Mattatoio – Come venivano asportati gli organi in Kosovo?
Dopo la fine dell’intervento NATO in Jugoslavia, in Kosovo scomparirono senza lasciare traccia circa 1000 persone, stando a dati di diverse fonti.
Probabilmente alcuni di loro nella vicina Albania furono privati degli organi che poi venivano spediti via aerea verso destinazioni sconosciute. Cosa sappiamo davvero del “traffico di organi” in questa area dell’Europa?
Il 19 luglio
Ramush Haradinaj, capo di governo del Kosovo autoproclamato ed ex comandante dell’organizzazione terroristica (secondo Belgrado) dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (UÇK), si è dimesso perché chiamato a rispondere dinanzi al Tribunale speciale che giudica i crimini commessi dall’UÇK. Il 24 luglio è stato interrogato come imputato all’Aia, ma si è avvalso della facoltà di non rispondere. In seguito ha dichiarato che la legge gli vieta di
rispondere alle domande che gli sono state poste.
Il fratello di Ramush,
Daut Haradinaj, che ha un passato militare simile, stando a Milaim Zeka, segretario del Partito Euratlantico del Kosovo, avrebbe anch’egli ricevuto la notifica, ma non ha ritenuto opportuno parlarne pubblicamente. Tali voci sono state diffuse
il 15 agosto.
Il dossier dell’Aia sull’ex premier kosovaro
Daut Haradinaj ad oggi non si è ancora presentato di fronte alle istituzioni giuridiche internazionali, mentre il caso del suo fratello maggiore Ramush è stato esaminato ben due volte dal Tribunale penale internazionale per l'ex-Jugoslavia (TPIJ), nel 2005 e nel 2008, e Ramush venne assolto entrambe le volte.
L’ex comandante militare era accusato di aver gestito in prima persona le operazioni di deportazione violenta di serbi e zingari, di fermo coatto di persone, di espropriazione di immobili, di omicidi, stupri e altri crimini, fra cui rappresaglie sugli albanesi kosovari sospettati di collaborare con l’esercito jugoslavo. Il Tribunale stabilì che i membri dell’UÇK avevano commesso crimini atroci, ma Haradinaj non era stato coinvolto.
Va detto che Haradinaj era imputato proprio per avvenimenti accaduti durante la guerra in Kosovo, nella fattispecie per crimini di guerra e contro l’umanità commessi tra il 1° marzo 1998 ed il 30 settembre dello stesso anno. Dunque, rimane un caso irrisolto la scomparsa di cittadini kosovari dopo la fine dell’aggressione NATO contro la Jugoslavia e dopo la ritirata delle Forze armate e della polizia jugoslave dall’inizio dell’estate del 1999 fino al settembre del 2000.
In concomitanza con l’interrogatorio dell’ex premier kosovaro, l’agenzia di stampa serba SRNA ha ricordato il rapporto, sulle deposizioni dei testimoni del 30 ottobre 2003 che fu redatto da Eamon Smith, capo della Missione ONU a Pristina e Skopje, e indirizzato a Patrick Lopez-Terres, capo della Direzione Indagini del TPIJ, e supervisionato da Paul Coffey, capo del Dipartimento Giustizia della Missione ONU in Kosovo (UNMIK).
Del documento non si parla da tempo. E non lo si conoscerebbe nemmeno se non fosse per il libro pubblicato nel 2008 da Carla del Ponte, ex procuratrice capo del TPIJ,
dal titolo “
La caccia: io e i criminali di guerra” in cui per la prima volta si parla pubblicamente degli organi destinati al mercato nero in Kosovo e Albania e della cosiddetta “casa gialla” nel nord dell’Albania che probabilmente veniva usata come base per operazioni illegali.
In seguito, sulla base delle stesse testimonianze e di ulteriori prove raccolte durante la perizia effettuata alla “Casa gialla” nel 2004, venne redatta dal senatore svizzero Dick Marty la relazione presentata poi all’ Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa alla fine del 2010.
Delle informazioni che evidentemente coincidevano con il contenuto del rapporto di Eamon Smith già nel 2008 era
in possesso anche Human Rights Watch.
Nel 2011, dopo l’intervento di Dick Marty all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, in Rete è comparsa una scansione del documento originale dell’UNMIK. Di questo documento
hanno scritto diversi media serbi ed
anche internazionali.
Ma perché parliamo oggi di questo documento?
Il cambio di condotta dell’UÇK
“Ramush e Daut (i fratelli Haradinaj) nel luglio del 1999 richiesero ai comandanti locali dell’UÇK di organizzare il sequestro dei serbi presenti nel territorio da loro controllato e la loro deportazione in Albania. Continuammo a uccidere e torturare i serbi, ma tutto sotto il controllo dei fratelli”, racconta uno dei testimoni, la cui deposizione è riportata nella relazione UNMIK del 2003.
“Daut Haradinaj si recò a Tirana diverse volte per verificare come andassero le cose. Anche Ramush si recò un paio di volte a Tirana. Non so esattamente tutti i dettagli sul suo coinvolgimento. Lui passò questi affari al fratello, ma sicuramente sapeva tutto”, dice un altro dei partecipanti al trasporto dei prigionieri dal Kosovo in Albania, membro di basso rango dell’UÇK, le cui parole sono anch’esse riportate nel rapporto menzionato più sopra.
L’inattesa preoccupazione dei fratelli Haradinaj affinché venisse salvaguardata l’integrità fisica dei serbi kosovari sequestrati fu una sorpresa anche per gli stessi membri dell’UÇK. Uno di loro ricorda:
“A Prizren ci ordinarono di non picchiare i prigionieri e di comportarci bene con loro. Fu la prima volta che sentii qualcosa di simile e fui sorpreso perché prima di allora ci era sempre stato concesso di picchiarli come volevamo, di spezzare loro braccia e gambe”.
“Fate prima rapporto a me di tutti quelli che catturate, ci ordinò Dukadjin, comandante della regione”, ricorda un altro testimone.
Durante la guerra degli anni ’90 i leader dell’UÇK suddivisero il territorio del Kosovo e della Metochia in 8 aree operative. L’area di Dukadjin comprendeva i villaggi più a ovest. Qui erano attivi circa 2500 combattenti suddivisi in 3 brigate. Il comandante di una di queste era Daut Haradinaj. A comandare l’area operativa era Ramush Haradinaj in persona, stando alle dichiarazioni rilasciate da un testimone al Tribunale Internazionale per l’ex Jugoslavia
nel 2011.
Otto testimoni che hanno dichiarato di aver deportato in Albania gruppi di prigionieri fanno luce sulla ragione di quell’improvvisa attenzione dei comandanti dell’ UCK per la salute di quelli che fino al giorno prima erano nemici.
Ma che cos’hanno raccontato esattamente proprio loro che hanno deportato prigionieri vivi e seppellito quelli morti in Albania?
MATTATOIO – COME VENIVANO ASPORTATI GLI ORGANI IN KOSOVO? PARTE 2
La prima volta non sapevo cosa stesse succedendo. La seconda volta pensai che si trattasse di prostituzione. Ma la terza volta capii esattamente cosa fosse e rimasi terrorizzato. Volevo solo scappare.
“La prima volta non sapevo cosa stesse succedendo. La seconda volta pensai che si trattasse di prostituzione. Ma la terza volta capii esattamente cosa fosse e rimasi terrorizzato. Volevo solo scappare. Dopo essere tornato in Kosovo dissi al comandante di avere la polmonite. Così fui sollevato dall’incarico”, ricorda un albanese che collaborava con l’UÇK e si occupava del trasporto dei prigionieri dal Kosovo in Albania dopo la fine della guerra in Kosovo.
Che cosa mai poteva terrorizzare un autista dell’Esercito di Liberazione del Kosovo che aveva visto la guerra? (Le sue testimonianze si possono trovare nel rapporto dell’UNMIK sotto lo pseudonimo “testimone #1”).
Va ricordato che questo
rapporto del 30 ottobre 2003, redatto da Eamon Smith, capo della Missione ONU (UNMIK) a Pristina e Skopje, e indirizzato a Patrick Lopez-Terres, capo della Direzione Indagini del TPIJ, fu il primo documento e uno dei più informativi nel suo genere ad essere dedicato al presunto
traffico di organi umani in Kosovo e Albania tra il 1999 e il 2000.
Un odore dolciastro e nauseabondo
Il rapporto redatto in lingua inglese contiene le dichiarazioni di 8 testimoni anonimi i cui nomi per questioni di sicurezza sono stati sostituiti da numeri in successione e da lettere: fonti #1, 2, 3, 4 e fonti N, P, C, B. Tutti caratterizzati come di etnia albanese. Tuttavia, nella copia disponibile del rapporto sono presenti solo le dichiarazioni di quattro testimoni, mentre quelle degli altri sono citate nella conversazione allegata al rapporto, da cui emerge che le testimonianze rese dalle prime quattro fonti, corrispondono parzialmente a quelle degli ultimi quattro.
“Mi dissero che avrei dovuto portare il camion da Pec (città kosovara) a Prizren (città kosovara al confine con l’Albania. PA (iniziali) mi disse di fare quello che mi era stato detto, di non aprire la bocca e di dimenticarmi di quella missione, così avrei potuto vivere fino alla vecchiaia”, ricorda il “testimone #2”.
Un’altra fonte, le cui testimonianze sono riportate nella relazione, racconta di aver trasportato verso la “Casa gialla” non solo serbi, ma anche prigionieri che parlavano lingue slave dell’Europa orientale e dell’ex URSS. Ricorda che nel camion non c’erano finestrini e la ventilazione non funzionava. Alcune ragazze all’interno del mezzo, infatti, per poco non soffocarono. Inoltre, nel rapporto si dice che a questo testimone venne ordinato di continuare il suo tragitto trasportando parti di corpi e/o organi all’aeroporto di Rinas, nei pressi di Tirana, e di riseppellire (o seppellire per la prima volta) le spoglie di corpi che si trovavano in sacchi neri.
Un’altra testimonianza: “Una fonte ha descritto il viaggio nella casa a sud di Burrelli (ovvero la “Casa gialla”, NdR). Lì il suo supervisore gestiva gli addetti alla sepoltura delle spoglie in sacchi neri. La fonte afferma di aver visto che 10-20 corpi venivano sepolti in un piccolo cimitero a un chilometro da quella casa”.
È singolare che nessuna delle persone indicate nel rapporto dell’UNMIK abbia assistito alle operazioni mediche vere e proprie. Tuttavia, uno di loro ricorda:
“Mi capitò di finire in una stanza della casa a sud di Burreli per prendere dell’acqua. La stanza era pulita, ma c’era un intenso odore di medicinali. Mi fece pensare ad un ospedale. Ma, come potete immaginare, l’odore era dolciastro, ma nauseabondo. Mi faceva schifo, volevo andarmene il prima possibile”.
“C’erano due arabi in uniforme UÇK. La casa era attraversata da un odore nauseabondo e sulle pareti erano state scritte delle sure del Corano”, conferma un’altra fonte.
Il business non è guerra: nel vortice finirono non solo i serbi
Le dichiarazioni dei testimoni indicano che i comandanti dell’UÇK consideravano i fatti accaduti tra il 1999 e il 2000 come un business redditizio:
“C. dice che alla prima coppia di serbi furono estratti solo due reni e dopodiché vennero uccisi. L’idea era di penetrare il mercato. Poi, iniziarono ad agire in maniera migliore (dal punto di vista del guadagno, NdR) e arrivavano anche a 45.000 (probabilmente dollari, NdR) per persona”.
“La guerra e il caos subito dopo era la situazione migliore per gestire il business”, afferma una delle fonti, ripetendo le parole di un proprio superiore dell’ UÇK.
Al rapporto UNMIK è allegato un elenco di dieci prigionieri mandati in Albania. In base ai cognomi tutti e 10 sarebbero serbi. Nelle testimonianze si menzionano molte più vittime di questi rapimenti, trasportate in Albania dai testimoni: venivano trasportati in grandi gruppi, ognuno composto da decine di persone. Tuttavia, le fonti non conoscevano i loro nomi.
“C’erano 30 prigionieri fra cui una donna e 10 combattenti dell’UÇK. Ci aspettavano. Era chiaro che avessero camminato a lungo. Erano sporchi e pieni di polvere, alcuni avevano dei lividi”, così “testimone 2” ricorda il primo gruppo da lui trasportato dal Kosovo in Albania.
L’autore del rapporto UNMIK, Eamon Smith, conclude che la maggior parte dei prigionieri erano kosovari serbi rapiti tra il giugno e il settembre 1999.
Tuttavia, nelle dichiarazioni delle fonti figurano anche rapiti albanesi. Inoltre, uno dei testimoni, il #6, fu anch’egli prigioniero dell’UÇK, venne fermato perché sospettato di collaborare con l’esercito jugoslavo. Nel documento si legge che suo fratello fu ucciso perché anch’egli sospettato.
“Ricordo che ero molto turbato perché là c’erano anche ragazze albanesi. Ed erano davvero giovani”, conferma “testimone #1”.
Michael Montgomery, collaboratore del Center for Investigative Reporting e autore del documentario
“The Kosovan disappeared”, in
un’intervista a Balkan insight nel 2009 ha confermato che le sue indagini, servite da base al rapporto di Eamon Smith e Patrick Lopez-Tarres, erano cominciate con la ricerca delle spoglie degli albanesi scomparsi senza lasciare traccia. Di Montgomery si parla anche più avanti.
Per il momento sottolineiamo che nel rapporto UNMIK figura questa dichiarazione di un testimone:
“Le ragazze albanesi del nord venivano rapite e usate a questo fine (gli organi, NdR) invece di essere mandate in Italia a prostituirsi come molte altre”.
I giovani “carne” pregiata
Alcuni testimoni le cui dichiarazioni sono disponibili nel rapporto UNMIK sono concordi sul fatto che i prigionieri deportati dal Kosovo all’Albania all’apparenza erano giovani ed in salute.
“Non so chi fossero quei serbi. Avevano tutti più o meno 30 anni. Dal loro aspetto e dal loro abbigliamento pareva che fossero gente di campagna”.
“Spinsero 4 uomini serbi in un minivan. Erano giovani e in buona forma”.
Tre testimoni prestano attenzione agli insoliti ordini dei comandanti di trattare bene i prigionieri, di non picchiarli, non provocare traumi, dare loro da mangiare e da bere:
“Pensavo che intendessero ucciderli. E invece ci ordinarono di non picchiarli, di non provocare loro traumi, ma di dar loro acqua e cibo. Questo successe tra la fine di luglio e l’inizio di agosto del 1999”, ricorda “testimone #1”.
“Portai loro la colazione. Ero sorpreso nel vedere che la colazione dei prigionieri fosse così abbondante”, afferma un altro testimone.
Tra il 1999 e il 2000 il Kosovo non aveva ancora dichiarato l’indipendenza ed era una provincia autonoma della Serbia sia per Belgrado sia per la comunità internazionale. Tra il Kosovo e l’Albania era in vigore un confine di stato a tutti gli effetti.
Molti combattenti che deportavano serbi kosovari giovani e in salute in Albania confermano che in corrispondenza della frontiera venivano fatti passare senza problemi nonostante il
traffico limitato e i continui controlli.
“Andavamo a Kukes, attraversavamo il confine a Morine.
Il traffico era molto intenso. Nessuno però ci fermava al confine”, ricorda “testimone #2”.
Uno dei testimoni sostiene che all’aeroporto Rinas, da dove materialmente gli organi venivano esportati dal Paese, non c’era nessun problema:
“S. mi disse che all’aeroporto non c’erano stati problemi. Ai dipendenti erano stati dati molti soldi perché chiudessero un occhio su tutta la faccenda”.
Il giornalista Michael Montgomery nella sua intervista si dice perplesso riguardo al motivo per cui la vendetta postbellica nei confronti dei serbi del Kosovo, avesse assunto quelle forme:
“Noi fummo scossi dal fatto che, se questi atti furono semplicemente omicidi per vendetta, che motivo c’era di preoccuparsi di trasportare i cadaveri in Albania attraversando le montagne? Perché non ucciderle direttamente in Kosovo come era stato fatto con altri? Ancora più strane furono le storie secondo cui a chi trasportava i rapiti venne ordinato di non fare del male ai prigionieri. Questo avrebbe senso solo nel caso in cui fossero stati sequestrati per chiedere un riscatto. Ma non sono a conoscenza di molti casi di riscatto, tantomeno di casi che videro implicati dei serbi”.
“Non vogliamo essere fatti a pezzi”
Due testimoni parlano di visite e analisi mediche che vennero effettuate sui prigionieri in loco.
“Durante la prima deportazione a Burreli capii che li visitavano e facevano loro le analisi del sangue. Anche prima di allora avevo sentito che facevano le analisi del sangue ai prigionieri. E questo mi sorprese. Perché lo facevano?”, ricorda “testimone #1”.
Tre testimoni confermano di aver visto nei luoghi di deportazione dei prigionieri alcuni medici albanesi e un dottore di nazionalità sconosciuta dalla carnagione olivastra. Altri testimoni lo identificano come arabo o egiziano.
“Arrivammo fino alla fine della strada dove si trovava la Casa gialla. Di fronte alla casa c’erano alcune persone e due dottori (o almeno così ce li presentarono). Uno era arabo e il secondo albanese. Il secondo lo chiamavano Dr. Admir”.
Tre testimoni parlano dei documenti medici consegnati ai “corrier” prima del trasporto coatto:
“Il giorno seguente li portammo via dalla Casa gialla, a Fushe-Kruje. Prima di partire, il dottore diede al soldato una borsa nera. Penso che dentro ci fossero delle lettere. In tutti i viaggi successivi ci diedero una borsa o una scatola con dei documenti che dovevano essere tramessi al dottore quando consegnavamo i prigionieri”, ricorda “testimone #1”.
“I serbi avevano paura. A una delle fermate un uomo ci chiese di ucciderlo sul posto. “Non vogliamo essere fatti a pezzi”, disse. Nel tardo pomeriggio li portammo nella Casa gialla”, ricorda “testimone #1” nel rapporto UNMIK.
Secondo le testimonianze di S. questi serbi avevano tutte le ragioni per aver paura:
“S. mi racconto che sulle montagne tenevano prigionieri molti serbi per “migliorare le analisi del sangue”. Davano loro da mangiare e li facevano lavorare molto nelle fattorie e nell’industria del legno. Quando i membri dell’UÇK ricevevano una richiesta di organi, portavano i serbi a Burreli dove aspettavano di essere operati. Il giorno prima dell’operazione venivano portati a Fushe-Krija, nel ranch lì vicino. Dopo che veniva preso loro tutto quello che serviva, venivano seppelliti nello stesso luogo. Dunque, le sepolture furono fatte su un terreno privato”.
UNMIK nel suo rapporto del 2003 giunge a questa conclusione:
“I prigionieri deportati nell’Albania centrale furono poi nuovamente trasportati nella Casa gialla di Burreli che fu trasformata in una clinica improvvisata. Qui il personale impiegava strumentazioni mediche per estrarre organi interni ai prigionieri che poi morivano. In seguito, i loro corpi venivano seppelliti nelle vicinanze”.
Come venivano effettuate le operazioni per l’asportazione degli organi? Quali prove materiali sono state scoperte?
MATTATOIO - COME VENIVANO ASPORTATI GLI ORGANI IN KOSOVO? PARTE 3
Alla luce delle testimonianze presentate dal giornalista americano Michael Montgomery e prese in esame da UNMIK, la missione ONU in Kosovo, è stata avviata una perizia medico-legale nella casa a sud di Burreli, nell’Albania settentrionale, condotta dagli esperti Tom Grange e Hroar Frydenlund il 4 e 5 febbraio 2004.
Tracce di sangue nella “Casa gialla”
Il rapporto indirizzato da Jose Pablo Baraybar all’allora capo della Direzione dell’UNMIK per le perizie legali contiene un elenco degli oggetti rinvenuti in prossimità della “Casa gialla”. Fra di essi ci sono siringhe, confezioni e flaconi dei farmaci Tranxene (un ansiolitico per il rilassamento dei muscoli e la sedazione), Chloraphenical 250 mg (in realtà la sostanza si chiama Chloramphenicol, ma nel rapporto viene indicato in modo errato. Si tratta comunque di un antibiotico), Cimarizine 25 mg (inibitore dei canali del calcio, viene utilizzato per riattivare la circolazione sanguigna), Buscopean 10 mg (spasmolitico impiegato per curare le coliche renali e di altro tipo), frammenti di camici chirurgici, il fodero vuoto di una pistola.
I membri del TPIJ erano sicuramente al corrente dell’indagine dell’UNMIK nella “Casa Gialla” perché nel rapporto di cui sopra si cita il capo del gruppo di indagini del Tribunale de L’Aia Matti Raatikainen.
Tuttavia la perizia, pur essendo stata condotta da un’autorevole organizzazione internazionale, ed a conoscenza del Tribunale de L’Aia, non è priva di stranezze: dei due esperti ha firmato il documento solamente Grange e non Frydenlund; gli oggetti rinvenuti sono stati descritti in maniera approssimativa (non vi sono riferimenti circa il loro numero, il loro stato, non sono stati presi campioni del materiale biologico probabilmente in essi presente). Inoltre, non è chiaro per quale motivo i criminali non abbiano raccolto le siringhe sparse attorno alla casa nei 4 anni prima dell’arrivo degli esperti, sempre che sia vero che la Casa gialla sia stata tra il 1999 e il 2000 il luogo dove avvenivano le operazioni.
Sono state condotte delle prove al luminol (il luminol è una sostanza che fa brillare il sangue di una luce violacea) che hanno dimostrato la presenza di numerose tracce di sangue sul pavimento della cucina. Tuttavia, per ragioni ignote dopo aver stabilito effettivamente la presenza di tali tracce non sono state condotte ulteriori perizie: nessuno ha voluto appurare se si trattasse del sangue di umani o di animali. Non sono state nemmeno fatte analisi dell’emoglobina.
La Casa bianca: nascevano bambini e veniva sgozzato il bestiame
Nei servizi viene riportata una conversazione con i proprietari della casa (nel 2008 già da tempo ridipinta di bianco), un uomo anziano e una sua parente più giovane. I due inizialmente raccontavano che nella cucina era nata una delle donne della famiglia e poi hanno aggiunto che sul pavimento poteva essere rimasto del sangue degli animali che uccidevano all’esterno.
Il procuratore distrettuale albanese Arben Dulja che aveva deciso di parlare con i giornalisti di B92 nega che fossero state trovate siringhe nei pressi della casa, sebbene il rinvenimento delle stesse sia inequivocabilmente registrato nel rapporto della perizia medico-legale del 2004.
Inoltre, la nipote del proprietario della casa sostiene che le siringhe venissero usate da tutta la famiglia: infatti, sia la madre, sia il nonno erano malati e le siringhe venivano buttate nella spazzatura insieme al resto dei rifiuti.
Non coincidono nemmeno le testimonianze del procuratore albanese e dei proprietari circa i flaconi dei farmaci rinvenuti. Dulja sostiene che nei pressi della casa fossero state rinvenute solamente due fiale di penicillina (in realtà, l’unico antibiotico descritto nel rapporto UNMIK è il chloramphenicol), mentre la ragazza sostiene che le sostanze per il rilassamento muscolare le assumesse suo fratello che soffriva di reumatismi e, infatti, aveva passato due mesi in ospedale proprio per quello. Tuttavia, il Tranxene, che agisce sì anche come rilassante muscolare,
stando alle fonti mediche, non si usa solitamente per curare i dolori reumatoidi.
Medico amatoriale: aprire la cassa toracica con un Kalashnikov
Anche la Procura serba per i crimini di guerra
ha indagato sui serbi scomparsi senza lasciare traccia in Kosovo. Nel 2012 il canale televisivo RTS ha trasmesso l’intervista a uno dei testimoni inserito nel programma protezione testimoni della Procura serba. L’uomo ha fatto parte dell’UÇK e ha confermato di aver preso parte ai crimini in maniera indiretta. Il portavoce della Procura, Bruno Vekaric, ha dichiarato di aver reso note queste testimonianze perché il caso dei trapianti di organi non finisse nel dimenticatoio di nuovo.
“Durante l’addestramento ci mostravano come, in caso di bisogno, trapiantare una data parte del corpo (reni, cuore, polmoni) da un corpo ad un altro”, ricorda il testimone affermando di aver imparato a operare su bambole di plastica e resina.
Sembra insolita l’affermazione che persone senza una preparazione medica venissero addestrate a fare dei trapianti. Tuttavia, il procuratore serbo per i crimini di guerra, Vladimir Vukchevich, commentando la testimonianza della sua fonte, ha osservato che la Procura aveva analizzato attentamente la testimonianza della fonte per più di anno ed era giunta alla conclusione che era da ritenersi attendibile.
Il testimone raccontava che gli era stato sottoposto per l’“operazione” un giovane di 19-20 anni di nazionalità non albanese. I combattenti dell’UÇK lo tenevano per gli arti così che non si muovesse. L’intervento vero e proprio fu effettuato sotto la supervisione di un certo dottore:
“Il dottore mi ha detto cosa fare: praticare un’incisione in linea retta dalla gola alle costole”.
“Poi ho cominciato a fare come mi avevano insegnato: metti la mano sinistra sul petto per appoggiarti e con la destra prendi il bisturi e lo direzioni. Gli ho messo la mano sinistra sul petto e ho cominciato a incidere. Quando sono andato in profondità col bisturi, ha cominciato a uscire il sangue. Mentre incidevo, il paziente si è messo a gridare di non ucciderlo e poi ha perso conoscenza. Non so se avesse perso conoscenza o fosse morto sul colpo. Non lo so perché non ero in me in quel momento”.
Poi al testimone hanno ordinato di praticare un’altra incisione. Il testimone ricorda che uno degli aiutanti del medico si era dimenticato di portare le forbici specifiche per rimuovere le costole. Dunque il testimone ha dovuto usare la baionetta di un Kalashnikov come alternativa.
Il trapianto di cuore
“Il dottore ha messo entrambe le mani nel corpo del paziente. A un certo punto è arrivato un medico che ha detto di fare più veloce, non c’era più molto tempo. Allora un conoscente del medico ha portato una scatola, l’ha aperta e l’ha posata accanto a me”, ricorda un testimone.
Quest’ultimo ha descritto nei dettagli la pratica seguita dal medico per gestire i vasi sanguigni in mancanza di pinze. Per estrarre il cuore il medico si è mosso più o meno così:
“Abbiamo tagliato i vasi e, una volta arrivati al cuore, questo ancora batteva. Non so come ci sono riuscito, ma l’ho preso e posato nella scatola che era stata appena portata. Uno dei comandanti esclamò: “Sei bravo! In Kosovo c’è bisogno di combattenti come te”.
Le testimonianze rilasciate alla procura serba hanno scatenato reazioni contrastanti nella comunità medica serba. Parte dei chirurghi sostiene che per l’estrazione e il trapianto di organi sono necessarie condizioni molto particolari e una grande équipe di personale medico qualificato.
Zoran Stankovic, dottore di ricerca in Medicina, anatomopatologo ed ex ministro serbo della Sanità, in un’intervista rilasciata a Sputnik afferma che la situazione appare ambigua: sì, l’estrazione di organi richiede condizioni particolari, ma non possiamo essere sicuri che in Albania queste condizioni non fossero soddisfatte perché la Casa gialla non era l’unico luogo impiegato in queste attività criminali. Inoltre, la mancata necessità di curarsi della sopravvivenza e della qualità futura della vita del donatore permette di soprassedere su alcune condizioni solitamente garantite nell’ambito di un’operazione di questo tipo.
“Quando si tratta di trapianto di organi, bisogna soddisfare condizioni molto rigide. Non sono sicuro che alla Casa gialla questo fosse possibile. Forse in un altro posto, sì. Queste operazioni richiedono la presenza di un’équipe di medici formati. Inoltre, il ricevente degli organi dev’essere non lontano perché non possono passare troppe ore dall’estrazione al trapianto”, ha affermato Stankovic.
Stando ai dati della Procura serba per i crimini di guerra, non vi sono contraddizioni tra l’assenza delle condizioni necessarie alle operazioni chirurgiche nella Casa gialla e il fatto che presumibilmente queste si tenessero in Albania: infatti, nel traffico di organi, stando ai loro dati, sarebbero stati coinvolti anche istituti sanitari che durante la guerra erano utilizzati come ospedali per i militanti dell’UÇK. Fra questi anche l’ospedale di Bajram Curri (cittadina nel nord dell’Albania, capoluogo del distretto di Tropojë), il policlinico vicino allo stabilimento della Coca Cola a Tirana, la clinica neuropsichiatrica del
carcere n° 320 di Burreli. Ma ad oggi la Procura non ha ancora reso note le prove dei suoi sospetti circa questi istituti sanitari.
Dove sono andate a finire le prove, perché fino al 2008 i testimoni non hanno parlato e dove sono state seppellite le prove materiali della Casa gialla?
Leggetelo nella continuazione di questo articolo.
MATTATOIO - COME VENIVANO ASPORTATI GLI ORGANI IN KOSOVO? PARTE 4
Nelle puntate precedenti abbiamo preso in esame diverse prove dei casi di trapianti di organi che hanno avuto luogo tra l’Albania e il Kosovo. Ma il documento chiave della questione rimane la relazione dell’UNMIK nella quale figura l’allora comandante Ramush Haradinaj e che contiene conclusioni piuttosto concrete.
"Don Chisciotte" distrugge le prove
La relazione fu indirizzata all’organo legislativo che è responsabile delle indagini sui crimini commessi nello spazio post-jugoslavo, il Tribunale de L’Aia e, in particolare, il TPIJ.
Prove non necessarie
Dopo successe qualcosa di inspiegabile. Nel dicembre del 2005 il Tribunale avviò un’indagine chiamata Don Chisciotte. Nel documento SFO/09/99-8045 si richiede l’esecuzione di una perizia delle prove materiali rinvenute nella Casa gialla e, in particolare, dei flaconi vuoti di medicinali come il Tranxen, il Chloramphemical, il Cinarizine e il Buscopan che, come ipotizzato dagli autori dell’indagine, potrebbero essere stati utilizzati durante le operazioni chirurgiche”.
Tuttavia, non fu mossa alcuna accusa nei confronti degli albanesi, nemmeno contro Ramush Haradinaj, circa il presunto traffico di organi.
Alla luce di ciò si può concludere che le testimonianze raccolte dall’UNMIK nel 2003, furono intenzionalmente nascoste e taciute. A tale conclusione giunse il giornalista americano Michael Montgomery, da noi già citato in questa serie, che nel 2009 sostenne in
un’intervista a Balkan Insight che una quantità impressionante di prove venne semplicemente distrutta.
In quell’intervista Montgomery raccontò che durante l’indagine sulla scomparsa di queste persone in Kosovo, lui e il collega Stephen Smith interrogarono diverse persone del luogo che erano stati autisti o comunque avevano aiutato l’UÇK con la logistica. Montgomery sostiene che proprio la loro indagine divenne la fonte primaria della relazione dell’UNMIK poiché nel 2003 trasmisero i dati raccolti alla Cancelleria della missione.
“Vi sono prove convincenti del fatto che l’UÇK o determinate sue divisioni trattenessero persone nelle proprie basi, in carceri temporanee e in case private dove i prigionieri subivano un trattamento terribile. Questo avvenne dopo la guerra nei luoghi apparsi nel documentario (
The Kosovan disappeared): a Prizren e nelle vicinanze, nei pressi di Junik (un centro abitato della Metochia) e in altri paesini del Kosovo, ma anche a Tropoja, Kukesi, Burreli e persino a Durazzo (tutte città albanesi)”, sostiene il giornalista statunitense.
“Ci aspettavamo che l’ONU (UNMIK, NdR) analizzasse le nostre prove e, possibilmente, ne ricercasse di nuove. Ma questo non accadde. Sono fermamente convinto che le prove vennero distrutte dal Tribunale”, conclude.
Haradinaj non è colpevole
In
un’intervista successiva rilasciata al canale televisivo serbo N1 nel 2015 Montgomery espose la teoria secondo cui il TPIJ avrebbe distrutto le prove del caso della Casa gialla poiché non si era riusciti a dimostrare la compartecipazione di Haradinaj. Così, aveva semplicemente perso interesse a fare luce sul traffico di organi kosovaro.
Nel 2009 il portavoce della Procura per i crimini di guerra, Bruno Vekaric, in un commento per Press, dichiarò che L’Aia aveva distrutto più di 2000 prove, incluse quelle che erano legate ai crimini perpetrati nell’Albania settentrionale. In quella
stessa intervista Vekaric osservò che il TPIJ collegò in maniera diretta la Casa gialla ad Haradinaj.
Nel 2012 si tenne un battibecco a distanza tra l’allora procuratore capo del TPIJ, Serge Brammertz, e l’ex procuratrice capo Carla del Ponte. Brammertz dichiarò che la responsabilità per la distruzione delle prove era del suo predecessore. Ma del Ponte, autrice del libro La caccia. Io e i criminali di guerra,
dichiarò alla serba Press di sapere chi aveva distrutto le prove, ma di non essere affatto implicata.
In realtà nel 2019 in
un’intervista all’agenzia di stampa serba Tanjug del Ponte ha affermato: “Non appena venni a sapere della distruzione dei campioni, chiesi loro spiegazioni. Si avviò un’indagine interna. Bisogna chiedere a loro (a coloro che sono a capo del Tribunale dopo di lei) i risultati dell’indagine”.
Nel gennaio del 2019 Dick Marty, autore del rapporto dell’APCE sul traffico di organi in Kosovo, in
un’intervista con la rivisita serba Novosti osservò che l’indagine venne condotta in maniera amatoriale e i medicinali, le siringhe e gli altri oggetti rinvenuti nei pressi di Burreli furono insabbiati dal Tribunale.
“Quando a suo tempo mi rivolsi al TPIJ per avere informazioni circa le prove raccolte sul luogo del presunto crimine della Casa gialla, mi risposero che non c’erano più, erano state eliminate per fare spazio come se non servissero più nessuno. Dopo quella risposta mi scoraggiai”, ricorda Marty.
Non sembra, dunque, possibile stabilire le ragioni, il movente e la logica dietro le azioni del TPIJ.
Grandi speranze: il Tribunale speciale contribuirà a trovare le tracce di migliaia di serbi scomparsi?
Poiché la stragrande maggioranza delle persone scomparse senza lasciare traccia sono serbi, a Belgrado si nutrono grandi speranze nel Tribunale speciale per i crimini di guerra dell’Esercito di Liberazione del Kosovo che dopo un lungo periodo di discussioni parlamentari avviò la sua attività il primo gennaio 2017, ma è riuscito a operare attivamente solamente nell’estate del 2019. Ora sono stati invitati per essere interrogati Ramush e Daut Haradinaj. La Serbia ipotizza che questo organo legislativo riesca a fare luce su ciò che hanno scoperto l’UNMIK, la
Task Force investiva speciale del Consiglio d’Europa e la
Procura serba per i crimini di guerra.
Le previsioni degli esperti circa le prospettive di ristabilimento della giustizia sono contrastanti. Ad esempio, l’avvocato Goran Petronijevic che ha lavorato con gli imputati serbi a L’Aia ipotizza in un’intervista rilasciata a Sputnik che la comparizione di Haradinaj presso la Procura speciale non sarà altro che una mossa di spettacolo tattica messa in campo dagli americani che controllano la politica kosovara. Aggiunge che la Procura speciale, a suo avviso, agisce per dimostrare al mondo che sta facendo qualcosa e non per ottenere davvero un risultato:
“La comunità internazionale ha creato questa Procura perché non riusciva a rispondere alla domanda di Dick Marty. Il Tribunale de L’Aia ha ignorato molti documenti che accusavano Haradinaj. Oggi Haradinaj può essere processato solamente se verranno trovate nuove prove. Se si volesse, se ne potrebbero trovare di nuove”.
Dall’altro lato, il politologo serbo Branko Radun in un’intervista a Sputnik osserva che, comunque andrà a finire questo nuovo procedimento penale aperto da L’Aia contro i crimini dell’UÇK, il fatto stesso che Haradinaj abbia nuovamente ricevuto notifica di comparizione in qualità di sospettato non può non essere interpretato come un segnale lanciato nei confronti di Pristina.
Radun ipotizza che i sostenitori occidentali del Kosovo autoproclamato siano pronti a cambiare le carte in tavola a Pristina, a sostituire la vecchia guardia dell’UÇK con politici nuovi e non compromessi.
“A mio avviso, Washington intende cambiare qualcosa all’interno delle istituzioni kosovare. La questione è fino a che punto questa intenzione potrà essere realizzata. Ritengo che gradualmente qualcosa cambierà”, conclude l’esperto.
Cosa non sappiamo del traffico di organi
Attorno al traffico di organi nei Balcani sono state create leggende metropolitane estremamente sanguinose. Ma in 20 anni non sono ancora stati trovati gli uomini e le donne di diversa nazionalità ma residenti in Kosovo che sono spariti senza lasciare traccia. Non sono stati rinvenuti nemmeno i loro corpi.
Prove sparse. Perizie disattente. Prove contrastanti. Assenza di volontà politica in Albania nella collaborazione alle indagini e nell’esumazione delle spoglie. Alla fine il mondo non ha visto nemmeno una condanna nel caso del traffico di organi. Le famiglie degli scomparsi sperano ancora di capire cosa sia successo ai loro parenti e amici.
Fonte: srs di Di Anastassia Galanin. Da SPUTINIK del: 15-9 settembre 2019, 19 settembre 2019, 22 settembre 2019, 24 settembre 2019
LE UCCISIONI DI MASSA DI SERBI PER ESPIANTARGLI GLI ORGANI NON SONO INIZIATE IN KOSOVO
Contrariamente alla credenza popolare, il traffico più sanguinoso della storia, quando furono espiantati organi dai serbi del Kosovo catturati e imprigionati, non iniziò in Kosovo. Come riportato dai media serbi nel processo condotto dalla missione EULEX in Kosovo, “uno degli accusati ha confessato di aver partecipato alla vendita di organi umani”.
Driton Jiljta si è dichiarato colpevole dell’accusa di “abuso di autorità e attività medica illegale”. Questo caso è parte di un processo più ampio, e l’accusa ha incriminato sette albanesi e due stranieri di traffico, criminalità organizzata e trapianti descritti come “attività medica illegale” nell’ospedale Medicus di Pristina. Secondo l’accusa, l’ospedale nel 2008 ha eseguito 30 trapianti di rene illegali mentre, secondo quanto riferito, i poveri di Turchia, Russia, Moldavia e Kazakistan arrivavano nella clinica guidati dalla falsa promessa del pagamento di 15.000 euro per i loro organi.
Processo screditato
Tuttavia, il processo non ha alcun significato serio e il suo obiettivo è, attraverso i processi giudiziari controllati dagli Stati Uniti e dall’UE, convincere il pubblico che è in corso un lavoro significativo nelle indagini sul traffico di organi umani. Questo è ciò che dicono i media e i funzionari globali. Ma cos’è successo davvero? I processi sono iniziati dopo un rapporto di Dick Marty, alto funzionario delle Nazioni Unite, deliberatamente depistato da Washington e Bruxelles al fine di proteggere i potenti organizzatori del traffico di organi umani e la loro redditizia industria – l’industria della morte.
All’inizio Jiljta si è dichiarato non colpevole del traffico di organi umani, ma di abuso della pratica medica e pratica medica illegale. La rimozione illegale di organi chiamata “espianto di organi” è definita attività criminale quando è impegnata nella tratta di esseri umani. Per questi mostruosi crimini, secondo il “Codice penale provvisorio” dell’EULEX, egli è punibile solo da 2 a 12 anni di carcere. D’altra parte, l’EULEX è come l’
ICTY ostile ai serbi – impone sanzioni draconiane, quindi non sorprende che i suoi giudici abbiano condannato Zoran Kolic a 14 anni di carcere per crimini di guerra, anche se egli ha dimostrato di non essere nemmeno presente nella zona e nel momento in cui è stato commesso il presunto crimine.
Inoltre, secondo l’accusa, il caso del traffico di organi umani in Kosovo si riduce ad una singola attività, eseguita su “poveri disperati provenienti da diversi paesi, bisognosi di denaro, che sono venuti per vendere i loro reni all’ospedale privato “Medicus” di Pristina”.
Come può un’attività ben organizzata svolta dal cosiddetto Esercito di Liberazione del Kosovo su migliaia di serbi rapiti e (ancora) dispersi, indipendentemente dall’età o dal sesso, essere improvvisamente ridotta ad un semplice atto criminale?
Il ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner rise e definì “pazzo” un reporter di Voice of America in Kosovo, quando gli chiese di commentare il caso del traffico di organi umani in Kosovo. Secondo un rapporto di KIM Radio nell’enclave serba di Gračanica, il giornalista Budimir Ničić ha chiesto al ministro francese il suo riconoscimento e la sua posizione in merito alle accuse di traffico di organi umani.
Quando Ničić ha posto la sua domanda, secondo quanto riferito, Kouchner “rise”, e disse: “Ma tu sei malato, vero? Sei pazzo, non dire sciocchezze del genere”. Kouchner si è poi spinto a dire “non posso credere che qualcuno abbia fatto una domanda così assurda”.
“Qual è la casa gialla? Perché gialla? Signore, dovrebbe consultare (uno psichiatra). Non c’era nessuna casa gialla, non c’era nessun traffico d’organi. Le persone che parlano di cose del genere sono barboni e assassini”, ha affermato la radio citando l’importante diplomatico francese. (Nota: le persone che PARLANO di questo sono barboni e assassini, non quelli che l’hanno FATTO). Kouchner è stato amministratore delle Nazioni Unite in Kosovo dal 1999 al 2001.
I pubblici ministeri dell’EULEX hanno accusato solo una figura insignificante al fine di proteggere i veri organizzatori di questo mostruoso crimine.
Naturalmente, gli Stati Uniti e i loro satelliti, dalla pubblicazione del rapporto di Dick Marty (ONU) hanno cercato di tenere le indagini sul traffico di organi umani lontane dalle Nazioni Unite. Al fine di controllare pienamente le indagini e i procedimenti giudiziari, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania si sono opposti alla proposta, e hanno costretto la Serbia ad accettare le indagini condotte esclusivamente da EULEX.
Chi sta dalla parte della Serbia?
Dalla parte della Serbia nelle Nazioni Unite ci sono Russia, Cina, Gabon e Sudafrica; questi stati hanno valutato che il Consiglio di Sicurezza dovrebbe istituire un organo investigativo internazionale; ma dopo le pressioni degli Stati Uniti hanno fatto sì che la proposta alle Nazioni Unite non venisse approvata, e presto Washington ha nominato il suo uomo a capo della squadra investigativa dell’EULEX – Clint Williamson. L’EULEX invece ha nominato un procuratore speciale britannico, Jonathan Ratel, e Washington e Londra hanno chiuso il cerchio all’interno dell’EULEX, come hanno fatto in precedenza all’Aia, in modo che persino Florence Hartmann scrivesse che la loro intelligence controllava completamente la strategia, le accuse e le sentenze del Pubblico Ministero.
Fin dall’inizio della scoperta del crimine del traffico di organi, gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno cercato di screditare il rapporto di Dick Marty, che indicava che il loro burattino, Hashim Thaçi, capo della mafia in Kosovo e Primo Ministro del “Kosovo”, come coinvolto nel traffico di organi umani. Tuttavia, tracce del mostruoso business risalgono a ben prima del rapporto di Dick Marty, alla scoperta più spaventosa e oscura della storia della guerra:
Questi crimini non sono iniziati in Kosovo, ma in tutti i territori della Jugoslavia, dove la NATO ha interferito ed è intervenuta in un conflitto armato contro il popolo serbo.
È iniziato tutto nella Repubblica Serba di Krajina (RSK)
La sanguinosa industria della morte iniziò nella RSK (i territori serbi in Lika, Banovina, Kordun e Slavonia, occupati illegalmente dalla Croazia dopo il 1995) dove furono espiantati gli organi dei serbi catturati e imprigionati, per i ricchi in Occidente e nella monarchia del petrolio (cioè l’Arabia Saudita).
C’era un ospedale a Vukovar guidato dalla Dott.ssa Vesna Bosanac (tra il 30 luglio e il 19 novembre 1991). È lì che, per la prima volta, si sono verificati gravi abusi dell’etica medica e del diritto umanitario internazionale: il rifiuto di fornire un’adeguata assistenza medica ai civili feriti di nazionalità serba (alcuni dei quali erano bambini) e l’invio di civili serbi alla liquidazione fisica. Tra i crimini più gravi commessi nell’ospedale di Vukovar c’è stato il prelievo forzato di sangue ai civili serbi fino all’ultima goccia, letteralmente. A tal fine, i serbi che vivevano a Vukovar sono stati portati forzatamente in ospedale da membri della
Guardia Nazionale Croata [in inglese].
Quindi il crimine è continuato in Bosnia ed Erzegovina. Nel 1996. Xavier Bernard Gaultier, giornalista di Le Figaro ed esperto di Balcani, fu trovato impiccato nel suo appartamento in Spagna. Le autorità spagnole non ebbero dubbi sulla causa della morte, pensando che si trattasse di un suicidio. Tuttavia, le circostanze erano più che strane. Fu trovato con le mani legate. Sul muro della casa c’era scritto “traditore” e “Diavolo Rosso”, il soprannome di Roberto delle Fave, un mercenario italiano che combatté in Bosnia ed Erzegovina per i croati e rivelò a Gaultier molti dettagli riguardanti le spedizioni di armi dall’Austria, e del trasporto di organi in Italia. Giornalista francese, Gaultier indagò e scrisse un articolo su questioni estremamente rischiose per la sua vita. “Si parlava di criminali di guerra dell’ex Jugoslavia, ma anche di VIP italiani”. Vi erano alcune informazioni secondo cui migliaia di serbi di Sarajevo (la maggior parte è ancora dispersa?!) abbiano avuto lo stesso destino, e che i loro organi siano stati venduti da Stati Uniti, Germania e Scandinavia al Qatar.
Due milioni da un solo corpo
Sebbene i pubblici ministeri dell’EULEX parlino principalmente di espianti di reni in cui i donatori rimanevano vivi e venivano pagati 10.000 euro, mancano informazioni su ciò che è ben noto nell’industria della morte: vale a dire che un corpo può fruttare fino a due milioni di euro. Xavier Gaultier ha scritto che i cacciatori d’organi si assicuravano sempre che le loro vittime non perdessero “una sola goccia di sangue”, in modo che chi li dissezionava utilizzasse l’intero corpo nella sua totalità per la vendita.
Questo è il motivo per cui i cacciatori di organi seguono le zone di guerra del mondo, generando entrate enormi. Questo fatto raccapricciante svela i crimini più orrendi, ma ancora nascosti nell’ex Jugoslavia – un comitato criminale contro il popolo, gli uomini, le donne e i bambini serbi; il crimine che il mondo nasconde sotto i nostri occhi.
Oltre a Dick Marty anche Gerard Gallucci (ex capo dell’UNMIK nel nord del Kosovo) ha affermato che Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia e Italia erano informati sul traffico di organi umani e sulla “chirurgia illegale” ai quali venivano esposti i serbi rapiti in Kosovo.
Indipendentemente dal fatto che noi sapessimo o meno che cosa accadde, il grande “Quintetto” (gli stati sopra menzionati) certamente lo sapevano. Hanno le informazioni, le risorse e una lunga storia di collaborazione con l’UÇK. “Non importa quale sia la verità sul traffico di organi, il coinvolgimento di alcuni dei maggiori leader mondiali è certo e confermato in questo crimine internazionale e nella corruzione”, afferma Gallucci. Nel 2011. Gallucci ha predetto che il Primo Ministro del “Kosovo” Thaçi rimarrà Primo Ministro indipendentemente da quanto afferma il rapporto di Dick Marty, perché è protetto dagli Stati Uniti e da altre potenze occidentali.
Era Camp Bondsteel, non l’ospedale Medicus. In questo senso, il posto giusto per indagare sui crimini del traffico di organi umani dei serbi rapiti in Kosovo e Metohija è la base militare degli Stati Uniti, Camp Bondsteel, non “Medicus”.
Nel 2008, tuttavia, sono trapelate informazioni secondo le quali tutte le spedizioni degli organi raccolti appartenenti ai serbi rapiti sono avvenute in speciali ospedali gestiti dalla NATO; nel frattempo c’erano tra i 6 e 14 voli al giorno che trasportavano organi umani freschi in Occidente; parte degli organi serbi finì al Royal Hospital di Londra. Secondo le accuse e le prove, anche l’ex ministro francese e capo della ONG Medici senza Frontiere, Bernard Kouchner, è fortemente coinvolto in questo crimine.
Dato che le autorità serbe si sono dimostrate sorprendentemente riluttanti riguardo al rapporto di Dick Marty, e non hanno voluto esporre alcuna prova aggravante che potesse mettere in pericolo e minacciare coloro che li hanno portati al potere (dopo che la CIA ha organizzato l’insurrezione del 5 ottobre 2000), non è sorprendente che la Russia, dopo l’inizio delle indagini del Consiglio d’Europa e delle Nazioni Unite, ne abbia avviato un’altra in proprio. È anche chiaro il motivo per cui Mosca è stata attaccata dal procuratore dell’EULEX Ratel – Mosca rimane, forse, l’unica speranza per chiarire completamente le indagini farsesche organizzate da Washington e Bruxelles in Kosovo e che, un giorno, questi crimini assolutamente mostruosi vengano alla luce.
Fonte: Da la prospettiva del Falco sul mondo di oggi