La storia vista da un soldato friulano dell'esercito
Austro-Ungarico
Di Millo Bozzolan -
ottobre 25, 2017
Gli austro-tedeschi a Udine
Chi vi propone l'articolo, cioè io, non ha nessuna
nostalgia per "el paròn" austriaco, allo stesso modo in cui non ama
l'annessione italiana. Anche se tra le due disgrazie, la prima forse era la
meno peggio. Ma certamente è interessante leggere un pezzetto di storia,
cioè lo sfondamento di Caporetto, anche dal punto di vista del
"nemico". Specie se il
"nemico" è in realtà un fratello friulano.
"Batae di Cjaurêt"
"Guido Marizza e la pagnotta."
Arriva l’ottobre del ’17 e le truppe italiane sul fronte
dell’Isonzo vengono sbaragliate. Per gli Austro-Tedeschi è la battaglia di
Flitsch-Tolmein (Plezzo-Tolmino), per gli Italiani è la disfatta di Caporetto.
A Caporetto (Kobarid in sloveno, Karfreit in tedesco) la
popolazione slovena si precipita festante in strada a salutare i liberatori
germanici. Tarcento era stata saccheggiata dai soldati italiani in ritirata ma
le truppe austriache ristabiliscono l’ordine.
A Udine quasi tutti gli abitanti sono fuggiti, influenzati
dalla propaganda secondo cui i Tedeschi (che il giornale “Il popolo d’Italia”
descriveva come dediti al cannibalismo) avrebbero assassinato tutti
indistintamente. Dappertutto scene di saccheggio, vetrine sfondate, civili
uccisi, soldati italiani ubriachi fradici: il nemico in fuga ha depredato la
sua stessa città, dopo che i vincoli disciplinari si sono sciolti.
Nella città abbandonata molti soldati italiani vanno
saccheggiando e appiccando incendi. In tutti i villaggi la popolazione friulana
saluta cordialmente i soldati germanici, fiduciosa nel fatto che la loro
impressionante vittoria avrebbe presto condotto alla pace.
A Passons, San Marco e Mereto di Tomba i soldati vittoriosi
vengono salutati e accolti assai cordialmente. Anche a Maiano la 50^ Divisione
incontra tracce di saccheggi e viene accolta festosamente dalla popolazione. A
San Daniele, come in molte altre località, i civili scendono in strada con
ceste di burro e marmellata, cioccolata, uva e altri viveri per i soldati
austro-tedeschi.
A Gemona i saccheggi da parte di soldati italiani sbandati
raggiungono una tale gravità che il sindaco deve chiedere protezione alla
divisione Jaeger dai suoi stessi connazionali. Anche a Cimolais e Claut gli
italiani hanno saccheggiato tutto.
Di chi è la responsabilità di tutto ciò? Secondo il generale
Cadorna è di alcuni “reparti della II Armata, vilmente arresisi o
ignominiosamente passati al nemico”. La colpa, insomma, sarebbe dell’ultimo
soldatino, non dei capi come il generale Pietro Badoglio, in realtà uno dei
massimi responsabili della disastrosa disfatta, che dopo la guerra, grazie ai
suoi appoggi politici, anziché andare dritto in galera, sarà ricompensato con
ogni genere di favori, onori, prebende, promozioni e decorazioni.
Carlo I visita i
kaiserjager tirolesi
|
Le truppe austriache, dunque, e con esse anche il soldato
Guido Marizza, nell’autunno del ’17 varcano l’Isonzo, tornano a Gradisca ma non
si fermano, passano anche il Torre, il Tagliamento, la Livenza e arrivano fino
al Piave. E lì si fermano, perché un nemico armato si può sconfiggere, la fame
no.
Quando mi raccontava la situazione di quei giorni, il nonno
Guido diceva: “Se gavevimo ancora una pagnoca, rivàvimo fin a Milan!”
(dal libro "Antologia di Isunz River" di Gianni
Marizza)
Fonte: dal veneto al mondo
Link: https://dalvenetoalmondoblog.blogspot.it/2017/10/caporetto-vista-da-un-nemico-furlan.html?spref=fb
LA CAPORETTO DELLE DONNE, FATTA DI STUPRI MISERIA VIOLENZE
Di Gianni Cecchinato
- ottobre 31, 201
Come sempre in tutte le guerre le vittime sono le donne, i
bambini e gli anziani e la prima guerra dell'era moderna non fu da meno, non
risparmiò i civili delle terre occupate dagli italiani e dalle truppe
austro-tedesche.
Ancor oggi si fa fatica a parlare del dramma degli stupri e
dei figli di guerra; il giornalista Ugo Ojetti ebbe il coraggio, a
guerra finita, di parlarne sul Corriere della Sera. Raccontò delle
donne che, nelle zone del fronte con la rotta di Caporetto, avevano
subito stupri ed avuto figli da soldati a seguito di violenze o perché si erano
prostituite per fame.
Il Fascismo cancellò di fatto quei bambini che nacquero fino
al 1921, loro erano purtroppo il risultato anche degli stupri commessi dai
nostri soldati sbandati dopo Caporetto, come pure dalle conseguenze di una
smobilitazione di fine conflitto e da una ripresa alla vita civile, molto lente
nelle zone di guerra.
Per quasi cent'anni si celebrò il conflitto come l'ultimo
scontro cavalleresco, un affare tra uomini, in cui le popolazioni civili
(quindi anche le donne) non furono coinvolte. Denunciare gli stupri di massa
non fu possibile, in quanto la violenza sessuale non era un reato contro la
persona ma un delitto contro l'ordine della famiglia e contro il buon costume.
Inoltre l’aborto era considerato per la morale corrente il peggiore dei
crimini, non un diritto riconosciuto alla donna che poteva decidere, ma il
"dovere dell’aborto" doveva salvaguardare "l’onore" dei
soldati al fronte.
Anche allora solo una piccola parte delle violenze furono
denunciate.
Nell’agosto 1918 nacquero i primi "figli del
nemico", frutto delle violenze sulle donne dei soldati delle diverse
nazionalità che costituivano l’esercito austro-ungarico-tedesco.
Gli stupri erano avvenuti in particolare tra il 24 ottobre e
l’8 novembre 1917, ma non cessarono, anzi continuarono fino ai primi di gennaio
del 1918, quando gli austriaci riuscirono a far funzionare la macchina
giudiziaria-amministrativa.
Dopo un anno, dalla fine del conflitto, nel Triveneto
c'erano ancora 1.700.000 soldati, molti dei quali non erano ancora stati
smobilitati (di fatto si comportavano come degli sbandati), ma in compenso
avevano portato ogni sorta di privazione alla popolazione.
Una Commissione d’inchiesta, operante dal 1919 al 1920, non
riuscì a quantificare con certezza né gli stupri né il numero dei bambini che
nacquero.
Non dobbiamo meravigliarci che tante donne fecero sesso con
gli occupanti per avere in cambio, per sé e per i propri figli, un po’ di
brodaglia con un pezzo di pane nero. Come senz'altro qualcuna, sia di
cittadinanza italiana che austriaca, si innamorò perché non va dimenticato che,
prima di Caporetto, gli "invasori", arrivati per "liberare"
Trento, Gorizia e Trieste erano italiani e che quelle "zone di
guerra" costituivano i territori dell'impero asburgico.
Riguardo la fame, da Caporetto al Piave nei 12 mesi di
occupazione austriaca morirono di stenti o per mancanza di medicine ben 27.000
persone, cioè il tre per cento della popolazione rimasta, alla fine sono stati
più i morti civili dei militari.
Fonte: srs di Gianni
Cecchinato, da dalvenetoalmondo del 31
ottobre 2017
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