Secondo la tradizione, Maria non era di Nazareth, era nata a Sefforis, primogenita di una anziana coppia, Anna e Gioacchino, intorno al 18 a.c. e solo in un secondo tempo si era trasferita a Nazareth.
Sefforis è in quel periodo la capitale amministrativa della Galilea, è a solo pochi chilometri da Nazaret, anzi è ben visibile da Nazaret essendo situata su una collina, inoltre vi era nata Maria, e lo stesso, non viene mai citata nei Vangeli.
Pertanto andiamo a vedere cosa possiamo sapere della Sefforis nel periodo romano.
Sefforis, chiamata con vari nomi a seconda del momento storico (Autocratoris, Neronia, Eirenopolis, Diocaesarea, Zippori, Saffurieh), era una grande città di epoca romana-bizantina, situata al centro della Bassa Galilea, cinque km a ovest di Nazareth. Fu anche capitale amministrativa della Galilea al tempo di Erode Antipa, quindi negli anni in cui Gesù fanciullo cresceva a Nazareth. Era abitata da una comunità di ebrei già al tempo di Alessandro Janneo, verso il 100 a.C. Pochi anni dopo, nel 56-57 a.C. il proconsole di Siria, Gabinio, assegnava a Sefforis la sede di un Sinedrio, vale a dire il consiglio del governo interno alla comunità giudaica, e quindi riconosceva il carattere giudaico della città. Negli anni 3-18 d.C. il Tetrarca di Galilea Erode Antipa la eleggeva a sua capitale, prima di trasferirla alla nuova città di Tiberiade. Verso l’anno 200 d.C. Rabbi Yuda Hannassi completò la Mishnah residendo a Sefforis. Sefforis fu abitata anche in epoca bizantina (4º-7º secolo d.C.) da una fiorente comunità giudaica. Le fonti rabbiniche ci informano che a Sefforis esistevano 18 sinagoghe in epoca bizantina o talmudica.
Ma la situazione diventa più interessate se analizziamo in dettaglio il periodo a cavallo dell’anno zero.
Nel 63 a.C. le armate romane, sotto il comando di Pompeo, conquistano la Palestina, nel 55 a.C. il governatore della Siria Gabino fa di Tzippori la capitale regionale della Galilea. Nel 37 a.C., durante una tempesta di neve, Erode si impossessa della città. Durante le rivolte che scoppiarono dopo la morte di Erode nel 4 a.C. un uomo, conosciuto con il nome di Giuda il GaliIeo, fa irruzione nel palazzo reale di Sefforis. Lui e i suoi seguaci si impadroniscono delle armi che erano accatastate lì e misero a ferro e a fuoco la Galilea. Sacche di resistenza e focolai di rivolta si estesero in tutto il Paese. Lo storico ebreo Giuseppe Flavio, che visse pochi decenni dopo, scrisse che quei tempi erano così turbolenti che “qualsiasi capo di una banda di ribelli poteva auto proclamarsi re”.
I romani reagirono con la consueta rapidità e con la loro solita forza schiacciante: il governatore della Siria, il vanitoso Publio Quintilio Varo, quello stesso che tredici anni dopo avrebbe provocato, per la sua cieca imprudenza, la sconfitta più decisiva della storia di Roma, trovando lui stesso tragica morte nella foresta di Teutoburgo, guidò dalla Siria le sue tre legioni per soffocare brutalmente l’opposizione al dominio romano.
Si riversò con ventimila soldati dal Nord del Paese, rase al suolo Sefforis, incendiandola, e costrinse alla schiavitù i superstiti suoi abitanti, come punizione esemplare per aver preso parte all’insurrezione.
Varo fece una retata di ribelli in tutto il Paese e mise a morte per crocifissione duemila uomini che avevano partecipato alla sommossa. Il trauma, che segnò per sempre la Galilea, deve essere stato spaventoso: centinaia di uomini furono inchiodati alle croci poste a regolari intervalli lungo tutte le principali vie di comunicazione o sui fianchi delle colline, a monito per tutti coloro che passavano di là.
Al tempo della rivolta e della brutale repressione, Maria, doveva avere 14 o 15 anni ed era dunque già considerata una donna, tanto da venire promessa in sposa a un artigiano di Nazareth chiamato Giuseppe.
Fu proprio in quel tempo che lei si trovò in difficoltà: rimase incinta e il padre non era Giuseppe.
Proviamo a immaginare lo scalpore che deve aver suscitato la gravidanza di Maria in un villaggio piccolo come Nazareth.
Dire che le male lingue abbiano spettegolato senza requie sarebbe attenuare la cosa. Entrambe le famiglie erano ben conosciute. Le abitazioni erano contigue e i figli sposati spesso vivevano in spazi annessi alla dimora principale dei genitori, con il cortile in comune. La vita del villaggio era fortemente interdipendente da un punto di vista economico e sociale,.
A Nazareth non potevano esistere molti segreti.
Giuseppe aveva un problema serio, una situazione nella quale nessun uomo vorrebbe mai trovarsi: era fidanzato con Maria, le loro famiglie avevano dato il consenso al matrimonio, ma questa futura sposa «si trovò incinta» prima del matrimonio.
Era stato Giuseppe a scoprire che Maria aspettava un bambino, poiché il vangelo di Matteo ci dice che era deciso a lasciarla, ma mettendo le cose a tacere, per non esporla al pubblico ludibrio. Forse pensò di aiutarla ad allontanarsi dal villaggio per dare alla luce il bambino in segreto. Una cosa era certa: non era lui il padre del futuro bambino.
Con o senza il suo aiuto, Maria lasciò precipitosamente la cittadina e si diresse a sud, verso un altro piccolo villaggio, Ein Karim, a più di sei chilometri a ovest di Gerusalemme, nella collinosa campagna della Giudea.
Maria rimase là per tre mesi insieme a dei parenti, una coppia da lungo tempo sposata, Elisabetta e Zaccaria. A quel tempo, anche Elisabetta era in attesa – al sesto mese – del bambino che conosciamo col nome di Giovanni Battista.
Non sappiamo quali legami parentali esistessero fra Maria ed Elisabetta, se fossero cugine, o forse nipote e zia, ma date le circostanze, le due famiglie erano, con ogni probabilità, molto intime. E questo significa che Gesù e Giovanni Battista erano anch’essi parenti.
Dopo la nascita del figlio a Betlemme, la coppia fece un lento ritorno a Nazareth, proprio quando si era da poco compiuto il massacro e la città di Sefforis era ancora avvolta da una nube che stentava a diradarsi: le rovine fumavano e nell’aria ristagnava ancora l’odore della morte.
Giuseppe, che camminava a fianco dell’ asino sul quale era seduta Maria con Gesù fra le braccia, vide da lontano le spirali di fumo che si alzavano dalle rovine e poi, sulle pendici della collina, nere contro il sole, le croci.
Una lunga fila di morti appesi lungo la strada. Certamente Giuseppe disse a Maria di non guardare. Ma lei le vide e rabbrividì. Anche il bambino vide.
Se si pensa alla storia di Sefforis, se si cerca di rivederla con gli occhi di Giuseppe e Maria, allora il racconto del “Natale di Gesù” va inquadrato in una serie di nuove immagini: il mondo in cui nasce il Cristo è un tragico palcoscenico di corpi in via di putrefazione inchiodati alle croci, con la città in fiamme e migliaia di cittadini uccisi o condotti schiavi in terre lontane.
Il futuro di quella famiglia, e di quel piccolo che essa portava, appariva davvero incerto e difficile.
E soprattutto il serio problema rimaneva: Gesù era figlio di padre ignoto.
Ritornare in quel di Nazarethm non doveva essere il massimo per una famiglia in quella situazione.
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