giovedì 15 settembre 2011

Il contributo di Grezzana di Verona al Risorgimento italiano: piccole testimonianze di grandi personaggi.

La famiglia Ruffoni: (da sx)  Giuseppe, Emilio, Gianni, Francesco e Giamino (seduto)

Si apre qui un percorso a più tappe che ci accompagnerà fino alla fine dell'anno in un ideale cammino alla scoperta di storie e leggende della Valpantena e della Lessinia risorgimentali nell'epoca dell'Unità d'Italia.
«Pareva quasi che non sapesse staccarsi da me e procurasse di ritardare il momento della separazione.  A chi andava egli?».

Con queste parole, trapelanti di un intimo sentimento paterno, Giuseppe Ruffoni ricordava l'ultima volta che vide il figlio, prima che questi partisse.
Era un lunedì di marzo del 1859 e il giovane ventunenne Francesco aveva fatto la sua scelta: emigrare dal Veneto per unirsi all'esercito piemontese nelle campagne di indipendenza contro gli Austriaci.
Egli fuggì da Verona in compagnia di Gaetano Bertani: fu a Milano, poi a Ticino e a Genova. Qui i si arruolò nella brigata Pinarolo, con la quale partecipò ai vari combattimenti che scandirono tutto il 1859, compresa la tragica battaglia di Solferino, il 24 giugno, dove Francesco conquistò il grado di ufficiale.

LA FAMIGLIA RUFFONI

Il padre sapeva bene che il figlio «correva a brandir l'armi a pro della patria: si era prefisso un nobile e generoso proponimento per dare utile esempio ai concittadini».  Giuseppe era un noto consigliere della Corte di Giustizia residente a Grezzana, e ancora più nota era la sua adesione  al patriottismo italiano.
La famiglia Ruffoni, che oltre al maggiorenne Francesco contava altri tre figli, Emilio, Gianni e Giamino (al tempo ancora quattordicenne), non aveva mai nascosto i suoi sentimenti patriottici, tanto più che i Ruffoni erano legati da una stretta amicizia alla famiglia di Pietro Paolo Arvedi (1807-1880), fervente sostenitore della lotta alla  Libertà contro i nemici austriaci.
Ricco commerciante, l'Arvedi aveva contribuito largamente al finanziamento del Comitato Democratico Veronese, comprando le cartelle mazziniane che da Londra giungevano in Italia per sostenere cospirazioni e organizzazioni anti-austriache. Passando prima per Milano, poi per Mantova, le cartelle venivano smistate tra i Comitati principali del territorio veneto, tra cui quelli di Verona e di Venezia.
Nel 1852 Pietro Paolo Arvedi fu tra i 'martiri di Belfiore', arrestato dagli austriaci con l'accusa di cospirazione, insieme al celebre patriota Carlo Montanari, che l'anno dopo fu giustiziato.
Uno dei congiurati affermò davanti ai giudici:  «primo nostro obiettivo e sospiro antico dell'animo nostro era l'indipendenza dallo straniero; secondo l'unità della patria, senza la quale l'indipendenza è menzogna; terzo la repubblica».

Forse nelle lunghe serate in cui si tenevano le conversazioni familiari a casa Arvedi maturò in Francesco il desiderio di partecipare alla liberazione dall'oppressione straniera.
Al tempo circolava una forte propaganda patriottica, la propaganda capillare delle organizzazioni mazziniane, densa di messaggi e di riti, e diffusa attraverso i melodrammi, le stampe, i cantanti girovaghi, i burattinai e i predicatori itineranti.
Il discorso nazionale riusciva a scuotere cuori e coscienze, e non era affatto insolito che giovani studenti, soprattutto appartenenti alle classi sociali più agiate, sentissero profondamente il desiderio di partecipare attivamente alla liberazione.

Come ha sottolineato in un recente lavoro lo storico Alberto Maria Banti, la mitografia che innervava il discorso nazionale riusciva a proporre miti e simboli potenti, capaci di avere uno straordinario impatto emotivo. I militanti morti per la causa diventano subito "martiri", soggetti cioè che testimoniano con la morte la propria fede politica. Le guerre nazionali si trasformavano così in "guerre sante" o "crociate". Come affermò Atto Vanucci nel 1849, «in Italia non vi è palmo di terra che non [sia] bagnato dal sangue dei Martiri della Libertà».

LA FUGA TRICOLORE DI ANGELO ROSSI

Per i giovani, disposti a difendere la libertà e l'onore della nazione, la guerra era l'unico contesto in cui sacrificarsi e seguire la mistica del martirio. Così doveva essere per Francesco e per i suoi fratelli Emilio e Gianni, che dopo di lui presero le armi: emulare il grande modello di Garibaldi, l'eroe dei due mondi.  E così dovette essere per Angelo Rossi, nato a Grezzana e arruolato nella formazione militare piemontese, soprattutto quando fu raggiunto dalla notizia che accese gli animi patriottici di tutti i giovani: il 6 maggio 1860.  La Gazzetta di Venezia annunciava la partenza di Garibaldi per la Sicilia, accompagnato da una schiera di Mille volontari.
Fu allora che Angelo, mentre il suo esercito di stanza a Rimini veniva trasferito ad Ancona, coraggiosamente si intrufolò nel palazzo Mazzacurati di Bologna e in abiti civili raggiunse Ferrara, dove fintosi emigrato del Veneto fu trasferito a Genova.
La meta era raggiunta: salpato sulla nave "Liguria" raggiunse la Sicilia, partecipando così alla celebre spedizione delle camicie rosse. Sotto il comando di Nino Bixio fu inviato in prima linea in vista dell'urto finale contro i Borboni, sulla linea del Volturno, battaglia decisiva della campagna militare. Purtroppo la sua avventura terminò rapidamente. Ferito, Angelo fu congedato, ma dopo sei anni di vita civile sarebbe stato subito pronto a rientrare nelle fila delle camicie rosse: lo ritroviamo infatti tra i veronesi che militarono con i Cacciatori delle Alpi, ancora una volta comandati da Garibaldi, nella campagna del 1866.

LA TARDIVA ANNESSIONE DEL VENETO

Il 6 maggio 1860 segnò una svolta anche nella famiglia Ruffoni.
Emilio, rimasto accanto al padre per un anno dopo la partenza del fratello Francesco, appena venne a conoscenza della spedizione garibaldina decise di partire: l'amore per la patria aveva prevalso in lui. All'insaputa della famiglia raggiunse il Lago di Garda e da qui peregrinò per le città della penisola, fino a raggiungere il fratello Francesco a Parma.
Ritornò poi in Piemonte, dove entrò nel corpo dei volontari della Guardia Nazionale e una volta conseguita la carica di caporale e poi di sergente, prese parte alle operazioni contro il brigantaggio in Abruzzo. Prima che anche il padre Giuseppe prendesse la via dell'emigrazione, il terzo figlio Gianni emulò i fratelli maggiori, entrando nel corpo dei bersaglieri a Torino. Nella città fu poi raggiunto dal padre e dall'ultimo dei figli rimastogli accanto, Giamino.
La fuga dei superstiti della famiglia Ruffoni era stata accuratamente pianificata per il 12 dicembre del 1860: finalmente, dopo ventisette lunghe e travagliate ore, anche loro poterono raggiungere la terra redenta, che Giuseppe non esitò a baciare con lacrime di gioia.

Nonostante il Veneto non avesse raggiunto la libertà tanto combattuta, a Verona lo spirito patriottico tra il 1861 e il 1866 rimase vivo. E operativi rimasero pure i Comitati provinciali, con cui era organizzata la resistenza agli austriaci, ora collegati direttamente con quello centrale di Torino. Se con il loro efficace servizio segreto di informazione erano in grado di seguire gli spostamenti dei rivali, la tragedia non fu evitata: il 24 giugno del 1866 l'esercito italiano subì una terribile disfatta a Custoza.
Solo il 3 ottobre del 1866 fu firmata la pace a Vienna tra il governo italiano e quello austriaco, con la quale veniva decretata l'annessione del Veneto al Regno d'Italia. In città poteva finalmente sventolare il Tricolore. Ma nei giorni che trascorsero fino al totale sgombro della regione dalle truppe austriache Verona fu lasciata in balia di se stessa. Dopo la pace «dovunque si presentava miseria, dovunque dolore, dovunque lacrime» (Giuseppe Ruffoni).
In questo clima di tensione i cittadini si addestrarono da soli alle armi, per il timore di rappresaglie e disordini, che di fatto si verificarono causando ancora morti. Impossibile dimenticare l'uccisione di Carlotta Aschieri, all'epoca venticinquenne incinta di sette mesi: una delle tante "martiri della patria".

LA LIBERTÀ


Pietro  Paolo Arvedi

Finalmente giunse il 16 ottobre 1866, che per molti fu il più bel giorno della loro vita. Alcuni ottennero la tanto sperata libertà, come la famiglia Ruffoni, altri invece non poterono condividere la stessa gioia, perché afflitti dal dolore per le gravi perdite subite. Pietro Paolo Arvedi fu uno di questi. Egli, emigrato dal Veneto da qualche anno, nel 1860 perse in un sol colpo sette dei suoi cari, proprio mentre si accingevano a raggiungerlo a Salò, sulla riva bresciana del Garda, al confine tra Austria e Italia, al confine tra oppressione e libertà.
Dopo la tragedia Pietro Paolo aveva ottenuto lo svincolo dalla cittadinanza austriaca e si era ritirato in Piemonte.
Tuttavia, per ragioni di salute ed economiche fu costretto a richiedere la cittadinanza austriaca, che gli fu concessa nel 1865. Dopo l'annessione Arvedi, vedovo, si ritirò a Grezzana, dove morì.
E altri ancora, forse, non percepirono alcun cambiamento. Ma questa è un'altra storia, che racconteremo sul prossimo numero.


CRONISTORIA IN PILLOLE

1796 Napoleone sconfigge gli austriaci ad Arcole sul torrente Alpone e conquista Verona con l'appoggio della Legione lombarda.

1797 Il 17 aprile Verona insorge contro i francesi. La rivolta sarà ricordata come le 'Pasque Veronesi'. Verona viene privata di molte opere d'arte.

1801 Pace di Luneville: Verona viene divisa tra i francesi, alla destra dell'Adige, e gli austriaci, alla sinistra.

1805 Verona entra nel Regno d'Italia sotto il governo di Napoleone.

1815 Congresso di Vienna: Verona entra a far parte del Regno Lombardo-Veneto assegnato all'Impero Austro-ungarico.

1848 Prima guerra d'indipendenza: l'esercito italiano avanza fino al Quadrilatero (Verona, Mantova, Legnago e Peschiera del Garda), dove si erano barricati gli austriaci. La battaglia più cruenta fu combattuta a Castelnuovo, presso Verona.

1859 Seconda guerra di Indipendenza. Gli austriaci invadono le aree sotto il controllo sabaudo, oltrepassando il Ticino, ma dovettero però ritirarsi ancora una volta nel Quadrilatero. Il 24 giugno gli eserciti si schierarono nell'area di S. Martino e Solferino. Dopo una cruenta battaglia, l'11 luglio le due parti stipularono l'armistizio a Villafranca.

1866 Terza guerra di Indipendenza: l'esercito italiano giunse ancora sulle sponde del Mincio. Come la prima volta, gli austriaci vinsero a Custoza. La pace tra il governo austriaco e quello italiano fu siglata il 3 ottobre: Verona e il Veneto passavano definitivamente sotto il Regno d'Italia.


Fonte: srs di Giovanna Tondini, da da  Pantheon del  maggio 2011 


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