 galee e 10 navi agli ordini di Andrea Zen e Paolo Falier. Le loro navi, poi, si unirono con quelle del Tiepolo e dei pisani pronti ormai al nuovo scontro con i genovesi. Inutilmente il pontefice tentò un altro arbitrato fra le parti ormai decise a risolvere una volta per tutte la questione attraverso le armi.
Quando il pontefice infatti si pronunciò, Genova e Venezia si stavano già duramente scontrando nelle acque antistanti il porto di S. Giovanni d'Acri. Era il 24 giugno del 1258 e dalla durissima battaglia Genova doveva uscirne tragicamente e nuovamente sconfitta. Nelle mani dei veneziani vittoriosi caddero ben 25 galee nemiche, ma, fatto ancor più grave, Genova aveva perso l'importante mercato di Acri. Nella città infatti, i veneziani portarono a compimento la loro impresa distruggendo, saccheggiando ed infine facendo radere al suolo il ricchissimo quartiere genovese.
La vendetta della repubblica ligure, tuttavia, non doveva aspettare ancora molti anni e si dimostrerà di una tale portata che le conseguenze per Venezia rispetto a quelle subite momentaneamente da Genova, saranno a dir poco catastrofiche.


Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,  volume  2, SCRIPTA EDIZIONI




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