sabato 14 maggio 2011

MUTILARE GENITALIA: LA CIRCONCISIONE NELL’ ANTROPOLOGIA GRECA E DIRITTO ROMANO


Essere io, essere noi: identità individuali e collettive
di Joseph Mélèze Modrzejewski 
traduzione a cura di Elena Iacobelli


 “Bell’aspetto” e segno di Alleanza

      Diversi popoli dell’Antichità praticavano la circoncisione. Nell’Egitto dei faraoni, questa pratica è attestata a partire dall’Antico Impero. Un celebre rilievo di Saqqara datato all’epoca della VI Dinastia (2460-2200 a. C.), il mastaba di Ankh-Ma-Hor [1, p. 1]*, presenta lo svolgimento dell’operazione, in due fasi, come un fumetto.

      Una stele del Primo Periodo Intermedio (2160-1991 a. C.) ci offre testimonianza di una circoncisione subita da un gruppo di centoventi ragazzi [2, p. 1]: ci troviamo chiaramente di fronte ad una prova collettiva subita da degli adolescenti che hanno raggiunto la soglia della pubertà (quattordici anni?).

      Presso gli Ebrei, la circoncisione, che nei testi biblici appariva al principio come un rito di iniziazione al matrimonio, diventa durante l’esilio, nel corso del VI secolo a. C., un rito che indica l’appartenenza al popolo eletto, segno dell’Alleanza (ot berit kadesh) conclusa dal Dio d’Israele con Abramo [3, p. 2]. I traduttori Alessandrini della Bibbia insistono sull’importanza del comandamento e prendono posizione a favore del principio che colloca la circoncisione al di sopra del riposo sabbatico.

      La circoncisione non è stata ignorata dai Greci. Dal V secolo a. C. Erodoto [4b, p. 2-3] oppone i popoli che la praticano “fin dai tempi più antichi”, cioè gli Egiziani, gli Etiopi e gli abitanti della Colchide, una regione situata tra il Caucaso e la Georgia, a quelli che hanno mutuato questo uso dagli Egiziani, quali i Fenici e i “Siriani di Palestina”, che Flavio Giuseppe ha identificato con gli Ebrei. Erodoto è dunque al corrente di un uso che gli Ebrei dividono con qualche altro popolo secondo l’esempio degli Egiziani, e che egli condanna: egli comprende che gli Egiziani possano farsi circoncidere “per pulizia”  poiché è meglio essere puliti che “avere un bell’aspetto” [4, p. 2], ma a loro preferisce quei Fenici che, frequentando la Grecia, rinunciano ad imitare gli Egiziani e non praticano più la circoncisione sui loro discendenti. Al contatto con la cultura greca, superiore per definizione secondo Erodoto, si abbandona il costume barbaro.

      Le riserve nei confronti della circoncisione, abbastanza discrete in Erodoto, si evolvono in sorprendenti fantasie sotto la penna di Strabone, che associa la circoncisione alla castrazione e all’escissione della donne, e fa di quest’ultima una pratica tipicamente ebraica, cosa che è un evidente falsità. Le diverse pratiche chirurgiche riguardanti gli organi genitali vengono confuse: vedremo fra poco le conseguenze di questa confusione nella legislazione romana all’epoca degli Antonini. Gli scrittori romani amplificheranno la critica contro la pratica della circoncisione in uso tra gli Ebrei, tanto che in una pagina tristemente famosa di Tacito questa critica diventa un vero e proprio delirio antiebraico [6, p. 3-4].

      È in questo contesto che si leverà una polemica alla quale parteciperanno gli Egiziani, gli Ebrei, i cristiani nel ruolo dei principali attori, così come il potere imperiale, al tempo stesso parte in causa e arbitro. L’antropologia greca suggerisce al diritto romano delle soluzioni che sono all’origine di un conflitto le cui tracce non sono state ancora cancellate. 
 

2. - Circoncisione e battesimo 
 

      L’avversione dei pagani greci e romani nei confronti della circoncisione poneva un problema alla Chiesa nascente. I primi cristiani sono degli Ebrei che hanno riconosciuto nella persona di Gesù di Nazareth il Messia annunciato dai profeti d’Israele; costoro si adeguano ai comandamenti religiosi dell’ebraismo, a cominciare dal rito dell’Alleanza. Ma l’apertura del cristianesimo al mondo pagano fa sorgere la questione del ruolo dei riti ebraici nella conversione al cristianesimo: si può diventare cristiani senza prima farsi ebrei?

      Conosciamo la risposta, formulata chiaramente da Paolo di Tarso. La circoncisione non è niente, il prepuzio non è niente; quello che importa, precisa nella prima epistola ai Corinzi, è osservare fedelmente i comandamenti di Dio [7a, p. 4]. I pagani-cristiani non devono sottomettersi al rito dell’Alleanza abramica, annuncia Paolo ai Galati; un suo stretto collaboratore, Tito, un notabile greco di Antiochia, convertito al cristianesimo senza essere stato costretto a passare per la circoncisione, serve da esempio. Nell’epistola ai Romani, una comunità per la maggioranza pagano-cristiana, Paolo insiste sull’importanza della circoncisione del cuore, metafora che prende dai profeti d’Israele e che ora serve la missione cristiana nel mondo dei gentili [7b, p. 4]. Dal momento che la vera circoncisione è quella che non è fatta dalla mano dell’uomo [Col., 7c, p. 4], un crudele gioco di parole trasforma la circoncisione fisica (peritom») in mutilazione (katatom») e permette a Paolo di concludere: siamo noi, i cristiani, la vera circoncisione (peritom») [7d, p. 5]

      A questa retorica corrisponde una decisione normativa in seno alla Chiesa. Ad Antiochia, importante centro cristiano, degli ebreo-cristiani avvertono i seguaci del cristianesimo provenienti dal mondo pagano che senza la circoncisione e la sottomissione alla Legge di Mosé la salvezza è impossibile: si tratta di quello che tradizionalmente viene chiamato “l’incidente di Antiochia”. L’assemblea di Gerusalemme, riunita probabilmente nel 49 d. C., risolve la questione in uno stile che ricorda quello dei decreti delle città greche [8, p. 5]: allo Spirito Santo e ai membri dell’assemblea sembrò opportuno (œdoxen) di non imporre ai “ fratelli d’origine pagana” che lo stretto necessario: astenersi cioè dalle carni sacrificali pagane (i cui resti erano venduti al mercato a basso prezzo), dal sangue, dagli animali soffocati e dalla porne…a, parola tradotta correntemente con “immoralità” o “fornicazione”, che si riferisce in questo caso alle unioni tra parenti stretti collaterali, largamente praticate dai Greci, ma proibite dalla legge biblica.

      Nonostante questo la circoncisione ebraica può essere utile ai cristiani. Paolo, che si è opposto alla circoncisione di Tito, ha fatto lui stesso circoncidere Timoteo, di padre pagano e madre ebrea e, di conseguenza, non ebreo per i suoi contemporanei: la circoncisione, realizzando la conversione all’ebraismo, gli apriva l’accesso della sinagoga e facilitava la sua azione tra gli ebreo-cristiani. Nel suo commentario all’epistola ai Galati [8b, p. 5], Gerolamo constata che, di fronte all’autorità romana, è meglio per un cristiano essere circonciso che non circonciso. La situazione qui analizzata riguarda il periodo compreso tra l’incendio di Roma del 64, la cui responsabilità fu attribuita da Nerone ai cristiani, e l’inizio del regno di Adriano, nel corso del quale la circoncisione diventerà una pratica illegale per la legge romana. Noi affronteremo questa tappa della nostra analisi con una deviazione che ci porterà in Egitto. 
 

3. - Al servizio degli dei d’Egitto 
 

      Mentre a Roma Perseo ed Orazio, Petronio e Marziale, Tacito e Giovenale deridono gli “Ebrei scuoiati”, seguaci di un’usanza che trovano tanto ridicola quanto il rifiuto della carne di maiale e il riposo del sabato, questa stessa usanza era praticata in Egitto in modo perfettamente ufficiale. Filone di Alessandria, di solito poco tenero verso gli Egiziani, non esita a lodarli per rafforzare l’elogio della circoncisione con il quale comincia il suo trattato Delle leggi speciali [9, p. 6]. Dalla metà del II sec. d. C. all’inizio del III, i documenti papiracei ci fanno conoscere nel dettaglio una procedura complessa seguita per la circoncisione dei giovani sacerdoti egiziani sotto il controllo dell’autorità romana.

      Questa procedura si apre con una domanda rivolta allo stratego del nomo da parte dei parenti stretti del candidato che sollecita “secondo l’usanza”, kat¦ tÕ œqoj (ma in effetti si tratta, come vedremo di un riferimento alla legge in vigore) una lettera di presentazione al gran sacerdote di Alessandria e d’Egitto, alto procuratore romano incaricato dell’amministrazione dei culti, affinché con la sua approvazione, il ragazzo possa essere circonciso [10, p. 6-7]. Lo stratego ordina un’inchiesta sull’attitudine del candidato presso un collegio di sacerdoti locali. Il risultato di questa inchiesta gli viene comunicato sotto forma di avviso di perizia (prosfènhsij) che verte sull’appartenenza del candidato all’ordine sacerdotale (ƒeratikÕn gšnoj) [11, p. 7]. Lo stratego può allora rilasciare ai richiedenti la lettera, che questi avevano richiesto; essa vale come proposta di autorizzazione alla circoncisione [12, p. 8]. Muniti di questa lettera, i richiedenti devono presentare il candidato al gran sacerdote al quale spetta la decisione finale, pronunciata sotto forma di sentenza giudiziaria, con la collaborazione dei rappresentanti dell’alto clero, presenti all’udienza in qualità di esperti [13, p. 8-9].

      Un simile rigore e tante seccature amministrative per far rispettare un costume locale risalente all’epoca dell’Antico Regno? La procedura è lunga e tortuosa. La preoccupazione che l’autorità romana nutriva nei confronti dei diritti e dei doveri del clero egiziano, e di cui conosciamo altre manifestazioni, da sola non è sufficiente a giustificare l’attivazione di una procedura così complessa con una decisione giudiziaria riservata alla competenza di un procuratore ducenario: noi siamo in presenza di una situazione che traduce un’eccezione ordinata all’interno di un dispositivo legislativo in vigore su scala imperiale. Sarà opportuno pertanto esaminare i testi giuridici che ci permettono di precisare questo punto. 
 

4. - Nuova applicazione di una vecchia legge 
 

      All’epoca repubblicana la pratica della circoncisione non era certamente al primo posto tra le preoccupazioni del legislatore romano. Ma sotto l’Impero, di fronte a pratiche frequenti presso gli Orientali e condannate dai Romani, si manifesta una reazione. Una prima misura fu presa da Domiziano: “è vietato castrare i maschi” (castrare mares vetuit), ci informa Svetonio, senza farci conoscere la forma e la data di questo divieto all’interno di un regno che durò una quindicina d’anni (81-96 d. C.). Il contesto indica una legge imperiale tendente a ridurre degli abusi nel dominio del traffico degli schiavi [14, p. 9]. Un senato consulto, votato sotto Nerva nel 97 d. C., ha consolidato la legge di Domiziano [15a-c, p. 9-10]. Il divieto della castrazione è sanzionato dalla pena della deportazione in virtù della lex Cornelia de sicariis et veneficis, una vecchia legge di Silla (81 a. C.) che condannava l’omicidio e l’avvelenamento e che resterà in vigore sino all’epoca di Giustiniano [15b, p. 9, Marcianus].

      Sotto il regno di Adriano questa legislazione si allargò e si rinforzò. Un rescritto di questo imperatore, conservato nel Digesto grazie ad Ulpiano, lo testimonia [15a, p. 10]. Adriano si riferisce dapprima alla legislazione precedente (costitutum est ...). Vengono poi delle novità dovute ad Adriano stesso (plane, etc.). L’imperatore impone ai governatori delle province il dovere di istruire tutti i processi in materia di castrazione, qualunque sia lo statuto del querelante. La castrazione è vietata in ogni caso, sia che la vittima sia un uomo libero o uno schiavo, sia che essa sia avvenuta contro la volontà del soggetto o che questi si sia sottoposto di sua volontà a questa operazione. Un altro rescritto dello stesso imperatore, riportato da Paolo, contemporaneo di Ulpiano, parimenti in un trattato De officio proconsulis [16c, p. 10 i.f.], preciserà che tutte queste disposizioni si applicano anche all’evirazione ottenuta con la compressione ripetuta dei testicoli (thlibias facere).

      L’ultima frase del primo rescritto ci interessa in modo particolare [16b, p. 10]. Rinvia ad un editto di Adriano (edictum meum) che istituisce la pena capitale per il chirurgo che “recide” (medico .... qui exciderit) e per l’individuo che si sottopone spontaneamente a questo intervento (qui se sponte excidendum praebuit). Senza dubbio excidere è un verbo che si adatta alla castrazione. Ma le espressioni qui exciderit e qui se sponte excidendum praebuit non avrebbero molto senso qui, se fossero semplicemente un doppione di castrare e se sponte castrandum praebere, casi già individuati nel rescritto riportato da Ulpiano. Il verbo latino excidere, come il suo derivato italiano “escindere” (rimuovere, tagliando, una parte dell’organo, un frammento del tessuto organico), può essere usato anche per altre parti del corpo. Excidere praeputium è immaginabile tanto quanto excidere testiculos. Se oggi, parlando di escissione, si pensa prima di tutto all’ablazione del clitoride che ci lascia sconvolti, il legislatore romano, sconvolto dalla circoncisione, poteva pensare innanzitutto all’ablazione del prepuzio. Ha così assimilato la circoncisione alla castrazione.

      Siamo in presenza di una decisione che sarà carica di conseguenze: l’editto di Adriano estende alla circoncisione le misure penali collegate alla proibizione della castrazione. Per il legislatore imperiale la circoncisione non è che un modo della castrazione. Il diritto ratifica così la confusione che regnava da lungo tempo negli spiriti e negli autori greci e latini che li riecheggiavano.

      Per gli Ebrei e per gli Egiziani, per i quali il rito dello circoncisione aveva un’importanza vitale, la legge di Adriano fu un disastro. Non mancò di suscitare proteste e una doppia eccezione venne introdotta nella legislazione in vigore. Gli Egiziani, cari ad Adriano, ottennero rapidamente soddisfazione: il privilegio che autorizzava la castrazione dei loro sacerdoti dovette essere promulgato immediatamente dopo l’editto in questione. Gli Ebrei invece dovettero attendere più a lungo. È possibile proporre una cronologia dell’attuazione di questo dispositivo legislativo confrontando i testi giuridici di cui si è parlato con i dati riguardanti queste due eccezioni. Ritorniamo innanzitutto in Egitto: se riusciremo a fissare la data del privilegio concesso ai sacerdoti egiziani, conosceremo quella dell’editto di Adriano. Le cose diventeranno più chiare allora per la parte del conflitto che si gioca tra l’autorità imperiale e gli Ebrei. 
 

5. - “Grandi sacerdoti di Alessandria e d’Egitto” ed editto imperiale 
 

      Il destinatario del rescritto citato dal giurista Paolo a proposito del thlibias facere è identificabile: si tratta del proconsole d’Asia Ninnius Hasta, in carica dal 130 d.C. [16c, p. 10 i.f., già citato]. Questo rescritto, che rinvia alla legislazione in materia di castrazione appare come un complemento a quello che è riportato da Ulpiano, e il cui destinatario rimane sconosciuto. Abbiamo dunque, per cominciare, un periodo di tempo compreso tra l’8 agosto 117, data dell’ascesa al trono di Adriano, e il 130. Possiamo tuttavia datare con una maggiore precisione l’editto al quale si riferisce l’imperatore. La datazione deriva da quanto la papirologia ci fa sapere a proposito della carica di grande sacerdote di Alessandria e d’Egitto, procuratore romano che gioca un ruolo centrale nella procedura instaurata per l’attuazione del privilegio accordato agli Egiziani.

      Lo studio dei documenti papiracei permette di osservare, e questa è una novità importante, che questa carica è stata istituita da Adriano tra il giugno e l’agosto del 120 d. C., verso la fine del quarto anno egiziano del suo regno: è la data che figura nell’editto del perfetto d’Egitto T. Hasterius Nepos riguardante il regolamento interno dei templi egiziani, un capitolo (kef£laion) del quale è conservato nel papiro Fouad 10 [17b, p. 11 ultima riga]. Altri frammenti di un editto dello stesso prefetto riguardanti la medesima materia sono stati ritrovati nella collezione di Yale [17a, p. 11]; il prefetto prendeva atto di una decisione dell’imperatore Adriano che “ha istituito (katast»saj) il grande sacerdote dei divini Augusti e del grande Serapide e lo ha preposto ai templi d’Alessandria e d’Egitto”. Poiché è praticamente certo che i due papiri appartengono ad un solo ed unico atto legislativo, la data rivelata dal papiro Fouad indica che la carica del grande sacerdote d’Alessandria e d’Egitto è stata istituita da Adriano all’inizio del 120 d. C. E poiché l’istituzione di questa carica non è svincolabile dal privilegio accordato al clero egiziano in materia di circoncisione, essendo l’editto che li privilegia databile all’estate del 120 d. C., l’editto che egli modificava deve essere dall’inizio dello stesso 120 d. C. Il rescritto che precisa la regolamentazione in materia di castrazione, riportato da Ulpiano risalirà ai primi anni del regno di Adriano, 118 o 119 d. C.

      Grazie all’Egitto abbiamo dunque fissato la data dell’editto di Adriano che proibiva la circoncisione nell’Impero. Al tempo stesso abbiamo visto come sia stata subito regolata la parte della controversia che sorgeva a questo proposito tra il potere romano e il clero egiziano. Resta il conflitto tra questo stesso potere imperiale e gli Ebrei. 
 

6. -”Ora della distruzione” e falsi prepuzi 
 

      Una cosa è sicura. Gli Ebrei hanno dovuto aspettare il regno di Antonino Pio (138-161 d. C.) per beneficiare a loro volta di un privilegio simile a quello che Adriano aveva accordato agli Egiziani. La notizia viene da Modestino, l’ultimo giurista classico, che indica il successore di Adriano come l’autore di un rescritto che autorizzava gli Ebrei, senza dubbio verso il 150 d. C., a circoncidere i loro figli [20, p. 12].

      Passiamo a un secondo punto, più delicato: i rapporti di causa ed effetto tra la proibizione della circoncisione e la rivolta di Bar-Kokhba che ha sollevato gli Ebrei contro l’impero romano dal 132 al 135. Secondo Dione Cassio, la rivolta avrebbe avuto come causa l’intenzione di Adriano di fondare una colonia romana, con un tempio pagano, nell’area di Gerusalemme. Invece, una frase della Vita di Adriano nell’Historia Augusta presenta la rivolta come una conseguenza del divieto della circoncisione: “Gli Ebrei a loro volta, nella loro impetuosità, iniziarono una guerra, poiché veniva proibito loro di tagliare le parti genitali” - quo vetabantur mutilare genitalia [18a, p. 11]. Ma come è possibile che Adriano, sovrano realista, abbia potuto prendere una decisione che avrebbe avuto come immediata conseguenza, altamente indesiderabile dal punto di vista politico, una nuova insurrezione ebraica solo quindici anni dopo l’annientamento di quella del 115-117? La proibizione in questione non farebbe parte piuttosto delle misure repressive, essendo le cause della rivolta da cercare altrove?

      Alla luce della nostra inchiesta, è escluso che la proibizione della circoncisione sia stata una misura di ritorsione da parte di Adriano contro i rivoltosi: in effetti abbiamo visto che era anteriore di più dodici anni a questa rivolta e che non prendeva di mira esclusivamente gli Ebrei poiché era concepita come una misura generale su scala imperiale. Al contrario l’editto di Adriano ha potuto contribuire alla scoppio della rivolta. Senza esserne l’unica causa, né la più importante, come lascia intendere l’Historia Augusta, ha potuto essere la prima molla di un meccanismo che doveva mettersi in moto, quando nel corso del suo viaggio in Oriente nel 128-130 Adriano ha deciso di trasformare Gerusalemme in Aelia Capitolina.

      Un testo rabbinico ci informa che “all’epoca di Bar-Kokba molti Ebrei si fecero circoncidere un’altra volta, ebbero figli e non morirono”. Si tratta di individui che, seguendo l’esempio offerto dai “modernisti” del tempo di Antioco Epifane, si fecero rifare un prepuzio attraverso un’operazione chiamata epispasmos, ancora in uso tra gli Ebrei ellenizzanti sotto l’alto Impero, secondo la testimonianza delle lettere paoline. Altre fonti rabbiniche riguardanti la stessa epoca, si riferiscono a misure ostili alla religione ebraica prese al tempo di Adriano, parlano di un “tempo di pericolo”, al quale si sostituisce altrove “il tempo dello sterminio” (shaat hashmad, letteralmente: “ora della distruzione”). Nello stesso contesto, il Talmud di Babilonia evoca un “decreto”, gezera, termine armeno che nel linguaggio dei rabbini indica correntemente delle decisioni rivolte contro il culto ebraico.

      La gezera imperiale non è altro che l’editto di Adriano del 120 che estende alla circoncisione le sanzioni penali della legge Cornelia de sicariis, alla quale potrebbe rinviare parimenti il termine sikarikon (]qyrqy  ) nei Talmud. Si comprende facilmente che alcuni individui, mettendosi in sintonia con la legge romana, hanno dovuto ricorrere alla chirurgia estetica per avere, come avrebbe detto Erodoto, “un miglior aspetto”. Nell’entusiasmo della rivolta, se non sotto la costrizione di Bar-Kokhba, hanno rifatto la loro circoncisione, mentre il loro gesto veniva in seguito integrato nella discussione dei rabbini sull’utilità di una circoncisione reiterata, sotto il doppio aspetto religioso e medico.

      Illogico agli occhi degli storici da un punto di vista politico, il comportamento di Adriano di fronte agli Ebrei potrebbe spiegarsi in un modo più prosaico con ragioni di procedura. In Egitto, il privilegio accordato ai sacerdoti prende in considerazione un rito di passaggio alla soglia della pubertà. Una lunga procedura per le autorizzazioni individuali, come quella che ci fanno conoscere i papiri, non è applicabile nel caso di un rito d’integrazione praticato su neonati di otto giorni. Il privilegio ebraico non poteva essere accordato che in blocco, per tutti i bambini maschi, cosa che non sarebbe stata priva di rischi per il rigore dell’editto imperiale. È questa difficoltà di ordine formale, piuttosto che una scelta personale, che ha fatto esitare Adriano davanti all’idea di accordare agli Ebrei quello che aveva appena accordato agli Egiziani. Antonino Pio è andato oltre, fissando dei limiti molto stretti all’eccezione di cui gli Ebrei avrebbero beneficiato. Queste esitazioni della legislazione imperiale gettano luce sulle motivazioni e sul suo scopo. 
 

7. - “Mutilatio Genitalium” e “Humanitas” del principe 
 

      Ma perché l’imperatore Adriano volle inasprire ed estendere le misure decretate dai suoi predecessori? All’inizio del III secolo, il giurista Marciano, commentando la legge Cornelia nelle sue Istituzioni [15a, p. 9, già visto], ci offre retrospettivamente chiarimenti sulla finalità di questa legislazione: tendeva ad impedire la castrazione degli schiavi per uno scopo erotico o commerciale, libidinis vel promercii causa. Su questo punto i giuristi classici condividono con i poeti latini una tendenza nutrita dell’ideale stoico che contesta l’idea di uno schiavo naturale cara invece ad Aristotele. Essi prendono la difesa dello schiavo come essere umano e non esitano a dichiarare contraria alla natura l’istituzione stessa della schiavitù.

      Il traffico di eunuchi per il servizio e il piacere dei ricchi aveva assunto sotto l’Alto-Impero dimensioni che resero necessario un intervento del legislatore. Quanto alla libido, si pensi a quelle dame romane di cui parla Giovenale: è per il piacere della sua padrona che un bel giovane è fatto eunuco. Come altri autori antichi, Giovenale sa, in accordo con la scienza medica, che la castrazione subita dopo la pubertà non annienta la capacità virile; egli biasima le svergognate che si procurano amanti, la cui sterilità è garantita, tra gli schiavi della loro familia, mentre i ragazzi operati troppo giovani, totalmente impotenti, che propongono i mercanti di schiavi, non presentano per loro alcun interesse. A lui si uniscono Marziale e Stazio che lodano Domiziano per la sua legge che impone un limite all’arbitrio e alla violenza dei padroni e alla cupidigia dei mercanti di schiavi.

      Insomma, Adriano agì, sotto l’influenza di una certa filosofia greca, come il difensore dell’humanitas che egli invocava sin dal 119, quando dichiara, nella sua lettera al prefetto d’Egitto Q. Rammius Martialis, di interpretare “in un modo più umano”, filanqrwpÒteron, le decisioni degli imperatori che l’hanno preceduto, riguardanti in questo caso i diritti di successione dei figli dei soldati. La sua humanitas ispira le misure che apportano un miglioramento della condizione servile. L’antroprocentismo costituisce la base sulla quale la giurisprudenza classica di età tarda si accinge ad elaborare una dottrina relativa alla mutilazione degli organi genitali.

      Si considererà come acquisito che parlando di mutilare genitalia l’Historia Augusta usa un termine tecnico: si tratta di un crimine specifico, che è rappresentato da ogni intervento chirurgico tendente a modificare la naturale configurazione di questi organi per uno scopo commerciale o per la soddisfazione di piaceri sregolati (promercii aut libidinis causa), in qualunque modo avvenga, per recisione o per compressione dei testicoli (thlibias facere). I testi tacciono sulla recisione del clitoride, ma l’ablazione del prepuzio resta assimilata alla castrazione. La sanzione di questo crimine si basa sempre sulla legge Cornelia, poiché le mutilazioni proibite erano considerate come attentati all’integrità fisica di un individuo paragonabili all’omicidio e all’avvelenamento. Questa sanzione comporta la pena di morte per i colpevoli comuni e il bando (deportatio) o l’esilio perpetuo (relegatio), accompagnato dalla confisca dei beni per i membri delle classi superiori (honestiores). Come nell’editto di Adriano, il chirurgo (medicus, il mohel ebraico) è punito con la morte.

      Sono possibili delle eccezioni. La legislazione imperiale del II secolo d. C. proibiva la castrazione in ogni caso, con il consenso del soggetto, libero o schiavo, o contro il suo volere; l’autore delle Sentenze di Paolo non parla invece che di una castrazione imposta (hominen invitum) [21a, p. 12]. Questo lascia supporre che il diritto “tardo-classico” tollerava la castrazione volontaria. La modificazione del diritto in vigore su questo punto poté verificarsi dal II secolo, dopo la morte di Adriano. Giustino martire ci riporta il caso di un cristiano di Antiochia che sollecitava presso il prefetto d’Egitto L. Munatius Felix, dunque verso il 150-154, il permesso di farsi castrare, poiché i medici che aveva contattato a questo proposito gli avevano detto che non potevano farlo senza il permesso dell’autorità provinciale; pur essendo stata rifiutata l’autorizzazione, “egli è restato fermo sulla sua decisione avendo la coscienza tranquilla di fronte a quanti la pensavano come lui”. Come a dire che si castrò da solo. Origene farà lo stesso, senza apparentemente dover subire le conseguenze penali del suo gesto. Senza dubbio entrambi hanno preso alla lettera il testo del Vangelo secondo Matteo che parla di coloro che “si sono fatti eunuchi da soli per il regno dei cieli”.

      Noi siamo meglio informati sulle eccezioni riguardanti la circoncisione. Poiché la mutilatio non era illegale se non quando era compiuta libidinis vel promercii causa, la circoncisione resta lecita quando è effettuata per uno scopo religioso, a condizione che questo sia espressamente formulato in un testo normativo. Il caso di Elagabalo, circonciso come sacerdote siriano del dio Sole, non rientra in questo quadro: principi omnia licet. Le soli eccezioni che rimangono formalmente in vigore sono quelle che noi già conosciamo e che riguardano i sacerdoti egiziani e gli Ebrei. E sono rigorosamente limitative. Per gli Egiziani, l’eccezione è a favore solo dei figli dei sacerdoti in senso stretto, con eseclusione del personale subalterno dei templi; per gli Ebrei, esclude i proseliti e gli schiavi che non sono di origine ebraica. 
 

8. - Diritto romano, madri ebree,  Chiesa cristiana 
 

      L’ansia di umanità ispirante la legislazione romana che cercava di proteggere l’integrità fisica dello schiavo non ha portato, lo sappiamo, all’abolizione della schiavitù a Roma. Non ha nemmeno impedito al proselitismo ebraico, pur lasciando un campo molto limitato alla pratica della circoncisione, di continuare a funzionare al margine dell’ordine legale. È sufficiente citare le costituzioni costantiniane che condannano la conversione all’ebraismo, ricordano agli Ebrei che è loro vietato circoncidere gli schiavi che non siano ebrei di nascita e minacciano la liberazione degli schiavi non ebrei vittime di circoncisione.

      Proibendo la circoncisione, e poi rendendo legalmente impraticabile la conversione all’ebraismo, il diritto romano ha gravato con tutto il suo peso sulla trasformazione dello statuto personale degli Ebrei operata dalla Michna verso il 200 d. C. per i secoli successivi. Nel I secolo d. C., una tal principessa erodiana poteva sposare un pagano se questi si faceva convertire, cioè se accettava di farsi circoncidere e  si impegnava ad osservare per il futuro i principi dell’ebraismo. Dopo l’editto di Adriano del 120 questo genere di legame diventava impossibile e Antonio Pio non ha cambiato niente a questo riguardo: la circoncisione indispensabile per la conversione all’ebraismo, in vista del matrimonio o per “puro” proselitismo, è ormai illegale.

      Dopo le grandi catastrofi della fine del I secolo d. C. e della prima metà del II, la situazione demografica ebraica è di crisi mortale per la scarsezza di uomini. In un regime familiare che a una stretta monogamia combinava il principio in virtù del quale la condizione del bambino era determinata da quella di suo padre, un uomo che aveva una figlia da sposare e che non trovava per lei un marito ebreo doveva rassegnarsi all’idea che i suoi nipoti, nati da madre ebrea e da padre non ebreo, sarebbero stati a loro volto non ebrei. Alla lunga, si trattava di una shoah demografica. Per sfuggire a questo pericolo, si rese necessario trasferire alla sola madre la responsabilità per la sopravvivenza del popolo ebraico. La discendenza patrilineare fu sostituita da quella matrilineare, in accordo con la norma romana secondo la quale il bambino segue lo statuto di sua madre (partus matrem sequitur).

      Quanto ai cristiani, la legislazione imperiale ha sostenuto e accelerato il processo, cominciato alla metà del I secolo che doveva condurre la setta ebrea dei discepoli di Gesù di Nazareth a diventare una religione universale, più greca che mosaica. La comunità ebreo-cristiana di Alessandria è scomparsa durante la guerra del 115-117. Quella di Gerusalemme è sopravvissuta alla catastrofe del 70; è solo dopo la rivolta di Bar-Kokhba che nella nuova città di Aelia appare un primo vescovo pagano-cristiano [19a, p. 12]. In seguito, si troverà sempre qualche cristiano che pratica la circoncisione, senza attribuirvi un’importanza fondamentale - i nazareni nel IV secolo, i passagini nel XII, i Copti d’Egitto e d’Etiopia oggi. Ma come realtà umana gli ebreo-cristiani erano condannati a sparire, come lo furono anche altre sette ebraiche- i sadducei, gli esseni, gli zeloti. Nel futuro, l’ebraismo farisaico, unico sopravvissuto del molteplice mondo ebreo dell’epoca del Secondo Tempio, dovrà affrontare la diffidenza e l’ostilità crescente della Chiesa nate dal mondo pagano.

      In questa nuova configurazione dei rapporti tra Ebrei e Cristiani, il diritto romano ha giocato un ruolo importante, come responsabile di divisione piuttosto che come elemento catalizzatore. Lo studio delle “manipolazioni” genitali aiuta così a chiarire un punto fondamentale della disputa - e dunque anche del dialogo - ebraico-cristiano. Per rendercene pienamente conto, abbiamo dovuto interrogare i documenti papiracei riguardanti lo statuto del clero egiziano sotto l’Impero. Greci, Egiziani, Romani, Ebrei: i legami che l’antropologia intrattiene con il diritto sono complessi e richiedono il ricorso a fonti apparentemente molto lontane le une dalle altre. Così questo incontro milanese sarà stato l’occasione per confermare i pregi di una ricerca interdisciplinare che intende confrontare ed analizzare testimonianze di origine e di natura diverse, al di là delle chiusure tradizionali. 
 



Fonte: Srs  di Joseph Mélèze Modrzejewski;  
 Essere io, essere noi: identità individuali e collettive;  Convegno internazionale di antropologia e antichistica. Milano, Università degli Studi, 3 - 4 maggio 1995 

(traduzione a cura di Elena Iacobelli)

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