Alberto Masprone
Il capitano pilota Alberto Masprone, nato a Poiano di Verona nel 1884, fu il comandante della Squadriglia che organizzò il volo su Vienna nell'estate del 1918, nota vicenda storica che vide tra i protagonisti il poeta Gabriele D'Annunzio
Il 9 agosto 1918 la "Serenissima" viola il cielo di Vienna. A bordo del primo dei sette "SVA" che inondano di manifestini la capitale dell'Impero asburgico siede Gabriele D'Annunzio, il Poeta che già nel 1915 aveva ideato il raid. Ma il Vate, che non è aviatore, è un passeggero, ospite illustre dell'87A Squadriglia "Serenissima", comandata dal capitano Alberto Masprone, che l'aveva costituita con altri piloti veronesi. Già, perché Masprone, conosciuto per i suoi allori sportivi, era di Poiano. Nato il 30 maggio 1884, morì il 13 febbraio 1964.
Portacolori dell'Istituzione Comunale Marcantonio Bentegodi, Masprone era tra i campioni veronesi che parteciparono alle prime edizioni dei Giochi Olimpici. Gli altri erano Erminio Lucchi, i fratelli Angelo e Virgilio Tommasi, Albino Pighi ed il "campionissimo" Adolfo Consolini.
Finalista nel lancio del disco ai "Giochi Olimpici Intermedi" nel 1906 ad Atene, nelle Olimpiadi del 1908 stabilì il suo record personale lanciando il disco a metri 40,10. Versatile nelle discipline sportive, praticò anche il calcio e fu allenatore del "Verona" negli anni 1911/12, 1912/13 e 1913/14. Con Enzo Ferrari fu tra i fondatori del "Corriere dello Sport".
Alberto Masprone ebbe il primo contatto con l'aviazione nel maggio 1910, quando organizzò l'immensa "salle à manger" per i partecipanti al Circuito Aereo Internazionale di Verona, per le autorità ed i giornalisti, sul campo di Tombetta. Pilota militare con il grado di capitano, in una brumosa mattina del novembre 1917 raccolse attorno a sé sull' aeroporto della Malpensa alcuni piloti suoi concittadini, lanciando l'idea di formare una Squadriglia di veneti, riunendo nel reparto tutti i piloti veneti destinati a qualche squadriglia al fronte.
Reduci dall'attività bellica o dalla Scuola di volo di Furbara, c'erano i tenenti Aldo Finzi, di Legnago, e Giordano Bruno Granzarolo, da Carpi di Villabartolomea, i sottotenenti Nello Marani, Guglielmo Vianini, entrambi di Verona, Francesco Ferrarin, Alberto Grazzini e Fornasari. Si unì anche il bergamasco ten. Antonio Locatelli, accettato nella "Serenissima" (questo il nome scelto da Masprone e Finzi) in quanto Bergamo faceva parte del territorio della Serenissima Repubblica di Venezia.
Il Commissario per l'Aeronautica, a Roma, ed il maggiore Capuzzo, del Comando Supremo, diedero subito il loro benestare e la "Serenissima" (il nome sarà ufficialmente riconosciuto dopo il volo su Vienna) venne costituita come 87A Squadriglia da ricognizione a lungo raggio, con i nuovi, velocissimi SVA 5.
Inizialmente da Ghedi, la Squadriglia di Masprone ai primi del 1918 si spinge sulle valli trentine (Valsugana, Val di Non, Val Sarca), sulle Giudicarie, su Trento, fino a Innsbruck. Ai primi di maggio, mentre si aggiungono alla prima schiera i tenenti Contratti e Sarti, i tenenti Locatelli e Granzarolo effettuano una riuscita ricognizione fotografica su Trieste. Scartato il progetto di apprestare una base a Nogara perché il terreno, impregnato d'acqua dopo giorni e giorni di pioggia, risultò inadeguato, la Serenissima viene spostata sul campo di San Pelagio vicino a Padova.
Importanti missioni fotografiche vengono compiute da Locatelli e Ferrarin fin sul Lago di Costanza (un raid di 750 chilometri) e da Sarti e Vianini lungo il Tagliamento, fino alle sorgenti.
L'intera squadriglia prende parte con azioni di ogni tipo alla "battaglia del Piave", in cui la nostra aviazione avrà l'assoluto dominio del cielo determinando il crollo morale dei combattenti avversari.
Dopo questa fase positiva per le armi italiane, il capitano Masprone è convocato dal generale Bongiovanni, capo dell'Aeronautica del Comando Supremo, che gli chiede di preparare quattro SVA per un volo di milleduecento chilometri su territorio nemico. Ogni apparecchio avrebbe dovuto portare un carico di venti-trenta chili di manifestini. Masprone afferra al volo l'idea e risponde che, se alcuni aerei devono volare su Vienna, come gli fa pensare la proposta, tutta la Squadriglia deve parteciparvi, con un volo di massa. Egli prevede di preparare in quattro settimane i 14 apparecchi della 87A Squadriglia. Il generale Bongiovanni acconsente alla preparazione dell'intera Squadriglia e Masprone si mette subito all'opera.
Dopo una decina di giorni, mentre l'addestramento procede a ritmo serrato, il generale convoca ancora Masprone e gli fa presente che il maggiore Gabriele D'Annunzio, che già nel 1915 aveva pensato a quel raid, ha chiesto di prendervi parte. Ma lo SVA é monoposto. C'è un biposto, a disposizione del capitano Bourlot del Comando Supremo, ma pochi giorni dopo il velivolo precipita. All'Ansaldo l'ingegner Brezzi fa miracoli, lavorando giorno e notte, per approntare un nuovo biposto, con un serbatoio supplementare per il lungo volo: D Annunzio volerà a cavalcioni , del serbatoio, tenendo una mano sotto la punta del pugnale, per evitare che possa forare il serbatoio ...
Di studiare i dettagli dell'impresa sono incaricati il Capo dello stato maggiore col. Franchini Stappo, il cap. Porro dell'Ufficio Operazioni, il capitano Masprone ed i tenenti Finzi e Locatelli. Partiranno due gruppi di sette apparecchi ciascuno in formazione a cuneo.
La necessità di trattenere almeno tre SVA per le ricognizioni sul fronte del Piave fanno ridimensionare il piano e vari contrattempi minacciano l'aborto del progetto. D'Annunzio si dispera e si rivolge a Masprone:
"Non può deludermi così crudelmente. E, come confido nel Destino, così confido nel Suo spirito fraterno .... Pel buon successo, è necessario che il tempo si ristabilisca fermamente. Partiti, non dobbiamo tornare indietro. Il vostro Stormo è uno strale, come nella vecchia immagine. Perciò oso rivolerLe la preghiera di non tralasciare nulla per convincere i Capi che la scelta del giorno deve essere Sua”.
“Intanto io spero che i nostri operai sieno già all’opera. A ognuno dimostrerò la mia riconoscenza. Mi ricordi ai prodi compagni, e s’abbia un’affettuosa stretta di mano dal Suo Gabriele D’Annunzio”.
Ridotto a undici, per le necessità operative sul Piave, il numero degli apparecchi che dovranno sorvolare Vienna, per due volte la Serenissima deve tornare a San Pelagio per le avverse condizioni meteorologiche.
Finalmente, all’alba del 9 agosto, la Serenissima decolla. Ma il comandante Masprone è costretto ad atterrare tra gli alberi, pochi minuti dopo il decollo, per il malfunzionamento del motore, riportando la frattura della mandibola. Altri due aerei devono atterrare prima di superare le Alpi. Proprio sul campo di Wiener-Neustadt, base della caccia che deve difendere la capitale, anche Sarti deve tentare un atterraggio di fortuna, per un’avaria irreparabile al motore. Riuscirà ad incendiare lo SVA prima di venire catturato.
I “sette dell’Orsa Maggiore” giungono sulla verticale di Vienna e per due volte sorvolano il centro, il cuore dell’Impero, lanciando il messaggio di sfida. Il rientro a San Pelagio è trionfale. Atterra per primo, alle 12,40, il ten. Ludovico Censi, che ai camerati accorsi grida: “A settecento metri su Vienna!”.
A mensa, nel Castello, commentando con il generale Bongiovanni e tutti i piloti l’impresa compiuta, D’Annunzio dice: “Questa nostra impresa noi l’abbiamo ostinatissimamente voluta. E’ nobile, perché porta l’impronta della volontà indefessa. Nacque in quella sera lontana del primo anno di guerra, là, sul piano di Campoformido, quando nella carta la matita rossa tracciò per scongiuro e per voto la linea della rotta dal villaggio del basso Trattato alla capitale austriaca. C’è una predestinazione segreta dentro il disegno. C’era perfino l’influsso del numero perfettissimo. Da principio eravamo in quattordici. E quelli che desiderarono e lavorarono e aspettarono e s’affannarono, e poi furono dalla sorte delusi, quelli devono essere lodati come gli altri, come gli eletti dalla fortuna.
“Avevo portato meco per un buon augurio il mio guidone azzurro di Cattaro, costellato dalle sette stelle dell’Orsa, il
segno che m’era stato fausto nella notte Adriatica quando trassi dal labirinto marino il motto di guerra che la Squadriglia di nome “Serenissima” ha raccolto e fatto suo: “Iterum rudit Leo”. (Il leone ruggisce ancora)
“Il mattino del nove eravamo undici alla partenza... Sono tutti qui seduti, intorno a questa mensa, degni dello stesso onore i fortunati e gli sfortunati. Uno di essi, Masprone, ha la bocca ferita, e pure sorride senza invidia e senza rancore. Sopra la foce del Piave eravamo otto. Ma il numero sette della costellazione fatale doveva prevalere. Prima della meta l’ottava stella si consumava come una delle lacrime di fuoco che solcano l’aria di queste notti di San Lorenzo.
“O compagni, offriamo il meglio dei nostri cuori al prigioniero che è triste e solo, laggiù, avendo perduta la libertà, che è mille volte più preziosa della vita”.
Fonte: srs di Gianni Cantù; da Pantheon di agosto settembre 2011