sabato 5 gennaio 2019

LESSINIA. QUANDO LE NEVICATE ERANO UN AFFARE SERIO PER I NOSTRI MONTARI DEL PASSATO


Velo Veronese - Eccezionale nevicata del febbraio 2014 - Fotografia fornita dalla sig.ra Dal Castello Nicoletta



" CUAN LE FIOCADE I'ERA N'AFAR SERIO PAR I NOSTRI MONTANARI DE N'OLTA "


Tanti anni fa la neve, anche sui nostri monti Lessini, era un “affare” serio e poteva durare per mesi e mesi, isolando i paesi e soprattutto le contrade (specialmente le più sperdute) dal resto del mondo. Non era affatto insolito che i nostri montanari di un tempo andassero la sera a letto con il cielo stellato, per poi svegliarsi al mattino sotto una spessa coltre di manto bianco. 

Si capiva subito che c’era la neve dal silenzio ovattato e innaturale che avvolgeva l’ambiente circostante, poi arrivava il rumore delle “sbaìle” (badilate) che aprivano le vie per poter uscire. 

In ogni casa, dietro la porta, che rigorosamente doveva aprirsi all’interno per evitare di rimanere intrappolati nell'abitazione, insieme alla “spassaora” (scopa) c’era sempre almeno una “baìla” (pala) in legno e quando la nevicata era stata veramente abbondante si era costretti ad uscire dalle finestre dei piani superiori perché la neve aveva coperto anche la porta d’entrata. Gli spazzaneve meccanici non esistevano di certo e quindi per aprire le vie di comunicazione con i paesi vicini e le contrade vi provvedevano gli uomini del paese che utilizzando il cosiddetto “ojo de gombio” (la fatica corporale), badilata dopo badilata, si facevano strada tra la spessa coltre bianca.


Tregnago innevata


L’isolamento dei centri abitati era spesso totale e costituiva una seria preoccupazione, per cui si rendeva necessario provvedere con prontezza allo sgombero delle strade dalla neve e da subito squadre di montanari provvedevano a suon di “sbailè” (palate) a pulire le vie di comunicazioni; tuttavia le nevicate del passato potevano soventemente essere molto più abbondanti rispetto a quelle attuali per cui molto spesso non si riusciva a far fronte alle esigenze e pertanto non era affatto raro che interi paesi e contrade rimanessero letteralmente isolati per lunghi periodi.

Le contrade lessiniche del passato erano però spesso poco popolate in inverno in quanto durante i lunghi mesi freddi l’attività dei contadini era fortemente ridotta, a causa delle rigide condizioni climatiche, tanto da creare un esubero di mano d’opera. Il modesto reddito della maggior parte delle famiglie montanare non permetteva ai loro componenti lunghi periodi di inattività poiché ciò avrebbe potuto significare la fame. Si rendeva quindi necessario cercare impiego altrove per procurarsi un reddito integrativo; molto spesso si emigrava all’estero per svolgere dei lavori di manovalanza e racimolare così un po’ di denaro per il sostentamento familiare. E’ ad esempio il caso di molti giovani di Velo Veronese e di Roverè Veronese che, dalla fine dell’800 sino ai primi decenni del XX° secolo, furono costretti nei mesi invernali ad emigrare in Prussia per svolgere l’attività di manovali presso una società ferroviaria privata, la società Vandel, le cui locomotive ed efficienti linee ferroviarie erano ben conosciute nell’Europa dell’epoca.


Gruppo di lavoratori stagionali di Roverè e Velo presso i cantieri ferroviari Vandel in Prussia.


Per i giovanotti che non riuscivano invece a trovare un lavoro come emigranti spettava la grama e dura vita della contrada o di paese, ove oltre a dover accudire al bestiame e racimolare per i boschi la legna per riscaldarsi spesso venivano impiegati, praticamente senza compenso, dalle autorità locali per lo sgombero delle strade dalla neve e veniva loro accampata la pretestuosa e bieca scusante che tale attività si rendeva necessaria per il bene della collettività della quale essi faceva parte. Le autorità locali del tempo ben si guardavano infatti dal remunerarli con del denaro per compensare le loro fatiche.

E’ ancora vivo negli anziani del paese di Velo Veronese il ricordo dei racconti dei loro padri di quando il sindaco ed il parroco, le preminenti autorità locali del passato (unitamente al farmacista ed al medico condotto), praticamente obbligavano la gioventù a sgomberare gratuitamente le strade dalla neve facendo pressioni sul loro dovere civico e al sentimento del buon cristiano di adoperarsi, come volontari, per consentire ai fedeli di potersi recare in chiesa ed in municipio.

Da fonti attendibili si narra ancora oggi infatti dell’episodio occorso a Velo Veronese agli inizi del XX° secolo allorché il sindaco ed il parroco, don Giovanni Battista Simeoni, preoccupati dalle abbondanti nevicate che avevano completamente coperto le strade, innanzi al sagrato della chiesa parrocchiale chiamarono a raduno i giovani del paese. Secondo quanto viene tramandato dalla narrazione dei più anziani si racconta che il sindaco esortò dapprima tutti i giovanotti presenti a liberare le strade dalla neve, poiché ciò costituiva un dovere civico per ciascun componente della comunità velese per consentire agli altri abitanti di potersi recare in municipio, nelle botteghe e negli esercizi pubblici; subito dopo intervenne don Simeoni che, fiducioso della sua autorità di prelato locale e facendo pressione sui doveri cristiani di ciascun fedele, esortò i presenti ad attivarsi per lo sgombero delle strade dalla neve per consentire ad ogni buon credente di potersi recare in chiesa e poter ricevere i Sacramenti. Chiaramente nessuna di tali autorità fece minimamente menzione ad una qual sorta di compenso in cambio di tale duro lavoro. 

Udendo tali richieste delle autorità alcuni dei giovanotti presenti si staccarono e si riunirono in uno “ s’ciapo” (gruppetto) a sé stante; si trattava dei “brachi” (giovanotti) che durante i precedenti periodi invernali si erano recati come emigranti nella lontana Prussia, ove svolsero dei lavori di manovalanza e soprattutto come spalatori di neve lungo le linee ferroviarie della società Vandel, ma per tale pesante lavoro vennero ben remunerati.

Certi della loro presunta indiscussa autorità e ormai convinti di aver ottenuto l’incondizionata, e soprattutto gratuita, collaborazione dei presenti don Simeoni ed il sindaco vennero letteralmente spiazzati dall’intervento di uno dei giovanotti presenti, si trattava del famoso “Nibe pistor” (il fornaio del paese), che per anni si recò periodicamente in Prussia ove svolse l’attività di spalatore di neve per conto della società ferroviaria Vandel. 

Il giovane, seppur con la dovuta riverenza, a bruciapelo rivolse al parroco la domanda: “El me scusa sior parroco, ma a sbailàr la neve su par le strade de Velo cossa se ciapa?. Quanto ne paghio?. Nualtri on Prussia en laorà pàr schei pàr netàr da la neve!”. 

Rimasti letteralmente spiazzati dall’inaspettata schiettezza del giovane fornaio, don Simeone, sottovoce, si girò e sussurrò ad un orecchio del sindaco la frase: “Te l’avea dito mi che quando sarìa tornà quela szizzagna da la Prussia sarìa egnù fora dei problemi parchè i vol essar paghi par quel che ghemo sempre fato fàr par gnente!”.

Molti dei giovanotti presenti riflettendo innanzi alla legittima richiesta del fornaio desistettero dalle richieste delle autorità e si dovette da quel momento racimolare del danaro per pagare la manovalanza dedita allo sgombero delle strade dalla neve.


Velo Veronese.   Piazza Vittoria  2014


Gli inverni del passato anche sui nostri monti Lessini erano davvero un affare serio; giorno dopo la temperatura iniziava a scendere ed il freddo si faceva sempre più pungente. Il giorno cedeva il passo alla notte che diveniva sempre più lunga e la neve lentamente copriva tutti i prati, i pascoli, i campi e le strade. L’inverno era la stagione in cui i “bocie” (bambini) si divertivano a giocare scivolando sulla neve con delle slitte improvvisate o facendo i pupazzi di neve. I loro poveri indumenti e calzature, spesso rammendati, ricuciti, rattoppati e malandati non erano però quasi mai di grande protezione dal freddo pungente e comparivano così le prime “bugànse” (geloni) sulle dita dei piedi e delle mani.

Gli uomini anziani, oltre ad accudire le stalle, dedicarsi alla riparazione e costruzione degli arnesi da lavoro si occupavano anche a provvedere alla provvista di legna per la cucina e per il riscaldamento domestico. Questo impegno doveva essere costante in quanto per il solo riscaldamento dell’abitazione mediamente una famiglia montanara, durante i rigidi mesi invernali, consumava circa duecento quintali di legna. 

Il fuoco sul focolare, o nelle famiglie meno povere nella stufa, veniva acceso tutti i giorni per riscaldare l’ambiente domestico e per poter cucinare, quindi ogni volta che si usciva per i campi non si doveva mai ritornare a casa a mani vuote. In mancanza di altri carichi da trasportare ogni pezzetto di legno raccolto significava la sopravvivenza e quindi potersi riscaldare dai rigori dell’inverno. 

Ogni famiglia, anche la più ”pitoca”, per poter superare l’inverno doveva sempre avere una buona scorta di legna per il riscaldamento; per i più facoltosi la legna veniva acquistata dai commercianti mentre per i più poveri essa veniva raccolta per i boschi. Anche i vecchi giornali venivano bagnati, arrotolati e compressi in palle che poi venivano asciugate ed utilizzate come combustibile per stufe e camini.
Con la neve era difficoltoso anche ogni spostamento e ciò avveniva solo con l’uso di pesanti sci di legno o con le “ciaspole” (racchette da neve).

Quando le nevicate erano molto abbondanti i bambini non andavano a scuola poiché i lunghi tragitti che dividevano le scuole dalle lontane contrade non consentivano una frequenza quotidiana alle lezioni; comunque durante i mesi invernali ogni alunno doveva portare con se una “stela” (ceppo di legna) per la stufa posta all’interno dell’aula scolastica poiché essa costituiva l’unica maniera per riscaldarsi durante le lezioni. Chi non portava la “stela” non poteva partecipare alla lezione. Nacque così la locuzione dialettale “nàr a scola co ‘na stela par la stua”. 
Gli anziani di Velo Veronese ricordano ancora di quanto Don Arcangelo Bonomi, curato e maestro del paese, in più occasioni rimandò a casa quei bambini che durante i mesi invernali si presentarono in classe senza portare con sé la famosa “stela”, poiché era sua intenzione inculcare già in giovane età la convinzione che non si doveva vivere alle spalle altrui, come di riscaldarsi senza fatica con la legna d’altri.

Le donne montanare erano invece impegnate nelle faccende domestiche, preparavano il burro e sulla stufa o sul focolare cucinavano, con le poche materie prime a loro disposizione, i pasti per la famiglia. Ma l’inverno era anche il periodo in cui ci si raccoglieva davanti al camino o ci si radunava nella stalla più capiente della contrada, ove con il calore generato dal fiato del bestiame, si svolgeva il “filò”. In queste occasioni si filava la lana, utile per confezionare le calze, i guanti, le maglie e gli indumenti personali, ma anche la canapa per confezionare la biancheria. Gli uomini riparavano gli attrezzi o ne confezionavano di nuovi, oppure creavano cesti in paglia, i vecchi invece raccontavano storie, favole e le tradizioni del passato ed i bambini li ascoltavano affascinati. Era appunto questo il momento di far filò.

Si ringrazia la sig.ra Dal Castello Nicoletta per aver fornito le due fotografie a colori che illustrano una eccezionale nevicata occorsa a Velo Veronese nel mese di febbraio 2014.


Fonte: da Facebook: Amici di Velo Veronese , del 3 gennaio 2019-01-02

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