venerdì 10 febbraio 2012

MARTIN BERNAL. ATENA NERA: LE RADICI AFROASIATICHE DELLA CIVILTÀ CLASSICA: OVVERO: IL VUOTO EPISTEMOLOGICO DEL NORDAFRICA

Martin Bernal


White Athena

1. African = Black?

Black Athena, “Atena nera" è il titolo che nel 1987 Martin Bernal diede a un libro, destinato a suscitare accesi dibattiti, in cui si proponeva di denunciare il mito eurocentrico della civiltà classica, facendo presente il grande debito che la civiltà occidentale ha nei confronti delle più antiche civiltà del Vicino Oriente antico, in particolare quelle dell'Egitto e della Mesopotamia.  Il titolo-shock deriva dalla consapevolezza (diffusa già presso gli antichi) di una identificazione della dea greca Atena con la dea Neith egiziana.
Non intendo qui soffermarmi sulla validità delle tesi di Bernal. Quello che mi preme sottolineare è la disinvoltura con cui questo autore (e con lui più o meno tutti coloro che sono intervenuti nel dibattito sul libro, sia favorevoli sia contrari alle sue posizioni) considera "nero" come sinonimo di "africano".
Né gli antichi egizi né i popoli mesopotamici dell'antichità erano di pelle "nera". E neppure tutti i popoli del Nordafrica dall'Egitto fino all'Atlantico. Al massimo saranno stati bruni di capelli e con la carnagione facile all'abbronzatura, come tutti i popoli intorno al Mediterraneo. Ma qui "black" sta proprio per "melanoderma": "negro" come si dice in italiano e come oggi è tabù dire in inglese.
Negli Stati Uniti, come si sa, ogni qual volta si intende parlare di una persona di colore si evita di alludere direttamente al colore della pelle, e si usa il termine "African". In questo modo, però, si "forza" il significato letterale della parola, facendo coincidere l'"africanità" con un dato tipico solo delle popolazioni dell'Africa a sud del Sahara (la pigmentazione scura della pelle), e si lascia in ombra una vasta parte del continente, che per quanto se ne sa, perlomeno dal neolitico è popolata da genti di pelle bianca.
L'esempio da cui sono partito è sintomatico di una grave lacuna nella rappresentazione del mondo da parte della cultura odierna cosiddetta "occidentale".  I Nordafricani sono africani oppure no? È una domanda cui molti, non solo in America, risponderebbero senz'altro di no, tanta è l'abitudine di considerare africano solo ciò che è "nero".  D'altro canto so di associazioni berbere "respinte" dagli organizzatori mentre tentavano, negli Stati Uniti, di partecipare a manifestazioni sulle culture "africane".

2. Nordafricani = Arabi?
L'opinione comune, che più o meno inconsapevolmente si accompagna a questa incertezza sullo status reale dei Nordafricani, è che essi siano "Arabi". Un'opinione alimentata dal fatto che oggigiorno le lingue più parlate nel Nordafrica sono dei dialetti arabi. E il termine con cui si suole denominare questa parte del mondo, "Maghreb", è una parola araba, che significa "occidente" e indica l'estremità occidentale di un mondo che ha il suo centro altrove.  Nasce così l'ambigua dicitura "arabo-berberi" che in tanti libri di testo e in tante enciclopedie viene impiegata per definire "etnicamente" la popolazione di questi paesi. E così, a chi fa notare che i Nordafricani sono africani pure essi, si obietta che essendo "arabo-berberi" sono in definitiva da considerare una popolazione allogena, che solo di recente si è insediata in queste regioni.
Un corto-circuito mentale che prende in considerazione solo una componente assai minoritaria (gli Arabi non popolarono mai in massa il Nordafrica) ma permette di continuare a usare l'aggettivo "africano" come comodo sostituto di parole più dirette per nominare i negri.

Che cos'è un "Arabo"?  
Ovviamente un abitante dell'Arabia e delle regioni ad essa vicine. Quindi un "asiatico" (sia pure dell'Asia Occidentale), non certo un africano. La civiltà dell'antico Egitto non era, evidentemente, araba, ed arabi non furono né Giugurta e Massinissa, né Sant'Agostino od Apuleio e i tanti altri nordafricani che si conoscono dall'antichità. All'epoca in cui il re nordafricano — più propriamente mauritano, cioè marocchino — Giuba II era un modello di raffinata cultura, gli abitanti del deserto arabico vivevano come selvaggi, ai margini delle civiltà del mondo antico.

3. Un vuoto epistemologico
Questa specie di nebbia che circonda il Nordafrica, che pochi riescono a cogliere come un mondo antropologicamente e culturalmente a sé, costituisce un vero e proprio "buco" epistemologico, tanto più disdicevole in quanto noi vediamo solo quello che siamo pronti a vedere, quello che riusciamo a "incasellare" nelle nostre categorie. E se una categoria "Nordafrica" nella nostra testa non esiste, nell'occuparci delle popolazioni di questa parte del mondo dovremo far riferimento, con un procedimento tortuoso e distorto, ad altre categorie, e difficilmente riusciremo a capire veramente l'oggetto di indagine.

E così, parlando di Nordafrica/Maghreb si pensa innanzitutto agli Arabi, includendo anche tutti gli "arabofoni". E i Nordafricani sicuramente non arabi, quelli che tuttora parlano berbero, restano un oggetto misterioso, suscettibile delle più diverse rappresentazioni. Da una parte, essi sono un bel richiamo per l'industria del turismo.
I Berberi sono il marchio dell'esotico: "venite, turisti, vi porteremo in posti veramente selvaggi: pensate, ci sono anche i Berberi..."
Non parliamo poi dei più sfruttati in quanto più in grado di suscitare immagini mitiche ed eroiche: i Tuareg, al cui nome e alla cui cultura attingono anche industrie automobilistiche e motociclistiche...

Dall'altra parte, però, i Berberi sono la "cattiva coscienza" degli Arabi (e Arabizzati): la loro sopravvivenza fino al giorno d'oggi sta a ricordare la realtà di una invasione e di una conquista, e l'esistenza di una civiltà assai più antica di quella arabo-islamica che l'establishment dei vari paesi cerca di imporre come la sola autenticamente nazionale. Di qui le reazioni di rifiuto che vanno dalla pura e semplice negazione e rimozione dell'esistenza dei berberi (come in Tunisia, dove ben pochi sanno che esistono dei loro conterranei di madrelingua diversa dall'arabo) a vere e proprie persecuzioni (così, per molto tempo, in Algeria e Marocco, dove tuttora il berbero e i Berberi soffrono di notevoli discriminazioni).

4. Cause
Come si sia giunti a questa situazione non è facile da spiegare, e dipende da una serie di fattori con radici anche remote. Basti pensare che già nell'antichità gli stessi sovrani della Numidia affiancavano alla loro lingua il punico nelle iscrizioni, e non disdegnarono di apprendere e di usare il latino ed il greco.

Tra le cause più recenti vanno comunque ricordate da una parte le spinte verso l'arabizzazione da parte della potenza coloniale francese, che disseminava di "bureaux arabes" anche territori compattamente berberofoni (è noto che Napoleone III sognava di porsi a capo di un "regno arabo" dal Nordafrica alla Siria), e dall'altra il panarabismo di Nasser, che si presentava come un modello vincente nel mondo arabo-islamico all'epoca in cui i paesi del Nordafrica accedevano all'indipendenza.

A questo va aggiunto lo statuto particolare che l'islam attribuisce alla lingua araba, la "lingua della rivelazione" (e teologicamente vera e propria "lingua di Dio"). Come risultato, oggi i Nordafricani che hanno adottato la lingua araba si considerano anche appartenenti al popolo arabo. Si tratta di un fenomeno di assimilazione linguistica e culturale che dura da secoli. Già nel XIV secolo Ibn Khaldoun ricordava:
« I Beni-Ifren e gli Howwara sono sottomessi a questi Arabi e li accompagnano nelle loro scorribande nomadi; hanno perfino dimenticato la lingua berbera in cambio di quella dei loro padroni, di cui hanno adottato anche tutte le caratteristiche esteriori. » (Histoire des Berbères, t. I, p. 197).

Assumere un'altra lingua è fenomeno che può avvenire nella storia, ma far coincidere questo cambiamento con un vero e proprio annullamento della propria identità originaria è qualcosa di profondo ed inquietante.
Per fare un esempio, anche in Irlanda oggi sono ben pochi i locutori che ancora impiegano la antica lingua indigena (l'irlandese), e la stragrande maggioranza parla inglese. Ma non per questo gli Irlandesi si identificano con gli Inglesi! Ricordo una volta che, parlando con un amico irlandese, mi lasciai sfuggire l'espressione "Arcipelago Britannico" per indicare in breve Inghilterra e Irlanda: a momenti mi toglieva il saluto.

Un grosso problema che è legato a questa visione distorta di sé è la questione della lingua. Fin dall'indipendenza in questi paesi si sono svolte diverse campagne di "arabizzazione", per sostituire l'arabo alla lingua della potenza coloniale. È passato mezzo secolo, ma le campagne di arabizzazione continuano.

A quanto sembra, la popolazione non è sufficientemente "arabizzata". Sembra strano che un popolo non conosca la propria lingua, se essa è veramente la "sua" lingua. Il fatto è che la lingua parlata nei paesi del Nordafrica è oggi molto diversa dalla varietà formale presa a modello dalle istituzioni.

Nelle costituzioni dei paesi nordafricani non si trova mai qualcosa come "la lingua ufficiale dell'Algeria è l'algerino" o "la lingua ufficiale del Marocco è il marocchino". Si trova sempre "la lingua ufficiale è l'arabo", vale a dire la lingua di un altro continente. Pochi hanno la lucidità di accorgersi di questo problema. Un grande intellettuale algerino, Kateb Yacine, riassumeva bene la questione: «se già siamo arabi, perché arabizzarci? E se non siamo arabi, perché arabizzarci?».

5. La ricerca identitaria
Una certa responsabilità per questo stato di cose è anche degli Europei. Volenti o nolenti, è a noi che i paesi del Nordafrica attingono molte nozioni e categorie interpretative della realtà contemporanea. E questa assenza, nella cultura europea, di un quadro concettuale autonomo per questa parte del mondo, non li facilita nella loro ricerca identitaria.

Il tema dell'identità è in effetti molto ricorrente nei paesi del Nordafrica.
Noi li guardiamo ma non li "vediamo" per quelli che sono ma solo come promanazione di un altro mondo.
Quando i Marocchini, il cui paese si chiama "l'Estremo Occidente" (el- Maghreb el-Aqsâ: e in effetti gran parte del Nordafrica è ad occidente rispetto all'Italia) si vedono catalogati come "orientali", non stupisce che si pongano la domanda "ma noi chi siamo?".

Un rischio che è stato da più parti segnalato è quello che, in mancanza di risposte sul piano etnico e linguistico, perché non si possono oggettivamente definire "Arabi", e "Nordafricani" nessuno sa cosa voglia dire, essi finiscano per trovare un rifugio identitario nella componente religiosa: "se come Arabi siamo poco credibili, siamo però di sicuro dei musulmani". E lo zelo religioso che spesso emerge per sottolineare questa appartenenza, se malamente indirizzato rischia, di questi tempi, di poter essere sfruttato da estremisti o peggio.
Non sarebbe azzardato parlare di una vera e propria alienazione indotta: come li vediamo noi, così tendono a vedersi loro.

Il riferimento a realtà esterne (perché tale è non solo la cultura europea ma anche quella araba) è un grosso handicap allo sviluppo di questi paesi, dal momento che ciò induce ad avere modelli di riferimento esogeni, oltretutto in gran parte mitizzati e quindi riprodotti in modo acritico e stereotipato.

Due esempi tra i tanti: da una parte, ancora la religione. Della religione islamica viene sempre più seguita e imitata una interpretazione "saudita", a carattere molto più rigido e intollerante delle pratiche religiose tradizionali del Nordafrica, con abbandono e a volte vera e propria condanna di molti comportamenti e pratiche indigene; dall'altra parte, la scrittura: per secoli in Nordafrica la stessa lingua araba è stata scritta seguendo una tradizione scrittoria propria, il cosiddetto stile "maghribi", che oggi invece non viene più usato né insegnato nelle scuole: a tal punto che tanti documenti importanti per la storia di queste regioni sono accessibili solo agli specialisti.

6. Il ruolo dell'università
Il mancato riconoscimento della specificità del Nordafrica, che porta ad accostarcisi solo con la "mediazione" di altre lingue e culture ha pesanti ripercussioni in ambito scientifico ed accademico.
In virtù dell'indiscussa corrispondenza Nordafrica=(parte del) mondo arabo, un ricercatore che intenda indagare la storia contemporanea del Nordafrica e la sua cultura si troverà facilmente istradato verso un curriculum di "arabistica", che implica innanzitutto lo studio della lingua araba classica e degli autori orientali e solo raramente permette sbocchi su programmi di studio e ricerca focalizzati sul Nordafrica.

Nessuno stato del Nordafrica, che io sappia, prevede borse di studio per le lingue locali, e anche in Europa le poche cattedre e i pochi centri di studio dedicati al Nordafrica sono mantenuti come un ambito riservato a pochi specialisti, quasi che si trattasse di curiosità erudite, di lingue e culture di una remota antichità o di sperdute terre lontane.  E invece il Nordafrica è di fronte alle nostre coste: in volo oggi ci si impiega ben poco ma già nell'antichità Catone riusciva facilmente a procurarsi fichi freschi da Cartagine per dimostrare la vicinanza di questi paesi.

Eppure, gli studi sulla letteratura moderna e contemporanea di questi nostri vicini di casa vertono quasi esclusivamente sulle produzioni in francese o in arabo classico: le lingue di un'élite. Mentre le lingue veramente parlate dalla gente, le lingue della maggior parte dei testi di letteratura tradizionale ("popolare") sono studiate solo da un numero veramente ristretto di specialisti.

Come se, per studiare la cultura odierna dell'Europa, si formassero innanzitutto, una quantità di esperti in latino medievale e in diritto canonico, lasciando solo ad un numero ristretto di studiosi la possibilità di studiare e indagare la lingua e la letteratura francese, italiana, ecc.

Per la verità, un ambito di studio concentrato sul Nordafrica in quanto tale già esiste: è quello delle cosiddette "antichità libico-berbere": lo studio di un'epoca per la quale è impensabile ricorrere al paradigma arabo.
Col che, però, i Nordafricani finiscono per essere visti solo come un oggetto da museo: una realtà oggi completamente scomparsa, che ha lasciato spazio all'odierna civiltà cosiddetta "arabo-berbera". E per le epoche moderne gli studi sono frammentati secondo ambiti diversi, molto specifici e spesso non comunicanti tra loro: la lingua e letteratura berbera (quella che dovrebbe essere la disciplina più caratterizzante, cui afferisce una sola cattedra in tutt'Italia!), la lingua e letteratura araba (i corsi di gran lunga più diffusi, in Italia e nel mondo, ovviamente concentrati sulla lingua "classica", che gli stessi Nordafricani faticano a studiare), dialettologia araba (Cenerentola tra le discipline di arabistica, anch'essa con pochissimi insegnamenti in tutt'Italia), letterature francofone, ecc. È per questo che l'apertura, oggi, di un corso dedicato alle lingue ed alle letterature del Nordafrica nel loro complesso, il primo di questo tipo nelle università italiane, può rappresentare un primo passo in una direzione nuova e mi sembra utile sottolinearlo esplicitamente.

Nata dalla Laguna Tritonide (in Nordafrica, vicino a Djerba), Atena — dalla pelle, possiamo starne certi, bianca — era celebrata nell'antichità dalle popolazioni della Piccola Sirte con scontri rituali tra vergini guerriere: riti che ancora nel XX secolo si ripetevano, quasi immutati, in un'oasi del deserto libico. C'è da sperare che la dea della sapienza illumini gli intelletti dell'accademia e faccia sì che d'ora in avanti il "Nordafrica" assuma sempre più una fisionomia percepibile in quanto tale, senza bisogno di passare attraverso altri mondi e altre culture.

Milano, 1 ottobre 2009


Fonte: Bibliografia citata:

Martin Bernal, Atena nera. Le radici afroasiatiche della civiltà classica. Vol. I: l’invenzione dell’antica Grecia, 1785-985, Parma 1991 (London 1987).
Ibn Khadoun, Histoire des Berbères et des dynasties musulmanes de l'Afrique septentrionale, trad. Baron de Slane, Paris, 1852-1856 (4 voll.) Il Nordafrica e i Nordafrican:  Elementi di Storia, Lingue e Letterature

Appunti per la parte generale del corso di Lingue e Letterature del Nordafrica 2009-2010
Università degli Studi di Milano-Bicocca
Le immagini che illustrano la presente dispensa sono reperibili on- line alla pagina:

Vermondo Brugnatelli 2010


Link:
PDF COMPLETO DEL LIBRO  (187 pag.)


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