Oneto: le idee sono punite come fossero dinamite. La
prigione “invisibile” in cui viviamo
In un memorabile articolo Gilberto Oneto descrive la situazione in cui si trovano a vivere veneti e lombardi, paragonati a quegli uccelli che, ormai condizionati, non provamo neanche più ad uscire dalla gabbia a portellino aperto. E del resto, quando ci si provassero, la musica cambia, come ora sta succedendo in Catalogna, con i primi arresti e il plauso neanche tanto sottaciuto, della élite burocratica finanziaria europea. Consiglio la lettura. Oneto non c'è più ma le sue idee vivono ancora.
Gli Indipendentisti - ovvero le Idee punite come fossero
dinamite. La prigione “invisibile” italiana. E quella, ormai visibile,
spagnola.
Ci sono due modi per tenere la gente in prigione ed evitare
che se la squagli: costruire mura solidissime e munirle di inferriate triple,
oppure convincerla che sta benissimo dov’è e che fuori starebbe peggio. Le
sbarre di metallo hanno il difetto (in tempi di buonismo e di politically
correct) di essere evidenti e identificabili, di poter essere stigmatizzate su
manifesti e fotografie. Le sbarre psicologiche non si vedono, non si possono
fotografare, non ci si può appendere o impiccare, si possono sempre negare, si
può sostenere che sono frutto di autoconvincimento o di propaganda avversaria.
Ma sono in definitiva anche le più solide e subdole, sono difficili da segare e
non si sa esattamente quale spazi delimitino: alla fine riducono alla
condizione di certi uccelli che se ne restano in gabbia anche quando le porte
vengono aperte.
L’Italia è una prigione di questo genere: a nessuno viene
impedito di uscire fisicamente e (soprattutto) di entrare, ci si può lamentare
e organizzare per cambiare le cose all’interno. Si può proporre di cambiarle
anche radicalmente ma non si possono toccare i muri: si può rinnovare
l’arredamento, ma le pareti vanno lasciate come sono.
Nuove porte e finestre incorrono nei rigori del Codice Rocco
che difende con scrupolo la sacralità e l’intangibilità dei muri dell’unità
nazionale, e della prigione. Nel creare argomenti per convincere i carcerati di
non esserlo sono stati abilissimi e hanno saputo percorrere anche strade
diverse e creative: una volta si attaccavano ai sentimentalismi patriottici (De
Amicis è stato un grande carceriere), alle catarsi belliche (anche Cadorna lo è
stato) e ai turgori nazionalistici (Mussolini e Franco sono stati
perfetti).
Oggi preferiscono, adattandosi alla tristezza dei tempi,
toccare temi socioeconomici.
Le sbarre oggi usate sono quelle dello «in fondo stiamo
bene», «siamo socialmente tutelati», «abbiamo un’ottima assistenza sanitaria»,
scemenze come la dieta mediterranea e la nazionale di calcio che se non vince è
colpa dell’arbitro.
Da noi – continuano a ripeterci suadenti – si vive
bene, si vive sicuramente meglio di quanto vivano tanti altri o di quanto
vivessero i nostri vecchi e di questo dobbiamo ringraziare come è strutturato e
gestito il Paese (la maiuscola è di regime). I missionari che tornano da terre lontane ci
raccontano di quanto sfigati siano i popoli del terzo mondo e di quanto
fortunati siamo noi, i giornalisti ci raccontano quanto inumani e asolidali
siano i Paesi apparentemente più ricchi (storie di moribondi lasciati morire
sul marciapiede perché non hanno la carta di credito e altre vaccate del
genere) e di quanto premurose e “umane” siano invece le nostre Asl.
Storici e politici patriottici non perdono occasione per
dipingere a tinte drammatiche l’esistenza grama dei nostri vecchi (pellagra,
pulci e miseria) a fronte della nostra agiatezza: è una vera e propria
demonizzazione della storia che non si limita più allo sputtanamento del
Medioevo ma che ha ormai coinvolto ogni epoca passata e che, mano a mano,
aggiunge anche gli anni appena trascorsi, perché il presente – ce lo dobbiamo
ficcare in testa – è sempre meglio del passato e il futuro lo sarà ancora di
più se righiamo diritto. Il risultato è (quasi) un intero popolo che se ne sta
buono all’interno della prigione convinto che sia il “migliore dei mondi
possibile”, terrorizzato da ogni cambiamento, che vive con gli occhi chiusi (o
aperti davanti alla televisione, che è lo stesso)per paura di vedere cosa c’è
fuori e cosa potrebbe esserci dentro di diverso.
Come si abbattono queste sbarre? Costringendo la gente a
guardare il passato vero, a guardare le propria condizione senza
condizionamenti, a guardare fuori, e – soprattutto – a pensare a come potrebbe
essere la vita senza le sbarre. La prima cosa si ottiene facendole conoscere la
realtà vera della sua storia, fatta di millenni di alti e bassi, di crescite e
cadute che avevano a che fare con mille motivi, ma non certo con la condizione
politica unitaria che è stata fonte di miseria e non di ricchezza: l’unità
italiana ha infatti decisamente peggiorato le condizioni sociali ed economiche
dei popoli che ha coinvolto e inglobato. La seconda si ottiene palesando i
numeri della verità: i numeri sono chiari oggettivi, inoppugnabili. Fare sapere
cosa si dà e cosa si riceve, quanto si dà e quanto si riceve, chi dà e chi
riceve, chi lavora e chi mangia, è essenziale per fare capire a gente
obnubilata dalla sindrome di Stoccolma che esiste una differenza sostanziale
fra carcerati e carcerieri, che non si deve alcuna gratitudine ai carcerieri
che ci tengono carcerati, e che li si deve individuare per liberarcene.
Le statistiche hanno una forza dirompente: basterebbe
conoscerle, purtroppo da anni sono manipolate dai media caini e dalla stampa
igienica.
La terza cosa si ottiene viaggiando, portando la gente in
giro per il mondo a vedere come vivono gli altri, quelli che sono incarcerati
fisicamente, quelli che – come noi – lo sono psicologicamente, ma anche e
soprattutto quelli che invece sono liberi. Vedere gente senza catene è la più
forte e sicura stimolazione per l’emulazione verso la libertà.
Bisogna infine fare capire alla nostra gente come vivrebbe
se fosse libera davvero, se fosse completamente padrona di gestire il suo
lavoro e le ricchezze che produce. Forse mangia oggi di più e meglio di cento
anni fa, ma il paragone da fare è con “cosa e come mangerebbe” se non ci fosse
la prigione italiana a contenerla e rapinarla. Lo stesso vale per la casa,
l’ambiente, l’istruzione, la conoscenza, i soldi, la salute, la libertà di
espressione.
Si deve fare capire alla gente: 1) che è in prigione, 2) chi
la tiene in prigione, 3) come vivrebbe fuori di prigione. Le sbarre e i muri
veri si fanno saltare con la dinamite, quelli psicologici con l’informazione e
la cultura che sono più dirompenti di qualsiasi bomba. Per questo il Codice
Rocco punisce più severamente i “reati
di opinione” che la detenzione di
esplosivo.
L’Italia è una prigione dalla quale a nessuno viene impedito
di uscire e (soprattutto) di entrare. Dove si può rinnovare l’arredamento e le
sigle dei partiti, ma le pareti vanno lasciate come sono. Nuove porte e
finestre incorrerebbero nei rigori del Codice Rocco.
(di GILBERTO ONETO)
Fonte: https://dalvenetoalmondoblog.blogspot.it/2017/10/la-prigione-invisibile-italiana.html?spref=fb del 17
ottobre 2017
Fonte: http://www.lindipendenzanuova.com/oneto-idee-sono-punite-come-fossero-dinamite-la-prigione-invisibile-in-cui-viviamo/ del 18 gennaio 2016
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