Dal testo di Francesco Zanotto
" Lo Sforza ... verso la mezzanotte,
sendo avvertito che il Piccinino ed il marchese di Mantova abbandonavano quella
parte della città giacente sulla sinistra sponda del fiume per chiudersi nella
cittadella, marciò tosto col drappello de' suoi, passò libero i ponti, ed entrò
in quella parte, disarmando i facendo prigioni i soldati che qui e qua trovava
posti a guardia dei luoghi. Dalle finestre intanto i cittadini lo acclamavano
siccome lor liberatore ... "
ANNO 1439
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.
Un improvviso
attacco a Verona da parte
del comandante visconteo Piccinino costringe i veneziani a concentrare
le proprie forze sul recupero della strategica città dove i due eserciti si
fronteggiano sulle opposte rive dell'Adige per arrivare presto allo scontro
decisivo ...
LA SCHEDA STORICA – 74
La città di Brescia
dopo lunghi mesi di assedio era effettivamente ormai alle sue ultime energie.
L'inverno con il freddo e senza rifornimenti aveva portato i suoi abitanti ai
limiti massimi di sopportazione. Con l'estate tuttavia, la situazione divenne a
dir poco disperata.
Scrive un testimone oculare: "Mi pareva che li citadini havesseno invidia alli morti tanto stavano a
mal porto ... et pur si portava (sopportava) in pace per non venir sotto quello
duca di Milano, aspettando sempre lo secorso del conte Francesco
(Sforza)".
Come se non bastassero l'assedio e la fame, con l'estate
arrivò puntuale anche la peste con le sue quaranta, cinquanta vittime
giornaliere. E pure la città ancora non si arrendeva. Pur di non cadere nelle
mani del Visconti sopportava tanto supplizio fiduciosa nell'aiuto dei
veneziani.
La titanica impresa del Garda non produsse però alla fine
alcun effetto, restando le navi bloccate dai milanesi nel porto di Torbole. Si
doveva a tutti i costi tentare un'altra strada.
Al Gattamelata intanto venne affiancato Francesco Sforza che
dal 1439 militava sotto le bandiere di San Marco con la promessa che se si
fosse conquistata Milano, Venezia lo avrebbe immediatamente riconosciuto quale
nuovo e legittimo duca. Allo Sforza del resto, lo stesso Filippo Maria Visconti
aveva promesso la mano dell'unica sua figlia ed erede Maria.
Le forze riunite del Gattamelata e dello Sforza, dunque,
dovevano assolutamente rompere l'assedio di Brescia o comunque far giungere
nella città dei rifornimenti.
Gli eserciti veneziani, in marcia versò nord, trovarono però
questa volta bloccata la via presso il castello di Tenno, a pochi chilometri da
Riva, che era stato infatti conquistato nel frattempo dal Piccinino. Lo scontro
fu inevitabile e i milanesi ebbero fortunatamente la peggio proprio grazie
anche all'audacia di un gruppo di soldati bresciani che combattevano nelle file
della Serenissima. In quell'occasione lo stesso Piccinino rischiò di venir
catturato riuscendo solo alla fine a fuggire nottetempo facendosi portar via
dentro un sacco - così almeno secondo un racconto dell'epoca. Il comandante
dell'esercito visconteo, certo non fuggiva senza una meta ben precisa, il suo
scopo era di raggiungere il grosso dell'esercito stanziato lì vicino. La cosa più
inaspettata, tuttavia, avvenne solo dopo.
Una volta ricongiuntosi con il suo esercito, infatti, il
Piccinino mosse un improvviso attacco alla città di Verona. Nessuno, tanto meno
i veneziani, si aspettava una simile iniziativa che gettò nel più totale
scompiglio i piani delle forze venete. In pochi giorni, intanto, Verona veniva
quasi completamente occupata dalle truppe viscontee del Piccinino.
Cosa fare ora? Brescia
da oltre un anno resisteva eroicamente agli eserciti milanesi, ma ora con una
mossa da vero stratega il Piccinino occupava anche Verona, da un punto di vista
strategico molto più importante di Brescia. Lo Sforza e il Gattamelata non
avevano scelta. Verona doveva essere assolutamente riconquistata, ma questo
voleva dire per i Bresciani veder nuovamente allontanarsi i tanto sospirati ed
attesi rinforzi. E così, dalle mura ormai quasi totalmente diroccate della loro
città i cittadini di Brescia guardavano increduli e disperati allontanarsi
l'ultima loro speranza di salvezza.
L'esercito veneziano infatti, prese a muoversi verso Verona
dove ben tre punti strategici non erano ancora caduti nelle mani del comandante
visconteo. I tre castelli di San Pietro, di San Felice, e Castel Vecchio erano
infatti in mano veneziana. Lo Sforza pose così un drappello di uomini a guardia
dell'importantissimo ponte di Castelvecchio da sempre via strategica verso il
nord e prese il comando delle truppe d'avanguardia. Quello della retroguardia
invece, venne lasciato al Gattamelata.
Si entra in Verona
Accampati presso il villaggio di Volargne all'alba del 19
novembre del 1439 l'esercito veneziano guidato dai due condottieri mosse verso
la città passando l'Adige e le strette della chiusa, sostando ancora brevemente
a pochi chilometri da Verona. Per entrarvi c'erano solo due vie: quella di
pianura o quella dei monti. Lo Sforza scelse la più difficile ovvero quella dei
monti, la più difficile ma anche per questo la meno prevedibile dal nemico.
Lo stesso Piccinino infatti avuta notizia di questi
spostamenti sui monti intorno alla città, pensò si trattasse di truppe dirette
a Vicenza. Questa volta il condottiero visconteo si sbagliava e se ne avvide
troppo tardi quando cioè lo Sforza sferrò il suo attacco alla città entrando
dal castello di San Felice e da lì occupando gran parte della città sulla
sponda destra del fiume. La sorpresa di questo attacco fu tale da mettere in
fuga i milanesi che si precipitarono in massa e disordinatamente verso Ponte
Nuovo. La calca fu tale che la struttura non resse a lungo l'impeto delle
soldatesche in fuga e crollò sotto il loro peso. Era il segno della disfatta.
Molti furono coloro che perirono annegati, altri vennero fatti facilmente
prigionieri.
Padrone di mezza città lo Sforza chiamò a quel punto anche
il Gattamelata con il resto dell'esercito
che si era trattenuto strategicamente fino ad allora sui monti. Era il via
libero all'attacco generale. Tuttavia il Piccinino questa volta venne avvertito
avendo così tutto il tempo di ritirarsi. In città dilagavano intanto le truppe
veneziane.
Verona era stata finalmente riconquistata. Lo Sforza
ricevette quale ricompensa dal governo ducale diecimila ducati e l'iscrizione
nella nobiltà veneziana mentre il Gattamelata veniva gratificato con duemila
ducati. Il Piccinino si era nel frattempo ritirato nel bresciano dove
proseguivano scontri occasionali tra lombardi e veneziani nel corso dei quali
tuttavia fu possibile per i Veneziani far giungere finalmente una parte dei
rifornimenti a Brescia. La guerra tuttavia, alla fine del 1439, doveva durare
ancora quasi due anni, due lunghi anni.
Fonte: srs di
Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura
Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,
volume 3, SCRIPTA EDIZIONI
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