venerdì 21 agosto 2015

STORIA VENETA - 68: 1418 - MUORE Il MOCENIGO. DOPO UN LUNGO E FRUTTUOSO DOGATO



Dal testo di Francesco Zanotto


"Bello è il conoscere, dal patetico discorso fatto allora dal doge moriente, lo stato accennato, dal quale si viene a sapere come Venezia spedisse allora ogni anno merci per lo mondo del valore di dieci milioni di ducati, da cui ne risultava un guadagno nella condotta di due milioni, e di quattro ne' negozii; esservi stato allora 3000 navigli, montati da 17.000 marinai, oltre 300 navi con 8.000 altri marinai e 45 galere con 11.000  altri marinai ... "


ANNO 1418



Giuseppe Gatteri


Cosa ci racconta il disegno di Gatteri. 


Prima di morire l'anziano doge chiede che non venga eletto quale suo successore Francesco Foscarini il quale avrebbe sicuramente trascinato Venezia in altre interminabili guerre terrestri mentre ora il pericolo principale veniva dal mare e si chiamava "avanzata turca".


LA SCHEDA STORICA - 68


Quando il doge Tommaso Mocenigo nei primi mesi del 1423 pronunciò il suo discorso sullo stato di salute della Repubblica e sulla eroicità dei marinai veneziani contro il nemico turco, aveva un obbiettivo ben preciso.
"Vui havè visto el modo che vive i nostri zentil homeni et cittadini", disse il vecchio doge ai membri del Consiglio e, date queste straordinarie premesse, i veneziani sarebbero presto diventati " ... signori de l'oro de christiani".
La situazione per la Serenissima, effettivamente, si dimostrava allora estremamente positiva anche all'estero. Verona, Padova, Vicenza e Belluno, con il feltrino, andavano a costituire ormai il primo consistente nucleo dei futuri domini veneziani sulla terraferma, mentre nel 1409 il re Ladislao d'Ungheria aveva venduto al governo veneziano la città di Zara per ben 100.000 fiorini d'oro (circa un miliardo e mezzo di lire).  Nel 1419, poi, anche Udine e Cividale del Friuli avevano firmato la loro dedizione a Venezia conferendo una eccezionale continuità ai suoi domini verso est che raggiungevano ormai l'Albania.
La ricchezza e la potenza di Venezia, per Mocenigo, avevano un'unica, antica radice: il suo tradizionale rapporto con il mare.
Venezia era per il vecchio doge prima di tutto ed esclusivamente una potenza basata sui commerci marittimi e sul progressivo potenziamento della sua flotta anche militare. In ogni caso il mare era da sempre la vera risorsa, l'unica fonte di ricchezza della città!
Ma dove voleva arrivare "Tommasone" - così lo chiamavano affettuosamente gli amici - con questo suo discorso? "A caxon che (affinchè) possa saver da vui chi vui ellezereti doxe, secretamente me lo dite in rechia per poter confortarve qual è quello che merita ... "
Ecco dunque svelato per sua stessa ammissione, il vero, unico e reale scopo del Mocenigo: condizionare in qualche modo - assai pesantemente in realtà - l'elezione del suo successore facendo, infatti, il nome, dopo queste sue parole, di valorosi e degni senatori che secondo lui avevano tutte le carte in regola per assurgere alla suprema carica dello Stato veneziano. E qui si arriva al nocciolo della questione.
Fra tutti i "savi homeni sufficienti" nominati dall'anziano doge e abili alla ducea, viene escluso quello del senatore Francesco Foscari, anzi, costui nel modo più assoluto non doveva essere il nuovo doge.
L'attacco contro il Foscari da velato e sottointeso si era fatto via via sempre più scoperto e diretto: " ... Foscari, (ed è sempre Mocenigo a parlare), dise busìe et anche molte cose senza alcun fondamento ... et vola più che non fa li falchoni ... ".
Eppure l'aspra requisitoria contro il giovane senatore, non sembra si possa ridurre ad una semplice antipatia o disistima personali. Sotto alla pesante denuncia del Mocenigo, si celava un autentico e trasparente interesse per le sorti della stessa Repubblica.
Se il Foscari venisse infatti eletto quale nuovo doge, per il Mocenigo, " ... de brevi sareti in guerra" e "chi haverà dieci milla ducati, non se ne troverà se non mille, chi haverà dieci caxe non ne troverà se non una ... ".
Dunque se il Foscari fosse diventato il nuovo doge, Venezia ben presto si sarebbe ritrovata nuovamente in guerra e nel baratro di una crisi finanziaria.
''Et dove vui siete, signori, vui sarete vassalli de huomini d'arme ... " .
Il discorso si chiude con un caloroso consiglio che suona quasi più da monito: "Seguite secondo che ve a trovati (come vi trovate) che beati (sarete) vui e vostri fioli".


Un gruppo di potere


Ma chi era questo Francesco Foscari ? Entrato sulla scena  politica in giovanissima età, Foscari faceva  parte di quel nutrito gruppo di importanti uomini politici - primo fra tutti il precedente doge Michele Steno - che volevano portare Venezia ad un sempre maggior impegno nelle vicende delle altre potenti signorie italiane allo scopo di assicurarsi con le eventuali conquiste sulla terraferma, la stessa sopravvivenza. E dai primi anni del secolo XIV, effettivamente, questa era stata la linea politica dei dogi veneziani con la progressiva conquista dei principali comuni veneti che portarono Venezia alla ribalta della storia regionale e dell'intera penisola quale nuova potenza terrestre. Di fronte alla forza espansiva dei Visconti, il governo veneziano aveva quindi risposto con un altrettanto determinato moto espansivo che assicurava in modo particolare la tranquillità della Venezia lagunare.
Appare chiaro come lo scontro fra il Mocenigo e il Foscari, fosse in realtà uno scontro politico fra due diverse scelte di governo. Ricordando ed appellandosi alle glorie militari dei marinai veneziani, alla ricchezza della città dovuta ai suoi traffici marittimi, Mocenigo voleva ricordare che sì dal mare erano venute a Venezia gloria e ricchezza, ma anche mortali pericoli e allora il pericolo più immediato si chiamava espansione turca. Il suo stesso dogato si caratterizzò per un costante impegno veneziano proprio contro le flotte turche nel Mediterraneo Orientale (battaglia di Gallipoli), contro una politica "terrestre" giocata all'insegna della moderazione e della mediazione. D'altro canto, invece, crescevano in città e nel Senato l'esigenza e la necessità di una Venezia forte anche sulla terraferma.
Era in fondo un antico dilemma quello che vedeva contrapposti simbolicamente i due uomini veneziani, dilemma risalente ancora al tempo della discesa in Italia dei Longobardi quando l'allora giovane comunità lagunare avvertì per la prima volta il pericolo reale di avere alle spalle una forte potenza terrestre. Allora Venezia scelse la via del mare, ora, a distanza di sette secoli e per le mutate circostanze storiche, Venezia era pronta a misurarsi, per desiderio ma più per necessità, con le altre signorie italiane.
L'elezione di Francesco Foscari quale nuovo doge è di per sè indicativa di questa tendenza. A nulla erano valse le parole accorate del vecchio doge moribondo.


Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,  volume  3, SCRIPTA EDIZIONI





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