martedì 7 febbraio 2012

L’ALTRO OSCAR LUIGI SCALFARO

Oscar Luigi Scalfaro

Il 29 gennaio 2012 muore Oscar Luigi Scalfaro.  Come già per Giorgio Bocca possiamo immaginare la classica “santificazione post-mortem” che, con  il tipico tempismo italiano, investirà anche questo padre della (loro) patria. Per questo riporto alcuni  articoli per ricordarmi  un po’ meglio le origini di un “altro” Luigi Scalfaro… ed i  “meriti” che sono valsi a quest’uomo i tanti onori che gli vengono oggi tributati.


OSCAR LUIGI SCALFARO: DA P.M.,  MANDÒ AL MURO 8 PERSONE

di Paolo Pisanò

Sono otto, salvo conguaglio, le condanne a morte di fascisti, chieste ed ottenute, dal pubblico ministero Oscar Luigi Scalfaro, con i suoi colleghi del “tribunale del popolo”, e della “Corte d'’Assise Straordinaria” di Novara, dopo il 25 aprile 1945. Ciò, a dispetto della biografia ufficiale dell'’attuale presidente della Repubblica, diffusa subito dopo la sua ascesa al Colle, che parla invece dello Scalfaro di cinquant’anni or sono, come di un giovane magistrato “sbalzato in Corte d'’Assise a soli 26 anni”, che si trovò alle prese, suo malgrado, con il caso di un solo imputato per il quale ”secondo la legge allora in vigore, la condanna a morte era inevitabile”…

E Scalfaro fu costretto a chiederla, ma non rinunciò ad esternare ai giudici il suo tormento, chiudendo la sua arringa con queste parole: ”A questo punto, però, il pubblico ministero rende noto alla corte che non crede nella pena di morte”.

E c'’è anche il lieto fine; l'’imputato, condannato alla fucilazione, venne poi graziato, e la condanna non ebbe mai luogo. Fin qui la favola presidenziale. Ma la realtà è un po’ diversa.

Ecco infatti le tappe salienti della carriera del magistrato Scalfaro, ricostruite in base ai fatti certi che siamo in grado di documentare:
1943 - Il futuro presidente della Repubblica entra in magistratura durante l’ultimo fascismo.

1°Maggio 1945 - Lungi dall'’essere “sbalzato” in Corte d'’Assise suo malgrado, Oscar Luigi Scalfaro assume volontariamente la carica (politica, lottizzata dal CLN locale), di vice presidente del “tribunale del popolo” di Novara.

13 Giugno 1945 - Sostituiti i “tribunali del popolo” con le CAS “Corti d’Assise Straordinarie”, nell'’opera di pulizia antifascista, Oscar Luigi Scalfaro passa a fare il Pubblico Ministero presso la CAS di Novara, e sostiene con altri due colleghi, l’accusa nel processo contro Enrico Vezzalini, soldato valoroso e pluridecorato, fascista integerrimo e fedele fino all’estremo ai suoi ideali, già capo della Provincia di Novara durante la RSI. Basti pensare che durante il clima di linciaggio di quei giorni, il cronista de “La Voce del Popolo” di Novara, il 14 giugno 1945, tratteggia la figura di Vezzalini mescolando alla faziosità più scontata anche queste annotazioni. ”E’ un lottatore fortissimo…..Ha un ingegno superiore alla media non è un cieco sanguinario, non un manigoldo, non un losco…..Supera tutti i suoi per innegabili qualità personali…..Era un tribuno avvincente e un profondo conoscitore delle passioni popolari:nessuno dimenticherà infatti gli applausi riscossi in un teatro cittadino con un'’astuta tirata contro gli industriali…”

15 e 28 Giugno 1945 - L'’ufficio del pubblico ministero ottiene la condanna a morte di Enrico Vezzalini e di altri cinque fascisti: Arturo Missiato, Domenico Ricci, Salvatore Santoro, Giovanni Zeno e Raffaele Infante. Condanne eseguite all'’alba del 23 settembre 1945. Il cronista de “La Voce del Popolo” annota: ”Vezzalini non smentì se stesso fino all’ultimo”
A questo punto, Oscar Luigi Scalfaro ha già chiesto o contribuito a chiedere e ottenere la condanna di almeno sei persone.

16 Luglio 1945 - Settima vittoria dell'’accusa antifascista a Novara: il Pubblico Ministero chiede e ottiene la morte di Giovanni Pompa, 42 anni, già appartenente alla Guardia Nazionale Repubblicana. Sentenza eseguita il 21 ottobre 1945.

12 Dicembre 1945 - Sono trascorsi quasi otto mesi dalla “Liberazione”, ma la sete di “giustizia” capitale in Oscar Luigi Scalfaro, che pure ha già visto scorrere il sangue della vendetta politica, non si è placata: lo zelante magistrato chiede ed ottiene la condannate di un ottavo fascista, Salvatore Zurlo.  Dal “Corriere di Novara” del 19 dicembre 1945: ”Il PM Scalfaro parla con vigoria ed efficacia che lo fanno ascoltare senza impazienza dal pubblico che partecipa alle considerazioni dell’egregio magistrato con frequenti assensi. Il PM, dopo la chiarissima requisitoria conclude domandando la pena di morte per lo Zurlo, e il pubblico esprime la sua approvazione e con sentimento”.

E questo, che strappa perfino l’applauso a un pubblico ancora inebriato di morte, sarebbe il giovane magistrato pieno di dubbi e di tormenti ”sbalzato in Corte d’Assise suo malgrado”, come vorrebbe farci credere l’icona presidenziale di cinquant’anni dopo?

L’unica verità del quadretto postumo, è che di lì a poco, il ripristino  della legalità vera, consentì un processo d’appello e che la sentenza di morte contro lo Zurlo (non la prima e l’ultima, ma l’ottava),almeno di quelli che siamo in grado di confermare a dispetto delle lacune delle fonti dopo mezzo secolo) fu annullata.

2 Giugno 1946 - Almeno otto condanne a morte ottenute, sette eseguite nell’arco di otto mesi, costituiscono per un pubblico accusatore agli esordi un successo superiore alle possibilità di carriera offerte da un tribunale di provincia.

Oscar Luigi Scalfaro, brillante inquisitore da “tribunale del popolo” si è ormai messo in luce abbastanza per tentare le vie della politica, candidandosi con successo all’Assemblea Costituente e, pur senza abbandonare la magistratura con relative prebende, avviarsi verso la gloria di Roma.

(Fonte: “Il Giornale”, 1995)


LA VERITÀ SUL PARTIGIANO OSCAR LUIGI SCALFARO

di Paolo Granzotto

(Domanda) Caro Granzotto, nei ludi cartacei celebrativi la figura di Oriana Fallaci, giornalista che stimo ma non ammiro per i suoi trascorsi di esponente di punta del radicalismo chic antiamericano solo in tarda età riscattati dalla veemenza con la quale ha denunciato lo scontro di civiltà e messo in guardia contro il pericolo islamico, è stato posto l’accento sulla sua partecipazione alla lotta partigiana. Alla quale la giornalista, al tempo poco più che bimba, avrebbe partecipato nella funzione di «osservatrice». A ben vedere di partigiani doc, quelli col Tomphson sotto il braccio, se ne conterebbero pochissimi. Il grosso è rappresentato da «staffette», «vedette», «vivandiere», «portaordini» ed altre attività irrilevanti, fino a quella che può vantare il presidente onorario della Repubblica e della Associazione Nazionale Partigiani Oscar Luigi Scalfaro. Se non sbaglio lei scrisse che il contributo di Scalfaro alla guerra di Liberazione si limiterebbe ad aver messo temporaneamente a disposizione di una banda partigiana dei locali della Azione Cattolica di Novara. Le chiedo: date le premesse, mio padre titolare di una autofficina che ai primi del 1944 riparò, con pecetta di gomma e mastice, il pneumatico di un motofurgone che poi si seppe era stato utilizzato da un gruppo di partigiani per trasferirsi sulle alture sopra Arezzo, ha diritto a dirsi partigiano anche lui?

(Risposta) Pieno diritto, caro Bellin. Può anche inoltrare domanda per una medaglia. Come lei saprà, un mese circa addietro, ovvero sessantacinque anni dopo i sedicenti fatti, il Presidente Napolitano ne appuntò una «al merito per la lotta antifascista» sul gonfalone della città di Bari. Pertanto dica pure a suo padre di farsi sotto: non è mai troppo tardi per entrare nel pantheon degli eroici combattenti per la libertà.  Visto che siamo in argomento vorrei rettificare una mia inesattezza. Scrissi, è vero, che l’unico gesto di Oscar Luigi Scalfaro riconducibile alla Resistenza fu quello di ospitare un drappello di partigiani in un locale della Azione Cattolica. Non è così o quanto meno non solo così. Grazie a Pierangelo Maurizio e Giorgio Mulè, autori di un servizio televisivo andato in onda su Kosmos, Rete 4, ho appreso che di ben altro pondo fu il suo contributo alla lotta antifascista. L’onorario presidente ha rivelato infatti che subito dopo la fine della guerra si ritrovò ad essere «consulente tecnico-giuridico» dei «tribunali militari dei partigiani». Per la verità non erano tribunali, ma anticamere di mattatoi: l’imputato non aveva diritto alla difesa, non poteva nemmeno prendere la parola.  Giorgio Bocca assicura che con giudizio sommario - il dibattimento durava in media una decina di minuti - furono mandati a morte tra i 12 e i 15mila «nemici del popolo». Secondo Giorgio Pisanò furono non meno di 40mila.
Ecco dunque qual è l’apporto di Scalfaro alla lotta di Liberazione: l’aver dato il proprio contributo tecnico e giuridico a quella bella prova di giustizia partigiana. Una giustizia così schifosa, così ripugnante da indurre il Comando Alleato ad ordinare (comandavano loro, gli Alleati, non i «liberatori» del Cln) che quelle corti cessassero l’attività e venissero sostituite con regolari Corte d’Assise.

Il reclutamento di quanti avrebbero dovuto comporle - tutti volontari - andò però a rilento: per ancora sei mesi la Corte avrebbe applicato infatti il Codice di guerra che prevedeva la pena di morte ed erano pochi i magistrati disposti a seguitare, seppure con tutti i crismi della legalità, la mattanza. Si ricorse così agli incentivi, sotto forma di consistenti scatti di carriera. Difficile credere che ciò influenzò la scelta di Oscar Luigi Scalfaro: troppo saldo è il suo senso morale e civile per decidere in base al personale tornaconto. Probabilmente giocò, nella sua scelta, la fruttuosa esperienza coi tribunali del popolo. Fatto sta che si ritrovò Pubblico ministero presso la Corte Straordinaria di Assise di Novara. E in quel ruolo chiese ed ottenne la pena capitale - fucilazione - per sei disgraziati colpevoli di «collaborazione con il tedesco invasore». Sei. Che all’alba del giorno venuto - 28 giugno 1945 - andò ad abbracciare, uno per uno. In quanto, racconta, ci aveva un magone grosso così. Avrebbe avuto tre buoni motivi per non farselo venire: rifiutando di far parte di quella Corte, non richiedendo la pena di morte o trovando un cavillo - figurarsi se mancava - per protrarre la sentenza in attesa che di lì a qualche settimana decadesse il Codice di guerra. Ma lui, niente. Al muro, tutti e sei.

Diverso tempo dopo la figlia di uno dei condannati a morte gli scrisse chiedendogli: ma mio padre era davvero colpevole? E Scalfaro le rispose: «Stia tranquilla, perché  suo padre dal Paradiso pregherà per lei». Capito caro Bellin? Roba che ti vien voglia di passare coi talebani. (Paolo Granzotto)

(Fonte: “Il Giornale” - 21 Ottobre 2006)


DOMENICO RICCI ACCUSATO DAL PM SCALFARO E FUCILATO COME FASCISTA: ECCO LE SUE LETTERE INEDITE

Domenico Ricci, in centro senza cappello


Muoio innocente": così scriveva Domenico Ricci dal carcere di Novara, giustiziato a guerra finita. Il pubblico ministero era il futuro Presidente Oscar Luigi Scalfaro

Nell’estate 1945, a guerra finita, l’allora 27settenne Oscar Luigi Scalfaro, futuro presidente della Repubblica italiana, sostenne con altri due colleghi la pubblica accusa al processo che vedeva imputati per «collaborazione con il tedesco invasore» l’ex prefetto di Novara Enrico Vezzalini e i fascisti Arturo Missiato, Salvatore Santoro, Giovanni Zeno, Raffaele Infante e Domenico Ricci.

Dopo tre giorni di dibattimento fu chiesta per i sei la condanna a morte, eseguita il 23 settembre al poligono di tiro di Novara (in veste di pubblico ministero Scalfaro ottenne un’altra condanna capitale, che tuttavia non fu eseguita a causa dell’accoglimento del ricorso in cassazione del condannato Stefano Zurlo, ricorso suggerito, a quanto sostenne Scalfaro, da lui stesso).


La vicenda è nota: la fucilazione «firmata» da Scalfaro venne raccontata nei dettagli (pubblicando per la prima volta la stessa foto che vedete in questa pagina) dal nostro Giornale nel 1996. Ed è anche noto che, successivamente alla rivelazione del Giornale, Scalfaro stesso iniziò a manifestare dubbi sulla fondatezza dei processi, definendoli influenzati dal clima incandescente dell’epoca e dall’emozione popolare: in un’intervista rilasciata a Pierangelo Maurizio per Kosmos nell’ottobre 2006, Oscar Luigi Scalfaro ammise di «non aver elementi per rispondere» alla figlia di uno dei condannati, Domenico Ricci, che gli chiedeva di esprimersi sulla innocenza o colpevolezza del padre: «Lo interrogai - disse Scalfaro -.
Era colpevole? Non so».

Da notare che Scalfaro conosceva bene la famiglia Ricci, abitando nella stessa palazzina al piano di sopra, in corso Torino, a Novara.
 Domenico Ricci, brigadiere di pubblica sicurezza, quando venne fucilato aveva 48 anni. Lasciò la moglie e quattro figli, tutti minorenni. Lui e gli altri cinque non vennero uccisi alla prima maldestra raffica dell’inesperto plotone di esecuzione e sui corpi si accanì poi un gruppo di donne.
Fino a qui è (quasi) tutto noto. Ora, però, la cronaca ci riconsegna un’altra tessera di Storia. Dopo la morte di Scalfaro, la figlia Anna Maria (che oggi ha 78 anni) e il nipote Douglas Ruffini (40 anni) hanno deciso di rendere note le lettere inviate alla famiglia dal carcere di Novara da Domenico Ricci. Il quale, nell’ultima straziante pagina, scritta un’ora prima dell’esecuzione capitale, giurava di morire «innocente».

SONO STATO CONDANNATO A MORTE 
NON HO PIÙ FORZA, IL PIANTO MI ASSALE

Novara 29.6.1945 
Cara Moglie. Con il cuore straziato debbo darti la dolorosa notizia, l’esito del mio processo è stato doloroso per me e per voi tutti, sono stato condannato alla pena di morte ciò che non mi sarei mai aspettato e che non meritavo [...]. Io ho fato ricorso in cassazione e mi auguro che venga accettato e così con l’aiuto di iddio che io prego sempre mi venga tramutata la pena se vi è possibile fatelo sapere anche a Francesco a Firenze se anche lui può fare qualcosa di bene, ti raccomando nel dare notizia a mia madre, se è ancora in vita, di essere prudente. Cara moglie ti chiedo di inoltrare domanda di grazia presso il Luogo Tenente del Re Principe di Piemonte esponendo tutti i casi pietosi e le condizioni della nostra famiglia e i quattro figli che noi abbiamo e la nostra casa sinistrata e che per quello fui costretto a trasferirmi nell’Italia settentrionale su ordine per mezzo di una circolare del ministero d’interno e anche per la fame che si soffriva mia e i nostri bambini, insomma pensate voi. Nella domanda mettete anche che nei quattro giorni del dibattito nessuna accusa specifica è stata fatta a carico mio né di omicidio né di rapina e ne di furto solo perché ero brigadiere e dicevano che avrei comandato io dopo Martino ciò che non è nulla vero. Cara moglie fatti coraggio che iddio aiuterà gli innocenti quello che ti raccomando i nostri quattro figli, per me più nulla ti dico tanto tu immagini quello che io soffro, però pregando iddio e sperando nella sua bontà divina mi sorreggo ancora per qualche giorno, se qualcuno di voi potesse venire a trovarmi potrei sorreggermi qualche ora di più, non ho più forza di scrivere il pianto mi assale. Vi bacio affettuosamente a tutti, tanti, tanti a Gina, Anna, vostro marito e padre. Domenico. Pregate per me addio.”

TI RACCOMANDO LE BAMBINE 
SONO LE COSE PIÙ CARE PER ME


Novara 23.7.1945 
Moglie carissima questa è la terza lettera che scrivo senza avere ancora una tua risposta perché? Scrivi subito e dammi tue notizie e dei bambini, fammi sapere anche se hai fatto qualcosa a Roma, per me, domanda di grazia per me a S.A.R. o al Vaticano. Io attendo vostre notizie, anche di mamma è ancora in vita mi auguro di si è digli che preghi per me. Ti raccomando le bambine guardale e tienile di conto che sono le cose più care per me, anche te fatti coraggio e spera nella grazia d’iddio perché solo lui è giusto, solo in questo luogo ho imparato a conoscere gli uomini e per questo che da questo momento ammiro le bestie. Cara moglie tutto quello che sta passando la nostra famiglia la sventura più grande di questo mondo lo dobbiamo al Sig. Lucchini l’uomo più cinico di questo mondo in tutta Novara non ho avuto nessuna imputazione a carico mio, solo quella di lui, spero che il nostro buon Gesù pregherà secondo il merito, vedi se puoi fare una capatina qui a Novara insieme con qualcuno dei parenti il mio desiderio di rivedervi è tanto che qualche giorno finirò al manicomio. Vanda che cosa fa si è impiegata? Scrivetemi subito perché io non ho più forza a resistere. Vi bacio a tutti caramente, tanti, tanti a Ginotta, Vanda, Anna, più a tutti i parenti tuo affezionatissimo marito. Domenico Ricci. Scrivi, scrivi, baci.”

SPERIAMO IN DIO CHE UN GIORNO 
IO POSSA TORNARE DA VOI

Novara 3.8.1945 
Moglie Carissima, ho ricevuto una lettera scritta da Renzo, la quale mi da vostre buone notizie, assicurandomi che godete tutti ottima salute, medesimo posso dirvi di me fino ad oggi e speriamo in Dio che prosegua anche per l’avvenire, e venuta a trovarmi mia sorella Aurelia anche loro stanno bene. Osvaldo non è ancora tornato dalla Germania e non sanno notizie speriamo che presto anche lui possa tornare fra i suoi cari. Cara Assunta fammi sapere se Romolo e arrivato a Roma essendo che il collegio non c’è più a Gallarate e si è trasferito a Roma. Lui è partito quindici giorni indietro quindi spero che sia fra voi ti prego di stargli attenta come pure alle altre e speriamo in Dio che anche io un giorno, potrò ritornare fra voi. Ho fatto la domanda di grazia vedila anche voi a Roma di fare qualche cosa presso il ministero di Grazia giustizia. Cara Moglie fammi sapere qualche cosa dei miei parenti e di mamma se è ancora viva oppure no scrivi spesso e fammi sapere tutto.
Invio a tutti tanti bacioni a Ginotta e Anna tuo affezionatissimo marito.”

LA MIA SALUTE È BUONA 
E COSÌ VOGLIO AUGURARMI PER VOI

Novara 3.8.1945 
cara sorella e cognato La mia salute è buona e così voglio augurarmi anche per voi, oggi ho scritto anche a mia moglie, non so come mai che loro non mi danno notizie scrivete anche voi a loro e ditegli che mi scrivano e mi danno loro notizie, io dubito che assunta non sta bene dato che lei era già stata operata per il fegato e adesso che aveva bisogno di tranquillità invece tutto al contrario, ma la bontà d’iddio aiuterà anche lei, come spero che aiuterà anche a me e tutti i miei cari [...]. Inviovi tanti baci a tutti tuo affezionato fratello e cognato.”

MI MANTENGONO LE PREGHIERE
CHE FACCIO TUTTO IL GIORNO

Novara 6.8.1945 
Carissimi tutti, ho ricevuto la vostra in data 1˚ agosto sono lieto nel sentirvi che godete buona salute, anche io fino a questo momento non posso lamentarmi fin quando dura, speriamo Iddio e preghiamolo di cuore che la faccia durare sempre. Cara sorella vi ringrazio che avete dato comunicazione alla mia famiglia di quanto io desideravo, sarà solo difficile che potranno venire per mezzo che le comunicazioni sono poco comode, e poi credo, anzi sono convinto che assunta è molto malata tu sai che è stata operata per il male di fegato e quindi avrebbe avuto bisogno di tranquillità, pazienza il destino ha voluto così, però iddio vede e provvede anche per lei. Mi dite fra una quindicina di giorni verrete a trovarmi, puoi immaginare quale gioia è per me, speriamo però che sarò ancora in vita, poi mi dici di aiutarmi per far si che non vengo malato come vuoi che mi tiro su qui dentro? Mi mantengono le preghiere che faccio tutto il giorno, state tranquilli e coraggio. Spero di rivedervi ancora.”

QUANDO VIENI, PORTA UN PO’ DI TABACCO

Novara 31.8.1945 
Carissimi tutti, la mia salute fino ad oggi è discreta, mentre per voi voglio augurarmi che sia ottima. Carissimi non potete immaginare quale e quanto sia stato il dispiacere sapervi a Novara e non potervi vedere, potete immaginare con quale ansia attendevo per poter abbracciare Osvaldo dopo lunghi anni che non sapevo più notizie. Cara sorella adesso i colloqui sono ogni quindici giorni perciò puoi venire quando vuoi, se vieni non dimenticare la carta d’identità se no non ti rilasciano il colloquio. Cara sorella, io non ho notizie da casa, ti prego se tu sai qualche cosa di farmelo sapere, poi ti prego anche di scrivere a mia moglie e dirgli che mi rimandano un po’ di soldi, perché io sono senza e debbo vivere con il solo vitto del carcere, e digli pure che scriva io non ho ancora ricevuto una lettera scritta da assunta quindi pensate. Cara sorella i soldi fatteli spedire te e poi quando vieni me li porti tu stessa. Quando vieni vedi se puoi portare un po’ di sigarette o tabacco con cartine e qualche scatola di fiammiferi. Saluti e baci a tutti arrivederci a presto

QUI COMINCIA A FARE FREDDO 
E IO NON HO ROBBA INVERNALE

Novara 19.9.1945 
Carissimi tutti. Rispondo alla vostra lettera sono lieto nel sentire che godete ottima salute, anche di me posso assicurarvi medesimo fino ad ora, quando venite a trovarmi? Cara sorella questa lettera fammi la cortesia di darla a mia moglie. Cara Moglie. Ho ricevuto la tua lettera tramite mia sorella il primo scritto che ricevo da te, da quando sei partita da Novara, io di salute sto bene grazie iddio, così voglio augurarmi di te e i nostri bambini e tutti i nostri parenti. Cara moglie sono dispiaciuto che ti si è molto abbassata la vista e che ti sei molto sciupata, non prendertela di nulla coraggio e mangia e bevi e cerca di mantenerti bene, prega S. Rita che certamente ci fa la grazia da noi desiderata, io la prego sempre e con fede. Cara moglie quando venite? Qui incomincia a fare freddo e io non ho robba invernale, ora potete venire i treni ci sono tanti Roma Milano come pure Roma Torino quindi vedete un po’ fra te e Vanda chi vuole venire io preferisco che vieni te, ma se non sei in condizioni di viaggiare allora fai venire Vanda, Romolo, Anna, Gina come stanno? Annarella già mi ha scritto due volte mentre quel birbone di Romolo vuoi dirgli un po’ perché non mi scrive? Non avrà tempo, quando scrivete anche che scrive Vanda a me non m’interessa basta che tu la firmi. La signora Ines mi lava la biancheria tutte le settimane e mi porta anche qualche cosa ma tu sai che non fanno perché sono poveri. Vi bacio tanti a tutti tuo affezionatissimo marito

MUOIO Sì, MA INNOCENTE 
NON DA TRADITORE

Novara 23.9.1945 
Famiglia mia carissima. È tuo marito che ti scrive e per i bambini è il papà, non piangete fra un’ora non ci sono più in questo mondo con santa rassegnazione passo all’altro. Coraggio iddio e S. Rita pregherà per voi. Salutatemi tutti i miei amici. Baciatemi tutti i miei parenti. Muoio sì, ma muoio innocente, è bene che tutti lo sappiano, la grande ingiustizia che stanno commettendo. Voi lo farete sapere perché nessuno deve mai dire che io sia stato un traditore, ho sempre servito la mia Patria con fede ed onore e con fede ed onore muoio. Viva l’Italia. Vi bacio a tutti caramente e dal cielo vi guarderò a tutti iddio vi aiuti e vi benedica tuo affezionatissimo marito e padre. Arrivederci in paradiso, addio. Addio.

(Per gentile concessione della famiglia Ricci)

Fonte: IL GIORNALE, Redazione  - 03 febbraio 2012, 08:55


"SI PUÒ UCCIDERE COSÌ UN UOMO? HA SEGUITO CHI LO COMANDAVA"
Ecco la supplica della moglie di Domenico Ricci alla polizia

Al Sig. Capo della Polizia del Ministero dell’Interno Io sottoscritta Assunta Tenchini moglie del Brigadiere di P.S. Ricci Domenico fu Romolo condannato alla pena capitale dal tribunale di Novara, rivolgo alla S.V.I. supplichevole domanda di grazia e prego che mi ascoltiate.

Mio marito è stato nella Pubblica Sicurezza per molti anni, senza mai meritare una punizione, entrato a far parte di essa dopo che il corpo dei Vigili Urbani, a cui apparteneva dal 1924, fu disciolto, egli prestò servizio prima come motociclista poi come autista.  Dal 1940 prestò servizio a Rieti come capo degli automezzi della Questura e qui ebbe la promozione al grado di brigadiere. Quando Roma era già stata occupata, nel 1944, dopo che aveva avuto la casa sinistrata dai bombardamenti, il Questore di Rieti lo obbligò a seguirlo in Alta Italia. Qui fu assegnato alla questura di Novara, dove svolse da principio mansioni di carattere esclusivamente burocratico.

Dopo un po’ di tempo fu iscritto d’ufficio e contro la sua volontà, alla squadra di Novara. E questa è l’imputazione per cui si condanna a morte. Ma egli non prese mai parte ad azioni di carattere vessatorio contro chi che sia e la cosa risulta anche dagli atti del suo processo.

Però mio marito non ha mai avuto la facoltà di difendersi, non è stato mai ascoltato obbiettivamente. Si può condannare così a morte un uomo? Egli non è mai stato un fascista, e nel 1933 fu obbligato ad iscriversi al defunto partito.

Se in questo periodo caotico egli ha seguito chi lo comandava, tenete presente, però, che è padre di quattro figli tutti minori e che non poteva lasciarli morire di fame. Il suo può essere stato un atto di grave debolezza, non giustifica però una condanna capitale. Nessuno ha avuto niente da rimproverargli, non ha fatto male a nessuno. Solo un uomo in tutta Novara l’accusa un certo Lucchini, addetto sotto i nazi-fascisti alla mensa degli agenti, e ora nominato Vice Questore della città per meriti che noi non conosciamo. Essendo egli, per caso sfortunato, il più elevato di grado presente al processo, è stata applicata nei riguardi di mio marito la sanzione più grave, benché le azioni da lui svolte nella squadra suddetta siano state nulle.

Vogliate ascoltarmi, e siate giusto con lui. Non vi chiedo di assolverlo, vi chiedo di rivedere il processo alla luce di una più obbiettiva giustizia. Ascoltate la supplica di cinque innocenti che stanno per essere travolti in una sventura senza rimedio, e che solo un vostro atto di clemenza può salvare. Se ritenete mio marito colpevole, condannatelo, ma non potete condannarlo a morte così; quando solo un uomo l’accusa.
Siate clemente, ascoltatemi.

Fonte: IL GIORNALE, Redazione - 03 febbraio 2012, 08:59


ADDIO SCALFARO, PEGGIOR PRESIDENTE DELLA STORIA DELLA REPUBBLICA

E’ morto Oscar Luigi Scalfaro, presidente della Repubblica dal 1992 al 1999, ex magistrato e “parlamentare a vita”: è stato infatti deputato dal primo parlamento all’ultimo, senza nessuna interruzione di mandato. Aveva 93 anni, e con il  rispetto (doveroso) per la morte di un uomo, ci permettiamo di ripetere le cose che qui, da sempre, abbiamo scritto su di lui.
Tutti, oggi, lo ricordano come “difensore della Costituzione” o con espressioni del tipo “custode della Carta”: che è un modo, elegantissimo, per non dire nulla. E’ come ricordare un panettiere perchè “faceva il pane”, o un muratore perchè “costruiva muri”. E’ una tautologia. Infatti un Presidente della Repubblica è il difensore della Costituzione, per definizione.
La verità è che Oscar Luigi Scalfaro è stato il peggior presidente della storia della Repubblica: davvero, il peggiore. Senza dubbio alcuno.
Già la sua elezione venne salutata dagli italiani in un modo molto negativo. Rinfreschiamoci la memoria:

Ma il suo mandato venne segnato dall’onta del ribaltone: con un gioco di palazzo, con un inciucio indegno e incivile, il Presidente Scalfaro cacciò il governo eletto (il primo Berlusconi, era il 1994). Lo ricordiamo per aver sovrapposto la propria personale volontà alla sovranità popolare: in realtà mai fedele al ruolo di garante della Costituzione, mai al di sopra delle parti, ebbe una ossessione maniacale per Silvio Berlusconi.  Il suo vero capolavoro politico fu il già citato ribaltone, con le elezioni prima promesse poi negate, poi continuamente rinviate per sfinire l’allora Polo e per dar tempo all’Ulivo di trovare un candidato (poi spuntò infatti Romano Prodi).

Sulla presidenza Scalfaro (con premier Ciampi) è ancora ben presente e ingombrante un altro atroce interrogativo: la resa dello Stato con la mafia. Perché? Cosa spinse lo Stato  - fermo e gelido nel 1978 con gli spietati brigatisti rossi, sequestratori e assassini di Aldo Moro e degli agenti della scorta del presidente della DC -  a togliere dal carcere duro e a trattare con i boss stragisti, in primis il sanguinario Capo dei Corleonesi, “zu Totò” Riina?

Oscar Luigi Scalfaro, tra le altre cose, godeva di una pensione di anzianità maturata dopo un lavoro di soli tre anni. Sì, esatto: 5.000 euro (più ovviamente tutte le altre indennità) con tre anni di contribuiti. E nonostante questo, Scalfaro riusciva a prendersela con i privilegiati: “Basta con le pensioni d’oro. C’è chi ha troppo e chi ha niente. Ci sono cifre che danno le vertigini. Non è accettabile”. Lui era così: coerente con gli altri, incoerente con se stesso.

L’abbraccio al Partito Democratico, la continua ossessione verso Silvio Berlusconi (che recentemente paragonò a Hitler) e la simpatia verso girotondini e popolo viola, sono in grado di garantire al defunto Oscar Luigi Scalfaro ricordi, pensieri e la solita buona stampa. Ma è tutto falso.
Addio, peggior presidente della storia della Repubblica.

Fonte: da DAW-BLOG del  domenica 29 gennaio 2012


OSCAR LUIGI SCALFARO, PRESIDENTE EMERITO?

Cari Amici,
Oggi è morto Oscar Luigi Scalfaro, Presidente emerito della Repubblica. Fu vera gloria, avrebbe detto Manzoni? I posteri lo giudicheranno. Posso sin d’ora dire che vi sono alcune pagine oscure legate al suo settennato di Presidente della Repubblica.
Ve ne vorrei ricordare due:

- il primo, quando non ha mai voluto chiarire come ha impiegato i 4 miliardi di euro che i Servizi segreti gli avevano versato, mentre era Ministro dell’Interno;

- il secondo, quando, mentre ero Sottosegretario di Stato alle Finanze, mi ha invitato, pur dicendomi che avevo ragione, a inghiottire il rospo, dimettendomi dalla mia carica di governo, per una condanna per diffamazione che avevo avuto da un Tribunale militare, per aver detto che il Comandante Generale dell’Arma non poteva essere scelto dalle segreterie dei partiti. Quale grave accusa!
Gli ho risposto che non avevo inghiottito rospi da ufficiale dei Carabinieri; non lo avrei fatto da deputato della Repubblica.
Mi ha replicato che lui in 40 anni di attività politica, aveva inghiottito rospi a tutta forza.
Gli ho continuato a dire di no!
Al mio rifiuto, mi ha detto che, seppur costretto, avrebbe firmato il DPR per revocarmi il mio incarico.
Inaudito! Un fatto senza precedenti! Chi ha costretto Scalfaro a firmare un provvedimento che si poneva contro la norma costituzionale, che dice che tutti i cittadini sono colpevoli a sentenza definitiva, e per altro per un reato di diffamazione militare che si è poi rivelato inesistente?
Pur essendo stato assolto pienamente dalla Corte di Cassazione, Scalfaro non mi ha mai scritto un rigo per scusarsi per il grave errore commesso.
Questa è l’Italia dei prepotenti che noi stiamo combattendo in tutta Italia da oltre 30 anni.
Ho scritto un libro “I racconti del Colonnello” (editore Morrone di Siracusa), in cui sono scritti i vari abusi commessi contro il popolo italiano.
Penso che sia arrivato il momento di alzare la testa contro questo regime che infanga il nome e la dignità delle persone che vi si oppongono e affama gli Italiani.
Ecco perché è nato il Movimento civico “Dignità sociale”. Per salvare la nostra Patria.
Antonio Pappalardo

Fonte: srs di Antonio Pappalardo, da  SUPU (Sindacato Unitario Personale in Uniforme)  del 30 gennaio 2012



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