La moderna esegesi dà ormai per scontata la inesistenza di
quello che fino al 19mo sec. era ritenuto il più antico dei Vangeli: il testo
ebraico del Vangelo di Matteo, tanto che quell’antico e perduto documento è
ritenuto, oggi, poco meno di una legenda.
Il problema é in gran parte connesso alla comparazione
filologica e linguistica, tra i Vangeli di Matteo e Marco che, a giudizio degli
studiosi, non lascia dubbi sulla dipendenza del primo dal secondo e non
viceversa. Abbiamo avuto occasione di mostrare, con uno studio comparativo
puntuale e controcorrente, la discutibilità di questa tesi illustrando svariati
elementi che portano a pensare esattamente il contrario.
In questo articolo affronteremo il problema da un diverso
punto di vista: quali sono gli elementi documentali a sostegno
della vetustità del Vangelo di Matteo e soprattutto della esistenza di un
antico testo di questo Vangelo in ebraico? Esistono elementi
che ci consentono di ricostruire qualche parte di questo perduto Vangelo?
Avremo occasione di mostrare che le prove documentali a
sostegno della esistenza di questo testo sono talmente limpide e numerose che
non si può non restare allibiti di fronte alla unanimità dello scetticismo dei
moderni studiosi.
Le testimonianze
Vediamo una rapida e certamente non esaustiva carrellata,
delle testimonianze della patristica relativamente allo scomparso Vangelo di
Matteo ebraico. Cominciamo con Ireneo. La sua testimonianza é databile al 175
circa, e di conseguenza é tra le più antiche disponibili:
“…(gli Ebioniti) seguono unicamente il Vangelo che è secondo
Matteo e rifiutano l’apostolo Paolo, chiamandolo apostata della legge…”.
(Ireneo, Adv. Haer., I, 26).
Lo stesso Ireneo aggiunge più avanti, che gli Ebioniti
sostenevano la nascita non verginale di Gesù. In questa ipotesi é possibile che
il Vangelo in loro possesso non comprendesse la sezione della natività e
cominciasse, direttamente con il Battesimo di Giovanni. Torneremo su questa
ipotesi tra breve. In linea con quanto affermava Ireneo sono le testimonianze
di Origene, Epifanio e Teodoreto:
“…(I Nazarei) posseggono il Vangelo secondo Matteo,
assolutamente integrale, in ebraico, poiché esso è ancora evidentemente
conservato da loro come fu originariamente composto, in scrittura ebraica. Ma
non so se abbiano soppresso le genealogie da Abramo fino a Gesù…”. (Epifanio,
Haer. XXIX, 9,4).
“…(I Nazarei) accettano unicamente il Vangelo secondo gli
Ebrei e chiamano apostata l’apostolo (Paolo)…”. (Teodoreto, Haer. Fabul. Comp.
II, 1).
“…(I Nazarei) hanno usato soltanto il Vangelo secondo
Matteo…”. (Teodoreto, Haer. Fabul. Comp. II, 2).
E’ indubbio che, talora, le testimonianze risultano
contrastanti o palesemente errate, come quelle di Clemente Alessandrino, che
citando passi attribuiti allo scomparso Vangelo di Matteo, si riferiva in
realtà ad un testo ritrovato nel 1945 a Nag Hammadi: il Vangelo di Tommaso.
Come pure sta scritto nel vangelo secondo gli Ebrei: “Chi si stupisce
regnerà. E chi regnerà si riposerà” (CLEMENTE ALESS., Strom., 2, 9).
“Chi cerca non smette fino a tanto che abbia trovato;
quando avrà trovato si stupirà, ed essendosi stupito, regnerà; ed avendo
raggiunto il regno si riposerà” (CLEMENTE ALESS., Strom., 5, 14).
E’ possibile, ancora, che esistessero fino al terzo secolo,
altre copie ebraiche di Vangeli che erroneamente erano ritenute essere il
Vangelo ebraico di Matteo. In questa categoria ricade, probabilmente, il
documento che fu tradotto da Gerolamo e che, dalla sua diretta testimonianza,
appare essere sostanzialmente diverso sia da Matteo in nostro possesso sia da
quello desumibile dalle rimanenti testimonianze della patristica.
Gli studiosi hanno provato a sintetizzare ed analizzare le
testimonianze per risalire al numero ed al contenuto di questi documenti, ma
non vogliamo addentrarci in questo argomento soffermandoci su un unico dato
incontrovertibile: copie ebraiche di Vangeli esistevano già alla fine del
secondo secolo ed avevano, quindi, una datazione almeno paragonabile a quella
dei Vangeli, inoltre, sebbene si ricavino analogie con i canonici, le
testimonianze fanno credere che tra questi documenti esistevano di certo testi
del tutto indipendenti.
Un dato é certamente incontestabile: la patristica da per
scontata l’esistenza di questo testo, sebbene esistano testimonianze
discordanti, ne esistono anche molte (specie le più antiche) che prospettano
una visione abbastanza concorde del testo se non, addirittura, riportando un
numero sufficiente di elementi tale da ricostruire intere sezioni di questo
documento.
Esistono testimonianze particolarmente interessanti che
riportano brani estremamente vicini al Vangelo ebraico di Matteo, ma con una
forma che pare più arcaica e vicina al panorama storico e culturale in cui si
ambientano gli eventi neotestamentari. Brani come quello riportato da Origene:
“In un certo vangelo secondo gli Ebrei, se uno vuole
accettarlo non come un’autorità, ma come delucidazione della presente
questione, sta scritto: “Un altro ricco gli domanda: “Che cosa debbo fare di
bene per vivere?”. Gli rispose: “Uomo, pratica la Legge e i Profeti”. Gli
rispose: “L’ho fatto!”. Gli disse: “Va’, vendi tutto quanto possiedi,
distribuiscilo ai poveri, poi vieni e seguimi”. Ma il ricco iniziò a grattarsi
la testa. Non gli andava! Il Signore gli disse: “Come puoi dire di avere
praticato la Legge e i Profeti? Nella Legge sta scritto: Amerai il tuo prossimo
come te stesso. E molti tuoi fratelli, figli di Abramo, sono coperti di cenci e
muoiono di fame, mentre la tua casa é piena di molti beni: non ne esce proprio
nulla per quelli!”. E rivolto al suo discepolo Simone, che sedeva presso di
lui, disse: “Simone, figlio di Giovanni, é più facile che un cammello entri per
la cruna di un ago che un ricco nel regno dei cieli“” (ORIGENE, In Math.,
15, 14, solo testo lat.).
Sembra estremamente vicine all’equivalente Matteo ebraico
che riporta:
Mt19,16 Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse:
«Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?». [17]Egli
rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi
entrare nella vita, osserva i comandamenti». [18]Ed egli chiese: «Quali?». Gesù
rispose: «Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare
il falso, [19]onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso».
[20]Il giovane gli disse: «Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca
ancora?». [21]Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, và, vendi quello che
possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi».
[22]Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze.
[23]Gesù allora disse ai suoi discepoli: «In verità vi dico: difficilmente un
ricco entrerà nel regno dei cieli. [24]Ve lo ripeto: è più facile che un
cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli».
Lo sviluppo logico e la sequenza del brano declamato da
Origene appare certamente più verosimile. Praticare la Legge ed i Profeti é la
sintesi del comportamento del Pio ebreo, mentre il brano di Matteo non propone
la Legge ma una visione estremamente riduttiva di essa. Se supponiamo che gli
interlocutori fossero ebrei il brano di Origene é di certo quello che si
avvicina di più ad una situazione compatibile con il clima culturale e con la
prima platea cristiana fatta di giudei. Il brano di Origene, rispetto alla
versione di Matteo, inoltre, pone la Legge dell’amore non come un di più, ma
come una “conditio sine qua non“, in pratica seguire la Legge ed i
Profeti é solo ipocrisia se non si unisce a ciò la pratica dell’amore e della
carità verso il prossimo che costituisce la base stessa della Legge.
In questa ottica la carità appare come un dover primario e
la ricchezza come una colpa molto di più di quanto non lo sia nel brano di
Matteo, riportandoci al tema della ipocrisia come vero nemico della fede: tema,
questo, che pervade l’intero testo di Matteo a noi pervenuto.
Esiste anche un’altro interessante elemento da sottolineare.
Simone é probabilmente, Simon Pietro, ma il brano identifica anche la paternità
di Simon Pietro: Giovanni (che Matteo sostituisce con Giona). Giovanni il
Battista, (lo vedremo più avanti) era discendente della stirpe di Aronne ed il
fatto che sia proprio lui a ungere il Messia (l’Unto di Davide) non può non
ricollegarlo al messia sacerdotale di Aronne che caratterizza le scritture
qumramiane. Questo personaggio precede la venuta del Messia di Davide (come
avviene per Gesù) e ne sancisce con il gesto dell’unzione, la regalità. Alla
morte di Giovanni chi avrebbe potuto prendere il suo posto? E’ Gesù che si fa
carico di entrambe i ruoli?
Supponendo che ciò sia vero non si può non notare la
permanenza della duplice funzione (sacerdotale e politica) nella struttura
della nascente Chiesa. Pietro sembra prendere il posto del messia di Aronne e
Giacomo quello del Messia di Davide. Se per Giacomo (almeno stando agli
apocrifi) non si può dubitare della sua discendenza davidica) quella di Pietro
correlata ad Aronne, sembra solo una illazione. Per tornare al brano in esame,
non si può escludere che il padre di Pietro fosse proprio Giovanni il Battista.
La ipotesi non é poi così assurda se si pensa che il fratello, Andrea, viene
segnalato come uno dei discepoli di Giovanni (vedi Gv 1,40) e il suo potrebbe
essere molto più che un semplice rapporto discepolo - maestro. Ma ritorniamo a
noi.
Altri brani riportatici da Origene ci spingono ad ulteriori
riflessioni:
Se uno accetta il vangelo secondo gli Ebrei, resterà
perplesso, giacchè‚ qui lo stesso Salvatore afferma: “Poco fa mia madre, lo
Spirito santo, mi prese per uno dei miei capelli e mi trasportò sul grande
monte Tabor” (ORIGENE, In Johan., 2, 6 e In Jerem., 15, 4).
Il brano proposto, sembra richiamare il Rotolo dell’Angelo e
l’ascesa di Joshua Ben Pediah al cielo trasportato dall’angelo Pnimea. L’ascesa
a mezzo di trasporto soprannaturale e la straordinaria funzione dello Spirito
Santo nella generazione di Gesù quale figlio di Dio, é richiamato varie volte
dalla patristica e sembra essere uno dei pochi elementi certi che
caratterizzavano e distinguevano i Vangelo di Matteo: scrive Origene:
“Ma chi legge il Cantico dei cantici e comprende che lo
sposo dell’anima é il Verbo di Dio, e ha fiducia nel vangelo secondo gli Ebrei,
che recentemente ho tradotto, non avrà difficoltà a riconoscere che il Verbo di
Dio procede dallo Spirito e che l’anima, sposa del Verbo, ha una suocera, cioè
lo Spirito santo che presso gli Ebrei è di genere femminile, ruah; lì, infatti,
il Salvatore dice di sè: “Poco fa mia madre, lo Spirito santo, mi ha preso
per uno dei miei capelli” (GEROLAMO, In Mich., 7, 6). [u]
Una conferma di ciò ci perviene da un’altra sensazionale
scoperta fatta a Nag Hammadi nella metà dello scorso secolo: il Vangelo di
Filippo.[/u]
Vangelo di Filippo 17 Taluni hanno detto che Maria
ha concepito dallo Spirito Santo. Essi sono in errore. Essi non sanno quello
che dicono. Quando mai una donna ha concepito da una donna? Maria è la vergine
che nessuna forza ha violato, e questo è un grande anatema per gli Ebrei, che
sono gli apostoli e gli apostolici. Questa Vergine, che nessuna forza ha
violato […], e le Potenze si contaminano. E il Signore non avrebbe detto: “Mio
Padre che è nei cieli,” se non avesse avuto un altro padre, ma avrebbe
semplicemente detto: “Mio Padre”.
Altro elemento che emerge dalle testimonianze della
patristica, relativamente al Vangelo degli Ebrei, é la predominanza della
figura di Giacomo; lo stesso Gerolamo scrive… dopo la risurrezione del
Salvatore, anche il vangelo detto secondo gli Ebrei, recentemente tradotto da
me in lingua greca e latina e del quale fa spesso uso Origene, afferma: “Dopo
aver dato il sudario al servo del sacerdote, il Signore andò da Giacomo e gli
apparve“. Giacomo infatti aveva assicurato che, dal momento in cui aveva
bevuto al calice del Signore, non avrebbe più preso cibo fino a quando non
l’avesse visto risorto dai dormienti. E poco dopo (prosegue): “Portate la
tavola e il cibo” dice il Signore. E subito è detto: “Prese il pane, lo
benedisse, lo spezzò e diede a Giacomo il Giusto, dicendo: “Fratello mio,
mangia il tuo pane, poichè il figlio dell’uomo è risorto dai dormienti“”
(GEROLAMO, De viris ill., 2)
Elemento questo, certamente non nuovo e rilevabile non solo
negli scritti neotestamentari come gli Atti ed, in particolare la lettera di
Paolo ai Galati, ma anche da apocrifi come il Vangelo di Tommaso in cui si
legge:
Vangelo di Tommaso 12. I discepoli dissero a Gesù,
“Sappiamo che tu ci lascerai. Chi sarà la nostra guida?” Gesù disse loro,
“Dovunque siate dovete andare da Giacomo il Giusto, per amore del quale
nacquero cielo e terra.”
L’episodio che vede Gesù porgere il pane a Giacomo assume
una rilevanza particolarissima se confrontato con la narrazione della Cena
degli Ultimi Tempi ritrovata a Quran. In essa il Messia di Aronne (Gesù Messia
di Davide aveva assunto anche le funzioni di sacerdote e quindi di Massia di
Aronne, dopo la morte di Giovanni) porge il pane per primo al Messia di Davide.
Si noti che il rito chiarissimo dopo la morte di Gesù sembra essersi svolto
analogamente anche nell’Ultima cena. Sebbene, infatti, il testo non ne parli
esplicitamente, sembra emergere chiaramente il fatto che anche in quella
occasione Giacomo fu il primo a ricevere il calice con il vino.
La patristica ci da, poi, anche informazioni quantitative
che ci consentono di valutare per grandi linee, le differenze tra l’originale
ebraico ed il vangelo a noi pervenuto. Secondo Niceforo, il Vangelo degli Ebrei
aveva 2.200 stichi e cioè solo 300 meno del nostro vangelo di Matteo. Un’ultima
indicazione, prima di passare alla ricostruzione del primo capitolo del Vangelo
ebraico di Matteo, ci viene da Epifanio:
“non so se hanno eliminato la genealogia da Abramo a
Cristo” (EPIFANIO Haeret., 1, 2, 29).
IL PRIMO CAPITOLO DEL VANGELO EBRAICO DI MATTEO
Attraverso le testimonianze di Epifanio e sulla base del
confronto con i Vangeli canonici (per determinare la sequenza dei brani e
l’eventuale presenza di frammenti non pervenutici) possiamo ricostruire
interamente, il primo capitolo del Vangelo ebraico di Matteo. Proponiamo prima
il testo e successivamente il commento ed il procedimento adottato per la
ricostruzione.
- [1] Ci
fu un uomo di nome Gesù, che all’età di circa trent’anni ci scelse.
- [2] E
quando, andato a Cafarnao, entrò in casa di Simone, soprannominato Pietro,
aprì la bocca e disse: “Mentre passavo lungo il lago di Tiberiade ho
scelto Giovanni e Giacomo, figli di Zebedeo, e Simone, Andrea, Taddeo,
Simone, lo zelota, e Giuda Iscariota; ed ho chiamato pure te, Matteo, che
eri seduto al telonio, e tu mi hai seguito”.
- [3] Da
voi dunque voglio che voi dodici apostoli siate una testimonianza per
Israele. (EPIFANIO, Haeres., 30, 13, 2)
- [4] Nei
giorni di Erode re di Giudea, sotto il sommo sacerdote Caifa, uno di nome
Giovanni andò sul fiume Giordano a battezzare con il battesimo di
penitenza.
- [5] Di
lui si diceva che fosse della stirpe del sacerdote Aronne, figlio di
Zaccaria e di Elisabetta. E tutti accorrevano da lui.(EPIFANIO, Haeres.,
30, 13, 6)
- [6] Quando
Giovanni battezzava, accorsero da lui i farisei e furono battezzati e così
tutta Gerusalemme. Giovanni aveva un abito di pelo di cammello e una
cintura di cuoio intorno ai fianchi.
- [7] Il
suo cibo era miele selvatico, ed il gusto come quello della manna, come
uva schiacciata all’olio.(EPIFANIO, Haeres., 30, 13, 4)
- [8] Mentre
era battezzato il popolo, venne anche Gesù e fu battezzato da Giovanni.
- [9] E
salito che fu dall’acqua, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito
santo, in forma di colomba, che scese ed entrò in lui.
- [10] Ed
una voce disse dal cielo: “Tu sei il mio figlio diletto. In te mi sono compiaciuto”.
- [11] Ed
ancora: “Oggi ti ho generato”. E il luogo fu subito irradiato da una
grande luce.
- [12] Giovanni
a questa vista chiese: “Chi sei tu?”. E di nuovo una voce dal cielo a lui
: “Questo é il mio figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto” allora
Giovanni cadde ai suoi piedi e disse: “Ti supplico, Signore, battezzami
tu!”. Ma lui l’impedì dicendo: “Lascia! Conviene, infatti, che si adempia
ogni cosa.(EPIFANIO, Haeres., 30, 13)
Cominciamo col dire che l’assenza della Natività é
giustificabile con le seguenti osservazioni:
1) Marco non la cita: e vista l’antichità indiscutibile del
testo (gli esegeti lo considerano unanimemente più antico di Matteo) é
probabile che questa mancasse nel testo ebraico
2) La natività é inessenziale per l’autore del testo che,
probabilmente, dava per scontata la discendenza davidica, visto quello che
segnala Epifanio. Infatti l’autore pone l’attenzione sul battesimo non come
semplice simbolo dell’inizio dell’attività pubblica di Gesù, ma come
generazione a nuova vita quale figlio di Dio (la discesa dello spirito pervade
Gesù: “Entra in lui”, come fa notare Epifanio)
3) L’apocrifo gnostico Vangelo di Filippo segnala questo
particolare facendo notare la contraddizione insita nella doppia discesa dello
spirito Santo (durante la Nascita e nel Battesimo di Giovanni) oltre che la
constatazione che lo Spirito Santo é considerato (dalla gnosi) componente
femminile che e quindi madre di Gesù mentre il Padre (Dio) é la componente
maschile.
Il brano introduttivo 1-3 ed in particolare la frase:
“ed ho chiamato pure te, Matteo, che eri seduto al
telonio, e tu mi hai seguito” mi pare oltremodo credibile, poichè
giustificherebbe anche la denominazione assunta successivamente, dal testo di
Matteo che in alcuna sua parte sembra riportarci all’apostolo Matteo, quale
autore.
Credibile sembra essere anche il verso 4 se confrontato con
Luca, vediamo entrambe i testi:
Luca 3,[1] Nell’anno decimoquinto dell’impero di
Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode
tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturèa e della
Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilène, [2]sotto i sommi sacerdoti Anna e
Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.
ProtoMatteo 1,[4] Nei giorni di Erode re di Giudea,
sotto il sommo sacerdote Caifa, uno di nome Giovanni andò sul fiume Giordano a
battezzare con il battesimo di penitenza. [5] Di lui si diceva che fosse della
stirpe del sacerdote Aronne, figlio di Zaccaria e di Elisabetta. E tutti
accorrevano da lui.2
La maggiore precisione di Luca e complessità della
costruzione, tipica dell’autore e che si riscontra anche nell’altra sua opera,
gli Atti, ci segnala la vetustità del brano segnalato da Epifanio. Voglio anche
far notare la segnalazione presente in Epifanio, inerente la discendenza da
Aronne che é tutt’altro che marginale.
Nella letteratura qumramiana esistevano due messia: uno
della stirpe di Aronne con funzione sacerdotale ed uno della stirpe di Davide
con funzione politica. Il Messia di Aronne aveva il compito (negli ultimi
tempi) di “incoronare” il Messia di Davide: proprio ciò che Giovanni fa con
Gesù. In proposito segnalo la cena degli ultimi tempi: famoso testo qumramiano
che ha straordinaria similitudine con l’ultima Cena.
E quando si raduneranno alla mensa comune e a bere il vino
dolce, allorchè la mensa sarà pronta e il vino dolce da bere sarà versato,
nessuno stenda la sua mano sulla primizia del pane e del vino prima del
sacerdote, giacchè egli benedirà la primizia del pane e del vino dolce e
stenderà per primo la sua mano sul pane. Dopo, il messia di Israele stenderà le
sue mani sul pane e poi benediranno tutti quelli dell’assemblea della comunità
ognuno secondo la sua dignità. (1QSa Regola dell’assemblea I, 17)
E’ questa la regola di abitazione per gli accampamenti. Cammineranno
in essa nel tempo determinato dell’empietà fino all’avvento del Messia di
Aronne e di Israele in gruppi di almeno dieci uomini: per migliaia, centinaia
cinquantine e decine (CD Documento di Damasco XII, 1) Anche la successione dei
brani segnalata da Epifanio, riprende quella di Matteo e Marco. Mi pare
plausibile l’assenza delle citazioni bibliche, introdotte in Marco e Matteo
probabilmente grazie ad un approfondimento teologico assente nella stesura del
primo Vangelo (quello segnalato da Epifanio).
Compariamo, ad esempio, i brani di Marco e Matteo con
quelli di questo protovangelo:
Mt 3,[4]Giovanni portava un vestito di peli di cammello e
una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano locuste e miele
selvatico. [5]Allora accorrevano a lui da Gerusalemme, da tutta la Giudea e
dalla zona adiacente il Giordano; [6]e, confessando i loro peccati, si facevano
battezzare da lui nel fiume Giordano.
Mc 1,[4]si presentò Giovanni a battezzare nel deserto,
predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. [5]Accorreva
a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si
facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
[6]Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno
ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico [7] e predicava: «Dopo di me
viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per
sciogliere i legacci dei suoi sandali. [8] Io vi ho battezzati con acqua,
ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo».
Protovangelo di Matteo [6]Quando Giovanni battezzava,
accorsero da lui i farisei e furono battezzati e così tutta Gerusalemme.
Giovanni aveva un abito di pelo di cammello e una cintura di cuoio intorno
ai fianchi.[7]Il suo cibo era miele selvatico, ed il gusto come quello
della manna, come uva schiacciata all’olio.3
Si noti la semplicità della forma del protovangelo. Voglio
far notare anche la differenza nel materiale utilizzato per la cintura: la
pelle indicato in Marco e Matteo ed il cuoio per il protovangelo. Tra i
ritrovamenti qumramiani, sono state rinvenute scarpe di cuoio ma nessun
indumento in pelle, il che è essenzialmente dovuto alla impurità che per gli
esseni, era rappresentata da questo tipo di indumenti. Per la verità essi erano
soliti indossare abiti di tela e li utilizzavano finchè non erano logori, ma
nel complesso credo che l’abito di peli di cammello e sottolineo “peli” e non
pelle, fosse compatibile con la cultura essena e lo rende quindi credibile.
Anche la costruzione dei versi 8-12 si rivela molto più
antica di quella utilizzata da Matteo e Marco… vediamo il perchè comparandole:
Mt3, [13]In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano
da Giovanni per farsi battezzare da lui. [14]Giovanni però voleva
impedirglielo, dicendo: «Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu
vieni da me?». [15]Ma Gesù gli disse: «Lascia fare per ora, poiché
conviene che così adempiamo ogni giustizia». Allora Giovanni acconsentì.
[16]Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono i cieli
ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di
lui. [17]Ed ecco una voce dal cielo che disse: «Questi è il Figlio
mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto».
Mc1,[9]In quei giorni Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu
battezzato nel Giordano da Giovanni. [10]E, uscendo dall’acqua, vide
aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba. [11]E
si sentì una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te
mi sono compiaciuto».
ProtoMatteo 1,[8]Mentre era battezzato il popolo, venne
anche Gesù e fu battezzato da Giovanni. [9]E salito che fu dall’acqua, si
aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito santo, in forma di colomba, che
scese ed entrò in lui. [10]Ed una voce disse dal cielo: “Tu sei il mio
figlio diletto. In te mi sono compiaciuto”. [11]Ed ancora: “Oggi ti
ho generato”. E il luogo fu subito irradiato da una grande luce.
La differenza all’apparenza marginale trà la narrazione
della discesa dello Spirito Santo tra la versione del Vangelo di Matteo (la
colomba scende su Gesù) a noi pervenuta e quella narrata da Epifanio (la
colomba entra in Gesù) e attribuita agli ebrei non é marginale. Epifanio fa
notare la differenza teologica esistente tra le due narrazioni affermando:
“La loro narrazione afferma che Gesù fu generato da seme
umano, e scelto poi da Dio: fu per questa elezione divina che fu chiamato
figlio di Dio, dal Cristo che entrò in lui dall’alto in forma di colomba. Essi
negano che sia stato generato da Dio Padre ma affermano che fu creato come uno
degli angeli…sebbene egli sia al di sopra degli angeli e di tutte le creature
dell’Onnipotente e sia venuto, come è riferito in quel cosiddetto vangelo
secondo gli Ebrei”: “Io sono venuto ad abolire i sacrifici. E se non
cesserete dall’offrire sacrifici, non desisterà da voi l’ira”
(EPIFANIO, op. cit., 30, 16, 4-5).
(EPIFANIO, op. cit., 30, 16, 4-5).
Sul medesimo argomento Origene scrive: “Se uno accetta il
vangelo secondo gli Ebrei, resterà perplesso, giacchè” qui lo stesso Salvatore
afferma: “Poco fa mia madre, lo Spirito santo, mi prese per uno dei miei
capelli e mi trasportò sul grande monte Tabor” (ORIGENE, In Johan., 2, 6 e
In Jerem., 15, 4).
La forma “entro in lui” é, a mio avviso, la più credibile
vista la funzione generante che é segnalata da Epifanio e che é chiaramente
indicata dalla frase “Oggi ti ho generato” (oltre che in linea con le credenze
del protognosticismo segnalato dalla documentazione ritrovata a Nag Hammadi ed
il particolare dal Vangelo di Filippo). Nè Matteo nè Marco segnalano la luce
che irradia Gesù, ma vista la funzione generante e la particolare funzione
simbolica che la luce aveva nella letteratura qumramiana, anche questo brano mi
pare plausibilmente, il più antico.
In Marco e, meno pesantemente in Matteo, probabilmente, agì
una mano epurativa nell’evidente intento di eliminare la centralità dell’evento
battesimale in linea con il pericolo teologico segnalato da Epifanio.
Veniamo, quindi, al brano finale:
[12] Giovanni a questa vista chiese: “Chi sei tu?”. E di
nuovo una voce dal cielo a lui : “Questo é il mio figlio diletto nel quale
mi sono compiaciuto” allora Giovanni cadde ai suoi piedi e disse: “Ti
supplico, Signore, battezzami tu!”. Ma lui l’impedì dicendo: “Lascia!
Conviene, infatti, che si adempia ogni cosa.4
Mi pare la più probabile sintesi dell’evento. Solo dopo
l’ingresso dello Spirito in Gesù, l’autore del protovangelo inserisce la frase
di Dio che lo riconosce come figlio. Si noti la somiglianza del brano con il
Matteo greco ma anche l’assenza in Marco (rimando al mio sito) che probabilmente
eliminò il testo per gli stessi motivi che spinsero Epifanio a criticarlo: il
testo rende irrilevante le modalità di nascita di Gesù e quindi ciò che egli
era prima del battesimo di Giovanni. In quest’ottica, Marco elimina alcune
parti che sottolineano la centralità dell’evento battesimale.
La centralità che l’evento battesimale aveva nel
protovangelo, tanto da occupare tutto il primo capitolo, fece si che Marco,
potè unicamente mitigare la portata di quell’episodio ma non eliminarlo. In
Marco, infatti, la funzione teologica del battesimo rimane praticamente,
indeterminata.
Conclusioni
Crediamo, a questo punto, di aver proposto un numero più che
sufficiente di elementi che giocano a favore della esistenza di un Vangelo
ebraico di Matteo non molto dissimile da quello in nostro possesso, lievemente
più breve (88% delle attuali dimensioni, solo 300 stichi in meno su 2600, pari
a circa 2-3 capitoli su 28 del Matteo pervenutoci) poichè privo dei primi 2
capitoli contenenti gli episodi della natività, e la lunga genealogia
introduttiva, aggiunti successivamente.
A questa analisi va aggiunta quella comparativa proposta in
un precedente articolo sul sito. Il contenuto di questo, che probabilmente é il
più antico dei Vangeli, dovette creare non poco imbarazzo principalmente nella
corrente paolina. Matteo ebraico sollevava problemi non solo teologici ma anche
politici:
1) Esso, innanzitutto, disegna un Gesù strenuamente legato
alla Legge di Mosè e suo difensore,
2) mostrando che Gesù diviene figlio di Dio attraverso la
discesa ed il conseguente effetto generante dello spirito Santo “in lui” e “non
su di lui”. Durante il Battesimo di Giovanni pone al centro della scena questa
controversa e pericolosa figura politica della resistenza alla dominazione
romana: quello che a Qumran era considerato il messia di Aronne.
3) La scelta di Dio ricade su un prescelto della stirpe di
Davide (Jhoshua ben Giuseppe- Pediah?) e quindi lega questa figura
inscindibilmente alla storia di Israele e non a quella universale.
Si comprende, allora, perché questo Vangelo dovette apparire
pericoloso a Paolo tanto da meritare una esplicita maledizione
(vedi primo capitolo Galati) e da rendere necessaria la stesura di un Vangelo
che ne mitigasse gli aspetti controversi ed contrari alla nascente teologia
paolina: Marco. Si comprende anche perché un dato scontato, la discendenza
davidica di Gesù, dovette essere confermata aggiungendo una genealogia
dettagliata e forse la natività con la narrazione della regalità di Gesù
confermata (nel Matteo ebraico e solo in questo tra i canonici) dall’omaggio
dei re magi, insieme a ciò é anche chiaro perchè Paolo temeva tanto quelle
genealogie.
Insomma da tutte le testimonianze emerge sicuramente la
impossibilità di sostenere inesistente questo scomparso Vangelo ed il fatto che
esso fu redatto in ebraico. Le testimonianze tra cui quelle indirette di Paolo,
configurano questo Vangelo, come il più antico e fanno emergere chiaramente la
responsabilità di Paolo nella perdita di questo prezioso documento: quello che
gli Ebioniti (come afferma unanimemente la patristica e lo stesso Paolo in
Galati e Corinti II) utilizzavano per opporsi alla sua cristologia.
Sui motivi che portarono all’accantonamento ed alla perdita
definitiva di questo Vangelo non si possono avere dubbi: lo stesso
preziosissimo resoconto di Epifanio é inequivocabile e conferma appieno quanto
abbiamo ipotizzato come metodo di composizione della traduzione-riduzione di
questo Vangelo da parte di Marco e quanto abbiamo fatto notare attraverso i
resoconti dello stesso Paolo.
Sabato Scala
Fonte: srs di Sabato scala, da l’Altro Giornale del 23
maggio 2010
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