IN CORSO CAVOUR. Di origini antichissime, la chiesa è un patrimonio architettonico che affonda le sue radici nel quinto secolo e si snoda in una storia millenaria. San Lorenzo, uno scrigno del Medioevo. Dai matronei ai capitelli, ci sono tanti motivi per visitare questo gioiello d’arte che conserva tracce romane e longobarde
Ci sono mille motivi per andare a visitare la chiesa di San Lorenzo, in corso Cavour: i matronei (cioè gli ambienti sopraelevati sulle navate, riservati alle donne), il transetto esteso su due campate, le cinque absidi tutte nella stessa direzione, i capitelli con le aquile. E poi quella penombra animata dall’effetto dei colori dei mattoni, dei ciottoli e del tufo dei suoi muri.
Ma ce n’è uno su tutti: le torri cilindriche della facciata con, all’interno, le scale di accesso ai matronei. Le torri scalari costituiscono una soluzione architettonica di origine romana, ma è rarissima in Italia. Anzi si tratterebbe di uno dei pochissimi esempi di influenza nordica, nella tradizione padana. Per entrare a San Lorenzo, si passa sotto un arco a sesto acuto, costruito nel 1476, in piena Rinascenza, sormontato dalla statua del santo, con una graticola in mano. Qui si è in un cortile, ricco di reperti antichi, che dà direttamente sull’ingresso laterale. Del resto, la chiesa è stata edificata nel XII secolo, usando materiale di spoglio.
Infatti, tracce di pavimentazione musiva del V secolo, simili a quelle scoperte presso il Duomo, sono venute alla luce, nell’Ottocento, durante un restauro. Di una seconda costruzione furono ritrovati, invece, frammenti di plutei a tenie di origine longobarda, di pilastri, di capitelli e di transenne, ora visibili nel cortile. Per quanto riguarda l’origine di questo edificio sacro, la presenza di una chiesa altomedioevale ci è testimoniata dal Ritmo Pipiniano, il poemetto su Verona, scritto da un monaco alla fine dell’VIII secolo, che ci descrive la città prima del Mille.
Dopo il terremoto del 793, l’arcidiacono Pacifico provvide alla sua ricostruzione, come è ricordato nell’epitaffio dedicato al canonico e murato presso la porta nord del Duomo. A San Lorenzo, il terremoto del 1117, provocò nuovi danni, risparmiando la parte inferiore della muratura e alcuni capitelli, ora all’interno della chiesa.
Per cogliere l’originalità maggiore, è necessario proseguire lungo il fianco e giungere alla facciata, che è animata sui lati dalle due massicce torri cilindriche, costruite a file alterne e regolari di tufo e cotto, che si elevano oltre il muro della facciata stessa. Non sono uguali e non hanno il coronamento, come se dovessero continuare.
Le due torri, illuminate da strette finestre strombate, sorgono su grosse basi di pietra, di cui la destra, con una doppia ghiera rotonda, è rozza, mentre la sinistra, formata con pietre squadrate di recupero di origine romana, presenta una fascia decorativa scolpita. Le due torri sarebbero posteriori alla facciata che subì, nei secoli, così profonde trasformazioni da non consentire, oggi, di rilevare tracce della sua forma primitiva, se non nell’alzato ad una sola cuspide della parte centrale.
I fianchi presentano, alla base, altro materiale di spoglio, cui seguono filari multipli di ciottoli a spina di pesce, intercalati da altri filari multipli di tufo e di cotto. All’altezza delle finestrelle, invece, file di conci bianchi di tufo si alternano a file di mattoni rossi. I muri terminano con un semplice fregio di archetti a segmenti di cotto, su piccole mensole di tufo. Dunque, i materiali di costruzione sono stati usati anche con intento decorativo.
La funzione delle torri cilindriche è attualissima, in quanto con le scale interne permettono di accedere ai piani superiori della chiesa. La torre sinistra è anteriore al XII secolo e la destra è del XIII secolo.
Proprio queste torri indicherebbero che la chiesa riprende l’austerità dell’architettura nordica, ispirata alla riforma di Cluny, così come il bellissimo interno a corsi di tufo e cotto, diviso in tre navate con un ampio transetto (la navata trasversale), esteso su due campate.
Splendido lo slancio ascensionale della navata centrale, mentre le strutture murarie sembrano animarsi per l’effetto coloristico delle fasce di mattoni, del tufo e dei ciottoli.
La navata centrale, inoltre, è molto alta per la presenza dei matronei, posti nelle navate laterali, sorretti da volte a crociera, con il prospetto scandito da una successione di bifore, intervallate da pilastri cruciformi.
Questi pilastri che sono in filari alternati di tufo e mattoni e salgono fino alla base del tetto, sono intervallati da un doppio ordine di archi su colonne marmoree, che si fermano all’altezza di un solo piano e terminano con capitelli diversi l’uno dall’altro. Le navate sono concluse da altrettante absidi.
Ai lati, due cappelle absidate con lo stesso andamento di quelle maggiori. Un particolare: nel transetto si trovano, uno per parte e in posizione simmetrica, due capitelli con aquile, tutto attorno. Ad ali aperte, con la testa di profilo e con una preda fra gli artigli, costituiscono un mistero, dal punto di vista della simbologia cristiana. Ma è indubbia la loro bellezza e raffinatezza.
Insomma, in questa chiesa, le tante suggestioni architettoniche sembrano avere uno stesso fine: condurre lo spirito all’armonia con il divino.
Le aquile simbolo laico e religioso
Per quanto riguarda i due capitelli con le aquile, sono divisi a due zone: su un giro di otto basse foglie di acanto, le aquile, disposte agli angoli, in corrispondenza degli spigoli dell’abaco (la parte più alta del capitello), che ha i lati concavi. Le aquile sono ad ali aperte e con testa di profilo: stringono fra gli artigli una lepre o un coniglio. Il piccolo spazio che rimane libero fra le ali dei due volatili è ornato con uno zampillo di elici, terminanti in un fiore, che si intrecciano sopra le teste dei rapaci. Le aquile non sono identiche: diverso l’animale che ghermiscono, diversa la loro posizione e il capitello di destra sembra più rozzo di quello di sinistra.
Ma in una chiesa, cosa ci fa un’aquila con il rostro rivolto all’altare maggiore? Si pensa a un collegamento con un passo di sant’Ambrogio, quando parla di un neofita che si accosta al battistero per diventare figlio di Dio.
Fonte: srs di Emma Cerpelloni da L’Arena di Verona di Sabato 28 Agosto 2010, CRONACA, pagina 21
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