I RACCONTI NEI FILO' DELLA LESSINIA DEL PASSATO.
Nella cultura e nella tradizione popolare di molti paesi una casa stregata (o casa infestata) è un'abitazione che è ritenuta coinvolta in presunti eventi soprannaturali o fenomeni paranormali. Tradizionalmente una casa stregata può essere infestata da fantasmi, da poltergeist o entità malevole come demoni.
Si ritiene che le case stregate siano spesso abitate da spiriti di trapassati che si presume fossero i precedenti abitanti o avessero una qualche familiarità con quella data abitazione. La presunta attività soprannaturale all'interno di queste case viene associata principalmente ad eventi violenti o tragici che sarebbero avvenuti al loro interno, come omicidi, morti accidentali o suicidi, nel passato recente o remoto. Talvolta si ritiene però che in quel luogo vi siano manifestazioni demoniache derivanti ad esempio dall’aver “venduto l’anima al Diavolo”.
In molte culture e religioni si ritiene che l'essenza di un essere umano, cioè la sua l'anima continui ad esistere anche dopo la morte; taluni sostengono la credenza che gli spiriti dei defunti che non sono passati nell'aldilà, in alcuni casi particolari possano rimanere intrappolati all'interno delle abitazioni in cui i loro ricordi e la loro energia sono forti. Queste entità infesterebbero le abitazioni, manifestando ai vivi la loro presenza con rumori, con apparizioni, oppure con spostamenti o lanci di oggetti fisici, quali pietre o altro. Queste manifestazioni paranormali vengono presentate talvolta come "attività di poltergeist", cioè di "spiriti rumorosi" o come tradizionalmente vengono definiti nella cultura popolare lessinica i “rensaòrio regninsàori”.
Nella cultura popolare dei nostri monti le manifestazioni dei “regninsaòri” vengono descritte soprattutto come rumori prodotti da essi e sarebbero avvertibili soprattutto durante le notti ed avverrebbero all’improvviso nei momenti di riposo e di tranquillità. In sostanza questi rumori, derivanti dal lancio nel “vuoto” di pietre contro le porte o le finestre, dallo spostamento di mobili, dallo scalpitio di passi sulle scale o il rumore metallico di catene verrebbero prodotti con la specifica finalità di arrecare disturbo al sonno dei vivi. Tuttavia non vi è nella credenza popolare lessinica un’univoca concordanza nel ritenere che questi rumori siano prodotti esclusivamente dai “regninsaòri”, alcuni ritenevano infatti che si tratti di manifestazioni demoniache prodotte da “strie e striòssi” che come si sà avendo venduto l’anima al Diavolo dovevano commettere quotidianamente azioni malvagie.
Molto spesso gli strani rumori che si udivano nelle vecchie abitazioni, quali scricchiolii, ticchettii, ecc. erano invece dovuti ai materiali impiegati nelle costruzioni, dalle loro dilatazioni termiche, caratteristiche e soprattutto dagli attacchi dei parassiti (legno,ecc.). Oltretutto sono stati scoperti in passato svariati casi in cui dei buontemponi si divertivano a simulare rumori misteriosi, come lanci di sassi contro gli scuri ed i tetti delle abitazioni che spesso simulavano l’infestazione di spiriti con la finalità di deprezzare un’abitazione o un luogo per acquistarli a bassissimo prezzo.
Esistono numerosi luoghi della Lessinia che la tradizione popolare vuole infestati dagli spiriti, dove si riteneva che i rumori e le apparizioni dei “regninsaòri” deriverebbero dalla vendetta di questi per i torti subiti in vita, con l’intenzione di molestare i vivi; in alcuni casi si parla addirittura di soggetti che sono divenuti paranoici credendo appunto di essere vittima dei “regninsaòri”.
Nella Lessinia del passato erano particolarmente famosi gli episodi di questo genere che si riteneva avvenissero nell’antica abitazione, ubicata in contrada Comerlati di Velo Veronese, ove nacque e visse il sanguinario “brigante Tomasìn” (al secolo Tommaso Comerlati). La figura del “brigante Tomasìn” era avvolta dal più fitto alone di mistero e satanismo e la tradizione popolare narra appunto che avesse venduto l’anima al Diavolo per entrare in possesso del famoso “libro della fisica” di Pietro D’Abano(o “libro del Diaolo”) stipulando un presunto patto con il Diavolo per giustificare non solo la sua efferata crudeltà, ma anche le ricchezze e l’imprendibilità.
Tommaso Comerlati, descritto come un uomo di grossa corporatura e dotato di una forza eccezionale era pure estremamente astuto e scaltro, ma soprattutto dotato di una crudeltà ed una spietatezza senza pari. Nella sua casa nativa della contrada Comerlati si era creato il suo covo e l’abitazione era dotata di robuste ed alte mura in pietra, munita di un invalicabile muro di cinta e le finestre dell’abitazione, molto strette ed in posizione strategica, consentivano di poter sparare in ogni direzione e fronteggiare eventuali tentativi di assedio. Alla morte di questo terribile e sanguinario brigante, avvenuta secondo la leggenda in misteriose circostanze, la sua anima dannata, per aver venduto l’anima al diavolo, sarebbe rimasta intrappolata nella sua abitazione e di notte avrebbe manifestato ai vivi la sua maligna presenza.
Casa del Tomasin, il portone del muro di cinta prima del restauro
La sua era un’abitazione in pietra molto imponente, dotata di un alto muro di cinta, di molte stanze e con annesse alcune stalle e dopo la sua morte vi fu sempre una certa difficoltà ad essere venduta a causa della demoniaca nomea che ebbe questo personaggio; si narrava infatti che le manifestazioni demoniache in questa abitazione fossero molto frequenti e che scoraggiassero i potenziali acquirenti. I continui rumori notturni, i lanci di sassi, provenienti dall’ignoto, contro le porte dell’abitazione e delle stalle avevano ormai terrorizzato tutti.
Accade però che negli anni ’30 del XX° secolo un ricco possidente della contrada Riva di S. Francesco di Roverè Veronese, soprannominato “el Tìta Martarèl” (al secolo Giambattista Pomari, nato alla fine dell’800 - Appartenente al ramo della famiglia Pomari – ricchi possidenti terrieri - localmente denominati “i Martarèi”) acquistò l’intero caseggiato appartenuto in passato al temibile “brigante Tomasìn”, ivi incluse le stalle. “Tità” era un uomo molto alto - oltre due metri - e di corporatura possente, ma era il suo carattere burbero ed impavido che ne faceva un personaggio davvero unico e temuto. Si trattava di un individuo che non andava molto per il sottile e da buon rude montanaro era solito risolvere in modo spicciolo e sbrigativo, ma efficace, le sue questioni e soprattutto quelle di natura patrimoniale. L’acquisto dell’antica abitazione del “brigante Tomasìn” era per lui un buon affare e non aveva certo tempo da perdere o dare bado ai racconti popolari delle manifestazioni demoniache che si diceva vi avvenissero. Volendo mettere a frutto subito il suo investimento “Tìta Martarèl” incaricò alcuni suoi “laorenti” e “vaccàri” di recarsi sul luogo e diede loro l’ordine di abitare il caseggiato e di mettere in funzione le stalle, riempiendole con il suo bestiame. I dipendenti, seppur timorosi di quanto avevano udito dai racconti su quel quel luogo, eseguirono gli ordini del loro “paròn”.
Tutto sembrava andare per il meglio, quando improvvisamente alcuni giorni dal loro insediamento durante una notte iniziarono ad udirsi i primi sinistri rumori. Terrorizzati da queste manifestazioni i “laorenti” abbandonarono di corsa l’abitazione dandosi alla fuga. Il giorno seguente “Tìta” fece un giro di controllo nei suoi poderi e giunse anche in contrada Comerlati e vedendo che non vi era più nessuno andò su tutte le furie. Cercò ad uno ad uno i suoi “laorenti” e li ricondusse nel loro luogo di lavoro, ammonendoli del loro comportamento ed esortandoli a “bear mànco vìn, parchè i fantasmi no i’esiste mìa ma i ghè sol che in tel fondo del bicièr!”.
Nei giorni seguenti tutto sembrava tranquillo, quando improvvisamente durante una notte iniziarono ad essere scagliate contro le porte e le finestre delle pietre. Secondo la tradizione popolare montanara questo fenomeno rappresentava una tipica manifestazione dei “rensàori” ed i “laorenti” rimasero letteralmente terrorizzati. A notte fonda uno di loro, di corsa, si diresse verso l’abitazione di “Tìta” in contrada Riva e lo svegliò alla meno e peggio bussando disperatamente alla porta. Il “laorente”, balbettante dallo spavento e pallido come un lenzuolo gli disse:” sior paròn, sior paròn, in te la casa de Vù in tei Comerlati che i reinsaòri!. Ghe el Demonio. L’è l’anima danà del brigante Tomasìn che no la vol mìa che abitemo in te la so casa e che dopremo le so stale!. Bisogna scapàr!”. “Tìta” infuriato per essere stato svegliato a notte fonda in quel modo e di aver udito quelle sciocchezze in modo molto deciso e fermo disse al suo “laorente”: “ và a casa ai Comerlati, và là e và a dormìr parchè dimàn matina te ghe da goeràr le me bestie!. Fantasmi o briganti in casa mìa no ghe n’è!. Ghe penso mì te edarè!.”.Ubbidendo alle parole del suo padrone il “laorente”, di corsa, si diresse verso l’abitazione dei Comerlati e giuntovi si infilò frettolosamente a letto nascondendosi sotto le coperte e tremando come una foglia al vento.
Da quell’episodio passarono alcuni giorni e non vi fu alcuna manifestazione paranormale, tuttavia i “laorenti” erano sempre più terrorizzati perché non comprendevano di che cosa si trattasse e soprattutto non sapevano affatto che cosa fare. Dopo alcuni giorni, a notte fonda ricomparvero gli ignoti lanci di sassi contro le porte e le finestre. Nel frattempo però “Tìta”, senza avvertire nessuno delle sue intenzioni quella notte decise di fare un giro presso la contrada Comerlati per rendersi personalmente conto di che cosa stesse avvenendo; prese due dei suoi potenti fucili da caccia e svariate cartucce a pallettoni. Si diresse a piedi, per non fare rumore, verso i Comerlati e quando giunse nelle vicinanze di soppiatto si avvicinò al caseggiato. Caricò per bene i due fucili e imprecando iniziò a sparare delle fucilate contro le porte delle sue stalle. Il rumore delle fucilate fu assordante ed i pallettoni, di grosso calibro, si conficcarono nel legno delle spesse assi dei portoni come se fossero di burro. Sembra strano ma dopo quelle potenti fucilate, sparate all'impazzata nel buio e all’improvviso dall’impavido “Tìta” non si ebbero mai più manifestazioni demoniache o di “rensòri” ed i “laorenti” poterono così proseguire tranquillamente negli anni nel loro lavoro.
Non se ne ha prova alcuna ma è quasi certo che gli strani ed ignoti rumori che si udivano nella notte, così come i lanci di sassi siano stati cagionati da dei buontemponi che si divertirono a terrorizzare la gente, simulando dei rumori misteriosi e demoniaci. Infatti i lanci di sassi contro gli scuri ed i tetti delle abitazioni erano tipici delle infestazioni di spiriti; è molto probabile che l’azione sia stata perpetrata da qualche “contraente” con l’intenzione di spaventare i “laorenti” e far circolare le voci di quanto stava avvenendo per deprezzare l’abitazione e le sue pertinenze per poterle poi acquistare a bassissimo prezzo. E’ chiaro però che costoro avevano fatto male i loro conti, infatti non avevano tenuto conto di “Tìta Martèl” che con i suoi metodi spiccioli e sbrigativi ma molto efficaci non aveva paura neppure del Diavolo
Fonte: da Facebook di Velo Veronese del 11 febbraio 2019
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