Cinquecento paesani armati di tutte le età si radunano nella chiesa parrocchiale di Caprino Veronese, per salutare spose e figlioli e ricevervi la benedizione dall’Arciprete, Conte Giuseppe Giuliari, dopo aver cantato le litanie della Santa Vergine al suo altare. A mezzanotte, i valligiani intraprendono la marcia su Verona, alla vigilia dell’insurrezione delle Pasque Veronesi. “Appariva sul volto di tutti il desiderio di morir per la Patria e di esporsi a qual si fosse stato cimento”. 16 aprile 1797, Domenica di Pasqua. Tavola di Andrea Gatti. Proprietà del Comitato per la celebrazione delle Pasque Veronesi.
LETTERA DI RISPOSTA INVIATA A L’ARENA
Su L’Arena del 27 ottobre 2019 alcuni nostalgici bonapartisti, in nome delle ideologie ormai ammalorate del 1789, propongono un percorso napoleonico, fra Arcole e Rivoli, ricevendo man forte da alcuni amministratori locali o aspiranti tali, che si candideranno alle prossime elezioni in primavera e di cui sarà bene ricordarsi, onde NON votarli.
A costoro vorremmo ricordare che Bonaparte fu, sic et simpliciter, l’assassino della Patria Veneta e che, dunque, apparirebbe bizzarra, oltre che inconcepibile, l’impresa di far digerire alle popolazioni, vessate a tutt’oggi dalle predazioni della mala unità e che rimpiangono giustamente le glorie della più longeva Repubblica della storia come dell’Impero asburgico, la ricostruzione a Rivoli di un monumento al tiranno còrso. Cosa che ben poco avrebbe a che fare col turismo e con la conoscenza della storia; molto, invece, col servaggio ideologico agl’invasori liberal-massoni transalpini del 1796-7 e ai loro attuali eredi.
Agli amministratori presenti e futuri di Rivoli, che si accodano corrivamente al “liberatore” Bonaparte, andrebbero ricordate le efferatezze, i saccheggi e i delitti di cui si rese responsabile l’esercito rivoluzionario francese nei loro luoghi, tanto che, al tempo della battaglia di Rivoli (14-15 gennaio 1797) i montanari della Val d’Adige facevano rotolare massi dalle montagne sui transalpini, onde schiacciarli e favorire l’armata austriaca, i cui piani erano stati carpiti prima dalle spie di Napoleone, cosa che ne spiega anche i facili successi.
Sarebbe da riproporre piuttosto un percorso delle Pasque Veronesi, la grande insurrezione di Verona e del contado contro Bonaparte dell’aprile del 1797, le cui vittime censite ascendono al momento a 2.105. Percorso, questo sì originale e turisticamente appetibile (come constatiamo ogni giorno, presso i molti viaggiatori che giungono in visita a Verona) e che investirebbe tutta o quasi la provincia veronese, nonché i centri della sponda bresciana del lago di Garda.
Sanno gli amministratori locali di Rivoli che il giorno dopo lo scoppio delle Pasque Veronesi, era il 18 aprile 1797, vi fu l’assalto e l’espugnazione, da parte dei montanari della Val Lagarina, cioè della bassa Val d’Adige, della fortezza in mano francese presso la chiusa del Ceraino e che il presidio napoleonico, costretto alla resa, fu scortato dai valligiani sino a Verona, in stato di detenzione?
Quanti conoscono ancora (per stare alla sola zona di Caprino Veronese) la resistenza armata della frazione di Gaòn contro le latrocinanti truppe transalpine, con gli abitanti asserragliati nel paese, mentre donne e bambini venivano mandati sul Monte Crocetta a pregare (22 agosto 1796)?
Qualcuno ha mai detto, ai locali estimatori del còrso, degli attruppamenti delle cernide nel nome di San Marco, di cui rigurgitava la chiesa parrocchiale di Caprino la sera del 16 aprile 1797, domenica di Pasqua, dove 500 paesani armati, salutati mogli e figli, furono benedetti dall’Arciprete, Conte don Giuseppe Giuliari, prima di marciare su Verona, paesani sul cui volto (dicono le fonti) brillava il “desiderio di morir per la Patria e di esporsi a qual si fosse stato cimento”?
Quanti ancora conoscono l’assassinio del fattore Girolamo Franceschini nella villa dei Marchesi Pignolati, a Cordevigo, oggi Cavaion Veronese o la fucilazione a Calmasino, il primo giorno in cui l’Armée d’Italie mise piede in territorio veronese, del contadino Angelo Mancini (1° giugno 1796) o la guerriglia antifrancese nei dintorni di Caprino Veronese, protrattasi anche molto tempo dopo le Pasque Veronesi e fino all’arrivo pacificatore delle truppe imperiali, nel gennaio 1798?
E che i convogli militari del Bonaparte venivano assaltati e i prigionieri liberati, con l’appoggio delle popolazioni locali, che si tassavano addirittura per finanziare la guerriglia, ricevendo quietanza dagl’insorti delle contribuzioni versate, onde essere ristorate a guerra finita?
Insomma, è troppo chiedere ai consiglieri e alla Giunta di Rivoli e agli amministratori del veronese in generale, di conoscere e valorizzare l’autentica storia patria e dei loro territori, di favorire un percorso sulla resistenza eroica e sul sacrificio delle loro popolazioni al tempo delle Pasque Veronesi contro l’usurpatore d’Europa, il Bonaparte, colui che distrusse il loro Paese e le loro comunità, e non di cantarne le lodi o d’innalzargli, o addirittura di ricostruirgli, monumenti?
Maurizio-G. Ruggiero
Segretario del Comitato per la celebrazione delle Pasque Veronesi
347/3603084
BISOGNA CREARE UN ITINERARIO NAPOLEONICO
I resti del monumento filmato dai francesi nella prima guerra mondiale
Di Camilla Madinelli
La proposta emersa durante la serata di presentazione del libro del vicesindaco dedicto al monumento fatto erigere dal Bonaparte: 150 persone intervenute
Riscoprire il monumento napoleonico di Rivoli, ma non solo. Segnalarlo a visitatori e turisti, valorizzarlo e magari anche ricostruirne l’obelisco alto venti metri in marmo Rosso Verona e fatto abbattere dagli austriaci nel 1814. Ma nella consapevolezza che amministrazioni locali e territori dovrebbero puntare di più sul periodo storico legato a Napoleone. A Rivoli come in altre parti del Veronese, da legare con un fìl rouge a fini culturali, turistici ed economici oltre che per dare valore alla memoria.
L’input è arrivato dal professor Ernesto Santi, uno dei massimi esperti di storia napoleonica, all’ex Polveriera di Rivoli, durante l’affollata serata di presentazione del libro “Rivoli. Storia di un monumento, un monumento nella storia” scritto dal vicesindaco Luca Gandini.
«Manca in loco un itinerario napoleonico che farebbe risaltare la storia nel territorio e valorizzerebbe ulteriormente la nostra provincia, cosa che invece sotto questo aspetto non stiamo facendo», ha detto Santi davanti alle 150 persone che hanno ascoltato l’introduzione appassionata del professor Giancarlo Volpato, autore della presentazione del libro, e la narrazione di Gandini. «Eppure potrebbe esserci una penetrazione turistica straordinaria, con un notevole valore economico e varie ricadute positive», continua l’esperto. Racconta che ad Arcole sono arrivati anche degli argentini, per visitare i luoghi in cui passò il Bonaparte.
A Rivoli, intanto, più di qualche residente viene fermato da turisti che cercano di arrivare al monumento fatto costruire nel 1806 da Napoleone tra «le torte di Incanale», le colline che da Rivoli scendono a Canale, in memoria della battaglia del 14 gennaio 1797 in cui con i suoi soldati sconfisse la forte armata austriaca. «E un’ottima idea creare un circuito per turisti e appassionati», ha ribattuto Gandini. «Sono fermamente convinto che facendo rete si possano ottenere risultati sorprendenti, sfruttando le economie di scala a beneficio dell’indotto turistico». Ma la realizzazione di un simile circuito sarebbe fattibile, per il Comune? «Sì, con un’amministrazione che creda nel progetto», ha risposto il vice sindaco guardando all’anno prossimo, quando in primavera si terranno le elezioni comunali. «Se saremo ancora noi in sella alla prossima legislatura, potrebbe essere un obiettivo perseguibile in tempi rapidi», ha detto.
Intanto in tempi rapidi, sei mesi appena, lui ha scritto il libro sul monumento, patrocinato dal Comune e pubblicato con il sostegno di Autostrade del Brennero Spa e Ganmar srl. Quel monumento di cui molti hanno sentito parlare ma che pochi hanno visto, di cui rimangono il basamento in marmo e pochi altri resti ma che invita a un recupero. «Gandini ha ripreso la storia del monumento che rappresenta il canto di gloria di Napoleone e il canto alla vita di chi è morto per la patria», ha detto Volpato, «invitando a fare il possibile perché tomi a essere quello che era». Numerosi gli studiosi che hanno preso parte alla serata ma anche i cittadini fieri del loro paese. In prima fila, con il sindaco Armando Luchesa, la sindaca di Ferrara di Monte Baldo Serena Cubico e i vice sindaci di Brentino Belluno Massimo Zanca e di Dolcè Angelo Zanesi. •
Fonte: srs di Camilla Madinelli, da L’Arena di Verona del 27 ottobre 2019
IL MONUMENTO NAPOLEONICO RICOSTRUITO DAI MARMISTI VERONESI
Il basamento del monumento è di 64 metri quadri con 8 metri a lato
Di Camilla Madinelli
C’è il monumento napoleonico su stemma e gonfalone del Comune di Rivoli, con la bandiera italiana sulla cima. L’immagine di com’era, completo di obelisco e imponente, è stata riprodotta anche in un mosaico sul pavimento della sala consiliare. Ma quasi nessuno, rivolesi a parte, sa con esattezza dove si trovi e come si arrivi oggi al monumento fatto erigere nel 1806 da Napoleone tra le colline che da Rivoli scendono a Canale, in Valdadige, a memoria della battaglia del 14 gennaio 1797 in cui sconfisse l’armata austriaca. Fu il primo dei monumenti napoleonici in Italia. Tanto era grandioso allora, con i suoi 20 metri d’altezza all’imbocco della Valdadige, tanto è invisibile oggi e sconosciuto ai più.
COSA RIMANE. Nel connubio inscindibile tra Rivoli e Napoleone, il Comune insegue da decenni la sua valorizzazione. Piste ciclabili nelle vicinanze, sistemazioni della zona e interventi conservativi non sono bastati a trasformare il monumento da Cenerentola a reginetta nell’ambito delle locali politiche turistico culturali. Stretto tra la strada provinciale e l’autostrada del Brennero, arrivarci è piuttosto difficile, non ci sono parcheggi né indicazioni chiare. Senza contare, poi, che ci si deve intrufolare in un vigneto privato. Oltretutto, non ci si aspetti di trovare il monumento come lo si vede negli stemmi comunali. Un basamento marmoreo di 64 metri quadrati, a forma di parallelepipedo di 8 metri circa per lato e alto poco più di sei metri, è tutto ciò che rimane. Della colonna di 13 metri e mezzo e dell’urna di tre metri posta in cima, contenente le ceneri di migliaia di soldati, non v’è traccia: furono distrutte dagli austriaci il 12 febbraio 1814. Il basamento rimasto è di proprietà dell’ambasciata francese e si trova in una proprietà agricola privata.
VALORIZZAZIONE. Spinge al massimo in questo senso, il vice sindaco di Rivoli Luca Gandini. Che il monumento la meriti non ha dubbi: lo ha studiato a lungo e la ricerca lo ha così appassionato da spingerlo a scrivere un libro. S’intitola «Rivoli. Storia di un monumento, un monumento nella storia» e viene presentato stasera alle 20.30, all’ex Polveriera. «È stata un’opera grandiosa» afferma, «sorge nel punto dove la battaglia fu molto cruenta e fu concepita da Bonaparte per eternare le gesta eroiche di quei giorni e consacrare la memoria degli innumerevoli caduti. Si parla di almeno 5.000 morti». E i resti sono tutti lì, magari sotto il monumento? «Dalle mie ricerche emerge che le ceneri di molti cadaveri bruciati sui campi di battaglia furono messe nell’urna cineraria» risponde Gandini. «è vero anche che molti, chissà quanti, li hanno sepolti. Ci sono testimonianze al riguardo, tra cui un ordinanza dell’ufficio sanità di Verona di procedere alle sepolture che risale a subito dopo la battaglia. Ma del fatto che siano sotto al monumento non ci sono prove. Sappiamo invece che, sul lato ovest, furono traslati i resti di granatieri napoleonici ritrovati nel maggio 1918 vicino alla canonica di Rivoli». Da troppo tempo, secondo Gandini e pure il sindaco Armando Luchesa, il monumento rappresenta una pagina di storia dimenticata. Anche se mutato e mutilato, merita di essere conosciuto e visitato. Il monumento napoleonico non solo è parte del patrimonio storico, ma anche luogo della memoria» aggiunge Luchesa. «L’ideale sarebbe condividere un percorso tra tutte le parti interessate, dal Comune all’ambasciata, dal privato all’autostrada del Brennero».
UN SOGNO. Gandini si spinge anche più in là e lancia l’idea della ricostruzione dell’obelisco: «Era finemente decorato, in Rosso Verona e con un capitello lavorato in marmo bianco» spiega. È pronto a lanciare un appello tanto al settore lapideo quanto all’ambasciata francese. «Ricostruirlo, magari grazie alla perizia dei nostri marmisti veronesi, sarebbe magnifico». •
Fonte: srs di Camilla Mandinelli, da L’Arena del 3 ottobre 2019
Nessun commento:
Posta un commento