MARZO 2013, LE RIVELAZIONI ALLA PROCURA DI ROMA
Marco Accetti, nato a Tripoli nel 1955, figlio di un costruttore edile trasferitosi a Roma con la famiglia negli anni Sessanta, in tempi recenti è entrato in scena come supertestimone e reo confesso del caso Orlandi. Il 27 marzo 2013 il fotografo dai burrascosi trascorsi (in anni giovanili militò in formazioni estremiste e fu più volte denunciato o arrestato) si presentò in Procura per riferire di aver partecipato al sequestro della figlia del messo pontificio, per conto di un gruppo di laici ed ecclesiastici interessati a contrastare la politica fermamente anticomunista di papa Wojtyla.
Procuratore Giancarlo Capaldo
A raccogliere le rivelazioni fu l’allora procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, titolare assieme al pm Simona Maisto dell’inchiesta sulla «ragazza con la fascetta» riaperta nel 2008.
Poche settimane dopo (a fine aprile 2013) Accetti fu indagato per duplice sequestro di persona aggravato dalla morte degli ostaggi, con riferimento anche alla seconda vittima, Mirella Gregori, sparita 46 giorni prima di Emanuela Orlandi.
Nel marzo 2013 Accetti, oltre a consegnare in Procura un flautoche la famiglia a caldo riconobbe come quello di Emanuela, si è autoaccusato di aver contattato la ragazza per indurla ad allontanarsi da casa e di aver operato come telefonista per conto dei rapitori.
I riscontri effettuati dalla Procura di Roma, nella persona dell’aggiunto Giancarlo Capaldo, hanno consentito di verificare che l’allora giovanissimo fotografo dallo spirito anticlericale ebbe un ruolo, seppure marginale, nella scomparsa della ragazzina quindicenne: le indicazioni sui luoghi da cui partirono le chiamate in Vaticano sono risultate esatte e la voce delle telefonate registrate all’epoca corrisponde.
IL FLAUTO RICONOSCIUTO DAI FAMILIARI
Il flauto fatto ritrovare da Marco Accetti era custodito in un astuccio di pelle nera, l’interno foderato in rosso, avvolto dalla prima pagina del “Messaggero” del 29 maggio 1985 con un’intervista a Ercole Orlandi. Si trovava in un anfratto, sotto una formella raffigurante una stazione della Via Crucis, nell’ex stabilimento cinematografico De Laurentis, sulla via Pontina.
Pietro e sua sorella Natalina, appena se le trovarono tra le mani, dichiararono che si trattava di quello un tempo posseduto dalla sorella, come facevano pensare anche i segni di usura agli spigoli e la foderatura dello stesso punto di rosso.
Parlando del flauto traverso, Accetti spiegò in questi termini la decisione di consegnarlo agli inquirenti: «Ho avuto disponibilità del flauto di Emanuela Orlandi nei primi tempi, dopo la scomparsa della ragazza nell’estate 1983, in quanto partecipai all’azione, e in un periodo successivo, dal 1987. Lo avevamo nascosto in una nicchia sotterranea della basilica di Santa Francesca Romana, dove mandai una giovane tedesca a recuperarlo. L’ho conservato per il valore artistico e utilizzato in un allestimento fotografico. Adesso, attirando l’attenzione attorno all’evento-flauto, contavo di sfruttare i media per dare massimo risalto al mio appello, rivolto ai pochi ecclesiastici ancora vivi, perché rendano anche loro testimonianza».
IL FOTOGRAFO INVESTÌ E UCCISE IL PICCOLO JOSÈ GARRAMON
Maria Laura Garramon , Marco Accetti
Sempre nel 1983, Marco Accetti fu coinvolto in un caso ancora per molti versi oscuro: il fotografo era al volante del furgone che il 20 dicembre nella pineta di Castel Porziano travolse e uccise Josè Garramon, un ragazzino uruguayano di 12 anni, figlio di un funzionario di un’organizzazione internazionale. Al termine del processo, Accetti fu condannato a due anni e 4 mesi di carcere per omicidio colposo e omissione di soccorso. Le circostanze che portarono il ragazzino a una ventina di chilometri da casa (la famiglia viveva all’Eur), in piena notte, nella strada buia in cui transitava il Ford Transit di Accetti, non sono però mai state chiarite. Maria Laura Garramon (nella foto a sinistra) ha più volte incontrato papa Francesco e annunciato di voler portare il suo caso davanti alla Corte europea per conoscere finalmente la verità sui retroscena legati alla morte di suo figlio.
ALLE MANIFESTAZIONI VESTITO DA SACERDOTE
Marco Accetti in uno dei suoi travestimenti da sacerdote, durante una manifestazione anti-militarista alla fine degli anni Settanta.
I RAPPORTI DI ACCETTI CON AMBIENTI ECCLESIALI
Cortile interno del collegio San Giuseppe de Merode
Marco Accetti entrò in contatto con ambienti religiosi fin da ragazzo, negli anni delle scuole medie, frequentate nel rinomato collegio San Giuseppe de Merode, in piazza di Spagna. All’epoca direttore dell’istituto era monsignor Pierluigi Celata, collaboratore del Segretario di Stato cardinale Agostino Casaroli, ispiratore del dialogo con il mondo dell’Est (la cosiddetta ostpolitik), in contrasto con le posizioni più intransigenti di papa Giovanni Paolo II.
Lo stesso Accetti, nell’accusarsi di aver preso parte al sequestro Orlandi, dichiarò di aver agito per conto della fazione di tonache dissidenti rispetto all’anticomunismo del pontefice polacco. La ragazza, in base a questo scenario, sarebbe stata sequestrata per compiere una serie di ricatti tesi a vanificare le accuse di Alì Agca al mondo dell’Est, in quanto mandante dell’attentato del 1981. Sei giorni dopo la scomparsa della quindicenne, il turco ritrattò le accuse ai bulgari.
IL RACCONTO DEL FOTOGRAFO SU MIRELLA GREGORI
Mirella Gregori
«Entrai in contatto non solo con Emanuela Orlandi, ma anche con Mirella Gregori. Anche lei fu fatta allontanare da casa nell’ambito di un piano di ricatti tra gruppi opposti in Vaticano».
Marco Accetti, nel suo memoriale e nelle dichiarazioni rese davanti al procuratore aggiunto Capaldo, si è autoaccusato pure del sequestro Gregori. A suo dire la ragazza, figlia di un barista in zona Termini, nelle settimane successive alla scomparsa (7 maggio 1983) visse nei pressi di corso d’Italia con un ragazzo svizzero di cui si era innamorata, conosciuto l’estate precedente in vacanza.
IL PROCURATORE PIGNATONE OTTIENE L’ARCHIVIAZIONE
Procuratore capo Giuseppe Pignatone
Nel 2015 alla vicenda giudiziaria viene impressa un’accelerazione: il procuratore capo Giuseppe Pignatone, dopo aver avocato a sé il caso, deposita la richiesta di archiviazione del giallo Orlandi-Gregori. Inchiesta chiusa, dopo otto anni di indagini guidate dall’aggiunto Giancarlo Capaldo, che si dichiara in dissenso e non firma l’atto.
Dopo alcuni mesi il gip accoglie l’istanza di Pignatone e i sei indagati per duplice sequestro di persona aggravato dalla morte degli ostaggi (Marco Accetti, ma anche don Pietro Vergari, Sabrina Minardie tre esponenti minori della vecchia banda della Magliana) vengono prosciolti.
I RIFERIMENTI AL CASO ORLANDI NELLE FOTO-CHOC
In questa immagine trova accoglienza l’omicidio
Il sito di Marco Accetti, sezione “Opere di arte fotografica - Istituzioni”, contiene numerose immagini che fanno riferimento al mistero della scomparsa di Emanuela e Mirella.
Il furgone in cima alla collinetta somiglia a quello sequestrato dopo l’incidente del 20 dicembre 1983 nella pineta di Castel Porziano, che costò la vita a Josè Garramon. La scena è ambientata sulla via Salaria, all’altezza di Monterotondo, dove il supertestimone finse di abbandonare una grande scatola con il corpo di Mirella Gregori, quando in realtà si sarebbe trattato di un manichino. L’uomo che sale a piedi sul crinale è una sua controfigura.
La lettura artistica fatta dall’autore esula da riferimenti concreti:
“In questa immagine trova accoglienza l’omicidio, ormai reso istituzione da secoli di mal vivere. Ma ottimisticamente si coglie nella posizione delle figure la ‘rinascita’ dell’uomo. Da un cadavere andando verso un ‘alto’. Rinascita interiore e civile”.
LA COLLINA DELLA FALSA SEPOLTURA DI MIRELLA GREGORI
Foto della sezione “Istituzioni”, richiamata negli atti istruttori, in quanto su questa collina, chiamata “Empireo”, sulla via Salaria, sarebbe avvenuta la falsa sepoltura di Mirella Gregori di cui Accetti ha parlato negli interrogatori e nel suo memoriale. L’immagine è stata ideata per richiamare tutt’altro: “La guerra è atto innaturale, per cui nella mia opera il ‘soldatino’ va all’assalto della naturale bellezza di una collina. La natura umana che risolve è quella intellettuale”.
SUOR DOLORES, STESSO NOME DELLA DIRETTRICE DI S. APOLLINARE
Foto della sezione “Istituzioni” dal titolo “Ritratto di madre Dolores (uso di sagoma sì come le figure di un presepe eterno)”. Il nome della religiosa, suor Dolores, coincide con quello della direttrice della scuola di musica di Sant’Apollinare, frequentata da Emanuela Orlandi. Anche in questo caso, ogni riferimento secondo l’autore è casuale:
“Nelle varie interpretazioni di quest’opera prediligo quella della Madre che assiste allo scorrere dei tanti e bei sembianti adolescenziali. Senza espressione – giudizio”.
LA MODELLA MENTRE SUONA UN FLAUTO SOSPETTO
Foto della sezione “Collegio” dal titolo “Frère pensa d’essere scultore nel passato con modella”, dalla forte valenza indiziaria per la presenza di un oggetto-chiave e di un possibile testimone. Marco Fassoni Accetti ha rivelato che il flauto suonato dalla ragazza sullo sfondo è quello appartenuto a Emanuela Orlandi, di cui lui entrò in possesso nel 1987, quando gli fu consegnato da una giovane fiancheggiatrice della Stasi, di nazionalità tedesca, che l’aveva recuperato, su sua indicazione, nella chiesa di Santa Francesca Romana. Lo strumento, conservato per il suo valore artistico e per essere utilizzato in allestimenti scenografici, fu poi nascosto dal supertestimone in un anfratto degli ex stabilimenti cinematografici De Laurentis, sulla via Pontina, dove è stato recuperato nel marzo 2013, come elemento di prova della sua partecipazione al sequestro Orlandi-Gregori.
Nella foto, in primo piano (non ripreso con questo taglio), appare un uomo di spalle che potrebbe essere Ronald James Gillespie, chimico canadese, padre di Caterina, la ragazza che Marco Accetti ha dichiarato di aver tentato di coinvolgere a fine 1983 in false accuse contro monsignor Marcinkus. Il supertestimone non ha voluto svelare l’identità della giovane modella che suona.
L’AUTO ABBANDONATA IN GARAGE COME LA FAMOSA BMW
La foto di Accetti intitolata “Macchina grande nei sotterranei” rimanda alla Bmw fatta trovare nel 2008 nel parcheggio di Villa Borghese. Primo proprietario dell’auto, che in realtà non era quella utilizzata per il sequestro Orlandi, era stato il faccendiere Flavio Carboni.
Marco Accetti: “Sopra, in superficie, il collegio presunto umile. Sotto, nelle reali viscere, la potenza inutile e vacua di un macchinone americano, giustamente in rovina, in ogni rovina”.
Fonte: srs di Fabrizio Peronaci, da Corriere della Sera del 4 novembre 2017
CASO ORLANDI, IL TESTE SI NASCONDE SOTTO IL PIANOFORTE: ARRESTATO
L’autoaccusa: «Così Emanuela sparì»
Marco Accetti bloccato nel suo locale, in via Tripoli: era evaso dai domiciliari dove si trovava per un residuo di pena. Il suo ruolo nel caso della «ragazza con la fascetta»
diRinaldo Frignani e Fabrizio Peronaci
Caso Orlandi il teste si nasconde sotto il pianoforte: arrestato
Marco Accetti bloccato nel suo locale in via tripoli: era evaso dai domiciliari dove si trovava per un Rinaldo Frignani e Fabrizio Peronaci
Per sfuggire all’arresto si era nascosto in un luogo che riteneva sicuro: sotto un pianoforte. Ma lo stratagemma non gli è bastato: nuovo guaio giudiziario per Marco Accetti, il fotografo romano salito alla ribalta delle cronache nel 2013, per essersi autoaccusato del sequestro di Emanuela Orlandi, dopo aver fatto ritrovare un flauto a suo dire appartenuto alla “ragazza con la fascetta” scomparsa nel lontano 1983. Il supertestimone e reo confesso è stato arrestato dagli agenti del commissariato Vescovio nel suo locale di via Tripoli, al Nomentano, per evasione: pur trovandosi ai domiciliari, a causa di un residuo di pena ancora da scontare, si era allontanato dalla sua abitazione, che si trova nello stesso palazzo.
Inutile il tentativo di sfuggire alla cattura: è stato qualche scricchiolio di troppo del palcoscenico adibito a feste private o concerti a tradire Accetti, che è stato notato da un poliziotto accucciato sotto il pianoforte e immediatamente bloccato. La vicenda più importante nella quale il superteste del caso Orlandi (poi prosciolto dall’accusa di sequestro di persona, nel 2015) è stato coinvolto in precedenza riguarda la morte del piccolo Josè Garramon, 12 anni, travolto e ucciso nel dicembre 1983 nella pineta di Castel Porziano dal furgone Ford Transit guidato dallo stesso Accetti. Al termine del processo, l’uomo, oggi 62 enne, fu condannato a 2 anni e 2 mesi di carcere per omicidio colposo e omissione di soccorso. Il residuo ancora da scontare riguarda una lontana vicenda giudiziaria.
Fonte: srs di Fabrizio Peronaci, da Corriere della Sera del 14 novembre 2017
CASO ORLANDI, PARLA MARCO ACCETTI: “FALSO CHE CI FU UNA TELEFONATA LA SERA DEL SEQUESTRO”
Pubblichiamo dal blog di Fabrizio Peronaci, giornalista del “Corriere della Sera” e scrittore, l’ultimo contributo sul caso di Emanuela Orlandi. Oltre a due libri sul giallo della giovane cittadina vaticana, Peronaci ha pubblicato di recente “La Tentazione”, libro-verità su ripetuti scandali sessuali nell’ordine dei carmelitani scalzi.
Il rapitore reo confesso si rivolge alla famiglia: “Su quel nastro la voce era di Emanuela o no? Perché non lo volete dire?”
«È una mega balla, una menzogna totale. Il cosiddetto Amerikano ero io, le telefonate in Vaticano le ho fatte io e quindi lo posso dire con assoluta certezza: la sera della scomparsa della ragazza, quel 22 giugno, non ci fu nessuna telefonata né al centralino né alla sala stampa della Santa Sede. I nostri primi contatti avvennero qualche giorno dopo, il primo con una comunicazione brevissima alla sala stampa».
Marco Accetti, l’uomo indagato dalla Procura nel 2013 per il caso Orlandi-Gregori e poi prosciolto, in relazione alla presunta rivendicazione del sequestro nello stesso giorno della scomparsa (ipotesi circolata in queste ore, seppure senza riscontri) è categorico.
«Non è vero, quella telefonata non esiste, è una falsità. Assurdo pensare che un’ora dopo l’azione noi ci mettessimo a telefonare. La verità è che accusare Il Vaticano fa notizia, porta soldi, garantisce audience in televisione. Anche se non è vero».
Lo stesso Accetti, in relazione alle registrazioni audio finite agli atti dell’inchiesta, aggiunge: «Posso rivolgere una domanda a tutta la famiglia Orlandi? La domanda è questa: nell’83 cosa diceste tra voi, come reagiste, quando uscì il primo nastro, quello in cui la ragazza ripete più volte quale classe frequenta? Pensaste che era Emanuela, giusto?».
Pausa. «Bene. Poi, dopo aver ascoltato il nastro successivo con la voce della ragazza che dice di essere stanca e altri frasi, cosa pensaste?».
Marco Accetti ora alza la voce, si altera. «Posso conoscere il vostro parere, cortesemente? In questo secondo nastro la voce era di Emanuela o no? Di recente l’avete ascoltata di nuovo. Non la trovate identica alla voce del primo nastro?».
La conclusione è una domanda retorica. «Ottimo, ora è tutto chiaro. Come voi sapete, sul retro di questo secondo nastro c’è la mia voce, mentre leggo un comunicato. Davanti a questa evidenza cosa dite? Sostenete ancora che io non ho avuto un ruolo nel sequestro della vostra congiunta? E perché lo fate? Perché non vi indigna che uno dei responsabili, io, non abbia fatto neanche un giorno di galera? Pensavo a questo, stasera, nel giorno dei 35 anni da quel 22 giugno, mentre guardavo il cielo solcato da bellissimi disegni di nuvole. Perché voi Orlandi fate di tutto per farmi passare per mitomane? C’è qualcosa che non vi piace che io possa dire?» Sfogo concluso. La telefonata con Marco Accetti si conclude.
Questo gruppo di Giornalismo Investigativo, naturalmente, è a disposizione per qualsiasi replica, nell’ambito di un civile confronto che possa contribuire all’accertamento della verità.
Dalla pagina del gruppo Facebook “Giornalismo investigativo by Fabrizio Peronaci”
Fonte: da NUOVA SOCIETA’ del 23 giugno 2018
Nessun commento:
Posta un commento